Il ragazzaccio

Felix è un ragazzo cresciuto in un contesto difficile. Il padre è assente, la madre è malata e nessuno, di fatto, si occupa davvero di lui. Felix è povero e si sente invisibile. Come tale, d’altronde, lo trattano tutti: Felix a poco a poco perde persino il suo nome e diventa per il paese intero il ragazzaccio. Viene soprannominato così quando compie piccole ruberie per bisogno estremo e quella finisce per diventare la sua identità principale quando si lascia convincere da Tigre a entrare nella sua banda. A quel punto non si tratta più di arraffare una mela o un paio di calzettoni per sopravvivere ma di dedicarsi a furti e rapine in maniera sistematica, armi alla mano comprese. Sarà l’incontro con un mansueto ma tenace signore che gli dona un violino in cambio della sua pistola a cambiare la sorte di Felix, dimostrando a lui stesso (e a chi legge) che non si nasce buoni o cattivi e che umanità e arte possono cambiare le sorti di una persona.

Il ragazzaccio è ispirato alla storia vera di José Antonio Abreu, musicista e attivista che nel 1975 ha fondato in Venezuela El sistema, un’organizzazione che promuove la musica come strumento di riscatto sociale. Il signore che salva di fatto Felix da un destino segnato dalla delinquenza fa esattamente ciò che José Antonio Abreu ha fatto nella realtà con moltissimi bambini di strada. L’orchestra di cui Felix inizia a far parte celebra, infatti, il potere della musica in cui Abreu credeva fortemente.

Edito da Camelozampa, Il ragazzaccio, ha il sapore dei libri di una volta e l’aspetto di un libro modernissimo. Il racconto di Angeliki Darlasi non ha paura, infatti, di dire la povertà e di dipingere un contesto di periferia in cui le famiglie sono sgretolate, la fame è compagna fedele e l’appartenenza a una banda può offrire un effimero senso di protezione a appartenenza. Le illustrazioni di Iris Samartzi, dal canto loro, sottolineano il tono malinconico e non privo di sfumature cupe del racconto, optando però per un tratto attuale in cui fotografia e disegno si integrano e in cui le linee essenziali e pochi segni rossi su una base in bianco e nero guidano e allargano la riflessione del lettore. Il libro presenta inoltre la forma poco battuta del racconto illustrato in cui le figure, ampie e presenti a ogni doppia pagina, giocano un ruolo da protagonista. Questo, unito al carattere più grande del consueto e ad alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font Easyreading, la spaziatura maggiore e la sbandieratura a destra, concorre a rendere il libro più amichevole anche nei confronti di lettori dislessici o riluttanti.

La mia pilota, il mio capitano

Con gli occhi giusti, anche un semplice e ripetitivo tragitto può rivelarsi un’avventura. Ma quali sono questi occhi giusti? Quelli di chi si lascia ispirare dai nomi selvaggi delle auto – Mustang, Leon, Panda e Maggiolino –, di chi trasforma le strisce pedonali in un pericoloso ponte sospeso, di chi immagina, inventa e talvolta indovina.

La bambina protagonista di questo libro e il suo papà non hanno occhi buoni ma hanno occhi giusti. Ipovedente lei, cieco lui, i due vivono il percorso quotidiano da casa a scuola e ritorno con grande naturalezza e capacità di evasione. Se la loro disabilità non compromette la possibilità di godersi in autonomia questo momento condiviso, essa amplifica dall’altra le possibilità immaginifiche in esso custodite. Ciò che non si vede – che sia pericoloso come un incrocio o piacevole come un albero abitato da uccellini – può essere infatti memorizzato, riconosciuto con altri sensi, ipotizzato, trasfigurato secondo il proprio gusto e la propria sensibilità. Così mentre i due protagonisti si destreggiano tra semafori e marciapiedi, il traffico intorno a loro assume le fattezze di una giungla animata e rigogliosa.

I testi di Gonzalo Moure, che mettono al centro la bellezza di una passeggiata in compagnia di una persona amata, dedicando alla disabilità lo spazio necessario e le parole esatte, si accompagnano alle illustrazioni di Maria Girón che mettono su carta l’incontro tra realtà vissuta e immaginata. Coccodrilli sullo skateboard, struzzi sui pattini a rotelle e animali di ogni sorta in groppa alle auto che rispettivamente ne portano il nome contribuiscono a rendere indimenticabile quella che potrebbe essere un percorso monotono. In questa cornice delicata e affascinante, la disabilità trova così spazio in maniera significativa ma non invadente: c’è, dunque, e orienta la narrazione ma non ne costituisce il centro e non compromette l’identificazione da parte di chi non la sperimenta in prima persona. Che forse è il modo migliore per offrire della varietà di modi di stare al mondo una rappresentazione autentica.

Hank Zipzer. Chi ha ordinato quel bambino?

Avventura numero 13 per Hank Zipzer, il bambino combina-disastri-e-trova-soluzioni più simpatico di New York. 13 è un bel numero, soprattutto considerando che la qualità delle storie che compongono la serie di cui Hank è protagonista è finora sempre rimasta elevata. Come fare per mantenerla tale? Può certo essere utile una scossa, un elemento inatteso, una novità che mescoli un po’ le carte in tavola, devono aver pensato Lin Oliver ed Henry Winkler. Detto fatto: ecco che in questo nuovo volume della serie qualcosa di sorprendente accade: Hank sta per diventare fratello maggiore!

Il problema è che la sorpresa non tocca solo il lettore ma anche e soprattutto Hank stesso, che tutto si aspettava fuorché di ritrovarsi in pochi mesi con un bebè che gironzola per casa. La sua reazione è, dunque, tutt’altro che composta. Oltretutto la notizia arriva a pochi giorni dal suo compleanno e tutti sembrano più interessati a dare il benvenuto al bambino che ad aiutarlo a organizzare una festa epica. Per fortuna c’è Papa Pete, nonno insuperabile, che abbraccia le emozioni di Hank (belle e brutte, che siano) e lo accompagna nel negozio di animali per scegliere un regalo di compleanno adeguato alle aspettative. Deciso a fare uno sforzo e ad allenarsi nel prendersi cura di una creatura piccola come potrebbe essere un fratellino, Hank opta per una tarantola che decide di chiamare Rosa. Inutile dire, se un poco si conosce la serie, che la combo Hank+tarantola non può che generare scompiglio, soprattutto se si considera che Hank decide di auto-organizzarsi una festa di compleanno in solitaria, portando in pubblico la sua nuova amica.  Guai e pezze (peggiori dei guai stessi) sono dunque dietro l’angolo, ma con loro anche qualche inattesa sorpresa che fa capire ad Hank che l’arrivo di un fratellino non divide l’amore dei famigliari ma piuttosto lo moltiplica. Il che può sembrare strano, in effetti, ma è proprio vero. Questione di matematica affettiva, la discalculia questa volta non c’entra!

Divertente e scorrevole come di consueto, Hank Zipzer. Chi ha ordinato quel bambino? ruota meno di molti volumi precedenti  intorno al tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, come se questi fossero ormai una peculiarità assodata del personaggio, che emerge di tanto in tanto proprio come accade nella realtà, senza che debba necessariamente scatenare degli eventi narrativi. Restano inalterati tutti gli accorgimenti di alta leggibilità che Uovonero mette in campo in questa collana (font, spaziatura, margini, sbandieratura, colore della carta) e che continuano a renderla particolarmente gradevole non solo nei contenuti ma anche alla vista.

Il nostro cane Max (FabuLIS)

Gli animali domestici sono, per tanti padroni e padroncini, autentici membri della famiglia. Con loro si condividono rituali, viaggi, esperienze, emozioni e così, quando muoiono, lasciano un vuoto grande e un segno indelebile. Proprio questa parabola esistenziale, tanto familiare a chiunque abbia posseduto e amato un cane o un gatto, trova posto tra le pagine de Il nostro cane Max.

Il libro scritto da Alessandra Bocchetti omaggia e ripercorre la vita del cane Max all’interno della famiglia che lo ha accolto quando era ancora piccolissimo e brutto. L’autrice racconta in particolar modo il rapporto speciale e unico che il cane instaura con i diversi membri della famiglia, dando un assaggio delle piccole gioie che, dal primo all’ultimo giorno, la sua presenza ha regalato. Fino a che la vecchiaia lo porta via, senza che tuttavia il suo ricordo svanisca. Tutt’altro: nel cielo, nelle rocce e persino nella forma di un’isola Max torna a far visita ai suoi padroncini, nel nome di un legame intenso e sempre vivo.

Lineare e senza arzigogolate capriole narrative, Il nostro cane Max si presenta come un omaggio personalissimo a un cagnolino realmente esistito che suscita simpatia e affetto. Piacevole da leggere e commuovente nel finale, il libro fa parte di una doppia collana. La versione originale è stata inserita, infatti, all’interno della Minizoom di cui il libro condivide tutte le apprezzabili caratteristiche di alta leggibilità: font specifica, spaziatura, maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra e carta color crema. Una seconda versione, che va ad affiancarsi alla precedente e che ne mantiene tutte le caratteristiche sopracitate, è stata invece di recente messa a punto da Biancoenero e inserita nella nuovissima collana Fabulis.

In questa nuova versione, inserita all’interno della collana Fabulis, ogni doppia pagina del volume di Alessandra Bocchetti e Martina Tonello presenta sulla sinistra un QRcode grazie al quale accedere a un video che ne racconta il testo in Lingua dei Segni Italiana. L’illustrazione figura, come una sorta di sfondo,  anche alle spalle dell’interprete, facilitando  così l’associazione tra i due supporti. Nella parte destra di ogni doppia pagina, inoltre, possono essere presenti altri QRcode contraddistinti da un bordo di colore differente. Questi attivano la traduzione in LIS delle parole meno comuni o di più difficile comprensione, all’interno di video che, così come i precedenti, non presentano audio.

La collana Fabulis è frutto di un progetto estremamente significativo e apprezzabile, per più di una ragione. In primo luogo perché sfrutta in maniera semplice ma efficace la sinergia tra cartaceo e digitale. Grazie al basico riconoscimento di un QRcode, che rinvia a un video caricato su Vimeo, il lettore ha infatti la possibilità di fruire di una modalità narrativa e comunicativa supplementare che mal si accorderebbe con l’inserimento sulla pagina, senza dover per questo rinunciare al valore del rapporto con la fisicità del volume. L’espediente del QRcode, inoltre, è molto poco invasivo e questo fa sì che la pagina risulti praticamente identica a quella della versione originale del libro. Il lettore si trova perciò tra le mani un volume bello e curato come l’originale ma più accessibile.

La corrispondenza puntuale tra testo in italiano sulla pagina e video in LIS non solo favorisce l’appropriazione e il pieno godimento del racconto da parte dei bambini sordi segnanti ma facilita anche la costruzione di un ponte tra le due lingue che questi lettori si trovano a fronteggiare nella vita quotidiana. Il nostro cane Max, così come gli altri volumi che compongono la collana Fabulis,  costituisce, cioè, una bellissima proposta di narrativa che merita e chiama il libero gusto e il gratuito piacere della lettura, rivelandosi però anche un prezioso e valido strumento di sostegno all’apprendimento.

Da ultimo, non va trascurato il processo che ha portato alla nascita della collana. Il coinvolgimento, insieme a Biancoenero, dell’ENS (Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordi) e di Huawei (azienda privata già sensibile al tema e attiva sul campo grazie al progetto Storysign), mette in luce l’importanza e la validità di progetti che fanno leva sull’integrazione di competenze specifiche e complementari così da offrire ai lettori prodotti di qualità tanto dal punto di vista dell’accessibilità quanto da quello letterario.

È permesso?

Non c’è forse gioco infantile più replicato e al contempo più moltiforme del progettare e costruire un rifugio. Cuscini, lenzuola, mobili e qualunque supporto capiti a tiro può contribuire a dare forma a tane e fortini in cui nascondersi, stipare proviste, condividere segreti e inventare avventure. Alzi la mano chi non l’ha mai sperimentato! Ecco allora che il libro di Elena Rossini e Irene Penazzi – È permesso? – che a questa comune pratica ludica è dedicato diventa per il lettore occasione di riconoscimento e spunto per nuovi allestimenti. Non solo: tra le pagine di questo libro in cui c’è tanto da guardare e poco da leggere, si trova una fitta trama di relazioni familiari e amicali che danno vita a micro-narrazioni e dettagli da trovare. È dunque un libro quasi senza parole, È permesso?, un simil-wimmelbuch e un libro che ha qualcosa del gioco: un libro decisamente ibrido, dunque, che come tale prometta ampia libertà di movimento e molteplici possibilità di esplorazione.

Protagonisti sono, in prima battuta, cinque bambini di età e stature diverse, che si dirigono con fare deciso verso il salotto. In un attimo – il tempo di un voltar di pagina – la stanza viene ripresa con un’inquadratura più ampia e presto invasa da mollette, lenzuola, scatole, sedie rovesciate a giocattoli. Il gioco è partito! Da lì in avanti il fortino appare allestito e il lettore ha modo di immaginare cosa vi accada all’interno solo da sparuti dettagli – una teiera, un ciuccio, biscotti, fogli e pennelli – che spuntano da sotto le lenzuola appese. In parallelo sopraggiungono nuovi potenziali ospiti che educatamente chiedono di poter entrare. Come una sorta di parola d’ordine votata alla gentilezza, l’È permesso? fa via via crescere l’accampamento e le attività in esso custodite. Sono le ultime due doppie pagine, che si aprono come una sorta di sipario, a rivelare il pullulare di giochi, chiacchiere, scherzi e lavori che nel rifugio hanno trovato posto. I dettagli spuntati qua e là nel corso della lettura trovano allora nuovo senso e invitano a ripercorrere da capo le pagine affollate per riconoscere e ricollocare i personaggi, metterli in relazione e ricostruire ciò che per buona parte del libro è rimasto celato nel fortino.

Dinamicissimo, autentico e predisposto a soddisfare molteplici letture consecutive, È permesso? dà spazio a un disordine creativo che profuma di famiglia vera. Tra quelle scope che diventano puntelli, quei tappeti che ospitano picnic informali e quei divani che si fanno, all’occorrenza, letto, supporto o parco-giochi, il lettore può muoversi senza un ordine predefinito, cogliendo dettagli disseminati con perizia dalle autrici. Là dove la confusione (ricercata) della pagina non crei insofferenza e dove l’avanti e indietro tra le pagine per mettere a posto i tasselli non costituisca un ostacolo al godimento della lettura, È permesso? offre una storia per immagini (ché di fatto le poche e ricorrenti parole sono praticamente accessorie) in cui il lettore può prendersi il tempo di sostare, in cui è chiamato a fare ipotesi (chi sono questi personaggi e che tipo di relazione li lega? Perché il bambino con la tshirt della montagna toglie una molletta? Cosa pensa il gatto di tutto questo trafficare tra tappeti e coperte?…) e in cui, in definitiva, il gioco simbolico che ispira la narrazioni si fa cornice di nuove imprevedibili invenzioni che trovano forma e parole proprio grazie a chi legge.

Diario di un ragazzo invisibile

A chi non è capitato – a scuola, in famiglia o in qualunque altro contesto sociale – di sentirsi invisibile? Vivien conosce questa sensazione meglio di chiunque altro. Lui, infatti, invisibile lo è letteralmente. Non sempre, non dappertutto. Ma spesso e in situazioni diverse. La faccenda è strana forte, Vivien se ne rende conto. E così inizia ad annotare sul suo diario tutto ciò che nota in relazione alle sue scomparse e a cercare di entrare in contatto con i pochi studiosi che hanno approfondito il fenomeno. La strategia non sembra portare nuovi frutti. Al contrario, l’incontro inatteso con una coetanea a sua volta convinta di avere uno strano potere, lo fa sentire improvvisamente visto…

È un tema vivo, questo del sentirsi visti, un tema in cui facilmente un lettore alle prese con l’adolescenza può riconoscersi. L’autrice lo affronta con un taglio particolare, non privo di guizzi ironici. Il suo Diario di un ragazzo invisibile si presenta al lettore come un libro compatto, dal formato tascabile e dall’aspetto grafico amichevole. Le pagine si caratterizzano, infatti, per l’impiego del font EasyReading (in dimensione però abbastanza ridotta), per una spaziatura abbastanza ampia tra lettere, righe e anche paragrafi e per la sbandieratura a destra che ne agevolano la lettura anche in caso di dislessia.

Il grande volo

Quello della violenza assistita e subita in ambito domestico è un tema spinoso e complesso. Un tema che, tuttavia, riflette una realtà esistenze e vissuta sulla propria pelle da un numero non trascurabile di bambini e bambine e che come tale necessita di parole e figure in cui questi possano riconoscersi. Questa possibilità è offerta, per esempio, da un libro come Il grande volo scritto da Fulvia degl’Innocenti e illustrato da Silvia Colombo. Qui si racconta di Nina, nella cui casa le cose volano. Vola di tutto: piatti, libri, cuscini. E soprattutto mani, che lasciano segni rossi sulla pelle e parole, che possono essere taglienti come lame. Nina assiste a tutto questo, con paura e con dolore. Nina vede, terme, agisce e subisce. E così anche Nina vola. Vola perché spinta e vola per salvarsi. Sopra tutto e sopra tutti. Fino a quando le parole rassicuranti e decise della mamma non annunciano un cambiamento salvifico. Ad accompagnare il racconto tutto incentrato sulla metafora del volo, entrano in gioco illustrazioni dai colori accesi in cui figure reali e riconoscibili si mescolano ad elementi di contorno più insaturi ed espressivi che valorizzano la dimensione simbolica della narrazione.

Il grande volo è un libro due volte coraggioso. Per il tema che tratta, poco o per nulla presente nei volumi destinati ai più piccoli. E per la scelta di ampliare il più possibile la fruibilità di una narrazione così delicata. Il libro scritto da Fulvia degl’Innocenti e illustrato da Silvia Colombo viene infatti proposto dall’editore Astragalo in una doppia versione: albo illustrato tradizionale e inbook. Quest’ultima presenta il testo in simboli WLS che ne agevolano la comprensione anche da parte di giovani lettori con difficoltà comunicative.

Data la lunghezza del testo di partenza e la scelta (propria del modello inbook seguito dal libro) di non modificarlo, i riquadri che contengono i simboli risultano giocoforza di dimensioni ridotte, richiedendo una certa dimestichezza con questo tipo di lettura. D’altro canto, la struttura sintattica raffinata e il racconto a forte carica metaforica presuppongono a loro volta un lettore modello non alle prime armi e capaci di muoversi con agio anche tra le sfumature e le capriole del testo. La grafica, infine, tende a ricalcare quella originale dando vita ad alcune pagine più pulite, lineari e leggibili ed altre un poco più ostiche per via del minore contrasto tra sfondo e testo o della sistemazione arcuata della sequenza di simboli. Come da modello inbook, questi ultimi traducono individualmente ogni elemento lessicale e prevedono qualificatori di numero e genere. Inoltre – peculiarità di questo volume – mentre la maggior parte dei simboli presenta la parte lessicale in minuscolo, come normalmente accade, alcune parole chiave sono proposte in maiuscolo. Sono al massimo tre-quattro per pagina e si tratta delle parole più significative di ogni pezzo di racconto. Un espediente che mira a ricalcare con fedeltà l’originale, focalizzando l’attenzione sugli elementi più pregnanti e guidando così l’attenzione del lettore.

Hodder e la fata di poche parole

Che fare se di notte una fata viene a farti visita, annunciandoti che ti toccherà salvare il mondo? Probabilmente cercare compagni con cui condividere l’avventura e trovare un posto da cui cominciare il salvataggio, un passo alla volta. Questa, quantomeno, è la risposta che si dà Hodder, ragazzino protagonista del delizioso romanzo di Bjarne Reuter. E così, sera dopo sera, quando la casa si fa vuota e silenziosa perché né la mamma (precocemente scomparsa), né il papà (impegnato ad attaccare manifesti per lavoro), sono presenti, Hodder lavora alla sua missione, interrogandosi senza posa su come riuscire nell’impresa e su chi invitare a farvi parte.

Iniziano così le sue surreali conversazioni con personaggi sopra le righe come il pugile poeta Bic Mac Johnson, come la donna avvenente che fa la pubblicità delle sigarette o come il principe di Guambilua. Peccato che anche la signora Andersen, la maestra di Hodder, non abbia intenzione di unirsi alla spedizione. Hodder è infatti sempre bene felice di porle domande e condividere con lei i suoi pensieri. Ma lei, al contrario, non pare affatto ben disposta nei suoi confronti. A dirla tutta, l’intera esperienza scolastica non è per Hodder proprio in discesa: quel suo modo ingenuo e fuori dagli schemi di pensare e di porsi tende, infatti, a generare diffidenza e derisione nei suoi compagni, cosa che il ragazzino affronta a modo suo, con un mix efficace di positività ed invenzione. È – se vogliamo – il potere salvifico dell’immaginazione. Il romanzo si sviluppa, così, nello spazio tra scuola e casa, seguendo le piccole e grandi avventure del protagonista e adottando il suo personale e originale punto di vista. Ne viene fuori una narrazione divertentissima, ricca di personaggi memorabili e capace di stregare il lettore.

La scrittura di Bjarne Reuter, in particolare, è fresca e sorprendente. Quel suo muoversi con grazia tra il piano reale e quello immaginario, seguendo un flusso di pensieri singolare come quello di Hodder, dà forma a un racconto che interroga costantemente il lettore facendogli strizzare gli occhi e chiedere di tanto in tanto “Ma sta succedendo davvero?”. Il tutto mentre si diverte, si stizzisce, si emoziona. Perché nell’avventura tragicomica c’è spazio per sentimenti molto contrastanti e proprio questo vorticare emotivo, che ci avvolge con dolcezza pungente come una girandola al rhum, ci fa sentire Hodder vicino, vicinissimo. E come lui tutti i bambini che per indole e abilità faticano a trovare un posto comodo nel mondo reale, provando a trovare un rifugio accogliente nella dimensione fantastica.

Pubblicato da Iperborea, Hodder e la fata di poche parole ha vinto il premio Andersen 2023 come miglior libro 9-12 anni.

Semplicemente due

Vi ricordate di Chris, il ragazzo che il giorno del suo diciottesimo compleanno si ritrova a vivere da solo, abbandonato dalla mamma ma circondato una sorta di famiglia allargata capace di sostenerlo e farlo sbocciare nonostante quello che lui definisce “il suo essere in ritardo con la testa”? Lo avevamo conosciuto all’interno di Semplice la felicità, il primo romanzo della trilogia composta dall’autore canadese Jean-François Sénéchal.

Nel secondo volume della trilogia, intitolato Semplicemente due, Chris si appresta a mettere su famiglia con la sua fidanzata Chloé. Conviventi ormai da un po’, i due scoprono di aspettare un bambino e proprio questo evento, così straordinario e così capace di far discutere, si trova al centro del romanzo. Possono diventare genitori – e prima ancora avere una vita sessuale attiva – due persone con disabilità? Sono in grado? Sarà per forza disabile anche il bambino? La questione non è priva di aspetti spinosi che l’autore prende però di petto e tratta con la consueta e intelligente leggerezza. Nel suo racconto c’è spazio infatti per gli operatori dei consultori, che seguono e sostengono la coppia in vista del parto con un adeguato percorso, c’è la famiglia in cui si mescolano apprensione e affetto incondizionato e c’è quella rete, preziosa e insostituibile, che rende ogni situazione potenzialmente critica in una situazione che di fatto si può affrontare.

L’attesa del bambino scandisce così un tempo in cui accadono moltissime cose che coinvolgono moltissime persone. Certo, al centro c’è sempre lui, Chris, che nel giro di pochi mesi si ritrova a fare un lungo viaggio in camion come un vero king della strada, a sostituire l’ex bullo Luc Boutin nelle visite alla vecchia nonna, a fare lezione a una classe di studenti della sua vecchia scuola, ad aiutare la signora Sylvester a fare i conti col passato, a ricucire un rapporto con il padre e a conoscere il dolore per la morte di chi da padre gli ha fatto per un tempo importante.

Sempre scritto dal punto di vista del protagonista e come se questi stesse idealmente parlando alla mamma che lo ha abbandonato, Semplicemente due si caratterizza per una narrazione vivace in cui brillano tutte le sfaccettature della vita e in cui la disabilità intellettiva trova una voce nuova, fresca, irriverente e capace di farci spostare con garbo dalla nostra comfort zone di certezze e pregiudizi.

Divergente

Parlare di neurodivergenza significa parlare di un modo atipico di percepire il mondo e di abitarlo. Un modo che, per chi neurodivergente non è, può essere difficile da comprendere e accogliere. Perché “mettersi nei panni di” è tutto fuorché una cosa scontata e immediata. Anche per questa ragione la maniera in cui Victoria Grondin decide di trattare l’argomento all’interno di Divergente risulta molto spiazzante ed efficace.

Il romanzo breve dell’autrice canadese è ambientato, infatti, in un mondo in cui è considerato neurodivergente chi non manifesta particolari peculiarità sensoriali e interessi assorbenti, chi guarda gli altri dritto negli occhi e usa un linguaggio figurato, chi ama le cose nuove e si sente un po’ costretto da una routine rigidamente organizzata: in altre parole, chi, secondo i nostri canoni abituali, non rientrerebbe in una diagnosi di autismo.  Un mondo all’incontrario, insomma, in cui chi deve adattarsi a prassi e contesti non costruiti sulle sue esigenze è proprio chi di solito, nella realtà, detta le regole e compone la maggioranza.

All’interno di questa cornice, Guillaume figura a tutti gli effetti come un neurodivergente. I tratti sopra elencati gli corrispondono tutti e per questo gli viene diagnosticata la rarissima sindrome di Wing. Non sarà dunque difficile intuire quanto possa essere complicato per lui muoversi tra i suoi pari ma anche in famiglia, dove nessuno sembra capirlo e soprattutto tutti lo considerano alla stregua di una nullità: una persona priva di qualsivoglia talento o possibilità di emergere. Data la situazione, quando nella scuola di Guillaume arriva Grace, una ragazza che mostra tratti simili ai suoi, il ragazzo sembra risvegliarsi da un logorante senso di solitudine e inettitudine. Anche grazie alla passione per la musica, tra i due cresce una complicità che mai Guillaume si sarebbe potuto aspettare. Così, quando Grace torna in maniera del tutto inaspettata nella sua città di origine, Guillaume si dimostra pronto a tutto per ritrovarla. Anche se questo significherà per lui trasferirsi e accettare di sottoporsi a trattamenti scientifici a lungo rifiutati e totalmente indesiderati. L’impresa è ardua ma la posta in gioco è alta. Per questo, quando Guillaume si trova faccia a faccia con una verità inattesa e scomodissima, la batosta si fa ancora più dura…

Amaro e straniante, Divergente esplora la neurodivergenza con una precisione scientifica e un grado di dettaglio che in alcuni punti gravano un po’ sulla scorrevolezza del racconto ma che al contempo restituiscono particolare credibilità rispetto al tema. L’autrice ha studiato, non a caso, neuropsicologia e le sue conoscenze emergono non di rado, anche e soprattutto tra le parole della dottoressa Kessy Grandin che prende in carico Guillaume fin da quando è piccolino e che ha un ruolo non irrilevante nello sviluppo della storia. Il libro si caratterizza, inoltre, per la capacità di coinvolgere il lettore grazie al ribaltamento dei ruoli cui si è già fatto cenno. Emerge con forza dalla narrazione il fatto che la disabilità dipende fortemente dal contesto che la accoglie e, anche in questo senso, il lettore neurotipico viene direttamente chiamato in causa, portato a interrogarsi su come la società di cui fa parte permette alle diverse persone di esprimersi e trovare il proprio posto nel mondo per come sono e non per come ci si aspetta che siano.

 

Amo quel cane. Odio quel gatto

Divertente, intelligente, costruito in maniera sopraffina: Amo quel cane. Odio quel gatto è un libro di Sharon Creech unico nel suo genere. Protagonista assoluta è la poesia, a cui il libo dà spazio tanto nella forma quanto nel contenuto. La narrazione procede infatti in forma di brevi componimenti: quelli che un bambino di nome Jack scrive in una sorta di fitto dialogo con la sua insegnante e in cui, attraverso soggetti comuni, come il rapporto con gli animali domestici, gli affetti e le piccole (dis)avventure quotidiane, offre una bellissima, credibile e chiara fotografia di che cosa sia la poesia e del potere che essa può custodire.

La passione per i versi, che esplode a un certo punto in maniera prorompente grazie all’incontro con un poeta in carne ed ossa dalla sensibilità simile alla sua, non è cosa immediata per Jack ma nasce anzi poco a poco, grazie all’accorto e lungimirante lavoro della sua professoressa, tal Miss Stretchberry che incessantemente invita la classe a leggere, scrivere, discutere di poesia. Così, se il rapporto iniziale del bambino con i versi può essere riassunto in questa sua ironica e cinica considerazione:

Se quella sulla carriola rossa

e le galline bianche

è una poesia

allora ogni frase

può essere una poesia.

Basta solo

fare

frasi

brevi.

man mano che il racconto procede le cose cambiano. Non solo si affina, infatti, il suo modo di scrivere (con tanto di destreggiamenti tra poeti diversi e padronanza di allitterazioni e onomatopee) ma si consolida anche la sua consapevolezza rispetto alle possibilità espressive che la poesia racchiude. Ed è qui che entra in gioco anche il tema, seppur collaterale, della disabilità.

Le poesie di Jack compongono, infatti, tra le altre cose, un ritratto della sua mamma che agita le mani in aria per fare parole / senza / suono. La sordità, mai nominata ma chiaramente rappresentata, fa dunque capolino tra le righe, sposandosi a un sentimento tenero che profuma di normalità nelle emozioni, nei gesti affettuosi, nelle cose di ogni giorno. L’altro aspetto interessante che la concerne, sta nell’ostinato interrogarsi di Jack rispetto al modo in cui le qualità sonore dei versi possano raggiungere le persone sorde e nel suo cogliere, infine, i molti modi in cui la poesia può arrivare al destinatario in tutta la sua potenza. Ecco allora che Amo quel cane. Odio quel gatto ci appare non solo come uno straordinario racconto intimo e al tempo stesso come un efficacissimo manuale di poesia ma anche come una riflessione preziosa sull’importanza della parola condivisa e sulle molteplici strade che questa può percorrere per radicare anche là dove ci siano dei limiti del linguaggio.

Già pubblicato da Mondadori una ventina di anni fa, Amo quel cane viene ora riproposto dal medesimo editore in una nuova edizione che vanta non solo una diversa copertina (con i disegni di William Steig) più in linea con il tono leggero del racconto, ma anche e soprattutto un seguito (Amo quel gatto), in cui in particolare si approfondisce la questione del rapporto tra suono e senso e il tema, a Jack molto caro, di come la parola, con tutta la sua forza espressiva, possa raggiungere anche il cuore di chi ha orecchie che non possono sentire.

L’albero del riccio

Ne L’albero del riccio sono raccolte alcune delle lettere scritte da Antonio Gramsci ai suoi familiari, e ai suoi figli in particolar modo, durante gli anni di detenzione in carcere. Si tratta di lettere tenere e rigorose, in cui l’autore fa della scrittura un modo per mantenere saldo e vivo il legame con i suoi cari distanti e per non rinunciare al ruolo educativo di padre, benché impossibilitato a vedere crescere di persona i suoi figli.  Nelle lettere si alternano così racconti di vita quotidiana in carcere, aneddoti dell’infanzia, consigli, incoraggiamenti e ammonimenti, colmi di un senso della giustizia e del dovere che non soffocano l’affetto e la premura.

Nel corso dei circa 100 anni che ci separano dalla loro stesura, le lettere di Gramsci sono state pubblicato in molteplici versioni da editori differenti. A queste se ne aggiunge ora una del tutto nuova e capace di raggiungere pubblici prima trascurati. Si tratta della versione in simboli proposta da la meridiana all’interno della collana Parimenti. L’albero del riccio – titolo che richiama proprio una delle lettere in cui l’autore racconta un episodio curioso della sua infanzia in cui con un amico osservò una famiglia di ricci fare ingegnosamente scorte di mele – trova così una forma semplificata e più snella, che ne agevola la fruizione. Il testo presenta qui una forma orientata alla linearità e alla brevità e risulta supportato da simboli WLS che ne restituiscono visivamente il significato. Molto dettagliati, questi ultimi privilegiano la traduzione dei singoli elementi testuali (compresi pronomi, articoli, congiunzioni…) e sfruttano tutti i tipi di qualificatori (genere, tempo, numero…).

Ne risulta un testo che, nonostante la semplificazione formale, appare ricco e non banale, anche per i riferimenti al contesto storico in cui le lettere sono scritte. Quello che viene offerto al lettore è dunque un volume di peso che offre molteplici spunti di riflessione, approfondimento e lavoro soprattutto (ma non solo) nell’ottica di un lavoro in ambito scolastico.

Aurora e la tigrona

Aurora è nata e cresciuta con molte aspettative da parte della sua famiglia: per questo ci tiene ad apparire in tutto e per tutto impeccabile e fatica ad accettare i propri difetti. Ecco allora che questi ultimi iniziano ad assumere un aspetto minaccioso. Sempre più frequentemente emergono infatti con le sembianze di una grossa tigre che pare non voler mai abbandonare la bambina e che via via tende ad allontanare i suoi compagni. A nulla varranno le visite dai dottori o le consulenze dei domatori più famosi: starà ad Aurora trovare il modo di venire a patti con il grosso felino che le abita dentro e con tutto ciò che esso rappresenta. Solo allora potrà guardare con lucidità a sé stessa e a chi le sta intorno, scoprendo che chiunque ha la sua fiera nascosta e che imparare a conoscerla e accettarla è il modo migliore per stare bene.

Sospeso tra dimensione fantastica e metaforica e costruito a partire da un messaggio netto, Aurora e la tigrona fa parte della collana ad alta leggibilità I bulbi dei piccoli, pubblicata dalle Edizioni Gruppo Abele. Come tale impiega il font EasyReading e distribuisce il testo in maniera ariosa sulla pagina. Questo, unito alla sbandieratura del testo e al ricorso a margini piuttosto ampi fa sì che il volume appaia particolarmente accogliente anche nei confronti dei lettori dislessici

La mia giornata

Impara l’arte e mettila da parte! Questo ha senza dubbio fatto la squadra di Puntidivista, progettando e realizzando i quiet book della sua collana senza parole. L’ultimo finora pubblicato – La mia giornata – presenta infatti caratteristiche analoghe al primo – Oggi divento (2018) – ma vanta al contempo alcune migliorie che lo rendono particolarmente apprezzabile e funzionale.

Entrambi i volumi si caratterizzano per pagine in feltro su cui sono attaccati (e da cui si possono staccare e riattaccare) con il velcro tanti elementi, anch’essi fustellati in feltro. Grazie a tali elementi, i protagonisti del volume, a loro volta staccabili e realizzati nel medesimo materiale, possono assumere differenti ruoli e fare cose diverse: in Oggi divento, per esempio, essi vestono i panni e dispongono degli strumenti tipici di vari mestieri mentre in La mia giornata interagiscono con gli oggetti caratteristici dei differenti ambienti che scandiscono le ore del giorno.

Qui, dunque, il bambino – che può essere maschio o femmina a seconda dei capelli che il lettore sceglie di applicargli – può lavarsi in bagno, vestirsi di fronte all’armadio, studiare e scrivere a scuola, muoversi in auto, fare acquisti in negozio, giocare al parco e prepararsi per andare a letto.  Il plus rispetto ai volumi più vecchi è rappresentato dalla presenza di elementi di contesto (il lavandino, il letto, la scrivania…) che agevolano la costruzione di scene narrativamente funzionali. Da non sottovalutare, poi, dal punto di vista pratico, la presenza di una semplice ma comoda custodia in stoffa che permette di riporre il libro dopo l’uso senza rischiare che i pezzi cadano e si smarriscano.

Contraddistinto da sagome molto essenziali ma ben riconoscibili e combinabili, La mia giornata costituisce un supporto molto funzionale e adattabile alle esigenze del singolo bambino, che siano di tipo pratico, come per esempio familiarizzare con una routine quotidiana o con la successione temporale, o che siano di tipo squisitamente narrativo. A partire dagli elementi offerti sulla pagina, infatti, è possibile costruire quadri o sequenze narrative più o meno complesse con cui inventare, divertirsi, giocare.

Jun

Jun è un bambino autistico che nasce e cresce in Corea. La sua famiglia non ha pressoché idea di che cosa sia l’autismo e così, anche nel momento in cui arriva la diagnosi e tanti comportamenti inspiegabili del bambino trovano un minimo di spiegazione, reazioni e comportamenti rimangono comunque improntati a un tentativo di cura e guarigione. Ci vogliono anni in cui pazienza e sacrificio diventano parole d’ordine perché i genitori di Jun riescano a mettere davvero a fuoco quel loro figliolo così diverso dagli altri e trovino il modo di trasformare la sua stranezza in un dono. Jun ha, infatti, una spiccata propensione per la musica: ama i suoni, li coglie dove altri neppure li notano e li registra con grande precisione. Nel momento in cui fa musica, esibendosi in un genere tradizionale complesso come il pansori e componendo canzoni originali, la sua disabilità diventa impalpabile come il suono del vento che tanto lo affascina.

A raccontarci la storia di Jun è sua sorella Yunseon. La sua voce è lucida e viva, capace di dare voce senza cedere al sentimentalismo, a un amore viscerale e una quotidianità faticosa. Costantemente combattuta, come spesso accade, tra il desiderio di prendersi cura del fratello e la sensazione di essere sempre in secondo piano nelle priorità familiari, Yunseon prova con tutte le sue forze a riconoscere in Jun il ragazzo prima del disabile. L’apparente rudezza che talvolta contraddistingue i suoi atteggiamenti nei confronti del fratello è frutto di questo sforzo e spesso si contrappone alla premura totalizzante e ansiosa della mamma. Due modi di amare, due modi di prendersi cura. Grazie e entrambi, Jun trova pian piano la sua strada e il modo di valorizzare il suo talento, rendendo chiaro a chi gli è caro così come a chi legge l’inutilità di ogni tentativo di aggiustamento dell’autismo.

Il libro di Keum Suk Gendry-Kim è ispirato a una storia reale. Jun esiste, infatti, davvero: lui e l’autrice si sono conosciuti proprio al corso di Pansori di cui si parla nel libro. Reduce da diversi anni all’estero, la fumettista racconta di essere rimasta molto colpita da quel ragazzo così talentuoso e solitario, riconoscendosi in parte nella sensazione di estraneità totale dal mondo che pareva animarlo. Proprio quella sensazione emerge chiara e forte dalle tavole in bianco e nero del libro. Di grande impatto e al contempo di grande sobrietà, queste sfruttano a pieno il linguaggio del fumetto per rendere visibile ciò che forse dicibile non è, per dare voce a sentimenti complessi che nella sola parola faticano forse a dirsi e a farsi leggere.

Uno e Camillo

Uno e Camillo fa parte della collana leggimi prima che Sinnos dedica alle prime letture autonome e che si caratterizza per illustrazioni frequenti, storie snelle, testi brevi in maiuscolo, grafica ariosa ad alta leggibilità.

Il libro di Giuditta Campello e Susanna Rumiz balza prima di tutto all’occhio per una copertina sgargiante e per i buffi disegni dal tratto spesso. Qui compaiono un cavallo occhialuto piuttosto arrabbiato che porta in spalla un unicorno dall’aria angelica. Il primo è Camillo, che ama dormire vicino alla sua mamma, mangiare le carote per merenda e giocare con i suoi amici. Il secondo è Uno, il suo fratellino da poco arrivato in famiglia. Così diverso da lui e da come lui se lo aspettava, Uno ha stravolto le giornate di Camillo, rubando molte attenzioni della mamma, accaparrandosi molte carote e condizionando molto i giochi con gli amici. Quasi quasi Camillo vorrebbe sbarazzarsene, ma proprio quando il suo desiderio più segreto sembra realizzarsi, il cavallo scopre quanto possa essere bello e utile avere un fratello. Anche se piccolo e con un corno dorato in testa!

Scorrevole e irresistibilmente vero nei delicati equilibri familiari che porta alla luce, Uno e Camillo racconta la fratellanza senza il peso dei libri a tema e con la leggerezza di uno stile divertito e divertente. Come se non bastasse, le autrici e l’editore fanno la scelta coraggiosa e apprezzabilissima di dedicare un libro in cui rosa, fuxia e unicorni la fanno da padroni, senza rivolgersi esclusivamente alle bambine, anzi!

Beezus e Ramona. Ramona la peste

Come si fa a restare impassibili di fronte a un uragano come Ramona? Quattro anni e un caratterino niente male, la protagonista della serie creata da Beverly Cleary è un concentrato di vivacità e testardaggine che non teme rivali. Che sia a casa, a scuola o per strada, si può star certi che con Ramona nei dintorni, qualcosa di del tutto imprevisto, perlopiù disastroso ma indiscutibilmente divertente (quantomeno per chi legge, un po’ meno per chi a Ramona vive accanto) si prepara ad accadere. Può essere un libro della biblioteca completamente scarabocchiato, una cassa di mele mordicchiate a una a una, un’avventura fangosa con gli stivali nuovi di zecca o una festa casalinga organizzata senza avvisare nessuno in famiglia.

Ramona è così: spontanea, incontenibile e irresistibilmente schietta. I suoi pensieri, di cui l’autrice ci mette puntualmente a parte, seguono una logica originale ma ferrea e le sue iniziative tengono costantemente il lettore sospeso tra la risata e lo sconcerto. “Oh, no, Ramona!”, viene automatico esclamare una pagina sì e l’altra pure, e in fondo questo è più o meno ciò che pensa la sorella maggiore di Ramona – Beatrice detta Beezus – a ogni piè sospinto. E ciononostante la carica travolgente di Ramona vince su tutto, generando nel lettore non solo una forte curiosità nei confronti dei guai che di volta in volta la bambina potrà combinare ma anche un forte riconoscimento dei sentimenti strabordanti di cui si fa portatrice e che spesso, nel loro impeto, sono all’origine dei suoi comportamenti all’apparenza più esagerati o sconvenienti. “Chi la chiamava peste – si legge, per esempio, nel secondo volume delle serie – non capiva che una persona più piccola a volte deve fare un po’ di chiasso ed essere un po’ testarda per essere almeno notata”.

I libri di Beverly Cleary hanno dallo loro anche questo pregio: non solo sanno divertire profondamente il lettore di qualsiasi età ma sanno anche guardare alle azioni, ai pensieri e alle emozioni dei bambini con grande rispetto e lucidità, portando a galla e restituendo dignità anche a sentimenti dalle tinte chiaroscure, come l’insofferenza nei confronti della sorella che tormenta Beezus nel primo volume, e delineando un profilo d’infanzia che è certo fuori dalle righe ma anche molto ma molto vero.

La serie di cui Ramona e Beezus sono protagoniste si compone di diversi volumi, ciascuno dei quali comprende una manciata di avventure brevi, buffe e intensissime, della lunghezza di un capitolo.

Il secondo volume – Ramona la peste. A scuola arrivano i guai – ruota intorno all’inizio dell’avventura scolastica di Ramona presso il Kindergarten della città. Qui la bambina dovrà confrontarsi con la vita di comunità, con le regole del contesto scolastico, con adulti di riferimento diversi da quelli cui è abituata. La tradizionale parata di Halloween, la caduta del primo dentino, il desiderio di fare una presentazione in classe, l’acquisto di un paio di stivaletti nuovi e l’arrivo di una supplente sono solo alcuni dei fatti straordinari che scatenano, qui, la sua capacità unica di mettersi nei guai.

La deliziosa serie scritta da Beverly Cleary è portata in Italia da Il barbagianni, con la briosa traduzione di Susanna Mattiangeli, a oltre cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione in America. Vietato farsi ingannare dall’età del libro, però: la vitalità e l’autenticità di Ramona ne fanno un personaggio senza tempo che incarna perfettamente l’indomito e ostinato spirito dell’infanzia e le cui avventure hanno un ritmo irresistibile. Rimarcabile, poi, il fatto che l’editore abbia scelto di pubblicare i volumi della serie con caratteristiche di alta leggibilità, come la spaziatura maggiore, il testo non giustificato e la font EasyRedading, che ne facilitano la fruizione anche da parte di lettori dislessici.

Ramona-la-peste

Beezus e Ramona. Questa sorellina è impossibile

Come si fa a restare impassibili di fronte a un uragano come Ramona? Quattro anni e un caratterino niente male, la protagonista della serie creata da Beverly Cleary è un concentrato di vivacità e testardaggine che non teme rivali. Che sia a casa, a scuola o per strada, si può star certi che con Ramona nei dintorni, qualcosa di del tutto imprevisto, perlopiù disastroso ma indiscutibilmente divertente (quantomeno per chi legge, un po’ meno per chi a Ramona vive accanto) si prepara ad accadere. Può essere un libro della biblioteca completamente scarabocchiato, una cassa di mele mordicchiate a una a una, un’avventura fangosa con gli stivali nuovi di zecca o una festa casalinga organizzata senza avvisare nessuno in famiglia.

Ramona è così: spontanea, incontenibile e irresistibilmente schietta. I suoi pensieri, di cui l’autrice ci mette puntualmente a parte, seguono una logica originale ma ferrea e le sue iniziative tengono costantemente il lettore sospeso tra la risata e lo sconcerto. “Oh, no, Ramona!”, viene automatico esclamare una pagina sì e l’altra pure, e in fondo questo è più o meno ciò che pensa la sorella maggiore di Ramona – Beatrice detta Beezus – a ogni piè sospinto. E ciononostante la carica travolgente di Ramona vince su tutto, generando nel lettore non solo una forte curiosità nei confronti dei guai che di volta in volta la bambina potrà combinare ma anche un forte riconoscimento dei sentimenti strabordanti di cui si fa portatrice e che spesso, nel loro impeto, sono all’origine dei suoi comportamenti all’apparenza più esagerati o sconvenienti. “Chi la chiamava peste – si legge, per esempio, nel secondo volume delle serie – non capiva che una persona più piccola a volte deve fare un po’ di chiasso ed essere un po’ testarda per essere almeno notata”.

I libri di Beverly Cleary hanno dallo loro anche questo pregio: non solo sanno divertire profondamente il lettore di qualsiasi età ma sanno anche guardare alle azioni, ai pensieri e alle emozioni dei bambini con grande rispetto e lucidità, portando a galla e restituendo dignità anche a sentimenti dalle tinte chiaroscure, come l’insofferenza nei confronti della sorella che tormenta Beezus nel primo volume, e delineando un profilo d’infanzia che è certo fuori dalle righe ma anche molto ma molto vero.

La serie di cui Ramona e Beezus sono protagoniste si compone di diversi volumi, ciascuno dei quali comprende una manciata di avventure brevi, buffe e intensissime, della lunghezza di un capitolo.

Il primo volume – Beezus e Ramona. Questa sorellina è impossibile – mette in particolare in primo piano il complicato rapporto che lega le due sorelle, alla luce delle marachelle che la piccola inanella e del tormento che in casa è capace di generare. Ci sono di mezzo un ramarro immaginario, giri per il salotto a bordo di un triciclo a suon di armonica, cani sequestrati in bagno, parate musicali di ospiti inattesi, biscotti ripieni di vermi e torte di compleanno rovinate non una ma ben due volte: quanto basta per mettere alla prova anche la sorella maggiore più paziente e rendere evidente che la sopportazione può subire degli alti e bassi senza che l’affetto venga meno.

La deliziosa serie scritta da Beverly Cleary è portata in Italia da Il barbagianni, con la briosa traduzione di Susanna Mattiangeli, a oltre cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione in America. Vietato farsi ingannare dall’età del libro, però: la vitalità e l’autenticità di Ramona ne fanno un personaggio senza tempo che incarna perfettamente l’indomito e ostinato spirito dell’infanzia e le cui avventure hanno un ritmo irresistibile. Rimarcabile, poi, il fatto che l’editore abbia scelto di pubblicare i volumi della serie con caratteristiche di alta leggibilità, come la spaziatura maggiore, il testo non giustificato e la font EasyRedading, che ne facilitano la fruizione anche da parte di lettori dislessici.

Beezus-e-Ramona-Questa-sorellina

Una torta per Findus

Il talento di Sven Nordqvist è direttamente proporzionale all’impronunciabilità del suo cognome. Camelozampa ce lo ha fatto conoscere portando in Italia quell’incredibile libro senza parole che è Passeggiata col cane e ci consente ora di apprezzare la sua versatile vena artistica pubblicando la deliziosa serie di Pettson e Findus che dall’autore svedese è scritta e illustrata.

Pettson e Findus sono, nello specifico, un uomo e un gatto. Inseparabili, i due sono protagonisti di diverse avventure dal sapore surreale e rocambolesco che si svolgono perlopiù nella loro disordinatissima fattoria. Ciò che rende queste ultime particolarmente gustose è il fatto che prendono le mosse da un problema iniziale, perlopiù ordinario e circoscritto, a partire dal quale si innesca una serie di eventi sempre più assurdi, inarrestabili e caotici.

Così, per esempio, in Una torta per Findus – il primo volume della serie – Pettson è determinato a confezionare per il suo amico a quattro zampe una deliziosa torta di compleanno. Findus ama, infatti, in particolar modo questa ricorrenza: al punto che non la festeggia una ma più volte all’anno! Come fare, però, se manca la farina? Tocca andare in bici al negozio! E se la ruota della bici è rotta? Tocca cercare gli attrezzi nella falegnameria! E se la falegnameria è chiusa? Tocca cercare la chiave…

Con un meccanismo spassosamente ripetitivo, tanto nella concatenazione degli eventi narrati quanto nelle formule impiegate, sul quale si innestano situazioni sempre più mirabolanti (cosa non si farebbe per preparare una bella torta di compleanno!), Una torta per Findus dà forma a un racconto che coccola il lettore facendolo dondolare tra rassicurazione e sorpresa.

Tale dinamica narrativa gioca dal canto suo un ruolo significativo nel sostenere la lettura anche da parte di lettori meno forti: scopo al quale concorrono, inoltre, alcune caratteristiche del volume che spaziano dall’aspetto tipografico alla qualità delle illustrazioni. Una torta per Findus è stampato, infatti, con font EasyReading e presenta alcune altre caratteristiche di alta leggibilità, come l’allineamento a sinistra. Il testo, non brevissimo, è poi accompagnato a ogni pagina (o doppia pagina) da illustrazioni estremamente ricche cui è riservato ampio spazio. Preminenti a colpo d’occhio, rispetto al testo, queste contribuiscono a rendere la lettura decisamente meno ostica e spaventosa, dando forma a un tipo di racconto illustrato che negli equilibri narrativi, nella lunghezza e nei contenuti costituisce un ponte ideale tra l’albo illustrato dai testi più asciutti e il racconto in cui il testo assume un ruolo più importante. Non solo: lo stile irresistibile e minuzioso di Sven Nordqvist fa sì che la lettura visiva assuma qui un ruolo non trascurabile e, anzi, solletichi il lettore con trovate buffe e sfiziose che vanno assaporate con lentezza. La capacità straordinaria dell’autore di costruire scene affollate, riempire la pagina di dettagli e sparpagliare qua e là particolari surreali (oggetti animati, cose fuori posto, proporzioni fantastiche,  personaggi secondari che animano micro-storie parallele…) trasforma la pagina in un luogo in cui sostare, riprendere fiato e mettere alla prova la propria capacità di osservazione.

Alla luce di tutto questo, il libro si presta perfettamente a ghiotte letture condivise con bambini a partire dai 5 anni e altrettanto appaganti letture autonome, anche da parte di lettori dislessici, per bambini di uno o due anni più grandi.

Yunis

Yunis è un abilissimo e generoso pasticcere. Tutti i giorni confeziona con le sue mani delizie prelibate e le lascia di nascosto in dono ai bambini del villaggio. Il suo marchio è un uccellino azzurro sulla confezione, identico all’uccellino in piume e ossa che ogni sera fa visita a Yusif nella sua cucina. Da qui il ragazzo si sposta poco, non mostrandosi in pubblico praticamente mai. Chi crederebbe, infatti, che dolci così così sopraffini e ben realizzati possano essere fatti da una ragazzo con la sindrome di Down?, pensa. Ma quando, un giorno, Yunis si ammala e il consueto pacchetto di dolci non può raggiungere i bambini, questi fanno due più due e svelano il mistero dei pasticcini dell’uccellino azzurro. Il talento di Yunis può a quel punto uscire allo scoperto, sostenuto da un atteggiamento collettivo libero dai fardelli del pregiudizio.

La storia di Yunis è semplice e a misura di piccole orecchie, seppur non avulsa da una serie di stereotipi come quello che vede i ragazzi con sindrome di Down come paladini dell’amore e dell’affettuosità. Ciò che rende il libro particolarmente interessante è piuttosto l’aspetto iconico. Le illustrazioni non temono infatti una rappresentazione schietta e riconoscibile della disabilità, peraltro qui inserita in una importante e significativa cornice di bellezza, piacere e cura.

Il libro scritto da Amal Naser e illustrato da Anita Barghigiani fa parte della collana Libri ponte sul Mediterraneo di Gallucci, realizzata in collaborazione con la casa editrice degli Emirati Arabi Kalimat. La collana si contraddistingue per la scelta di storie che vengono da lontano, raccontate sia in italiano sia in arabo. Utilissimi per agevolare la condivisione di storie in classe, tra compagni di origine diversa, ma anche in casa, tra genitori e figli con una padronanza differente della lingua italiana, i Libri ponte sul Mediterraneo muovono da un’idea di libro come connettore e detonatore di incontri a cui si ispira d’altronde anche l’intero comparto dei libri accessibili.

L’isola all’ultimo piano

C’è una ragazza che vive all’ultimo piano di un alto palazzo. Una scaletta sottile collega il suo balcone con il mondo di sotto ma un giorno questa viene colpita da un fulmine e così la ragazza si ritrova improvvisamente isolata. Nella solitudine del terrazzo, la protagonista pensa con nostalgia ai tempi in cui il suo innamorato viveva giusto di fronte a casa sua e da balcone a balcone poteva addirittura abbracciarlo. Non sappiamo cosa ne sia stato di quell’amore, sappiamo però che il suo ricordo dà alla ragazza la spinta giusta per provare a tessere nuovi legami con chi le sta intorno: esattamente ciò che le occorre per ritrovare un contatto con il mondo esterno. Dapprima sono messaggi in forma di aeroplano e piccioni viaggiatori, ma entrambe le soluzioni sembrano fallire nell’intento. Serve una trovata nuova, un’idea che consenta alla giovane di prendere il largo, forte di una rete di sostegno fitta, seppur quasi invisibile.

Riccardo Guasco costruisce un racconto per sole immagini che parla di relazioni e isolamento, di vicinanza e sogni e che ci pare particolarmente forte in questo preciso momento storico, a seguito del vissuto che la recente pandemia ha imposto a tutti noi. La metafora del filo, scelta e sviluppata dall’autore, consente infatti di riempire il racconto di significati personali, rinnovandone di volta in volta l’intensità e la capacita di parlare con il lettore. Quest’ultimo, dal canto suo, è chiamato a uno sforzo interpretativo non banale perché l’albo si nutre di vuoti e di silenzi che rendono l’inferenza una pratica stimolante e necessaria.

C’è qualcosa in casa

Passi trascinati nel corridoio, porte che si aprono misteriosamente, oggetti che si spostano: Andrea ne è certo, Qualcosa si intrufola regolarmente in casa sua per terrorizzarlo. Il problema è: cosa? Ma soprattutto: come fare per non farsi sopraffare dalla paura? Andrea le prova tutte: ignora quel Qualcosa, prova a pedinarlo, si dà delle regole come non guardare mai indietro e chiudere a chiave l’armadio, ma nulla. Qualcosa torna sempre.

Ad Andrea serve una soluzione più radicale e così, forte della sua passione per i fumetti, inizia a creare delle maschere che lo proteggano di notte e a dar forma a una sorte di supereroe personale – il temibile Maizena, ispirato dalla forza dei fluidi non newtoniani – che gli dia coraggio. In un percorso in cui vecchi amici riservano delusioni ma nuove amiche si mostrano preziose alleate, Andrea affronta un passo alla volta la sua paura. Sarà davvero una volta per tutte?

C’è qualcosa in casa fa parte dell’interessante collana Piccole piume di Pelledoca, giovane case editrice specializzata nella pubblicazione di titoli da brivido per bambini e ragazzi. La collana Piccole piume, in particolare, si rivolge a un pubblico di giovanissimi dai sei anni in su che non si facciano spaventare dalle storie misteriose.

Contraddistinti da trame avvincenti e non prive di una certa suspance, come nel caso di C’è qualcosa in casa, i libri che compongono la collana sono altresì accomunati da caratteristiche di alta leggibilità come la font leggimi, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe (purtroppo non tra paragrafi, però), sbandieratura a destra e l’uso del grassetto per evidenziare passaggi particolarmente salienti, che concorrono a rendere più amichevole la lettura anche in caso di dislessia.

Sei uno spettacolo nonno

A Marco piace stare con il nonno ma il fatto che debba trascorrere con lui tutti i pomeriggi non gli va esattamente a genio. Sono i suoi genitori, piuttosto assenti per motivi di lavoro, a obbligarlo perché così né lui né il nonno restano soli in loro assenza.

Il nonno, però, conosce bene suo nipote e non gli sfugge il malessere che lo anima. Così, trovato un momento tranquillo, Marco gli confida il suo disagio e il desiderio di dedicarsi anche ad altre attività, come l’agognato corso di teatro. Come fare a conciliare le aspirazioni da attore con le imposizioni genitoriali? Ci pensa il nonno a trovare una soluzione tanto bislacca quanto funzionale.

Sei uno spettacolo nonno presenta una storia piuttosto piana, priva di grandi avvenimenti, e concentrata perlopiù sui sentimenti e le relazioni e sulla loro multisfaccettatura. Al centro, l’autrice pone infatti i dialoghi tra nonno e nipote che condividono sogni, emozioni e progetti.

Contraddistinto da un testo non proprio minimo, essenziale e lineare così come da un’impaginazione piuttosto fitta, il libro edito da Storie Cucite si presta a una lettura godibile da parte di bambini non proprio alle prime armi e che presentino una certa dimestichezza con i simboli. Questi ultimi, scelti all’interno nella collezione WLS, sono proposti e combinati secondo le norme del modello in-book, quindi con testo minuscolo e interno al riquadro, elementi simbolizzati individualmente, presenza di qualificatori di numero e genere.

Le illustrazioni, dal canto loro, presentano uno stile pulito e delicato, che ben si sposa alla tematica e al tono del testo.

A nanna!

Bagnetto, pigiama, pipì, denti, storia: i sogni d’oro difficilmente prescindono da una ritualità ben codificata e facile da interiorizzare anche per i piccolissimi. In questo modo, tutto procede in maniera rassicurante. Ogni tanto, però, qualche imprevisto può nascondersi sotto il letto. Per fortuna c’è Superpapà a risolvere la situazione e a far sì che ogni notte prometta di essere davvero buona.

Quadrato, maneggevole e dalle pagine spesse, A nanna! è un cartonato di Patricia Martin e Rocio Bonilla che si presta benissimo a una lettura condivisa con bambini intorno ai due anni. Il libro mescola in maniera interessante prevedibilità e sorpresa, offrendo al piccolo lettore la possibilità di godere del riconoscimento di azioni quotidiane e familiari senza rinunciare al gusto di un piccolo colpo do scena finale.

Contraddistinto da una grafica pulita che dà spazio solo agli elementi essenziali della scena, da illustrazioni che valorizzano gli oggetti davvero familiari ai bambini e dalla scelta di dare un piccolo ruolo narrativo anche a un personaggio secondario come l’orsetto di peluche della protagonista, A nanna! può facilmente diventare un piacevole compagno di primissime letture.

La presenza di sole immagini, dal canto suo, favorisce un’interazione autonoma con il libro ma anche la sua fruizione mediata dall’adulto.  Facilitando la modulazione del racconto sulle esigenze del singolo lettore – nelle parole scelte per dare voce alla storia, nel grado di dettaglio accordato alla narrazione e nel possibile riferimento esplicito alla vita reale del bambino – , il libro risulta, infatti, particolarmente spendibile anche laddove siano presenti maggiori difficoltà di aggancio o comprensione.

Insalata mista

Essere adolescenti è difficile per chiunque, esserlo in un contesto che di punto in bianco cambia, senza conoscere nessuno e dovendo ricostruirsi una vita da zero lo è ancora di più. Per questo, di fronte all’idea di trasferirsi con la famiglia da Parigi al villaggio di Morjac in Ardèche, la giovane Margotte non fa esattamente i salti di gioia. Anzi, lei che tende per indole a parlare poco e pensare molto, è a dir poco travolta dagli interrogativi, dalle rimostranze e dalle preoccupazioni.

Queste ultime si rivelano, d’altronde, tutt’altro che infondate: una volta arrivata nella sua nuova sperduta casa, Margotte si trova circondata da strade poco piacevoli per chi come lei soffra il mal d’auto, chili di mele cotogne da pelare, poche persone con cui legare, un dialetto strano con cui fare i conti e una coetanea tutt’altro che amichevole con cui incrociarsi ogni santo giorno. Come si sopravvive in queste condizioni? Con tanta forza di volontà e qualche incontro folgorante, come quello con il giovane Théo che abita lì accanto e incanta alla vista con i suoi rasta biondi e il suo sorriso smagliante. Anche – o forse proprio – grazie a lui, Margotte trova il coraggio di provare ad affrontare la nuova vita rurale con un’intraprendenza diversa: un inizio mica male per scoprirsi meno allergica del previsto alle persone e per scoprire sulla propria pelle quanto il senso di comunità possa fare la differenza nella situazioni di difficoltà.

Con una voce adorabilmente cinica, Margotte ci accompagna all’interno di una storia che non manca di emozioni, suspense e un piccolo mistero. Qui si alterna e combina una sfilza di personaggi gustosamente caratterizzati – dalla mamma in preda a una conversione al bio alla sorellina a cui nessuno resiste, dalla giovane Justine tutta piercing e sfide al mondo all’enigmatico abitante numero 17 del  piccolo villaggio – che rendono la narrazione vivacissima e mai piatta.

Insalata mista è un libro dallo stile ricco, in cui le parole ricercate e le espressioni insolite non mancano soprattutto per bocca della protagonista Margotte, i cui pensieri sono acuti anche nella forma, e degli abitanti di Morjac, il cui dialetto trapassa sulla pagina per un maggiore realismo. A questo aspetto, che potrebbe scoraggiare i lettori meno forti, fa da contraltare una costruzione narrativa avvincente e un racconto che aderisce come una ventosa al mondo degli adolescenti. Il libro tira dunque il lettore dentro una storia capace di appagare e offrire interessanti possibilità di rispecchiamento. A rendere il tutto più amichevole anche nei confronti di chi sperimenta maggiori difficoltà di lettura concorre poi la scelta di Camelozampa di stampare il volume con alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font EasyReading e una spaziatura più ampia: le stesse già adottate per un altro gustoso romanzo di Gaia Guasti uscito qualche anno fa e intitolato Maionese, ketchup e latte di soia.

Lo zainetto di Matilde

Quello trascorso insieme ai nonni è spesso un tempo speciale. È un tempo lento, prima di tutto, ed è un tempo totalmente gratuito e votato al piacere di fare e stare insieme. Quando il nonno va a prendere Matilde a scuola, per esempio, davanti a loro si parano pomeriggi interi al parco, in giro per la città, a gustare merende, a cucinare biscotti e a disegnare su grandi fogli bianchi. Non ci sono rincorse, scadenze o incastri di impegni: ci si può attardare a coccolare un cane per strada o a osservare un uccello sui rami, si può fare un pisolino e ci si può rilassare, ciascuno a suo modo, condividendo uno spazio che sa di cura e di tenerezza. Certo, quando mamma e papà escono da lavoro e arriva il momento di tornare a casa, è dura. Chi avrebbe voglia di dire “Arrivederci” a una compagnia così piacevole? E così Matilde si nasconde, tiene il muso, punta i piedi… per fortuna c’è il nonno che, con una sorpresa inattesa, sa addolcire il rientro a casa con piccoli ricordi di un tempo davvero felice.

Vincitore del Silent Book Contest 2021, Lo zainetto di Matilde è frutto di un lavoro a sei mani che ha visto impegnati due autori e un illustratore. Contraddistinto da colori accesi e figure minime, quasi abbozzate, il libro senza parole di Fabio Sardo, Silvia Del Francia e Luca Cognolato racconta una quotidianità autentica e dà risalto ai sentimenti attraverso gesti e azioni di grande complicità. L’affetto che lega Matilde e il nonno salta fuori con forza dalle pagine, senza che alcuna parola scritta si renda necessaria. Il racconto per immagini procede così lineare e liscio dettando un tempo ben scandito e riconoscibile dal lettore. I pochi e significativi dettagli inseriti in ogni quadro rendono dal canto loro abbastanza agevole seguire e decifrare la vicenda: compito, questo, supportato dalla scelta efficace di sfruttare le luci – di lampade, lampadari e lampioni – per mettere di volta in volta in evidenza gli elementi chiave del racconto.

Michi e Meo scoprono il mondo – il bagno / la pappa

Michi e Meo – un bambino piccolo piccolo e il suo inseparabile gatto di peluche – sono una coppia di personaggi francesi di cui da tempo Babalibri porta in Italia le avventure. Già protagonisti di brevi storie dal testo semplice e dal ritmo iterato, i due amici sono ora al centro anche di una collana di felici libri senza parole pensati per i lettori alle primissime armi.

Due sono i cofanetti – ciascuno composto da una coppia di volumi – che finora compongono la collana intitolata Michi e Meo scoprono il mondo: il primo è dedicato alle attività mattutine e serali e il secondo è dedicato ai momenti del bagno e della pappa.

Ogni libricino si presenta in forma quadrata e maneggevole, con pagine spesse e resistenti, angoli stondati e tratti compositivi appaganti e rassicuranti. L’autrice focalizza infatti l’attenzione sugli oggetti e sulle azioni più familiari a qualunque bambino, concentrandosi su una quotidianità in cui questi può facilmente riconoscersi. Così, per esempio:

Oggetti e azioni sono dipinti con spesse linee di contorno, colori pieni e una selezione misurata di dettagli. Essi risultano inoltre rappresentati in maniera molto puntuale e funzionale al riconoscimento e all’immedesimazione da parte del piccolo lettore: la scelta di situazioni realmente vicine al vissuto quotidiano di ognuno; l’attenzione a piccole ma significative sfumature espressive (l’impegno nell’allacciare la giacca, il disgusto di fronte ai broccoli, la consapevolezza monella di fare uno scherzo al papà indossando la sua ciabatta…); e la valorizzazione dei posizioni specifiche e movimenti precisi concorrono, infatti, ad attivare la cosiddetta simulazione incarnata, ossia quel meccanismo per cui il nostro cervello si comporta come se noi stessi stessimo vivendo quel che vediamo rappresentato sulla pagina.

A questo stesso importante scopo contribuisce, d’altra parte, la struttura compositiva che contraddistingue i quadrotti progettati e illustrati da Jeanne Ashbé: una struttura analoga (e analogamente efficace!) a quella dei volumi di Helen Oxenbury che fanno parte della collana A bocca aperta di Camelozampa. Si nota infatti che sulla pagina di sinistra, l’oggetto viene rappresentato isolato mentre su quella di destra lo stesso oggetto viene inserito nel suo contesto d’uso e in relazione con il protagonista. Questa scelta appare particolarmente felice nella misura in cui sostiene il bambino nel riconoscimento degli oggetti e in un percorso di decodifica iconica di difficoltà progressivamente crescente.

Rispetto ai volumi della Oxenbury, quelli dedicati a Michi e Meo mettono però in scena un bambino più autonomo; danno spazio a un co-protagonista che a suo modo interagisce con gli oggetti e arricchisce la micro-narrazione; seguono una successione temporale logica più o meno inalterabile e dipingono quadri con maggiori particolari: caratteristiche queste che li rendono godibili a pieno da giovanissimi lettori un pochino più esperti, magari a partire dall’anno e mezzo-due di età.

Frutto di un lavoro di progettazione attento alle reali competenze e necessità del bambino-lettore, i cofanetti di Michi e Meo vantano in definitiva grande qualità e fruibilità che li rendono apprezzabili e decodificabili non solo da chi si sia da poco affacciato al mondo e alle sue rappresentazioni ma anche da chi sperimenti specifiche difficoltà comunicative e/o cognitive. In questo senso la stessa assenza di parole risulta molto funzionale perché consente al mediatore che condivide con il bambino la lettura del libro di calibrarlo con più facilità sulle sue reali esigenze e capacità e di metterlo più agevolmente in relazione alla sua specifica esperienza quotidiana. In questo modo quanto si trova rappresentato sulla pagina può più efficacemente intercettare l’interesse e la comprensione da parte di chi osserva e sfoglia le pagine.

Via della gentilezza

La gentilezza è contagiosa e ripaga sempre. In modi del tutto imperscrutabili, ma ripaga sempre. Per dare voce a questa idea semplice ma fortissima, l’autrice slovena Marta Bartolj confeziona una storia senza parole che appassiona e a tratti commuove.

Protagonista è una ragazza che si presenta al lettore piuttosto triste. Il suo sguardo sconsolato e i manifesti con un cane in primo piano lasciano intendere subito quale sia il motivo del suo stato d’animo. Non del tutto rassegnata alla perdita del suo cagnolino, la ragazza attraversa la città per affiggere i manifesti e lungo il percorso, senza nemmeno badarci troppo, fa dono dello spuntino che aveva portato con sé – una succulenta mela rossa – a un musicista di strada incontrato per caso. Click! È lì che si accende invisibilmente la miccia della gentilezza. Un ragazzo che assiste alla scena, sorride e poco dopo, nel parco, si ferma senza indugio a raccogliere una lattina rossa abbandonata per terra.  È un bambino intento a giocare sul prato, a quel punto, a rimanere colpito dal gesto e a lasciarsi ispirare da esso in un nuovo piccolo atto di premura verso una coetanea probabilmente sconosciuta. Click, click, click: la miccia della gentilezza è ormai inarrestabile e arriva senza posa a toccare le persone più disparate: dall’elegante vecchietto che legge il giornale sulla panchina al ragazzo seduto in caffetteria che aspetta che spiova. Di gesto in gesto, la gentilezza vista diventa gentilezza agita, in una catena di spontanea solidarietà che porta a un lieto fine dolce e a un cerchio che si chiude.

Delicato nel contenuto e nel tratto, Via della gentilezza racconta una storia che arriva dritta il lettore senza che le parole si rendano necessarie. Merito non solo della forza dei gesti ritratti ma anche degli espedienti narrativi messi in campo dall’autrice, come il contrasto tra il disegno a matita e i dettagli rossi (colore certo non casuale!) che innescano la sequenza di piccole attenzioni; il gioco di inquadrature che guida lo sguardo del lettore ora sugli oggetti chiave, ora sui gesti, ora sulle espressioni dei protagonisti; o la ripresa dettagliata delle singole scene attraverso riquadri strettamente collegati tra loro. In questo modo il lettore viene come accompagnato nella lettura visiva del racconto, senza che troppe inferenze gli siano richieste e che l’interpretazione del quadro si faccia troppo ostica. All’assenza di parole, che già allarga la fruibilità del volume, si aggiunge dunque questa particolare chiarezza narrativa che fa di Via della gentilezza una lettura decisamente accessibile, nonostante la sua lunghezza non indifferente.

Tariq

Che brava, Alice Keller, con quella sua scrittura che ti prende allo stomaco e te lo stropiccia come fosse di tessuto. Quando accosta la penna agli adolescenti, sembra sappia captare i loro pensieri, anche quelli sommersi o che sbucano appena, e restituirli con una lingua che è loro fedelissima. Così, in una manciata di pagine, il lettore si trova catapultato in una dimensione che sembra proprio dargli del tu.

In Tariq, quella dimensione si fa largo tra i palazzoni di periferia, dove drammi e fragilità sono tanto comuni che quasi non ci si fa caso e dove la prospettiva del futuro tende a sagomarsi su necessità troppo impellenti e su orizzonti troppo chiusi. In questa cornice, quando il giovane Tariq decide di iscriversi al liceo linguistico – scelta quantomai rara tra coloro che gli vivono accanto – sono ben pochi a dargli credito. Ma come si fa a trovare la propria strada fuori dal sentiero battuto, se nessuno intorno sembra credere che quella strada esista?

E così, strattonato da una famiglia faticosa e affaticata, da un contesto che trova ordinari una pistola nello zaino, una gravidanza su un pianerottolo o uno skate park di lamiere, Tariq quella strada rischia di perderla di vista. Diventa Tariq il pazzo, quello che disturba le lezioni, che incute timore agli insegnanti, che “ne hai combinata un’altra delle tue?”. È un attimo che dalla scuola arriva una lettera di sospensione che per Tariq pesa davvero come un macigno. Di fronte allo sbriciolarsi delle sue deboli speranze, ci sono per il ragazzo lo spaesamento, la paura, la fuga. Ma poi ci sono anche sguardi e (poche ma significative) parole di cura, soprattutto da parte della sorella e della coetanea Jasmine che con lui condivide inciampi e desiderio di riscatto. Ed così che Tariq può forse pensare di riprender fiato e far ripartire quella sua vita rimasta in standby…

Coinvolgente da trattenere il fiato e travolgente da scorrer via in un lampo, Tariq è una lettura davvero interessante per ragazzi di scuola secondaria. La brevità e le caratteristiche di alta leggibilità con cui è proposto da Camelozampa lo rendono, inoltre, particolarmente intrigante anche per lettori un po’ refrattari o ostacolati dalla dislessia nell’approccio al testo.

 

Le felicità

Che delizia, la parola di Piumini quando scava nelle gioie a misura di bambino! Nel bel volume pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele, il giovane lettore può trovare una sfilza di piccoli grandi piaceri, cantati con la raffinatezza amichevole di cui il poeta bresciano è maestro. A ogni pagina, una poesia. A ogni poesia, una felicità. Non sempre l’oggetto della contentezza è esplicitato ma anche qui sta il bello: complici le illustrazioni inconfondibili e irresistibili di Sergio Olivotti, con le quali i testi di Piumini vanno a braccetto, sta al lettore intuire di cosa si parli, come in una sorridente caccia al tesoro linguistico. Da un regalo atteso alle feste di un cane, dalle figurine alle vacanze, da una nevicata notturna al ricordo di una nonna amata, i brevi componimenti che danno vita a Le felicità sono una coccola da gustarsi con parsimonia o da scartare una via l’altra come fossero cioccolatini.

Inserita all’interno della collana I bulbi dei piccoli, di cui presenta le consueta caratteristiche di alta leggibilità, questa raccolta stuzzicante di poesie suggerisce silenziosamente che anche i giovani lettori con maggiori difficoltà di lettura abbiano diritto a fare il pieno di parole ricercate e musicali, supportati da una grafica e da una stampa il più facilitante possibile ma al contempo stimolati da contenuti inattesi e generi che sono una vera appagantissima conquista.

Il nostro cane Max

Gli animali domestici sono, per tanti padroni e padroncini, autentici membri della famiglia. Con loro si condividono rituali, viaggi, esperienze, emozioni e così, quando muoiono, lasciano un vuoto grande e un segno indelebile. Proprio questa parabola esistenziale, tanto familiare a chiunque abbia posseduto e amato un cane o un gatto, trova posto tra le pagine de Il nostro cane Max.

Il libro scritto da Alessandra Bocchetti omaggia e ripercorre la vita del cane Max all’interno della famiglia che lo ha accolto quando era ancora piccolissimo e brutto. L’autrice racconta in particolar modo il rapporto speciale e unico che il cane instaura con i diversi membri della famiglia, dando un assaggio delle piccole gioie che, dal primo all’ultimo giorno, la sua presenza ha regalato. Fino a che la vecchiaia lo porta via, senza che tuttavia il suo ricordo svanisca. Tutt’altro: nel cielo, nelle rocce e persino nella forma di un’isola Max torna a far visita ai suoi padroncini, nel nome di un legame intenso e sempre vivo.

Lineare e senza particolari capriole narrative, Il nostro cane Max si presenta come un omaggio personalissimo a un cagnolino realmente esistito che suscita simpatia e affetto. Piacevole da leggere e commuovente nel finale, il libro fa parte della collana Minizoom di cui condivide tutte le apprezzabili caratteristiche di alta leggibilità.

Un giorno con le mani in tasca

Silvia Sasso si muove tra pagine e figure di stoffa con un talento non comune. I suoi quiet book sono intelligenti, originali e colmi di cura: le stesse qualità che, non a caso, contraddistinguono Un giorno con le mani in tasca, il libro tattile realizzato dalla stessa autrice per la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi. Premiato come “miglior libro tattile per la primissima infanzia” all’edizione 2017 del concorso di editoria tattile illustrata Tocca a te!, il libro condivide con i quiet book la composizione in stoffa e un invito intrinseco all’esplorazione e all’interazione con le figure.

Un giorno con le mani in tasca adotta il punto di vista di un bambino, con cui il lettore può facilmente identificarsi, la cui giornata è scandita da una serie di attività: dallo scambio di tesori con il compagno alla visita a teatro, dal gioco delle costruzioni alla merenda, dalla gita al parco al momento della buonanotte. Ciascuno è evocato con grande semplicità ed efficacia da un oggetto particolare – una biglia, un biglietto d’ingresso, un mattoncino lego e via dicendo – che il lettore non vede ma può riconoscere al tatto, infilando le mani nella tasca applicata ad ogni pagina. Il tempo assume così una dimensione concreta e familiare, fatta di cose piccole ma preziose che è bello e rassicurante ritrovarsi tra le mani, come una sorta di talismano che evoca ricordi felici.

Fruibilissimo e stimolante, grazie soprattutto alla scelta di nascondere alla vista il cuore di ogni illustrazione, il libro di Silvia Sasso fa dell’espediente della tasca non solo un filo narrativo che incuriosisce ma anche una soluzione ingegnosa che invita a valorizzare il senso del tatto anche presso bambini senza difficoltà visive. Per loro, così come per i bambini ciechi o ipovedenti, il libro si presta infatti perfettamente a una lettura in punta di polpastrello. A questo concorrono non solo l’essenzialità delle illustrazioni e la presenza di oggetti veri e scelti oculatamente, ma anche la preferenza per testi minimi e la loro distinzione netta dalle figure. In questo modo Un giorno con le mani in tasca si rende adatto alla lettura anche da parte delle mani più inesperte e timorose.

Cipì

Piccolo, coraggioso, intramontabile Cipì! Alla soglia dei cinquant’anni, l’uccellino nato dalla penna di Mario Lodi e dei suoi alunni della scuola elementare di Vho torna a spiccare il volo in una veste nuova rispetto a quella consueta cartacea. Con un audiolibro nuovo di zecca fruibile tramite CD MP3 (12,90 euro) o file MP3 scaricabile (7,70 euro), Emons omaggia infatti il celebre racconto, nato dall’osservazione diretta fatta dai bambini di ciò che accade al di fuori della finestra della classe.

A dare voce alle avventure del giovane Cipì e dei suoi compagni di vita – la mamma e i fratelli, l’amata Passerì, l’amica Margherì e l’intera compagine di elementi naturali, dal sole ai fiori, dalle nuvole alle farfalle, che sono di fatto coprotagonisti del racconto – è Stefano Accorsi che interpreta con piglio pacato e intenso l’ampia gamma di sentimenti a cui la storia di Cipà dona spazio.

Sotto il tetto del palazzo, nella campagna tutt’intorno e nel cielo che la riveste, Cipì conosce infatti il pericolo e il sacrificio, l’amore e la solidarietà, la bellezza e la forza della natura. La sua storia, seppur insolita forse per il giovane lettore di oggi, è testimone schietta di un’esperienza pedagogica di grandissima attualità che merita di essere conosciuta e declinata nell’oggi e nel domani.

Tonja Valdiluce

L’autrice norvegese Maria Parr ha un talento eccezionale nel creare personaggi (soprattutto femminili) dalla carica inesauribile, dallo schietto spirito libertario e dalla vitalità prorompente. Indomiti e mai immobili, nelle gambe e nel pensiero, questi abitano spesso luoghi immersi in paesaggi naturali che hanno un ruolo tutt’altro che marginale nelle loro dinamicissime avventure. Tipi irresistibili come Lena o Tonja sono le protagoniste di storie che turbinano a lungo e nel profondo di chi legge

Dieci anni quasi compiuti, Tonja vive in Valdiluce da quando è nata. I monti innevati fino a Pasqua, il villaggio a misura d’uomo e i sentieri d’acqua e terra fanno da cornice alle sue giornate in cui difficilmente mancano salti acrobatici con gli sci ed esplorazioni scatenate. Certo non si può dire che le sue occupazioni non generino un gioioso baccano, con buona pace di Klaus Hagen e del suo campeggio salutista child-free da cui vorrebbe tenere Tonja alla larga. In Valdiluce, Tonja è felice. Qui conosce tutti ma ha un rapporto speciale con il suo padrino Gunnvald: gigante buono, solitario e taciturno che condivide con lei l’amore per la montagna, per la cioccolata calda fatta con vere tavolette e per gli slittini che vanno velocissimi. Con Gunnvald, Tonja trascorre giornate intere, chiacchiere e silenzi, suonate di violino e storie. “Come faresti senza di me?”, gli chiede spessissimo, con una formula scherzosa che sfiora la verità più di quel che si potrebbe credere. Non a caso, quando a casa di Gunnvald piomba un donnone di nome Heidi che dice di essere sua figlia e minaccia di vendere la sua amata fattoria, Tonja si adopera senza risparmiarsi per evitarlo. I folli piani di sabotaggio che mette in piedi insieme al suo amico Ole danno certo una scossa alla situazione, ma sono soprattutto la sua cocciuta testardaggine, il suo innato senso della giustizia e la sua sincera capacità di parlare al cuore delle persone a rispolverare sentimenti sepolti e permettere finalmente a rapporti interrotti di riallacciarsi.

Irresistibile e incontenibile, Tonja detta il bolide della Valdiluce non lascia scampo e lascia il segno. La sua storia arriva dritta senza freni e si fa leggere con gusto. Avvolgente come una coperta calda, ha il potere magico di far risuonare sentimenti profondi senza stare a dare tante spiegazioni. Che poi è quello che fa la buona letteratura! Da leggere e rileggere senza stancare, Tonja Valdiluce è fortunatamente uno dei titoli che Beisler ha inserito nel suo progetto leggieascolta, rendendolo accessibile anche a chi non ama o fatica a seguire la storia sulla pagina. Grazie alla curata app leggieascolta, scaricabile gratuitamente per Android e Ios, la storia di Tonja, Gunnvald e tutti gli abitanti e avventori della Valdiluce può essere ascoltata con grande comodità semplicemente inquadrando il QR code che compare all’interno del libro. Intuitiva e funzionale, l’app consente di muoversi agilmente tra i capitoli del libro, sfruttando funzioni utili come la regolazione della velocità di lettura e i segnalibri.

Cuori di waffel

Quando un libro inizia con due bambini che costruiscono una precaria funicolare tra le rispettive finestre si può star certi che la lettura riserverà sorprese memorabili: Cuori di waffel ne è la dimostrazione lampante! Tra le sue pagine, la scatenata Lena e il timido Trille si lanciano ogni giorno in imprese stravaganti e azzardate, secondo una ferrea logica che segue i binari dell’immaginazione  ben più che quelli della sicurezza. L’estate dei due bambini, nelle cui vene scorre inconfondibile sangue nordico, procede così a gran ritmo tra una festa di mezza estate sommersa dal letame, il tentativo di far salire un sacco di animali su una moderna arca di Noé e il salvataggio di una vecchia giumenta a bordo di un traghetto. A star dietro a Lena e Trille servono polmoni buoni e nervi saldi perché le corse nel cassone di una motocicletta, le discese ripidissime in bob, i giri in elisoccorso e gli schianti in canotto sono all’ordine del giorno. Qualche commozione cerebrale (per loro) e tanta commozione e basta (per il lettore) vanno così di pari passo, in un romanzo che fa lo slalom tra guai divertentissimi ed emozioni profonde.

Già vincitore di numerosi premi, tra cui l’Andersen nel 2015, il libro di Maria Parr è un concentrato irresistibile di avventure a rompicollo e di personaggi cui affezionarsi in un istante. Pieni di vita e tratteggiati con cura, questi si muovono tra i fiordi della baia e della vita con una naturalezza e un’autenticità palpabili. E se l’inarrestabile Lena è al centro di ogni scena con un’energia che di rado lascia cose, personaggi e lettore incolumi, il vero e insospettabile eroe è forse il giovane Trille, che accoglie paziente l’irruenza e le  follie di Lena, dando voce a emozioni che entrambi provano ma che l’amica non sa esprimere che con l’irrequietezza.  Con il suo carico di sensibilità sincera, Trille cementa profondamente l’amicizia con Lena, apre a domande importanti e – non ultimo – restituisce una rappresentazione bellissima e fuori dagli stereotipi di un’infanzia al maschile.  In quell’estate unica che vede protagonisti i due bambini, trovano posto cose piccole e grandi, comprese quelle scomode come la morte, la genitorialità imperfetta o gli addii. Queste ultime, proprio come le gioie che costellano le giornate più luminose a Martinfranta, figurano tra le pagine di Cuori di Waffel con impeccabile leggerezza, finendo così per bussare all’immaginario del lettore senza gravosa invadenza.

Imperdibile per lettori dagli 8-9 anni, Cuori di Waffel è reso disponibile dall’editore Beisler anche in formato audio così che anche chi non ama o fatica a seguire la storia sulla pagina possa godersi le avventure di Lena e Trille. Grazie alla curata app leggieascolta, scaricabile gratuitamente per Android e Ios, il romanzo può essere ascoltato semplicemente inquadrando il QR code che compare sul risguardo di copertina. Intuitiva e funzionale, l’app consente di muoversi agilmente tra i capitoli del libro, sfruttando funzioni utili come la regolazione della velocità di lettura e i segnalibri.

Emme come. Il meraviglioso mondo di MAssimo

È dura esser bambini, quando gli adulti non sembrano voler fare la loro parte! Almeno, questa è l’esperienza dell’undicenne Massimo, le cui giornate sono un continuo confrontarsi con due genitori che litigano e lo mettono in mezzo senza troppe remore, con una scuola che non sempre valorizza i talenti degli alunni e con un carattere che non facilita la nascita di nuove amicizie. Timido, sensibile e curioso, Massimo cresce nel pieno degli anni ’80, chiedendosi senza posa come fare a essere felice. Presto fatto: non trovando supporto nei grandi, Massimo elabora una sua personalissima strategia di sopravvivenza e riscatto. Autoproclamandosi Illustre Imperatore dell’Universo, una carica che gli consente di scrivere una costituzione tutta sua, Massimo può infatti costruirsi una realtà in cui i desideri si avverano per decreto, le nonne non scordano di preparare torte, le emozioni possono manifestarsi senza timore e la fantasia è riconosciuta come valore. In questo modo, le relazioni che Massimo coltiva – con i familiari, con gli amici vecchi e nuovi, con i professori o con gli adulti del catechismo – prendono pian piano una piega nuova, più autentica e vitale.

Emme come. Il meraviglioso mondo di Massimo è uno dei primi titoli proposti a catalogo da Read Red Road, libreria romana che dal 2018 è diventata anche casa editrice. In virtù di una particolare attenzione alla questione dell’accessibilità, il volume è pubblicato con alcune caratteristiche di alta leggibilità, come il font EasyReading e una spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe. Ulteriori vantaggi in termini di agio nella lettura potrebbero venire, sempre a livello tipografico, dal ricorso a un testo non giustificato e da una più marcata separazione tra paragrafi. D’altra parte, da un punto di vista sintattico, il testo si compone di frasi perlopiù brevi, paratattiche o con una sola subordinata, risultando così di più semplice lettura anche da parte di bambini con dislessia.

Il bambino che faceva le fusa

Gatta curiosa e intraprendente, Pepe vive in una palazzina di città con i suoi due padroni (Mamma e Papi) e il loro bambino (Tato). Sui tetti, in cortile e dalla sua finestra al secondo piano, interagisce con diversi vicini a due e quattro zampe – l’odioso cane Crostino e il furbo piccione Nerone,  per esempio – e osserva molte cose con occhio attento. È lei, non a caso, la prima ad accorgersi che da pochi mesi al quarto piano abitano una donna e un bambino. Nessuno a parte lei, sembra averlo notato: la donna si vede poco e il bambino è sempre chiuso in casa. La faccenda ha un che di misterioso e il bambino un che di affascinante, così Pepe si convince ad andare in esplorazione per saperne di più. Le sue spedizioni al quarto piano gli rendono chiaro che il bambino ha un modo tutto suo di comunicare: un modo che gli altri umani spesso travisano o non colgono per nulla, costringendolo di fatto a una vita solitaria e reclusa. Pepe, che invece sembra riconoscerne facilmente intenzioni e sentimenti, mette  in atto un ingegnoso piano per consentire al bambino, da lei soprannominato No, a uscire e socializzare. Saranno necessari molti alleati, molta pazienza e molta inventiva ma alla fine il piano di Pepe si rivela efficace e l’intero condominio si ritrova coinvolto in una missione ad alto contenuto di fusa!

Gabriele Clima, che già con Roby che sa volare e con Il sole fra le dita  aveva felicemente e coraggiosamente portato la disabilità tra le pagine destinate ai bambini e ai ragazzi, trova anche qui un espediente interessante per raccontare l’autismo ai più piccoli senza trasformare la storia in un piccolo trattato didascalico. Facendo leva sull’idea che trovare la giusta chiave di comunicazione possa fare la differenza nel costruire relazioni autentiche e possibilità di incontro tra persone neurotipiche e persone neurodivergenti, l’autore racconta una storia ispirate a persone realissime (la sua famiglia e i suoi vicini di casa!) a cui il gatto Pepe aggiunge un tocco fantastico e un punto di vista originale.

Il bambino che faceva le fusa si distingue per un’attenzione particolare all’inclusione non solo da punto di vista contenutistico ma anche da quello formale: il libro è infatti stampato con caratteristiche di alta leggibilità quali il font leggimi, la spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi,  la sbandieratura a destra e l’assenza di sillabazioni, ed è fruibile con le medesime caratteristiche anche in formato ebook (costo: 2,99 euro). Come il libro in questione, diversi altri titoli della collana Il battello a vapore di Piemme, in tutte le sue serie – bianco, azzurro, arancio e rosso – presentano gli stessi accorgimenti tipografici, resi riconoscibili fin dalla copertina grazie al bollino “alta leggibilità”.

La mia giornata

Tana Hoban ha fatto scuola e a partire dai suoi libri per piccolissimi, basati su semplici figure e forti contrasti, si è diffusa anche in Italia una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza di proporre volumi di qualità già ai neonati e ai bambini di pochi mesi. In questa cornice, favorevole allo sviluppo di libri resistenti, belli da vedere e modellati sulle reali esigenze dei piccoli lettori, arrivano ora due proposte molto interessanti di Lapis, che già in passato aveva lavorato su questo fronte con la collana de I libri del Tato. Si tratta, nello specifico, de La natura e La mia giornata, curati da Raffaella Castagna.

I volumi si presentano come due quadrotti cartonati, dalla dimensione maneggevole e dalle pagine spesse e leggere. Ognuna di queste ultime propone un solo soggetto, rappresentato in maniera estremamente essenziale e ben distinguibile, grazie alla scelta di sfruttare un solo vivace colore – giallo o rosso – oltre al bianco e al nero. Ogni figura è accompagnata da due-tre parole al massimo: una sorta di micro-didascalia senza fronzoli. In ogni doppia pagina, una figura è bianca su sfondo nero e una è nera su sfondo bianco. Grazie a un sistema di scorrimento, sotto ogni figura se ne svela un’altra con le medesime caratteristiche stilistiche e cromatiche e collegata a quella sovrastante da nessi di vario tipo, principalmente spaziali (la balena e il mare, per esempio) o d’uso (le stoviglie e l’azione di mangiare).

In La natura, che tra i due volumi è forse il più semplice, ogni pagina è dedicata in particolare a oggetti, paesaggi ed elementi atmosferici. Qui le didascalie sono omogenee e volte a nominare gli oggetti (la farfalla e il fiore, per esempio). Il colore che si aggiunge al bianco e nero, inoltre, compare solo nelle figure che si scoprono a scorrimento.

In La mia giornata, invece, ogni pagina è dedicata a un’azione quotidiana, dal risveglio all’addormentamento. Sulle pagine si succedono quindi oggetti comuni, familiari al bambino: dalla t-shirt alla palla, dalla vasca da bagno al libro della buonanotte. Sotto ad essi, il sistema di scorrimento rivela personaggi dalle fattezze animali che compiono le azioni collegate ai diversi oggetti, mentre le didascalie danno spazio a frasi che indicano l’azione stessa (Faccio il bagno, per esempio) o che la accompagnano (Buongiorno). I nessi tra le figure, il tipo di testo e la presenza di tre colori sia sopra sia sotto la linguetta a scorrimento rende la lettura di questo volume minimamente più elaborata rispetto al precedente.

In entrambi i casi, la semplicità dei contenuti, il numero limitatissimo di soggetti per pagina e il forte contrasto cromatico delle figure fanno sì che il volume racchiuda delle importanti possibilità di esposizione alla lettura anche da parte di bambini con disabilità. È il caso dei piccolissimi con disabilità cognitiva o comunicativa ma anche di coloro che presentano un deficit visivo. La presenza poi di un semplice ma efficace dispositivo ludico come le pagine a scorrimento, amplifica l’interattività e la sorpresa: elementi di grande importanza e appeal anche e soprattutto per bambini con  maggiori difficoltà di approccio all’oggetto-libro. Per come sono costruiti i volumi, il sistema di scorrimento apre a una sorta di secondo livelli di lettura, leggermente più complesso, che mette in gioco la capacità di associazione tra figure oltre al loro riconoscimento: un livello che, volendo, si può aggiungere anche solo in un secondo momento, senza per questo condizionare il godimento del libro nella sua forma base.

La fisica degli abbracci

Crescere con un quoziente intellettivo di molto superiore alla media può sembrare un’enorme fortuna ma non sempre necessariamente lo è. Leggere e scrivere in due lingue all’asilo nido, frequentare l’università quando l’adolescenza non ha nemmeno bussato alla porta, e insegnare fisica in un college prestigioso prima ancora di poter guidare un motorino può essere, infatti, molto motivante ma al tempo stesso anche molto provante. Soprattutto se, come nel caso di Will Malvasi, la famiglia in cui cresci non fa nulla per aiutarti ad affrontare con tanto anticipo esperienze così complesse  e a relazionarti con le persone con la stessa facilità con cui ti relazioni con i numeri. Risultato: le persone come Will spesso arrivano in giovanissima età a non reggere più la pressione e si rendono presto conto che la medaglia dorata dell’intelligenza  ha anche un retro e che questo può essere molto meno felice.

Ecco allora che Will sceglie – e non è né il primo né l’ultimo a farlo – di dire addio al mondo accademico cui si è dedicato fin da piccolissimo, inscenando la sua morte e scomparendo nel nulla. Lo fa con l’aiuto del vecchio Anantram, professore di origine indiana e premio Nobel sotto mentite spoglie, che ne condivide e ne comprende a pieno le difficoltà. Dopo un periodo nascosto in Svizzera, Will si sposta a Torino ed è qui che in modo del tutto fortuito fa la conoscenza di Dora. Badante di origine rumena, Dora lo accoglie in casa sua e instaura con lui un legame, un po’ materno, un po’ amichevole, il primo forse di cui Will abbia davvero fatto esperienza. È lei a mostrargli l’importanza di alcune cose apparentemente banali ma lontanissime dall’orizzonte di pensiero di Will, come la gratitudine o l’empatia. Lo fa con molta naturalezza, forte di quell’intelligenza emotiva di cui il ragazzo è tanto carente. Ma anche questo tipo di relazione, con tutto il corollario di sforzi che richiede, sembra diventare troppo per Will, sicché il ragazzo nuovamente scompare. Non per sempre, però. Perché la fisica degli abbracci, al pari di quella scientifica, richiede molto impegno ma si può anche, a quanto pare, a poco a poco apprendere…

Romanzo tanto asciutto quanto intenso, La fisica degli abbracci racconta la plusdotazione in tutti i suoi aspetti: quelli di successo così come quelli di grande, grandissima frustrazione. Il personaggio di Will, autistico ad alto funzionamento, li incarna profondamente entrambi, mettendo il lettore a parte di una sofferenza autentica e spesso taciuta – quella del misurare ovunque la propria inadeguatezza e del rivelarsi in qualche modo un prodigio importuno. Il romanzo di Anna Vivarelli rispolvera, così, un lato dell’autismo che ha sempre affascinato molto il cinema e la letteratura ma lo fa in maniera schietta e multisfaccettata. Dando spazio ai chiaroscuri che caratterizzano un modo molto brillante anche molto fragile di affrontare il mondo, l’autrice rende profondamente vivo, vero e umano il suo personaggio.

Il grande caos dei telefonini

Cosa succede se un guasto alla rete viene riparato malamente e tutte le linee telefoniche di un villaggio finiscono per mescolarsi? Un grande caos – questo è certo – ma forse anche una grande opportunità! Se ne rendono presto conto Margareth, Will e tutti i loro concittadini, quando i rispettivi telefoni iniziano a squillare molto più o molto meno del solito, portando alla cornetta voci e richieste del tutto inattese. E se in principio sono lo sconcerto e il fastidio ad avere la meglio di fronte a situazioni surreali che scatenano il divertimento del lettore, pian pianino l’intraprendenza e l’ottimismo prendono il sopravvento. Accade infatti che, iniziando a recapitare i messaggi ricevuti per errore ai reali destinatari, chi è appena arrivato in città trovi nuovi amici e nuove occupazioni, chi è era sopraffatto dalle cose da fare possa contare su validi aiuti, chi cercava le parole per dichiarare il proprio amore incappi in un modo insospettabile per farlo e chi vive in solitudine incontri una sorta di famiglia adottiva per sé e per il proprio gatto. Possibilità di incontro e conoscenza nuove cominciano così a correre sui fili del telefono e il tasso di felicità del villaggio squilla più forte di quanto non abbia mai fatto prima.

Con uno stile fresco e una trama essenziale e ben costruita, Sally Nicholls confeziona un racconto davvero brillante che si legge in un soffio e fa sorridere il lettore. I personaggi de Il grande caos dei telefonini (peraltro accuratamente descritti in apertura, a tutto vantaggio anche di chi necessita di punti fermi per inoltrarsi nella narrazione) sono assortiti e accattivanti. Al loro fianco si seguono con piacere i molti equivoci che si vengono a creare e gli intrecci che da questi ultimi prendono forma.

Attento a valorizzare l’unicità dei diversi protagonisti, tra cui anche la giovane Aditi che nonostante un incidente alle gambe continua a praticare l’arrampicata, il libro si mostra inclusivo anche dal punto di vista formale. Contraddistinto da un testo scorrevole e dalla struttura sintattica perlopiù semplice e lineare, Il grande caos dei telefonini rientra infatti nella bella collana Zoom di Bianconero di cui presenta tutte le caratteristiche tipografiche di alta leggibilità che vanno dal font più leggibile alla spaziatura maggiore, dallo sbandieramento a destra alla carta color crema. A rendere infine particolarmente godibile e fruibile la lettura, concorrono le illustrazioni di Naida Mazzenga. Tutte giocate sul rosso, sul blu e sul bianco, queste sono infatti molto frequenti e restituiscono con tratto ironico tutta la simpatia dei personaggi di Sally Nicholls.

La notte

Bentornati a Wimmlingen, il paese più silenzioso e brulicante che ci sia! Già protagonista degli irresistibili Libri delle stagioni (Topipittori, 2018-2019), la città creata da Rotraut Susanne Berner torna al centro di un nuovo wimmelbuch di grandi dimensioni. Luoghi, abitanti e inquadrature sono immutati rispetto si titoli precedenti: un piacere in più per il lettore che già li ha frequentati e che può così sperimentare la gioia del riconoscimento e il sapore della familiarità. La ripresa, in questo caso, è esclusivamente notturna, il che offre la possibilità di scoprire gli spazi cittadini in una veste insolita, vedendo animarsi luoghi perlopiù deserti di giorno e, al contrario, svuotarsi luoghi di giorno animatissimi. A ruota, anche i personaggi cambiano ruolo, ripresi nel loro tempo libero o in servizio.

E così, a vagare per le strade della vivace cittadina si assiste a comunissime routine quotidiane come a eventi straordinari, a lavori spesso invisibili come a incontri inattesi. Nella Wimmlingen notturna c’è chi si fa la doccia e chi vorrebbe dormire in giardino, chi sventa furti e chi guarda le stelle cadenti, chi fa un pigiama party in biblioteca e chi imbratta i muri per amore. Anche gli animali, come sempre accade nei quadri di Susanne Rotraut Berner, non stanno a guardare e tra gatti ben svegli, procioni a zonzo e cani ladruncoli anche le notti a quattro zampe si fanno piuttosto animate. Ad attraversare la città, partendo dal quartiere residenziale che si accinge a riposare e arrivando al laghetto dove pullulano le attività notturne, il lettore si immerge in una dimensione insolita e avvolgente, in cui al silenzio delle parole assenti si aggiunge quello dell’ora tarda (le 22.15, per la precisione, dice l’orologio della stazione). Tra serrande abbassate e luci accese c’è tanto da osservare, scovare e raccontare: l’autrice ha in questo senso un tocco davvero magico, capace com’è di disseminare tra le pagine dettagli sfiziosi, microstorie che si fanno grandi, citazioni imperdibili e vicende che si intrecciano.

Nei suoi racconti per immagini tutto si tiene con una coerenza e una fittezza di rimandi che sono fonte inesauribile di stupore e ragione di riletture mai uguali. Anche grazie a questa abilità i libri come La notte svelano una molteplicità di strati di lettura che agevola il coinvolgimento e la piena partecipazione da parte di bambini con abilità diverse.  Da un lato, infatti, l’assenza di parole favorisce la positiva appropriazione del libro anche da parte di piccoli lettori con difficoltà di comprensione del testo. Dall’altro, la presenza di storie godibili sia nella loro individualità sia nel loro complesso permette una libertà di movimento pienamente appagante a chi necessita di narrazioni poco articolate al pari di chi si districa con disinvoltura tra vicende disegnate più o meno complesse. Che sia giorno o che sia notte, insomma, la città di Wimmlingen accoglie il lettore con un caloroso e amichevole benvenuto!

Una specie di scintilla – audiolibro

Che tosta, Addie! 11 anni, autistica, appassionata lettrice, amante degli squali e testarda battagliera per le cause in cui crede, la protagonista di Una specie di scintilla è un personaggio a cui ci si affeziona subito e che si dimentica con difficoltà. La sua vita si svolge nella placida cittadina scozzese di Jupiter, dove nulla di eclatante pare mai accadere, dove la comunità si riunisce ancora periodicamente per prendere decisioni collettive e dove tutti sembrerebbero più interessati a difendere il buon nome del villaggio che a permettergli di essere ricordato per qualcosa di davvero buono.

E così, quando durante una lezione di Miss Murphy, Addie scopre che in passato, proprio a Jupiter, diverse donne sono state pretestuosamente condannate a morte perché ritenute streghe, inizia una determinata battaglia affinché un memoriale cittadino renda loro omaggio e ricordi a tutti gli effetti nefasti e senza tempo a cui possono condurre l’ignoranza e la paura della diversità. Addie si deve però scontrare non solo con il bigottismo che impera in paese ma anche con una insopportabile forma di bullismo e discriminazione in ambito scolastico, perpetrata da una compagna particolarmente ostile, da una classe odiosamente indifferente e da una professoressa abiettamente incapace di fare il suo mestiere.

Umiliata e trattata da inetta da chi dovrebbe saperne piuttosto cogliere bisogni e talenti, Addie trova conforto e supporto in una nuova compagna sensibile e leale e in una famiglia presente e attenta. Il rapporto con sua sorella maggiore Keedie, anche lei autistica e apparentemente più capace e avvezza a dissimulare la sua neurodiversità, costituisce in particolare per Addie un aiuto prezioso per capire che cosa accade dentro e fuori di lei, per conoscere il prezzo di un mascheramento forzato e per trovare il coraggio di portare fino in fondo la sua importante e simbolica battaglia.

Incredibilmente incisivo, Una specie di scintilla è il pluripremiato romanzo d’esordio della giovane scrittrice scozzese Elle McNicoll. La sua forza sta senz’altro in una serie di personaggi indelebili, di fronte ai quali è impossibile mantenere una posizione neutra, e nella capacità di raccontare ciò che la protagonista prova e pensa con chirurgica efficacia e assenza di retorica. L’autrice, che è a sua volta autistica, non ha infatti remore o difficoltà a spazzare via tanti luoghi comuni sulla sindrome che la contraddistingue – luoghi comuni legati, per esempio, all’intelligenza, all’autonomia, all’empatia o alla capacità di costruire legami – mettendo bene in chiaro che ci sono tanti modi di essere neurodivergenti e che tentare di inquadrare in maniera unica e stereotipata tutti coloro che rientrano nello spettro non ha dunque alcun senso. Nel solco di Temple Grandin, che echeggia chiaramente in quel “L’oceano ha bisogno di tutti i tipi di pesci, proprio come il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente” pronunciato da Keedie, Elle McNicoll fa del suo punto di vista interno una chiave efficacissima per offrire una lettura nuova e meno rigida dell’autismo, in cui multisfaccettatura e complessità trovino finalmente il loro posto.

Oltre a raccontare con grande chiarezza e semplicità cosa provano Addie o Keedie in determinate situazioni (per esempio di eccessivo affollamento, rumore o luminosità) e quanto per loro possa essere faticoso mascherare il proprio disagio per rispondere il più possibile alle aspettative dei neurotipici, la sua scrittura schietta ci mette costantemente nella condizione di chiederci come noi stessi ci poniamo di fronte a chi percepisce, registra e affronta la realtà in modo diverso da noi. In questo modo, a dispetto di tanta comunicazione e letteratura che tende a dipingerla in bianco e nero come una tragedia assoluta o come una superdote tout court, la neurodiversità viene piuttosto dipinta, con una fitta serie di sfumature, come una specie di scintilla.  “Il mio autismo – dice Addie durante un toccante discorso all’assemblea cittadina – non è sempre un superpotere. A volte è problematico. Ma nei giorni in cui sento l’elettricità nelle cose, quando vedo dettagli che altri potrebbero non vedere, mi piace molto.”

Una specie di scintilla è disponibile in una duplice versione: cartacea e audio. La prima è curata da Uovonero con caratteristiche di alta leggibilità. La seconda è invece proposta da Fabler audio, una nuovissima casa editrice specializzata in audiolibri. Nata nel 2020 per iniziativa di Carlotta Brentan che da anni, l’Italia e gli Stati Uniti, si occupa di teatro, cinema e doppiaggio, Fabler propone libri da ascoltare molto curati sia a livello di qualità della registrazione sia a livello di piacevolezza dell’interpretazione. Una specie di scintilla è il primo titolo per ragazzi inserito in catalogo.

Scuola di mostri

Alzi la mano chi non ha avuto un po’ di tremarella il primo giorno di scuola! Giò non fa eccezione e quando varca la soglia della sua classe è letteralmente terrorizzato: l’operatore scolastico è un orco, i compagni sono mostri e la maestra una matrigna maligna. Sarà dura per lui districarsi tra attacchi ululanti, pozioni puzzolenti e piatti di riso e bruchi, fino a quando un inatteso incidente in giardino non sembra rimettere le cose a posto, trasformando l’esperienza scolastica come per magia.

Scorrevole e leggero, Scuola di mostri è un racconto perfetto per lettori alle prime armi, non solo perché racconta una storia di piccole paure vicinissima al loro vissuto ma anche perché è costruito e stampato secondo criteri di alta leggibilità. Il testo di Sabrina Guidoreni previlegia infatti un lessico piano e strutture sintattiche lineari e risulta stampato in font leggimi mutuato da Sinnos, con spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra e frequente associazione alle illustrazioni. Firmate da Giulia Bracesco, queste ultime sono presenti pressoché a ogni pagina, con tono scanzonato e divertito, contribuendo fattivamente a rendere la lettura più abbordabile e amichevole.

Le caratteristiche di alta leggibilità che rendono Scuola di mostri particolarmente adatto anche a lettori dislessici contraddistinguono anche altri titoli della collana Oscar primi junior dalle firme note come quella di Miriam Dubini o Anna Sarfatti. Riconoscibili grazie al bollino “alta leggibilità”, questi titoli condividono l’intento di rendere storie semplici, divertenti e avventurose fruibili anche a un pubblico di lettori con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Ci penso io!

Nella vita di un bambino (ma, ça va sans dire, anche di un adulto!), i piccoli incidenti, guai ed errori sono all’ordine del giorno. Un compito sbagliato, una matita spezzata, una maglia strappata o un quadro caduto: quasi tutto si può aggiustare, basta avere lo strumento giusto!

Attraverso una carrellata di rotture e rispettivi strumenti di riparazione, Ci penso io! dice al lettore che l’importante, di fronte a un guaio, è provare a ripararlo e allena il lettore ad associare ogni oggetto danneggiato con ciò che serve per metterlo a posto. Quello che si attiva all’interno di ogni doppia pagina è un ragionamento, tutt’altro che scontato e immediato per alcuni bambini, sulla temporalità (ciò che accade prima e ciò che si usa dopo) e soprattutto sulla funzione delle cose. Il lettore si trova dal canto suo coinvolto non solo da una struttura che si ripete identica a ogni pagina e che incentiva così l’anticipazione del contenuto ma anche dalla predilezione per situazioni e oggetti molto comuni e familiari. L’autrice sceglie inoltre di concludere il volume con una piccola e inattesa deviazione dal tema incentrato sugli oggetti per porre l’attenzione sugli umani e sullo straordinario potere riparatore dei loro baci: un modo grazioso ed efficace, questo, per sorprendere il lettore e farlo sentire protagonista, non solo come potenziale combinaguai ma anche e soprattutto come risolutore!

Scritto e illustrato da Cristine Petit, Ci penso io! gioca con semplicità sui principi di ripetizione e variazione, mettendo in campo a ogni pagina situazioni di rottura e riparazione iterate ma oggetti, strumenti e protagonisti (insieme al narratore) diversi. Raccontato dal punto di vista e con la voce di un bambino di nome Tommaso, il libro presenta pagine di apprezzabile pulizia su cui si stagliano i testi lineari e semplici e le illustrazioni grandi e nette: una struttura ideale per favorire la concentrazione del lettore e per stimolarne il riconoscimento di situazioni e soluzioni, in una lettura che si fa anche un po’ gioco ed esercizio.

 

Il bollino Liberi tutti

Ci penso io! fa parte della collana di cartonati di Pulce edizioni e rientra, più nello specifico, tra i titoli che la casa editrice contraddistingue con il bollino Liberi tutti. Quest’ultimo viene attribuito, in particolare, a volumi progettati per agevolare una piacevole esperienza di lettura anche da parte di bambini con bisogni educativi speciali.

I libri in questione non presentano codici specifici – come potrebbero essere il Braille, la LIS o i simboli – in aggiunta al testo alfabetico tradizionale ma caratteristiche compositive particolari – come la scelta dell’argomento, del lessico e delle illustrazioni – che tengano conto di eventuali difficoltà di astrazione, di comprensione di determinati passaggi logici, di decodifica testuale o visiva.

In questo senso vengono privilegiati volumi contraddistinti da testi brevi, essenziali, con struttura sintattica lineare e lessico quotidiano; da illustrazioni mirate, con forme nette e prive di dettagli superflui che supportino, grazie a una corrispondenza puntuale, la decodifica del testo; da strutture narrative iterate che sollecitino nel lettore l’attivazione di semplici meccanismi di previsione; e da racconti che offrano un aggancio forte all’esperienza concreta e quotidiana del piccolo lettore.

Grazie a questo tipo di accorgimento, i libri che presentano il bollino Liberi tutti si prestano ad accogliere con meno ostacoli, anche bambini con disabilità uditiva, cognitiva o comunicativa che possono trovare tra queste pagine un supporto accattivante e a misura per avviarsi a piccoli passi verso storie via via più complesse.

Orlando non è più furioso

Tanti albi, diversi racconti, qualche fiaba e sparute rime: questo, finora, è stato il terreno di applicazione della Comunicazione Aumentativa e Alternativa al libro per l’infanzia. Originale e coraggiosa è dunque la scelta di Homeless Book di offrire ai giovani lettori che leggono in simboli un piccolo poema di ispirazione cavalleresca.

Scritto in rima e costellato di minimi riferimenti all’opera di Ariosto, Orlando non è più furioso racconta di un bambino che fatica a gestire la sua rabbia. A scuola, a casa o al parco, quando le sue richieste non vengono soddisfatte o le cose non vanno esattamente come lui desidera, Orlando va su tutte le furie. A venire in suo aiuto dopo una giornata particolarmente nera è il cavaliere Astolfo in sella all’Ippogrifo. L’eroe gli consegna infatti una scatola magica che contiene tre parole che, a suo dire, potranno rivelarsi preziose. E in effetti, messe subito in pratica dal giovane Orlando, pazienza, aiuto e coraggio lo rendono più disteso e saggio nell’affrontare le piccole difficoltà quotidiane.

Piacevole da leggere e ben costruito, Orlando non è più furioso offre una lettura di una certa complessità, rivolta a bambini che padroneggiano la CAA e che si destreggiano senza troppe difficoltà tra parole e costrutti sintattici non del tutto usuali. Il testo in rima prevede infatti una sintassi non sempre lineare e alcune parole poco ordinarie. Per contro, il racconto ben articolato e musicale, favorisce l’aggancio e l’attenzione, sostenendo il giovane lettore nella sua piccola impresa di lettura.

Una specie di scintilla

Che tosta, Addie! 11 anni, autistica, appassionata lettrice, amante degli squali e testarda battagliera per le cause in cui crede, la protagonista di Una specie di scintilla è un personaggio a cui ci si affeziona subito e che si dimentica con difficoltà. La sua vita si svolge nella placida cittadina scozzese di Jupiter, dove nulla di eclatante pare mai accadere, dove la comunità si riunisce ancora periodicamente per prendere decisioni collettive e dove tutti sembrerebbero più interessati a difendere il buon nome del villaggio che a permettergli di essere ricordato per qualcosa di davvero buono.

E così, quando durante una lezione di Miss Murphy, Addie scopre che in passato, proprio a Jupiter, diverse donne sono state pretestuosamente condannate a morte perché ritenute streghe, inizia una determinata battaglia affinché un memoriale cittadino renda loro omaggio e ricordi a tutti gli effetti nefasti e senza tempo a cui possono condurre l’ignoranza e la paura della diversità. Addie si deve però scontrare non solo con il bigottismo che impera in paese ma anche con una insopportabile forma di bullismo e discriminazione in ambito scolastico, perpetrata da una compagna particolarmente ostile, da una classe odiosamente indifferente e da una professoressa abiettamente incapace di fare il suo mestiere.

Umiliata e trattata da inetta da chi dovrebbe saperne piuttosto cogliere bisogni e talenti, Addie trova conforto e supporto in una nuova compagna sensibile e leale e in una famiglia presente e attenta. Il rapporto con sua sorella maggiore Keedie, anche lei autistica e apparentemente più capace e avvezza a dissimulare la sua neurodiversità, costituisce in particolare per Addie un aiuto prezioso per capire che cosa accade dentro e fuori di lei, per conoscere il prezzo di un mascheramento forzato e per trovare il coraggio di portare fino in fondo la sua importante e simbolica battaglia.

Incredibilmente incisivo, Una specie di scintilla è il pluripremiato romanzo d’esordio della giovane scrittrice scozzese Elle McNicoll. La sua forza sta senz’altro in una serie di personaggi indelebili, di fronte ai quali è impossibile mantenere una posizione neutra, e nella capacità di raccontare ciò che la protagonista prova e pensa con chirurgica efficacia e assenza di retorica. L’autrice, che è a sua volta autistica, non ha infatti remore o difficoltà a spazzare via tanti luoghi comuni sulla sindrome che la contraddistingue – luoghi comuni legati, per esempio, all’intelligenza, all’autonomia, all’empatia o alla capacità di costruire legami – mettendo bene in chiaro che ci sono tanti modi di essere neurodivergenti e che tentare di inquadrare in maniera unica e stereotipata tutti coloro che rientrano nello spettro non ha dunque alcun senso. Nel solco di Temple Grandin, che echeggia chiaramente in quel “L’oceano ha bisogno di tutti i tipi di pesci, proprio come il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente” pronunciato da Keedie, Elle McNicoll fa del suo punto di vista interno una chiave efficacissima per offrire una lettura nuova e meno rigida dell’autismo, in cui multisfaccettatura e complessità trovino finalmente il loro posto.

Oltre a raccontare con grande chiarezza e semplicità cosa provano Addie o Keedie in determinate situazioni (per esempio di eccessivo affollamento, rumore o luminosità) e quanto per loro possa essere faticoso mascherare il proprio disagio per rispondere il più possibile alle aspettative dei neurotipici, la sua scrittura schietta ci mette costantemente nella condizione di chiederci come noi stessi ci poniamo di fronte a chi percepisce, registra e affronta la realtà in modo diverso da noi.

In questo modo, a dispetto di tanta comunicazione e letteratura che tende a dipingerla in bianco e nero come una tragedia assoluta o come una superdote tout court, la neurodiversità viene piuttosto dipinta, con una fitta serie di sfumature, come una specie di scintilla.  “Il mio autismo – dice Addie durante un toccante discorso all’assemblea cittadina – non è sempre un superpotere. A volte è problematico. Ma nei giorni in cui sento l’elettricità nelle cose, quando vedo dettagli che altri potrebbero non vedere, mi piace molto.

L’assiduo impegno della casa editrice Uovonero nel promuovere la conoscenza e il rispetto della diversità e nel facilitare processi di inclusione e partecipazione attraverso il potente strumento del libro trova in questa pubblicazione una delle sue manifestazioni più riuscite. Perché non solo Una specie di scintilla è un romanzo bellissimo e forte, ma anche perché prova a raggiungere quanti più lettori possibili grazie a caratteristiche tipografiche di alta leggibilità – con font testme, sbandieratura a destra, spaziatura maggiore – e alla possibilità di godere della storia anche in formato audio. In contemporanea all’uscita del romanzo in formato cartaceo è infatti previsto il rilascio della versione audiolibro, pubblicata dalla casa editrice indipendente Fabler Audio (scaricabile al costo di 13,99 € dal sito della casa editrice): una scelta, questa, che presenta almeno altre due implicazioni interessanti. Da un lato essa riflette anche nella forma l’attenzione di Uovonero alle diverse caratteristiche di bambini e ragazzi e dall’altro essa mette in pratica quello che è già un principio chiave del progetto I libri di Camilla, ossia che l’accessibilità più ampia non deve in alcun modo compromettere la qualità del prodotto e che, per garantire entrambe, spesso può essere necessario e utile mettere insieme le forze e collaborare con altre realtà. Anche questo, in fondo (ma non troppo), significa valorizzare la diversità.

Prima che sia notte

Ci sono libri che, solo a parlarne, si ha paura di sciuparli. Preziosi e densissimi, contengono tante gemme che ci si ritrova disorientati nel tentativo di restituirne a pieno la ricchezza. Prima che sia notte di Silvia Vecchini è proprio uno di quegli scrigni: 128 pagine per un racconto lungo di grande intensità che alterna con sapienza prosa e versi.

Protagonisti sono Emma e Carlo, due fratelli legatissimi. Carlo è sordo e cieco da un occhio ed è principalmente attraverso la LIS che comunica con il mondo esterno, famigliari in primis. Emma, dal canto suo, carica questa lingua di un valore affettivo straordinario: per lei non è solo una possibilità comunicativa tra le molte che sente proprie e che ama sperimentare, ma è la lingua più preziosa, quella che tiene aperte le maggiori possibilità di contatto e condivisione con Carlo e di cui, per questo, sente di non poter proprio fare a meno. Grande è dunque il suo timore quando il residuo visivo di Carlo peggiora, rendendo necessario un ennesimo intervento e tangibile la possibilità che anche la vista, così come già l’udito, venga persa del tutto dal fratello. Ma la forza di Emma è palpabile tra le pagine, così nel viaggio che porta Carlo oltre il mare, nei giorni del suo ricovero e nei mesi che seguono pregni di incertezza, lei gli è accanto. Come gli Hansel e Gretel protagonisti della poesia dell’autrice contenuta in In mezzo alla fiaba (Topipittori, 2015), Carlo ed Emma attraversano letteralmente e metaforicamente la notte, il momento buio per eccellenza, in cui chiunque ha bisogno di fidarsi di qualcuno. Ma chi di loro aiuta l’altro? In una vicinanza che dona sostegno a entrambi, si scopre una reciprocità tanto inattesa quanto commuovente. E intanto la vita intorno ai due ragazzi non si ferma: c’è la scuola, con enormi lacune e insperate sorprese come quella legata all’arrivo di un Maestro con la M maiuscola, ci sono le passioni, ci sono gli amici, ci sono gli amori.

Ecco allora che il cuore del libro si svela poco a poco ma in maniera evidente: per quanto abbia un ruolo narrativo di primissimo piano, non è la disabilità di Carlo ad essere al centro del racconto. Sono le emozioni, piuttosto, a condurre le danze, a dominare la scena e a tratteggiare il vero tema del romanzo. La paura, il senso di impotenza, la speranza, la rabbia, la gioia, il conforto: messi a nudo e a fuoco, questi risuonano profondissimi nel lettore, che si trova così a sperimentare una grande empatia verso i personaggi che si muovono tra le pagine. Carlo ed Emma esistono davvero, la loro è una storia reale che l’autrice conosce bene e racconta da vicino – questo si avverte con chiarezza man mano che la lettura avanza – ma è soprattutto la capacità di Silvia Vecchini di coglierne e restituirne gli aspetti più vicini a tutti noi, a renderla così vera e palpitante.

Insegnamenti e moniti sulla disabilità e su come comportarsi di fronte ad essa sono qui del tutto assenti (evviva!) e questa scelta, tanto apprezzabile quanto rara nel panorama della letteratura per ragazzi che alla disabilità dona spazio, amplifica la capacità del romanzo di risuonare autentico e forte dentro il lettore. Le parole misurate dell’autrice preferiscono in questo senso lasciare spazio a sentimenti riconoscibili da ciascuno, smuovendo pensieri individuali rispetto a tanti temi importanti, uno su tutti quello del bisogno innato e fortissimo di comunicare. Emma e Carlo trovano i loro modi per farlo, alcuni più codificati come la LIS altri più intimi e personali come i messaggi scritti a macchina ma senza inchiostro: ciascuno ha il suo ruolo e richiede un diverso grado di coinvolgimento e intenzionalità per essere colto.

Emma, poi, scova una lingua tutta sua per esprimere ciò che ha dentro, una lingua che la stessa Silvia Vecchini frequenta assiduamente e definisce una lingua sorella della LIS: è la poesia. Densa e potente, questa è per la protagonista come un modo di mettere la testa sott’acqua e guardare sotto la superficie. È una strada per dire l’indicibile – che nella disabilità, non a caso, trova ampio spazio – consentendo di pescarlo dal profondo, districarlo e tradurlo. Con i versi i pensieri assumono un nuovo ritmo e un nuovo punto di vista.

La storia, perlopiù narrata dall’esterno, assume infatti lo sguardo di Emma quando il racconto si fa poesia. Anche il font cambia in contemporanea, restituendo così all’occhio quello scarto narrativo che la mente e la pancia percepiscono altrimenti. Secondo un analogo principio di mutevolezza, quando il rischio di cecità totale si fa concreto per Carlo ossia nel momento più buio della storia, il libro sostituisce le pagine bianche a scritte nere con pagine nere a scritte bianche: una trasformazione grafica che corre in parallelo a quella emotiva e fisica, con un effetto tutt’altro che trascurabile sul lettore.

Da qualunque lato lo si guardi, insomma, Prima che sia notte rivela una preziosa cura compositiva, che investe tanto la forma quanto il contenuto e che lo rende un piccolo gioiellino. Quanto bisogno c’è, per i ragazzi e per gli adulti, di libri così: libri che sono insieme un balsamo e una scossa per l’animo, che aprono spiragli e talvolta vere e proprie finestre su realtà che spesso scorgiamo solo da lontano e che invece, attraverso le parole giuste, possiamo riconoscere, dire e sentire un poco nostri.

Dal 1880

La storia si può raccontare in tanti modi e non tutti, a guardar bene, prevedono le parole. L’albo di Pietro Gottuso intitolato Dal 1880 e pubblicato da Kalandraka, è un bellissimo esempio di come si possano attraversare le epoche, con le loro peculiarità e i loro eventi più salienti, grazie alla potenza e all’incisività di una particolare sequenza di immagini.

L’autore sceglie infatti di accompagnare il lettore in uno speciale viaggio nel tempo che ha come fulcro una libreria. L’inquadratura immutata e frontale da cui viene ritratto questo luogo emblematico mette bene in evidenza cosa cambia dentro ma soprattutto attorno ad esso, anno dopo anno. Punto di riferimento, fisico e simbolico, la libreria diventa una sorta di luogo di osservazione privilegiato di fronte al quale scorrono mezzi, abiti, personaggi che scandiscono il passare dei decenni e disseminano indizi sui singoli periodi dipinti. Si modifica così il contorno della libreria e si succedono le generazioni in essa, ma la sua posizione, la sua insegna e il suo “esserci” sono sempre saldi, rassicuranti.

Si coglie cioè tra le pagine una continua tensione tra cambiamento e resistenza: una tensione che tocca nel profondo chi conosce e riconosce lo strenuo impegno e valore di questi preziosi presidi culturali. Fino all’ultima pagina, che porta con sé un’amara sorpresa e che, rimettendo in scena l’ottocentesco protagonista iniziale, crea un movimento riflessivo circolare che tante domande fa porre al lettore.

Omaggio raffinato e intenso alle librerie, a chi le anima e al loro indefesso lavoro per la comunità che le circonda e che, in definitiva, le rende vive, Dal 1880 è un libro senza parole che parla senz’altro ai grandi ma che offre spunti estremamente interessanti per costruire originali percorsi storici e culturali con i ragazzi, dalle medie in su.

Domino i verbi con i simboli

L’incursione di Uovonero sui terreni della sperimentazione ludica non è né nuova né rara. Iniziata agli albori della casa editrice, con il gioco cooperativo Kikkerville, proseguita con l’Acchiappaidee di Fabrizio Silei poco più di un anno fa, si consolida ora con un nuovo cofanetto che intreccia lettura, gioco e apprendimento in maniera innovativa e intrigante. Il cofanetto si compone, in particolare, di un libro e di un domino, entrambi contraddistinti dall’uso dei simboli PCS.

Il libro dedica ogni doppia pagina a un’azione quotidiana (leggere, farsi la doccia, pettinarsi, giocare insieme o da soli…): a destra campeggia una chiara immagine che ne illustra il significato; a sinistra vengono riportati il simbolo e la parola ad essa corrispondenti, seguiti da una micro-storia di due sole frasi in simboli, in cui l’azione è protagonista. Le stesse illustrazioni e gli stessi simboli figurano anche sulle carte del domino, associati però in maniera casuale. Al giocatore viene dunque chiesto di affiancare le tessere in modo che simbolo e illustrazione correlati si trovino vicini, fino a formare una lunga catena di azioni.

Come è facile intuire, il libro e il domino operano in sintonia, aiutando i giovani lettori con difficoltà comunicative o alle prese con le prime esperienze di lettura a familiarizzare con il significato e l’uso dei diversi verbi. Dominare questi ultimi, come l’ingegnoso titolo del gioco suggerisce, significa infatti compiere il primo importante passo per padroneggiare l’insieme della frase e i suoi specifici meccanismi. In questo senso la scelta d’uso dei simboli più immediati e trasparenti tra quelli disponibili e maggiormente diffusi nell’ambito della Comunicazione Aumentativa e Alternativa – ossia i PCS (Picture Communication Symbols) – risponde bene all’intento di rendere libro e gioco davvero intuitivi e dunque fruibili. A rafforzare l’efficacia e la trasversalità del cofanetto concorrono, poi, in maniera determinante le attraenti illustrazioni di Antonietta Manca realizzate con la plastilina. Sgargianti e leggere, queste sanno unire chiarezza e originalità, accendendo in maniera ben riuscita il connubio tra apprendimento e piacere estetico.

Dall’idea progettuale insolita alle illustrazioni vincenti, dalla grafica pulita al packaging solido, dalla scelta mirata dei verbi e dei simboli al formato maneggevole delle carte, ogni aspetto di Domino i verbi con i simboli parla di cura: proprio quella che fa di questo prodotto dalla natura ibrida un ottimo strumento didattico, un efficace supporto alla comunicazione e, al contempo, un accattivante gioco per la famiglia.

Caro signor F.

Elvira e Concetta sono due amiche che vivono insieme sul cucuzzolo di una montagna. Molto diverse tra loro – sedentaria, golosa e amante della scrittura la prima; avventurosa, smilza e appassionata di navi la seconda – le due trascorrono le giornate con una certa placida ritualità. Su quel cucuzzolo, in effetti, non succede mai nulla. Un giorno però dei rumori sospetti le mettono in allarme, costringendole a fantomatiche ipotesi su cosa possa averli generati, a qualche accusa reciproca e infine a rocambolesche indagini. Verrà fuori che il responsabile è un misterioso signor F., che frattanto manda lettere ad amici, parenti e ditte di trasloco, per informarli del suo felice trasferimento in montagna.

A suon di equivoci e soluzioni di emergenza per liberarsi dell’inquilino abusivo, Elvira e Concetta finiscono per scoprire che un intruso a quattro zampe può essere estremamente amichevole e che, grazie al trambusto generato dalla sua presenza, si può persino pensare a una ristrutturazione, non tanto della casa quanto piuttosto della propria vita!

Scritto e illustrato dal collaudato duo Alice Keller e Veronica Truttero, Caro signor F. è un racconto delizioso che scorre piacevole, fa sorridere e che mette in scena un piccolo protagonista a cui è difficile non affezionarsi. Stampato con alcune caratteristiche di alta leggibilità, come il font EasyReading, la sbandieratura a destra e la spaziatura maggiore tra le lettere, le righe e le parole, il libro presenta frequenti illustrazioni a matita che consolidano il tono tenero e buffo del racconto.

 

Le catastrofi del giorno

Non è facile affrontare le giornate quando i pericoli – dall’inquinamento agli incidenti aerei, dai malintenzionati ai cibi poco sani – sembrano nascondersi minacciosamente dappertutto e diventano un chiodo fisso. Così è per la dodicenne Majken che, con fare più vicino a quello di un’anziana che non a quello di una ragazzina, formula pensieri molto maturi e nient’affatto privi di allarmismo. Nella sua vita non c’è spazio – sembrerebbe – per frivolezze preadolescenziali, amicizie del cuore e pomeriggi spensierati: tutte cose che poco le interessano e che giudica per di più sciocche. Questo suo modo di porsi di fronte al mondo, che agli occhi del lettore e dei coetanei oscilla tra lo strambo e l’assillante, preoccupa non poco la madre, con la quale Majken vive sola e che un giorno, per convincerla a uscire, a distrarsi e a socializzare, le regala un cagnolino di cui occuparsi. È un cane bruttarello e indisciplinato, Blunder, ma il suo arrivo segnerà una svolta nella vita della ragazzina, consentendole di fare incontri preziosi e di incrinare la solida gabbia emotiva dentro la quale si è da tempo rinchiusa.

Con una narrazione che, seguendo il filo dei pensieri di Majken, dipinge il mondo con un filtro diverso da quello comune, Cilla Jackert ci fa affezionare, spesso scuotere la testa, talvolta chiedere “ma come ti viene in mente?” di fronte a una protagonista tanto bizzarra. Fino all’ultimo capitolo, dove un finale liberatorio, tanto per Majken quanto per chi legge, ci conduce nel passato della ragazzina, offrendoci uno spiraglio di comprensione ed empatia per quella sua interiorità tanto tormentata. Senza alcuna pretesa né attitudine prescrittiva, la storia di Majken ci illumina su cosa possano portare con sé un lutto e il dolore che ne consegue e su quanto valga la pena interrogarsi su ciò che si nasconde dietro un atteggiamento strano o persino respingente.

In Le catastrofi del giorno si ritrova e si riconosce il piglio schietto e a tratti cinico dell’autrice e la sua radicata familiarità con la città di Stoccolma, di cui pare di percorrere strade e quartieri, percepire odori e rumori, respirare la cultura, proprio come accadeva in Ci si vede all’Obse, altro bel romanzo di Cilla Jackert pubblicato nel 2018 da Camelozampa. Anche qui la stampa presenta font EasyReading e spaziatura maggiore che rafforzano la leggibilità del libro anche da parte di ragazzi con dislessia. Una più ariosa distribuzione del testo, per esempio con paragrafi distanziati e pagine meno piene, potrebbe consolidare ulteriormente l’accessibilità del volume.

Broncio e Coda

libro Quando desideri un animale da compagnia ma cani e gatti, per i tuoi genitori, sono fuori discussione, i pesci rossi possono essere un ottimo ripiego! È così che Broncio e Coda – muso lungo il primo, coda appariscente il secondo – entrano a far parte della famiglia di Teresa il giorno del suo compleanno.

Sistemati nella loro vaschetta nuova di zecca, i due pesci diventano presto degli insostituibili confidenti per la protagonista che, incuriosita dalle loro qualità e abitudini, ne trae sovente sagge lezioni di vita. Perché i pesci come Broncio e Coda saranno pure muti come si usa dire ma possono insegnarci molte cose: che addomesticare animali e persone non è affar scontato, per esempio, o che ci si può sentire soli anche quando si vive vicino a qualcuno. Come una sorta di filtro silenzioso attraverso il quale Teresa osserva le piccole e grandi cose della sua quotidianità, Broncio e Coda diventano parte integrante di una famiglia in cui nessuno resta del tutto immune al fascino dei pinnati e in cui le relazioni, soprattutto tra fratelli, si nutrono di piccoli screzi e rappacificamenti.

Proprio quelle relazioni, in cui – pesci rossi o no – non sarà difficile per il lettore riconoscersi, sono al centro del libro di Silvia Nalon, con le briose illustrazioni di Martina Motzo.

Più ricco di pensieri che di peripezie, Broncio e coda offre un’occasione di lettura quieta e piacevole in cui immergersi. Inserito nella collana leggimi di Sinnos, il libro presenta inoltre tutte le caratteristiche di alta leggibilità che agevolano la lettura anche in caso di dislessia.

Io sono sordo

Con un titolo schietto e diretto – Io sono sordo – l’albo di Manuela Marino Cerrato e Annalisa Beghelli mette subito sul tavolo il suo tema e il suo punto di vista: l’esperienza della sordità, vissuta e raccontata in prima persona. Più che contenere una vera e propria storia, l’albo edito da Carthusia raccoglie una serie di brevissime riflessioni a misura di bambino, su cosa implichi l’essere sordo, sulle emozioni che questa condizione reca con sé, sulle difficoltà e sulle opportunità che ne derivano. Ne viene fuori un ritratto composito che guarda e tiene insieme gli aspetti più bui e quelli più positivi della sordità, che della vita del protagonista è evidentemente una parte essenziale ma non totalizzante. Il libro dice cioè con grande chiarezza che la disabilità non può ridursi a un’etichetta e che le persone non sono mai – e mai devono essere viste – come la loro diagnosi.

Io sono sordo prende le mosse da un’esperienza reale e dal desiderio di una mamma di dare voce a un vissuto complesso e non sempre percepito come tale dall’esterno, quale è quello dei bambini sordi e delle loro famiglie. Nel racconto di Manuela Marino Cerrato, la cui autenticità arriva dritta al lettore a ogni pagina, trovano non a caso ampio spazio genitori e fratelli, oltre che amici e compagni, come persone toccate in maniera profonda e significativa dalla disabilità, seppur vissuta di riflesso. Questa viene tratteggiata in particolare da aggettivi forti come odiosa, spaventosa, deprimente ma anche intelligente, affascinante o buffa, che si svelano in una riga o due al massimo, attraverso situazioni quotidiane molto pratiche. Così, per esempio, la sordità è cattiva quando mi fa chiudere in me stesso o interessante perché fa imparare la lingua dei segni, in un succedersi di mini-quadri che la delineano come una presenza invisibile sì, ma per certi versi anche tangibile, quasi personificata.

Significativo, in questo senso, il contributo offerto dalle tavole di Annalisa Beghelli, tutte giocate sui toni del viola e dell’arancione, i cui tratti spigolosi restituiscono visivamente le tante sfaccettature emotive oggetto del libro. L’illustratrice interpreta  le parole dell’autrice, dedicando un’attenzione particolare alla gestualità e alla mimica facciale dei personaggi, così che la quotidianità priva di suoni di cui si parla possa emergere in tutta la sua forza e specificità.

Io sono sordo nasce dall’incontro tra l’Associazione Vedo voci, di cui fa parte la stessa autrice, e la casa editrice Carthusia, da tempo attenta a portare sulla pagina in forma di racconto illustrato tutta una serie di temi sociali. Rispetto a titoli precedenti di stampo analogo, Io sono sordo privilegia un approccio meno narrativo, prestandosi forse a destare più facilmente l’attenzione di chi della sordità ha già esperienza più o meno diretta. Per tema e struttura il libro offre in particolare uno spunto interessante per riconoscersi e riconoscere vissuti emotivi che la disabilità tende talvolta a ingarbugliare o coprire e che invece meritano di essere detti e conosciuti.

Ecco a voi Rolando Lelefante

Attenzione, pericolo! La lettura di Ecco a voi Rolando Lelefante aumenta il rischio di desiderare un pachiderma per animale domestico. È l’effetto Rolando: un misto di tenerezza e sorpresa che coglie senza scampo chiunque incontri l’irresistibile personaggio creato da Louise Mézel.

Elefantino mini dall’appetito taglia XL, Rolando Lelefante ha un mucchio di qualità: riesce a stare in spazi ristretti, anche grazie ad acrobatici arrotolamenti di coda e proboscide, è colto, sportivo quanto basta, oltremodo goloso e pieno di passioni. Insomma, come si fa a non volergli bene?

L’autrice ce ne offre un ritratto delizioso in questo primo volume di una serie portata in Italia da Sinnos. Lettura sfiziosissima per bambini 4-5 anni accompagnati da un grande o per bambini di prima elementare che iniziano a leggere da soli, la storia di Rolando Lelefante presenta testi minimi, curati e ben leggibili (stampa in maiuscolo, font ad alta leggibilità, forte contrasto con la carta color crema, massimo una frase o due per pagina), puntualmente accompagnati da illustrazioni ironiche e delicate, realizzate a matita e con pochi tratti di colore.

Questo passo a due leggiadrissimo tra parole e figure regala alle pagine una pulizia che rassicura e un ritmo che incalza, accompagnando nell’avventura di leggere anche il lettore con dislessia o difficoltà di decodifica del testo, valorizzandone a pieno la preziosa capacità di muoversi tra le immagini.

Nella stessa serie si trova già anche il secondo volume intitolato Rolando Lelefante legge.

Giacomo di Cristallo e altre storie

Tutti gli usi della parola a tutti, scriveva Rodari, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo. A cent’anni dalla nascita dello scritto di Omegna la casa editrice la meridiana trova un ottimo modo per omaggiare questo credo ancora attualissimo dell’autore: proporre una versione di alcune delle sue fiabe con i simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa.

Terzo titolo della collana Parimenti, Giacomo di cristallo e altre storie declina in maniera molto concreta l’importanza di allargare l’accesso alla parola anche a chi normalmente ne viene escluso, e non lo fa solo diversificando i linguaggi con cui il lettore può accedere al testo ma anche privilegiando la traduzione di racconti dalla forte valenza civile.

Quello di Giacomo di Cristallo, per esempio, che anche rinchiuso in prigione ispira i suoi concittadini con trasparenti pensieri di protesta contro le ingiustizie della dittatura. Quello de La casa di tre bottoni, che pur essendo piccina piccina riesce a ospitare 13 persone e un cavallo, perché fatta con il cuore. Quello de La principessa allegra che vede le persone e le loro storie come unica possibilità di capire e compatire davvero i drammi della guerra. Quello di Re Mida e il brigante Fifone in cui la rinuncia all’oro porta a ricchezze ben più preziose. E quello di Teresin che non cresceva a causa del dolore ma che l’amore riesce a far diventare grande e che per amor di giustizia diventa persino una gigantessa.

Le storie contenute nel volume sono cinque e sono di diversa lunghezza. Tutte condividono una spiccata attenzione ai valori della solidarietà, dell’amore e della giustizia: caratteristica questa che le rende ideali per innescare una riflessione individuale e condivisa sulla storia e sull’attualità a misura non solo di bambino ma anche e soprattutto di lettore con qualche anno in più. I sentimenti positivi e negativi, le ingiustizie e il loro riscatto, la dittatura e il buon governo, la ricchezza e la povertà, solo per fare qualche esempio, sono infatti affrontati da Rodari con grande schiettezza e ben si prestano a solleticare l’immaginario e il pensiero di giovani adulti. Ecco dunque che l’inserimento di queste storie apparentemente semplici all’interno della collana Parimenti, che si rivolge principalmente ai preadolescenti e agli adolescenti e il cui sottotitolo è non a caso “Proprio perché cresco”, appare tutt’altro che stonata.

Come per i precedenti titoli, anche qui il testo è oggetto di una rielaborazione mirata a rendere alcune frasi più lineari, a esplicitare alcuni elementi sottintesi o metaforici e a contestualizzare alcuni dettagli: tutti accorgimenti che non intaccano la freschezza del racconto e la sua indole profondamente schierata. La linearità e la semplicità narrativa che sono proprie di Rodari, d’altro canto, si prestano con naturalezza a un lavoro di semplificazione e simbolizzazione che consenta l’accesso al testo anche da parte di lettori con autismo o difficoltà di comunicazione. La ricchezza del testo, dal canto suo, viene mantenuta grazie all’utilizzo della collezione di simboli letterariamente più versatili – quella dei simboli WLS – e alla scelta di simbolizzare tutti gli elementi della frase (compresi per esempio pronomi, articoli, preposizioni) e di inserire i qualificatori di tempo e plurale.

Il risultato è un volume che sposa semplicità narrativa ed espositiva e complessità di pensiero: un’ottima miscela per giovani lettori esigenti e curiosi.

Giacomo di cristallo e altre storie è reso disponibile dalla casa editrice anche in formato ebook, con le medesime caratteristiche compositive della versione cartacea.

Sssh

Le storie si possono narrare in tanti modi, lo diciamo spesso. Anche con i rumori? Certo che sì! Sssh fa, infatti, esattamente questo: racconta la giornata di un piccolo protagonista attraverso i suoni che di situazione in situazione lo circondano.

Ogni doppia pagina fotografa un preciso momento della giornata in una particolare cornice – in casa, in classe, in piscina, per strada – dando spazio alle figure umane e agli oggetti più disparati che di volta in volta spiccano, emettendo un suono. Dal tostapane ai denti strofinati, dalle forbici al martello pneumatico: ogni cosa si fa sentire e partecipa alla sinfonia dell’ambiente. All’interno di quadri molto colorati e attenti alla vita vera dei bambini, come nello stile inconfondibile di Mariana Ruiz Johnson, risaltano dunque una serie di dettagli che si accompagnano ad eloquenti e riconoscibilissime onomatopee. Lì cade l’occhio e si attiva l’attenzione del lettore.

Ecco allora che il reperimento sulla pagina di una serie di elementi rumorosi non solo innesca un divertente e interessante meccanismo di associazione tra oggetto, azione e rumore, ma permette a un piccolo percorso narrativo di snodarsi attraverso i suoni evidenziati.  Soffermandosi su di essi e cogliendo i fili sottili che non di rado li collegano – il gatto che miagola sembra fuggire dall’aspirapolvere rombante, per esempio, o la risata che si sente nello spogliatoio della piscina si presume sia scatenata da una puzzetta – accade infatti che l’istantanea dipinta in ogni pagina si dilati e si animi secondo una logica tutt’altro che casuale.

C’è infatti una coerenza interna di base grazie alla quale il lettore non solo riconosce uno sviluppo temporale che si dipana attraverso le pagine ma può anche cogliere una serie di richiami tra di esse che danno sostanza alla narrazione. Elemento chiave, in questo senso, è la presenza fissa e ricorrente di un libro rappresentato accanto al protagonista. Dopo una giornata immerso nei suoni più variegati, infatti, questi trova nel finale un rifugio quieto tra le pagine del suo volume preferito: un luogo in cui il silenzio assume un ruolo del tutto ineffabile.

Vietato dunque ridurre Sssh a un comune libro di suoni che procede per semplice giustapposizione. Il volume rivela infatti un’orditura trasparente che lo rende molto più ricco e ne moltiplica le possibilità di lettura.  Nato da un progetto editoriale di Camelozampa, Sssh mette insieme due firme internazionali importanti: quella di Fred Paronuzzi e quella di Mariana Ruiz Johnson, dando vita a una proposta assolutamente originale e stuzzicante, oltre che dalle straordinarie potenzialità inclusive.

Sssh si presta infatti a una lettura ad alta voce irresistibile ed estremamente coinvolgente, anche nei confronti di quei bambini che per deficit cognitivi, comunicativi o di attenzione faticano a seguire un racconto complesso. Lo sviluppo di una narrazione basata su di una forma comunicativa basica ed efficacissima come quella onomatopeica, inoltre, permette di agganciare e stimolare, sia sul piano della comprensione che su quello della verbalizzazione, anche bambini con difficoltà più marcate. Da ultimo, la presenza di un numero di parole molto circoscritto e facilmente intuibile fa sì che anche una lettura individuale possa essere condotta con soddisfazione da chi non coltiva una relazione facile con il testo (o ancora non sa leggere). Una volta colto che le parole scritte rispondono a un preciso meccanismo – quello di restituire il suono emesso dalle figure ad esse associate – esse possono essere facilmente ricostruite e, anche laddove vengano sostituite da sinonimi o affini, l’effetto non cambia.

Il lavoro originale e difficilmente incasellabile di Fred Paronuzzi e Mariana Ruiz Johnson contiene dunque un vero e proprio tesoro di opportunità che difficilmente ci si aspetterebbe da un libro di onomatopee e che invece rivela tutta la sua ricchezza a chi gli presti occhio (e orecchio) attento. Parafrasando i Negrita, alla domanda che rumore fa la felicità? Probabilmente potremmo rispondere Sssh!

Amiche d’ombra – nuova edizione

Con la sua penna attenta e le sue figure inafferrabili, Arianna Papini sa come catturare il lettore. Quel suo tocco inconfondibile a cui ci ha abituati da tempo e che le è valso moltissimi premi, tra cui l’Andersen come miglior illustratrice nel 2018, lo ritroviamo senza eccezione anche in Amiche d’ombra, storia di un’amicizia che è insieme ordinaria e fuori dal comune.

Qui si racconta dell’incontro e del legame profondo che si instaura tra Arianna e Michela, nel caos spensierato, spaesato ed esplosivo delle scuole medie. In una quotidianità sincera e spiccia, fatta di compiti e concerti, piccole ribellioni e gite scolastiche, amori acerbi e confidenze, le due ragazzine riconoscono l’una nell’altra un’affinità che travalica due caratteri molto diversi – impulsiva ed esuberante la prima, riservata e silenziosa la seconda – e due modi differenti di approcciare il mondo. Michela, infatti, non vede ma la sua cecità si fa spazio nel racconto e nella vita dell’amica come un tassello sì insolito ma non intruso.

Arianna impara pian piano a entrare nel mondo senza vista dell’amica e a condurre quest’ultima attraverso il suo sguardo. Ma lo fa senza quasi accorgersene, con l’intimità spontanea che è tipica dell’infanzia. E proprio questo colpisce nello scorrere queste pagine: come la condivisione di esperienze, sensazioni, momenti e timori tra universi apparentemente non comunicanti trovi una sua naturale dimensione tra le faccende di ogni giorno.

Arianna Papini dà vita a tutto questo con una scrittura in cui ironia pungente e malinconia, frammenti di vita e flussi di coscienza, voci levate e pensieri sussurrati si mescolano senza soluzione di continuità. L’autrice segue, in particolare, il corso di un intero anno scolastico: periodo durante il quale l’amicizia tra Arianna e Michela si consolida. Lo fa attraverso la voce schietta di Arianna che lascia spazio a un ventaglio di sentimenti che riflette bene la complessità emotiva tipica della preadolescenza. Ad amplificare questo aspetto concorrono le splendide ed espressive illustrazioni realizzate dalla stessa autrice, che accompagnano con frequenza il racconto a parole. Sincero e profondo, il ritratto che Arianna Papini offre di una giovinezza e dei legami che la sostengono sa far specchiare i lettori del 2020, nonostante i  vent’anni pieni appena compiuti dal libro e resi qua e là evidenti da riferimenti volanti per esempio ai registratori di una volta e alle canzoni di Elton John.

Pubblicato per la prima volta nel 2000 da Fatatrac nella raffinata collana degli Ottagoni, Amiche d’ombra è ora riedito da Uovonero, che lo propone in un nuovo e leggermente più ampio formato, con una grafica differente e illustrazioni rinnovate. In questa nuova veste i singoli capitoli si esauriscono perlopiù in una doppia pagina e le figure occupano una facciata intera che ne valorizza l’intensità e il concorso emotivo alla narrazione. L’iniziativa è apprezzabilissima perché in un periodo storico di bulimica produzione editoriale fa sì che un racconto vivo e fuori dall’ordinario come questo non vada perduto o dimenticato. A gran voce gridiamo, insomma: bentornate, Amiche!

Giochiamo con le stagioni

Coltivare pratiche narrative e di lettura con bambini con una disabilità che ne condiziona fortemente l’attenzione e la comprensione può risultare faticoso e complesso, prima di tutto per i bambini stessi e in secondo luogo per chi di loro si occupa. Per questo la pubblicazione di materiali diversificati, anche se privi della forma standard di libro, costituisce spesso una buona notizia e apre delle possibilità altrimenti considerate precluse.

È il caso di Giochiamo con le stagioni edito da Puntidivista: un set composto da due leporelli in cartoncino sottile corredati da diverse figure in feltro che su di essi, a piacere, possono essere attaccate per creare scenari narrativi stimolanti

Ogni leporello è illustrato da entrambi i lati, ciascuno dei quali è dedicato a una diversa stagione. Aperti nella loro lunghezza, i leporelli mostrano uno sfondo che si ripete sempre identico negli elementi chiave – un orto, un trattore, una casa, due alberi e un cespuglio, un bambino, un laghetto e delle montagne in lontananza – ma si caratterizza per una serie di dettagli che evocano una specifica stagione – elementi climatici, colori e prodotti della natura, animali, indumenti e via dicendo. In questo modo si offre al bambino tutta una serie di punti di riferimento e di elementi di prevedibilità che risultano particolarmente apprezzabili da parte di bambini con autismo ma che più in generale possono essere molto efficaci  per un lavoro sulla ciclicità della natura con qualunque bambino in età prescolare .

Disseminati sullo sfondo sono poi presenti dei pezzetti di feltro che consentono di attaccare gli elementi mobili, rendendo così viva la scena e incentivando la creazione e/o la condivisione di piccole soluzioni narrative. Le fragole che crescono, che possono essere messe nel cestino e magari guastate a bordo del camper; il cavallo che galoppa nel recinto, lo salta e se ne va a rosicchiare le mele cadute dall’albero, il pupazzo di neve che viene prima costruito e poi vestito, per esempio, sono solo alcune delle semplici sequenze narrative che possono fare  leva sugli elementi di volta in volta attaccati sul foglio. Ogni scena può essere resa più o meno complessa e più o meno verosimile (se non è la verosimiglianza a interessarmi, posso decidere di attaccare le fragole sull’albero invernale o far finire una barca nell’orto) in base alle esigenze e ai desideri del bambino.

Giochiamo con le stagioni riprende in questo i punti di forza di altri prodotti interessanti della casa editrice Puntidivista, come i quiet book Oggi vado e Oggi divento. La trasformabilità delle pagine, il coinvolgimento attivo del lettore, la manipolabilità degli elementi e il gioco accorto tra ripetizione e cambiamento risultavano infatti particolarmente efficaci nei libri attivi in feltro e tali risultano anche qui, soprattutto nell’ottica di coinvolgere e sollecitare quei bambini che più di altri faticano a seguire o sviluppare un pensiero narrativo.

Versatile, maneggevole e stimolante, Giochiamo con le stagioni è a suo modo un libro-gioco che vale la pena conoscere e sperimentare perché nella sua semplicità offre numerose possibilità di utilizzo.

Cibo, ragazze e tutto quello che non posso avere

Se l’estate dei suoi 15 anni avessero detto a Andy che giusto qualche mese più tardi sarebbe diventato un campione popolare di football, circondato di amici e capace di chiedere a una ragazza di uscire, a stento avrebbe potuto crederci. Abituato a fare di tutto pur di non farsi notare – cosa piuttosto difficile visti i suoi 140 kg – e a mantenere un basso profilo per evitare prese in giro e bullismo, il protagonista del bel romanzo di Allen Zadoff si considera lontano anni luce dalla possibilità di cambiare il suo modo di guardarsi e di essere guardato. E invece qualcosa di inaspettato succede nella sua vita, scolastica e non. Complici il desiderio di far colpo su April e un posto vacante nel ruolo di centro nella squadra della scuola, Andy inizia ad allenarsi con O. e gli altri ragazzi del football, sperimentando la carica dello spirito di squadra, l’ebrezza della notorietà e il coraggio che può venire dalla loro combinazione E poco importa se una serie di incontri e opportunità apparentemente fuortuiti si rivelano essere precise mosse di un piano di cui Andy non è che una pedina. A lui spetterà comunque il guadagno più grande: la spinta necessaria a uscire dalla propria comfort zone, una maggiore capacità di ascoltarsi e una consapevolezza del tutto nuova di sé. Esattamente quello che gli serve per chiedersi chi davvero voglia essere e come possa diventarlo.

Straordinariamente vicino alle frequenze adolescenziali, Cibo, ragazze e tutto quello che non posso avere è un romanzo young adult che sa muoversi con grande naturalezza tra la leggerezza frivola di questa età e la pesantezza granitica dei cambiamenti che essa reca con sé.  Molto credibili nei pensieri e dei dialoghi, Andy e i personaggi che lo circondano – dai genitori in crisi, alla sorella con abitudini alimentari opposte alle sue, dall’amico storico con cui condivide le simulazioni ONU alla variegata gamma di compagni di scuola – danno vita a una storia tanto coinvolgente quanto capace di sedimentare. Scorrevole e ben ritmato, oltre che stampato con le caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono la produzione di Biancoenero, il romanzo di Allen Zadoff sembra cucito apposta per incentivare la lettura anche da parte dei ragazzi meno motivati o con difficoltà legate alla dislessia. Carta vincente, in questo senso, è l’invidiabile ironia che l’autore regala al suo protagonista, rendendolo immediatamente familiare e capace di restituire vissuti complessi senza cedere di un millimetro al vittimismo.

Tea. Perché devi lavorare? (I libri per tutti)

Tea è la protagonista di una collana di libri editi da Giunti Kids e rivolti a bambini in età prescolare. Attenta ai temi e alle domande che spesso animano la quotidianità dei bambini o il dialogo educativo che mette al centro questi ultimi, la collana cerca di trovare parole e risposte rassicuranti ma non banali. Dal canto suo la protagonista si muove animata da una curiosità mai sopita e da una mutisfaccettatura emotiva in cui il lettore può facilmente riconoscersi, supportato in questo anche da illustrazioni – anch’esse a firma di Silvia Serreli – semplici e ben marcate.

Con la nascita del progetto I libri per tutti, alcuni titoli della collana dedicata a Tea sono proposti dall’editore in collaborazione con Fondazione Paideia in una versione digitale e simbolizzata, che ne agevola la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà comunicative legate per esempio all’autismo.

Uno di questi titoli è Tea. Perché devi lavorare?. Qui troviamo la protagonista trepidante di fronte alla prospettiva di godersi al cinema il suo cartone preferito. Sapere che proprio quel giorno mamma e papà devono lavorare sarà una brutta scoperta per lei, dura da buttare giù. Difficile è per Tea capire come mai i genitori debbano trascorrere così tanto tempo in ufficio e che proprio da quel tempo dipende la possibilità di acquistare tutto ciò di cui la famiglia necessita. L’idea della mamma di farsi accompagnare dalla bimba sul luogo di lavoro sarà la mossa vincente per restituire al lavoro dei grandi una dimensione più comprensibile e per trasformarlo in uno stimolo creativo, un’occasione cioè per immaginare il futuro.

Leggermente asciugato rispetto alla versione originale, l’ebook inclusivo di Tea. E se non ci riesco? propone una storia lineare e abbordabile, nella forma come nel contenuto, che dà spazio a una delle domande che più frequentemente ronzano in testa ai bambini. L’idea che gli adulti non possano essere a disposizione h24 è infatti tutt’altro che scontata e trovare parole semplici per rendere assimilabile può essere utile per dare nuovo e meno incomprensibile significato al tempo in famiglia.

In chiusura l’ebook accessibile di Tea. E se non ci riesco? presenta tre attività ludiche che prevedono di scegliere alcuni simboli, tra quelli a disposizione, che indichino cose acquistabili con i soldi, così come spiegato a Tea dai genitori; di riconoscere all’interno di un’illustrazione l’emozione provata da Tea e indicare il simbolo che la indica correttamente tra quelli proposti; e di ricomporre un puzzle collocando i pezzi sparsi su di una base che riproduce un’illustrazione del libro.

I libri per tutti

I libri della serie di Tea proposti in questa nuova versione digitale e in simboli, rientrano nel progetto I libri per tutti, promosso da Fondazione Paideia in collaborazione con quattro grandi gruppi editoriali: Gems, Mondadori, Giunti e DeA Planeta libri.

I titoli che fanno parte del progetto, messi a disposizione dai rispettivi editori per l’adattamento e la simbolizzazione, vengono proposti in formato digitale: scelta questa che amplifica le possibilità di personalizzazione, cosa non da poco quando si parla di bisogni speciali di lettura. Allo stesso tempo questo nuovo formato incentiva l’interazione e il coinvolgimento e questo può costituire allo stesso modo un vantaggio o uno svantaggio a seconda del lettore che ci si trova davanti. La possibilità di compiere azioni sullo schermo – tappando i simboli che attivano così il modeling o toccando i punti sensibili delle illustrazioni che attivano così un movimento – può costituire infatti fonte di distrazione o al contrario motivo di aggancio al testo. In questo senso particolarmente significativi e versatili risultano quei titoli – come Brucoverde o I tre porcellini – che all’ebook uniscono anche il libro cartaceo, a sua volta adattato e simbolizzato.

La simbolizzazione dei testi, curata dall’équipe della Bottega Editoriale di Fondazione Paideia, prevede l’utilizzo della collezione WLS (Widgit Literacy Symbols) e non segue un modello particolarmente rigido di traduzione, optando piuttosto per la valutazione di soluzioni diverse – per esempio rispetto all’accorpamento di più elementi testuali all’interno di un  unico simbolo – a seconda dei casi. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra rispetto della complessità ed effettiva leggibilità del testo: equilibrio che può variare sensibilmente in base al tipo di testo e al target di riferimento.

Tutti gli ebook de I libri per tutti comprendono 3 sezioni, denominate ModelingLeggi e Gioca. La prima propone il testo in simboli nella parte bassa della pagina mentre in quella più alta colloca le illustrazioni, animabili in certi punti al semplice tocco o trascinamento. Il modeling dal canto suo può essere attivato in una duplice modalità: quella automatica, per cui l’audio scorre fluido e i simboli vengono evidenziati man mano che sono pronunciate le parole corrispondenti; e quella manuale, per cui l’audio si attiva solo nel momento in cui viene toccato il singolo simbolo. La seconda sezione propone una pagina divisa in maniera analoga ma qui il testo è esclusivamente alfabetico. L’audio può essere attivato o disattivato. Nel primo caso scorre in maniera automatica mentre simultaneamente vengono evidenziate le parole pronunciate. L’ultima sezione, infine, propone 3 attività ludico-didattiche che – seppur diverse nel contenuto da libro a libro – prevedono quasi sempre l’ordinamento o la scelta di simboli per completare una frase, l’ordinamento o la scelta di simboli e illustrazioni in base a specifiche istruzioni (trovare il colore giusto, ordinare per grandezza…), il completamento cromatico di un’immagine tramite passaggio del dito dello schermo.

Ogni ebook prevede in apertura una pagina essenziale che riassume e anticipa il significato delle icone che il lettore potrà trovarsi davanti durante la lettura e delle azioni che potrà compiere per districarsi tra le pagine. Tra queste, non manca per esempio il movimento per voltare pagina che prevede lo spostamento di un quadrato colorato all’interno di un quadrato bianco: azione studiata per risultare più agevole del più comune gesto di sfogliatura.

Personalizzazione la lettura, interazione, moltiplicazione degli spunti ludici e degli strumenti in un’ottica di accessibilità costituiscono in definitiva i veri punti di forza di questo progetto che ha senz’altro il merito di mettere in valore le specificità del digitale e di accendere un faro sulle possibilità aperte da quest’ultimo in favore dell’inclusione.

Tea. E se non ci riesco?

Tea è la protagonista di una collana di libri editi da Giunti Kids e rivolti a bambini in età prescolare. Attenta ai temi e alle domande che spesso animano la quotidianità dei bambini o il dialogo educativo che mette al centro questi ultimi, la collana cerca di trovare parole e risposte rassicuranti ma non banali. Dal canto suo la protagonista si muove animata da una curiosità mai sopita e da una mutisfaccettatura emotiva in cui il lettore può facilmente riconoscersi, supportato in questo anche da illustrazioni – anch’esse a firma di Silvia Serreli – semplici e ben marcate.

Con la nascita del progetto I libri per tutti, alcuni titoli della collana dedicata a Tea sono proposti dall’editore in collaborazione con Fondazione Paideia in una versione digitale e simbolizzata, che ne agevola la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà comunicative legate per esempio all’autismo.

Uno di questi titoli è Tea. E se non ci riesco?. Qui la protagonista si confronta con la vergogna di non saper fare qualcosa che i suoi compagni padroneggiano già (nuotare senza braccioli, nella fattispecie) e con la paura di non riuscire a imparare mai a farla. Come spesso accade nei libri della collana, è l’intervento oculato di adulti attenti ad aiutare Tea a superare i suoi timori. Grazie ai suggerimenti della mamma prima e della nonna poi, Tea scopre infatti che ci sono cose che, al contrario del nuoto, lei sa fare e i suoi compagni no (andare in bicicletta senza rotelle, fare le capriolo, recitare una poesia…) e che anche gli adulti, apparentemente infallibili, non sono sempre (stati) capaci di fare tutto.

Leggermente asciugato rispetto alla versione originale, l’ebook inclusivo di Tea. E se non ci riesco? propone una storia lineare e abbordabile, nella forma come nel contenuto, in cui facilmente il lettore potrà riconoscersi. La scelta di dare spazio alla peculiarità di ciascun bambino – mostrando come ogni amico di Tea abbia punti forti e punti deboli – si presta inoltre particolarmente bene a ricondurre il racconto all’esperienza specifica di ciascuno.

In chiusura l’ebook accessibile di Tea. E se non ci riesco? presenta tre attività ludiche che prevedono di ricomporre alcune frasi con i simboli a disposizione; selezionare tra una serie di simboli proposti, quelli che indicano attività che il lettore sa fare; e di colorare, muovendo il dito sullo schermo, un’illustrazione del volume

 

I libri per tutti

I libri della serie di Tea proposti in questa nuova versione digitale e in simboli, rientrano nel progetto I libri per tutti, promosso da Fondazione Paideia in collaborazione con quattro grandi gruppi editoriali: Gems, Mondadori, Giunti e DeA Planeta libri.

I titoli che fanno parte del progetto, messi a disposizione dai rispettivi editori per l’adattamento e la simbolizzazione, vengono proposti in formato digitale: scelta questa che amplifica le possibilità di personalizzazione, cosa non da poco quando si parla di bisogni speciali di lettura. Allo stesso tempo questo nuovo formato incentiva l’interazione e il coinvolgimento e questo può costituire allo stesso modo un vantaggio o uno svantaggio a seconda del lettore che ci si trova davanti. La possibilità di compiere azioni sullo schermo – tappando i simboli che attivano così il modeling o toccando i punti sensibili delle illustrazioni che attivano così un movimento – può costituire infatti fonte di distrazione o al contrario motivo di aggancio al testo. In questo senso particolarmente significativi e versatili risultano quei titoli – come Brucoverde o I tre porcellini – che all’ebook uniscono anche il libro cartaceo, a sua volta adattato e simbolizzato.

La simbolizzazione dei testi, curata dall’équipe della Bottega Editoriale di Fondazione Paideia, prevede l’utilizzo della collezione WLS (Widgit Literacy Symbols) e non segue un modello particolarmente rigido di traduzione, optando piuttosto per la valutazione di soluzioni diverse – per esempio rispetto all’accorpamento di più elementi testuali all’interno di un  unico simbolo – a seconda dei casi. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra rispetto della complessità ed effettiva leggibilità del testo: equilibrio che può variare sensibilmente in base al tipo di testo e al target di riferimento.

Tutti gli ebook de I libri per tutti comprendono 3 sezioni, denominate ModelingLeggi e Gioca. La prima propone il testo in simboli nella parte bassa della pagina mentre in quella più alta colloca le illustrazioni, animabili in certi punti al semplice tocco o trascinamento. Il modeling dal canto suo può essere attivato in una duplice modalità: quella automatica, per cui l’audio scorre fluido e i simboli vengono evidenziati man mano che sono pronunciate le parole corrispondenti; e quella manuale, per cui l’audio si attiva solo nel momento in cui viene toccato il singolo simbolo. La seconda sezione propone una pagina divisa in maniera analoga ma qui il testo è esclusivamente alfabetico. L’audio può essere attivato o disattivato. Nel primo caso scorre in maniera automatica mentre simultaneamente vengono evidenziate le parole pronunciate. L’ultima sezione, infine, propone 3 attività ludico-didattiche che – seppur diverse nel contenuto da libro a libro – prevedono quasi sempre l’ordinamento o la scelta di simboli per completare una frase, l’ordinamento o la scelta di simboli e illustrazioni in base a specifiche istruzioni (trovare il colore giusto, ordinare per grandezza…), il completamento cromatico di un’immagine tramite passaggio del dito dello schermo.

Ogni ebook prevede in apertura una pagina essenziale che riassume e anticipa il significato delle icone che il lettore potrà trovarsi davanti durante la lettura e delle azioni che potrà compiere per districarsi tra le pagine. Tra queste, non manca per esempio il movimento per voltare pagina che prevede lo spostamento di un quadrato colorato all’interno di un quadrato bianco: azione studiata per risultare più agevole del più comune gesto di sfogliatura.

Personalizzazione la lettura, interazione, moltiplicazione degli spunti ludici e degli strumenti in un’ottica di accessibilità costituiscono in definitiva i veri punti di forza di questo progetto che ha senz’altro il merito di mettere in valore le specificità del digitale e di accendere un faro sulle possibilità aperte da quest’ultimo in favore dell’inclusione.

Tea. Perché il buio è così nero? (I libri per tutti)

Tea è la protagonista di una collana di libri editi da Giunti Kids e rivolti a bambini in età prescolare. Attenta ai temi e alle domande che spesso animano la quotidianità dei bambini o il dialogo educativo che mette al centro questi ultimi, la collana cerca di trovare parole e risposte rassicuranti ma non banali. Dal canto suo la protagonista si muove animata da una curiosità mai sopita e da una mutisfaccettatura emotiva in cui il lettore può facilmente riconoscersi, supportato in questo anche da illustrazioni – anch’esse a firma di Silvia Serreli –  semplici e ben marcate.

Con la nascita del progetto I libri per tutti, alcuni titoli della collana dedicata a Tea sono proposti dall’editore in collaborazione con Fondazione Paideia in una versione digitale e simbolizzata, che ne agevola la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà comunicative legate per esempio all’autismo.

Uno di questi titoli è Tea. Perché il buio è così nero?. Qui la protagonista è alle prese con una paura che accomuna tutti i bambini: quella dell’oscurità. Al suo fianco c’è però uno zio fuori dal comune che trova il modo di rendere il buio meno ostile. Portando Tea ad ammirare la luna, le stelle e i fuochi d’artificio, lo zio Andrea mostra infatti alla bambina i molti regali che il buio è solito farci: piccole magie da assaporare, proprio come quella di chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno in tutta serenità.

Leggermente asciugato rispetto alla versione originale già di per sè abbastanza semplice, l’ebook inclusivo di Tea. Perché il buio è così nero? propone una storia lineare e abbordabile, nella forma come nel contenuto. L’attenzione rivolta alle emozioni più familiari ai giovanissimi lettori (come la paura, certo, ma come anche lo stupore) e lo stratagemma ingegnoso ma molto a misura di bambino escogitato dallo zio Andrea per mettere in luce il lato più amichevole dell’oscurità, rende il racconto molto concreto pur sfiorando un tema impalpabile, come quello delle emozioni.

Così come il testo, anche i giochi proposti dall’ebook accessibile di Tea. Perché il buio è così nero? sono studiati per risultare fruibili e accattivanti per un pubblico di piccolissimi. Viene loro proposto, nella fattispecie, di indicare il colore giusto di alcuni oggetti che compaiono nel racconto (il buio, la luce, i fuochi d’artificio…), tappando il simbolo corrispondente; di far animare su una tavola scura le diverse magie del buio; e di colorare, muovendo il dito sullo schermo, un’illustrazione del volume.

 

I libri per tutti

I libri della serie di Tea proposti in questa nuova versione digitale e in simboli, rientrano nel progetto I libri per tutti, promosso da Fondazione Paideia in collaborazione con quattro grandi gruppi editoriali: Gems, Mondadori, Giunti e DeA Planeta libri.

I titoli che fanno parte del progetto, messi a disposizione dai rispettivi editori per l’adattamento e la simbolizzazione, vengono proposti in formato digitale: scelta questa che amplifica le possibilità di personalizzazione, cosa non da poco quando si parla di bisogni speciali di lettura. Allo stesso tempo questo nuovo formato incentiva l’interazione e il coinvolgimento e questo può costituire allo stesso modo un vantaggio o uno svantaggio a seconda del lettore che ci si trova davanti. La possibilità di compiere azioni sullo schermo – tappando i simboli che attivano così il modeling o toccando i punti sensibili delle illustrazioni che attivano così un movimento – può costituire infatti fonte di distrazione o al contrario motivo di aggancio al testo. In questo senso particolarmente significativi e versatili risultano quei titoli – come Brucoverde o I tre porcellini – che all’ebook uniscono anche il libro cartaceo, a sua volta adattato e simbolizzato.

La simbolizzazione dei testi, curata dall’équipe della Bottega Editoriale di Fondazione Paideia, prevede l’utilizzo della collezione WLS (Widgit Literacy Symbols) e non segue un modello particolarmente rigido di traduzione, optando piuttosto per la valutazione di soluzioni diverse – per esempio rispetto all’accorpamento di più elementi testuali all’interno di un  unico simbolo – a seconda dei casi. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra rispetto della complessità ed effettiva leggibilità del testo: equilibrio che può variare sensibilmente in base al tipo di testo e al target di riferimento.

Tutti gli ebook de I libri per tutti comprendono 3 sezioni, denominate ModelingLeggi e Gioca. La prima propone il testo in simboli nella parte bassa della pagina mentre in quella più alta colloca le illustrazioni, animabili in certi punti al semplice tocco o trascinamento. Il modeling dal canto suo può essere attivato in una duplice modalità: quella automatica, per cui l’audio scorre fluido e i simboli vengono evidenziati man mano che sono pronunciate le parole corrispondenti; e quella manuale, per cui l’audio si attiva solo nel momento in cui viene toccato il singolo simbolo. La seconda sezione propone una pagina divisa in maniera analoga ma qui il testo è esclusivamente alfabetico. L’audio può essere attivato o disattivato. Nel primo caso scorre in maniera automatica mentre simultaneamente vengono evidenziate le parole pronunciate. L’ultima sezione, infine, propone 3 attività ludico-didattiche che – seppur diverse nel contenuto da libro a libro – prevedono quasi sempre l’ordinamento o la scelta di simboli per completare una frase, l’ordinamento o la scelta di simboli e illustrazioni in base a specifiche istruzioni (trovare il colore giusto, ordinare per grandezza…), il completamento cromatico di un’immagine tramite passaggio del dito dello schermo.

Ogni ebook prevede in apertura una pagina essenziale che riassume e anticipa il significato delle icone che il lettore potrà trovarsi davanti durante la lettura e delle azioni che potrà compiere per districarsi tra le pagine. Tra queste, non manca per esempio il movimento per voltare pagina che prevede lo spostamento di un quadrato colorato all’interno di un quadrato bianco: azione studiata per risultare più agevole del più comune gesto di sfogliatura.

Personalizzazione la lettura, interazione, moltiplicazione degli spunti ludici e degli strumenti in un’ottica di accessibilità costituiscono in definitiva i veri punti di forza di questo progetto che ha senz’altro il merito di mettere in valore le specificità del digitale e di accendere un faro sulle possibilità aperte da quest’ultimo in favore dell’inclusione.

Madelief. I grandi, buoni giusto per farci il minestrone

Avevamo lasciato la vulcanica Madelief, al termine del volume Madelief. Lanciare le bambole, in procinto di salutare la sua casa e i suoi amici e di traslocare in un’altra città con la mamma. E proprio in questa nuova città la ritroviamo ora, all’inizio del secondo volume che la vede protagonista, intitolato Madelief. I grandi, buoni giusto per farci il minestrone.

Senza i suoi compagni storici di giochi – Roos e Jan-Willem – e nel pieno della chiusura della scuola, Madelief rimugina sull’ingiustizia di quel trasferimento e si guarda intorno alla ricerca di qualche appiglio che restituisca alle sue giornate vuote una parvenza di normalità. Impegnata più del solito nel suo lavoro, la mamma di Madelief è particolarmente assente e, nonostante sia affidata per alcune ore al giorno a una giovane tata di nome Mieke, la bambina lamenta con insistenza questa assenza ai suoi occhi ingiustificata.   Animata da un sentimento di incomprensione e di insofferenza verso il mondo degli adulti, così ottusi e noiosi, Madelief allarga il raggio delle sue esplorazioni e si spinge fino a una casa abbandonata: un rifugio misterioso, un luogo perfetto per starsene in pace e coltivare una nuova amicizia con un bambino da poco conosciuto di nome Robbie. Con lui Madelief condivide segreti, scorribande e sentimenti contrastanti: piccoli avvenimenti ordinari che, grazie al talento inestimabile di Guus Kujer, dipanano un fluire narrativo che sembra di poter toccare e vivere da dentro.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità, proprio come l’episodio precedente, Madelief.  I grandi, buoni giusto per farci il minestrone si caratterizza però per una struttura leggermente differente. Mentre nel primo volume, infatti, ogni capitolo proponeva un’avventura quasi a sé stante, qui i capitoli risultano più legati tra loro a formare un’unica vicenda. Rimane invariata, tuttavia, la loro brevità che ne agevola l’approccio anche da parte di bambini che percepiscono il testo scritto come un possibile ostacolo con cui cimentarsi.

 

 

 

 

 

 

Susi taglia tutto

Susi, Susi, inarrestabile Susi! Dopo aver sbaragliato la concorrenza nella piscina dei grandi (Susi in piscina) e dato prova della sua vena artistica con tele d’autore (Susi disegna), la bambina dal caschetto color carota creata da Jaap Robben e Benjamin Leroy torna alla carica con un’altra avventura al profumo di guai. Evidentemente a corto di idee di svago, dopo aver usato e strapazzato tutti i giocattoli della stanza, Susi sente una vocina chiamarla dal cassetto: è una forbicina desiderosa di uscire e saziare il suo appetito. Pronti, via: Susi non aspettava altro per scatenarsi in una caccia alle cose da tagliuzzare. E non c’è tenda, capello o cactus che tenga: tutto cade sotto le grinfie di Susi e le lame della forbicina, in un crescendo di ciac ciac ciac che non risparmiano nemmeno i pantaloni del signor Fosco o, infine, il dito della stessa Susi. A quel punto il gioco giunge a una repentina fine. Poco male, l’indomani il cassetto fornirà senz’altro qualche nuovo strumento con cui sollazzarsi…

Le scorribande della piccola Susi fanno parte della collana leggimi di Sinnos e come tale si avvalgono di caratteristiche di stampa ad alta leggibilità che concernono il font (leggimiprima), la spaziatura (maggiore tra lettere, parole e righe), la sillabazione e la giustificazione (assenti): caratteristiche che agevolano la lettura anche in caso di dislessia. Il carattere maiuscolo, le poche righe per pagina, le illustrazioni ampie e ricche di dettagli spassosi e la storia leggera costituiscono dal canto loro un ulteriore e fondamentale incentivo nei confronti di lettori alle prime armi e con difficoltà di approccio al testo.

A fare la differenza poi, nel creare una dinamica narrativa solleticante, è la sintonia perfetta che si crea tra le parole di Jaap Robben e le figure di Benjamin Leroy. Poche e ironiche, le prime diventano infatti esilaranti proprio quando messe in relazione alle seconde che tanto svelano del non detto, arricchendolo di sfumature divertenti. Come quando il lettore scorge in un angolo un pupazzo infilzato con una spada giocattolo e coglie il pieno senso di quell’ ”Orsetto ha mal di pancia e non vuole più giocare”. Il risultato è una lettura che fa leva forse più sulle immagini che sul testo, chiedendo di soffermarsi sui dettagli illustrati a lungo e mettendo così a proprio agio anche quei lettori che, pur inciampando nelle parole, di storie e narrazione hanno grande fame e desiderio.

Dwa trzy cztery cyfry i numery (Polonia)

Widnokrag è il  nome di una casa editrice polacca che propone a catalogo un’interessante collana di volumi cartonati e privi di parole che ben si prestano a incentivare la verbalizzazione e il dialogo oltre che la familiarizzazione dei bambini, soprattutto con difficoltà di astrazione,  con concetti non immediati come i numeri.

A questi ultimi, in particolare, è dedicato il volume intitolato Dwa trzy cztery cyfry i numery, letteralmente  “Due tre quattro cifre e numeri”. Qui troviamo una sequenza di pagine illustrate contraddistinte da uno stile dinamico, da colori vivaci e da figure essenziali che fotografano situazioni variegate – dalla passeggiata per strada alla festa di compleanno, dal rifornimento di benzina alla visita dal dottore – all’interno di ciascuna delle quali vengono contestualizzati alcuni elementi numerici. Così, per esempio, ritroviamo le cifre in forma di numeri civici, targhe automobilistiche, cartelli stradali, prezzi, pulsanti d’ascensore, addobbi festivi, linee di autobus o strumenti medici, perfettamente inseriti dentro scene indipendenti le une dalle altre ma capaci di condensare e far immaginare microstorie.

Oltre a risultare particolarmente accessibile per l’assenza di parole e per la struttura a quadri sciolti che non implica una narrazione complessa, Dwa trzy cztery cyfry i numery appare interessante per l’ingegnosa scelta di trasformare, attraverso le immagini, dei concetti potenzialmente distanti e inafferrabili in elementi dotati di concretezza, in quanto calati in una precisa e nota quotidianità. In questo senso il volume di Joanna Bartosik riesce a unire con leggerezza e appeal grafico il piacere di lettura e invenzione a una possibilità di apprendimento particolarmente significativa anche per bambini e ragazzi a sviluppo atipico.

Como eu vou (Brasile)

È un libro molto semplice, Como eu vou, ma è nel suo piccolo un libro rivoluzionario. Progettato da un’équipe multidisciplinare facente capo all’Universidade Federal do Rio Grande do Sul (Brasile), il volume mette infatti in campo un tentativo di ampliamento di pubblico difficilmente reperibile altrove. Tra le sue pagine convivono in particolare codici diversi, capaci di rispondere ai bisogni di bambini con disabilità visiva, uditiva e comunicativa, oltre che bambini privi di difficoltà specifiche di lettura.

Così, nel proporre una carrellata di mezzi di trasporto, ciascuno particolarmente adatto a muoversi in un determinato ambiente, il libro unisce testo a grandi caratteri, illustrazioni tattili in compensato e simboli ARASAAC. Esso aggiunge inoltre, su separato supporto, la possibilità di fruire dell’audiodescrizione, del testo in Braille o di quello in LSP (lengua de señas portugues).

Libri come questo sono senz’altro complessi da realizzare (e per questo più unici che rari) per molteplici ragioni, non ultime quelle pratiche legate ai costi delle differenti competenze implicate e alla necessità di condensare in una sola pagina più testi e illustrazioni che rispondono a esigenze di lettura anche molto diverse tra loro. Ma proprio questa loro complessità invita a riflessioni non trascurabili poiché rende evidente da un lato quanto siamo ancora distanti dall’idea di un libro davvero “per tutti” e sottolinea dall’altro quanto l’apertura nei confronti della diversità, nelle sue molteplici forme, possa manifestarsi innanzitutto nella disponibilità a stare con essa, a condividere, cioè, uno spazio fisico e simbolico come può essere quello di una pagina.

Maggiori informazioni sul libro e sul progetto che gli ha dato vita si possono trovare sul sito: https://www.ufrgs.br/multi/.

Petit Penguin est dans la lune (Francia)

Routine e incombenze di ogni giorno portano via una sacco di tempo prezioso alla quotidianità più piacevole e affettuosa di una famiglia e così mamme e papà – umani o pinguini che siano – si trovano frequentemente a sollecitare i loro cuccioli affinché si sbrighino ad alzarsi, far colazione, lavarsi o correre a scuola, dando luogo a un carico emotivo che può essere difficile gestire per i piccoli. Così accade a Petit Pengouin che, strigliato e rincorso, si ritrova spesso in lacrime e finisce per pensare che i suoi genitori non gli vogliano più bene. Ma è davvero così? La rivelazione di mamma e papà porterà una nuova inattesa luce sui frequenti rimbrotti.

Contraddistinto da illustrazioni tenere in cui il piccolo lettore può facilmente immedesimarsi e da un racconto lineare e piacevolmente ricorsivo, Petit Pingouin est dans la lune racconta una storia di emozioni quotidiane attraverso il testo alfabetico e una sua particolare conversione in LSF (Langue des Signes Française), chiamata Français signé (francese segnato) in cui i segni si modulano sulla sintassi del francese scritto. Quella proposta dal volume non è dunque una vera e propria traduzione in Lingua dei Segni, rispettosa delle peculiarità sintattiche e compositive di quest’ultima, quanto piuttosto un adattamento che favorisce un primo avvicinamento (tanto per i bambini sordi quanto per i loro compagni) alla comunicazione propria di una parte della comunità non udente.

Se la conversione non è dunque (consapevolmente) rigorosa, la rappresentazione grafica dei segni è davvero molto precisa e capace di indicare in maniera piuttosto chiara i movimenti che occorre riprodurre, anche quando è prevista una sequenza complessa. L‘invito a cimentarsi con una narrazione gestuale  – per chi la conosce, così come per chi ne è totalmente digiuno – si fa così particolarmente irresistibile e accessibile. Il libro si presenta in definitiva come un supporto prezioso non tanto per consentire di godere direttamente della storia in LFS quanto per familiarizzare con quest’ultima modalità comunicativa, grazie anche alla chiara descrizione dei diversi segni che si trova in chiusura del volume.

Favole di pace

Qualche decina di anni sulle spalle ma uno spirito bambino inscalfibile: così le Favole di pace scritte dal maestro Mario Lodi continuano a mantenere una freschezza che le fa gustare con autentico piacere. Ispirate dagli stessi bambini che di Mario Lodi erano allievi e insieme a loro composte, così come accaduto per il forse più celebre Cipì, le Favole di pace sono 14 racconti brevi, perlopiù in prosa ma qualcuno anche in versi, che gettano uno sguardo fantastico ma anche molto lucido sulle storture del mondo che l’uomo crede a torto di possedere e sugli esiti luminosi che una cultura della solidarietà, del rispetto e della pace potrebbe invece portare con sé.

Macchine che permettono lo scambio dei pensieri, intere classi di bambini in volo al motto di “basta volerlo”, prati che custodiscono segreti musicali, isole sospese in cui ritrovare i propri cari perduti, bambini capaci di entrare nel televisore: i personaggi e le cornici messe in scena da Mario Lodi sono i più variegati e dinamici. Ad accomunarli, il ruolo decisivo che bambini e animali hanno nel rimettere in sesto un mondo  sottosopra. E così, intorno alla penna lievissima ma pungente dell’autore crescono foreste rigogliose e invenzioni straordinarie, scoperte sensazionali e ribellioni salvifiche che trasformano uno sguardo disinteressato e curioso come quello infantile in un’occasione di riscatto per il pianeta intero.

Pubblicate in precedenza da la meridiana, le Favole di pace vengono ora riproposte dalle Edizioni Terra Santa in una deliziosa versione illustrata da Desideria Guicciardini. Impreziosita e irrobustita da una copertina rigida così come gli altri titoli della bella collana Gli Aquiloni, il volume presenta un’impaginazione tutt’altro che claustrofobica che grazie a una spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, alla sbandieratura a destra del testo e all’adozione di un font ad alta leggibilità (Easyreading) si presenta amichevole e invitante anche agli occhi di lettori riluttanti o meno a loro agio di fronte a un libro, per ragioni di abitudine o di difficoltà di lettura. L’invito d’altro canto non è ingannevole: i testi di Mario Lodi sono infatti godibilissimi, con guizzi fantastici che accendono l’immaginazione e tocchi ironici che schiudono sorrisi. Le figure di Desideria Guicciardini  che li affiancano passo passo, minuti nei centimetri occupati e nei dettagli colti, spargono dal canto loro una vivace allegria sulla pagina, cogliendo con finezza la leggerezza pensosa del maestro di Vho.

Tipi

Il 2020, anno rodariano per eccellenza, è appena iniziato ma le proposte editoriali che celebrano lo scrittore di Omegna hanno già iniziato a moltiplicarsi, in un tripudio di bollini e fascette che ne marcano gli intenti. E tuttavia è nel 2019 e senza tanto frastuono che ha visto la luce un libro delizioso che tra i suoi tanti meriti ha quello di apparire, nell’essenza più che nell’aspetto, un bellissimo e ficcante omaggio a Rodari e alla sua poetica. Si tratta di Tipi scritto da Cristina Bellemo e illustrato da Gioia Marchegiani: un libro-catalogo che, nutrito di feconde invenzioni linguistiche e narrative, trasforma la descrizione di diverse tipologie di individui in occasioni per dar forma a micro-storie gustose e profonde.

Qui, in una sorta di mappa catastale human edition, ci muoviamo tra i piani del Condominio Giardini, periferia sud di un’indefinita città, alla scoperta dei diversi tipi che lo popolano. A guidarci è Luce, giovane inquilina del quarto piano che brilla (nomen omen!) per curiosità e acutezza di sguardo. Di ogni tipo che abita sopra o sotto di lei, la bambina riporta infatti le caratteristiche, le abitudini, gli aneddoti più insoliti: tratti che concorrono a dare vita a piccoli racconti sospesi tra il reale (difficile non riconoscere sé stessi o i propri conoscenti in alcuni dei ritratti offerti) e il surreale. Grazie alle accurate annotazioni che Luce riporta sui suoi taccuini, incontriamo, o per meglio dire sbirciamo dall’uscio, tipi di ogni genere: sicuri di sé come il tipo che ha tutte le risposte e pieni di interrogativi come quello che ha tutte le domande, sfuggenti come il tipo sempre assente o brontoloni come il tipo delle proteste, premurosi come il tipo che aggiusta le cose non ancora rotte o ricchi sfondati come il tipo che  compra tutto.

Nel censimento narrativo del Condominio Giardini si trova insomma uno straordinario catalogo di personaggi da cui scaturiscono racconti che paion fatti per far germogliare nuove idee narrative. Come non inventare un ipotetico dialogo con la signora Celestina, che capisce una cosa per un’altra e per questo finisce per perdersi un marito? O come non prolungare l’elenco di cose da cui la signora Savia, che ha paura di ciò che cade, si tiene alla larga? O, ancora, come non immaginare nuove storie a partire dai campanelli di un condominio qualunque, sulla scia della signora Lucia? Dal tipo che collezione barattoli di vento a quello che coltiva parole aromatiche, dal tipo che ha tantissime scarpe ma non va nessuna parte a quello con quattro pensieri, Cristina Bellemo dà vita a una carrellata di personaggi che stuzzica, diverte e fa riflettere. Lo fa con un gusto sapiente per i giochi di parole, per le liste, per le ipotesi fantastiche e per gli errori creativi, che pare proprio un bellissimo e silenzioso omaggio a quell’arte di inventare storie a cui tutti siamo debitori.

Ad arricchire poi il racconto, sottolineando quanto i dettagli possano dirci sul tutto, intervengono le illustrazioni di Gioia Marchegiani, tutte giocate sui toni del salvia e del beige e intrecciate strettamente ai testi, proprio come figurassero su autentici taccuini. L’effetto d’insieme è efficacissimo e intrigante: autrice e illustratrice paiono una coppia fatta per danzare insieme. Una pacatezza gentile, infatti, e una quieta predisposizione a guardare le cose quotidiane con occhio accorto accomuna parole e figure, dando forma a una chicca editoriale da rileggere più volte senza il rischio di stufarsi, da prendere e riprendere in mano, da cui lasciarsi avvolgere e ispirare.

Tipi costituisce in definitiva un placido invito a riconsiderare con una certa relatività l’idea di stramberia e unicità, poiché ciascuno a suo modo non vi sfugge, a cogliere il potere narrativo sopito nell’ordinario e a riconoscere il valore delle etichette solo quando non mirano a incasellare e definire le persone a cui si applicano ma, al contrario, a incentivarne la conoscenza. Tipi ci aiuta, insomma, a ricordare che le persone sono prima di tutto storie e che foss’anche solo per questo meritano di essere scoperte e ascoltate.

Curioso, infine, è il fatto che proprio un volume dedicato ai tipi umani, si caratterizzi per un altro genere di tipo: quello inerente alla stampa. Tipi è infatti pubblicato con caratteristiche di alta leggibilità, ossia con font EasyReading, spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra. Al rendere il volume più fruibile anche in caso di dislessia concorrono inoltre la costruzione stessa del libro, che risulta come composto da tante micro-storie godibili non solo nell’insieme ma anche nella loro individualità e come tali capaci di soddisfare anche una lettura più dilatata o frammentata nel tempo, e la scelta di una carta color crema, che oltre ad affaticare meno la vista, predispone una cornice dal sapore antico a testi e immagini dalla preziosa cura artigianale.

Il giornalino di Gianburrasca

Continua l’affascinante viaggio di Locomoctavia attraverso i classici della letteratura per ragazzi, riproposti in una versione estremamente curata che al rispetto dei testi – sempre offerti in versione integrale e/o in traduzione di pregio – sposa una ricerca musicale mai scontata e sempre calzante.

Così è stato per i primi titoli come Alice nel Paese delle Meraviglie e Pinocchio, e così non manca di essere anche per  il più recente Il Giornalino di Gianburrasca. Fedelissimo nello spirito all’indole indomita di Giannino Stoppani, novenne votato alla monelleria come pochi altri, l’audiolibro restituisce con gusto e perizia i guizzi, le imprese, i guai e i pensieri scarmigliati del protagonista. Lo fa soprattutto attraverso un’interpretazione movimentata, quale quella offerta da Daniele Fior, e da un accompagnamento incalzante quale quello di Tommaso Rolando al contrabbasso. Entrambe sottolineano, infatti, l’irrequietezza del racconto, la gioia delle marachelle, il loro effetto a sorpresa e l’immancabile senso di ingiustizia della sopraggiunta punizione.

Il rispetto del testo originale, oltre a garantire l’incontro del lettore con una straordinaria varietà di personaggi e invenzioni narrative, gustose pur nei loro 110 anni e più, offre un vantaggio interessante anche in un’ottica di accessibilità, peraltro già notevole dato il tipo di supporto scelto. La funzionale divisione in capitoli corrispondenti ai giorni del diario, così come previsto dal testo a stampa di Vamba, mette infatti il lettore di fronte a un numero cospicuo di tracce audio dalla durata circoscritta, cosa che ne agevola la fruizione e il godimento, anche laddove l’attenzione fatichi a essere mantenuta a lungo sul racconto.

 

Il Giornalino di Gianburrasca , così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è fruibile anche tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

La voce

Da qualche giorno la mamma di Tobia non è a casa perché ricoverata in ospedale. Tobia resta con il papà, poco pratico in cucina ma molto affettuoso e amorevole. Nonostante le sue coccole e gli strappi alla regola del dormire da soli, l’assenza della mamma si fa sentire forte per Tobia. Ogni sera la stanza del bambino pare trasformarsi in una caverna popolata da mostri e una voce misteriosa lancia messaggi spaventosi. Non sarà facile, dunque, per Tobia affrontare il buio e le sue creature più terrificanti. Le cure comprensive del papà, i racconti sollevanti della nonna e, infine, il ritorno a casa della mamma lo aiuteranno tuttavia a fare pian piano i conti con i suoi timori e a ritrovare una serenità che pareva smarrita.

La voce, scritto da Luisa Carretti, è tratto da una raccolta precedentemente pubblicata per gli stessi tipi di Storie Cucite. Nato per affrontare con i più piccoli il tema della paura, il racconto viene qui reso in simboli così da poter raggiungere un più ampio bacino di lettori, compresi quelli che beneficiano di una narrazione supportata visivamente. Come da modello inbook, il testo viene integralmente simbolizzato, il che concorre a rendere la lettura in simboli molto ricca ma anche la pagina piuttosto affollata. Accompagnato da illustrazioni a matita molto delicate e rassicuranti, La voce si presta a una lettura condivisa con bambini la cui dimestichezza con i simboli WLS e con racconti di un certo corpo sia già consolidata.

La mia casa è uno zoo

Che La mia casa è uno zoo sia un libro insolito lo si intuisce dalla copertina: non solo per via del fatto che vi spiccano un leone con occhiali a stella e una banda musicale a penne e zampe, ma anche perché i crediti vengono riportati al contrario rispetto alla consuetudine. Pieter Gaudesaboos, illustratore, figura come autore principale, mentre si specifica che il testo è di Sylvia Vanden Heede. Il perché di questa scelta diviene chiaro una volta aperto il volume: il racconto che segue la giornata di Carlotta, una bambina frizzante che vive proprio al centro dello zoo, passa in qualche modo in secondo piano rispetto alle figure caleidoscopiche dell’artista olandese, autentico catalizzatore di attenzione sulla pagina.

Ogni illustrazione vede interagire, così come in effetti confermato e dettagliato dal racconto a parole, la piccola Carlotta e alcuni abitanti dello zoo, all’interno di istantanee strabordanti di dettagli narrativi stuzzicanti tra i quali letteralmente perdersi. L’invito ad aggirarsi con occhio stupito e spalancato tra particolari curiosi e suggestivi, viene poi rafforzato dalle domande intriganti – 3 per ogni pagina – che trasformano la lettura in un vero e proprio gioco. Così il racconto dell’originale giornata di Carlotta tra colazioni insieme alla giraffa, pittura nell’atelier dei pinguini, gelati di messer Orso e letture serali con la più variegata compagnia – diventa lo spunto per un cerca-trova raffinatissimo che prende spesso le mosse da indovinelli misteriosi.

Il libro non si limita infatti a sfidare a trovare un certo oggetto o personaggio, ma lascia al lettore il gusto di intuire che cosa vada cercato. Quesiti come Chi è il più vanitoso?, per esempio, o Qualcuno ha paura che possa piovere oggi… invitano, infatti, ad affinare l’ingegno, facendo ipotesi tutte da verificare al confronto con la pagina illustrata.

Il risultato è un libro in cui immergersi a lungo, nel quale la lettura è sostenuta non solo da una stampa del racconto ad alta leggibilità ma anche da una dinamica ludica sfiziosa e capace di valorizzare al meglio la ricchezza narrativa sottesa alle tavole.

Solo una storia e poi a letto!

Mettetevi comodi e datevi un contegno: la lettura, in solitaria o condivisa, di Solo una storia e poi a letto! richiede infatti grande aplomb e rodato autocontrollo. Perché il libro scritto da Marion Gandon e illustrato da Laurent Simon non è solo piacevole o divertente, ma fa proprio ridere. Ridere a crepapelle.

Protagoniste sono quattro bambine scatenate, presumibilmente cugine, che mettono alle strette la malcapitata adulta, tale Marianna, che della loro messa a letto è incaricata. Di fronte alle loro insistenti richieste di ascoltare una storia, Marianna cede una, due, tre volte, dando forma a tre mini-storie gustosissime, prima di crollare addormentata prima delle piccole (quanto realismo in questo dettaglio!).

E proprio le piccole – la bionda Flavia, la mora Noemi, la rossa Carlotta e la rosa fluo Bianca – sono al centro delle micro-storie raccontate da Marianna: un concentrato di invenzioni surreali, imprevisti e trovate comiche che vede passeggiate in bicicletta divenire improbabili carovane di animali da fattoria; pantofole rosa causare disastri al profumo di fango e forti tempeste dare avvio a pigiama party fuori dagli schemi.

A rendere il tutto ancor più irresistibile, una scrittura minimale che presenta anche i fatti più assurdi come fossero normalissimi senza lasciar spazio a se e a ma, e illustrazioni buffe e frequenti che trasformano pochi tratti in un’autentica chiamata al sorriso.  Parole e illustrazioni fanno qui un gioco di squadra efficacissimo, andando a comporre ogni pagina di una o due vignette al massimo, ciascuna accompagnata da una frase breve e incisiva, stampata ad alta leggibilità con carattere maiuscolo leggimiprima. Tutto questo supporta con grande forza e grande intelligenza la lettura autonoma, anche da parte di bambini che presentano maggiori difficoltà di decodifica, senza dover necessariamente ricorrere a una proposta sciatta o semplificata. Anzi!

Ricapitolando: se siete bambini alle prese con le prime letture autonome troverete una pista in discesa verso grandi soddisfazioni; se siete bambini desiderosi di condividere un momento di lettura spassoso troverete un motivo incontestabile per rimandare la nanna. E se siete adulti dediti alle suddette letture serali, preparatevi a destreggiarvi tra una profonda vicinanza emotiva con la stremata Marianna e l’inconfessabile desiderio di unirvi al coro di “Ancora  una, un’altra, l’ultima, l’ultimissima, ti prego…”!

Un compleanno fantastrofico

Teresa vuole, fortissimamente vuole, una festa di compleanno per i suoi imminenti 9 anni. A casa sua le feste non sono però ben viste: troppo impegnative, troppo caotiche, troppo fuori moda, per la sua inconsueta famiglia. Ma Teresa quest’anno è disposta a tutto pur di avere una festa come Dio comanda e per ottenerla si chiude a chiave nella legnaia. Ottenuto con scarso entusiasmo il sì dei famigliari, per Teresa iniziano i preparativi: ha una settimana davanti per rendere tutto perfetto. Le aspettative della bambina sono infatti altissime poiché da quella festa dipende la possibilità per lei di farsi conoscere meglio e apprezzare dai suoi compagni. Considerata un po’ strana per il suo modo di vestire e per i suoi interessi, Teresa ha infatti un solo vero amico mentre viene tenuta in disparte da tutti gli altri bambini. Inaspettatamente, saranno proprio imprevisti e stramberie di famiglia, nel giorno speciale della sua festa, a rimettere le carte in gioco e dare nuove chances ad amicizie apparentemente impossibili.

Scritto con piglio vivace, con grande empatia e con il coraggio di non zuccherare in eccesso la storia narrata, Un compleanno fantastrofico è un libro piacevole e capace di mescolare sentimenti realissimi con un pizzico di eccentricità. Pubblicato all’interno della serie azzurra de Il Battello a vapore, il racconto di  Annalisa Strada presenta caratteristiche di alta leggibilità che lo rendono più facilmente fruibile anche in caso di dislessia.

 

Ada al contrario

Mangiare, bere, camminare, leggere e disegnare: non c’è azione quotidiana che Ada compia in maniera convenzionale. Fin da quando è nata e i suoi primi vagiti sono stati “èèèu, èèèu” in luogo di “uèèè, uèèè”, la bambina protagonista di quest’albo si è distinta per un modo di comportarsi del tutto inusuale. Non che la cosa la turbi, anzi: in quel suo fare le cose a modo suo Ada ritrova una forma di vitale libertà che è fonte preziosa di benessere. E ciononostante gli adulti che le sono cari – mamma e papà in primis – faticano a cogliere quel benessere, annebbiati dall’idea che tanta stramberia non vada proprio bene. Saranno necessari il consiglio di uno psicologo esperto e la scaltrezza di un’insegnante empatica per tranquillizzare i due genitori, così intimoriti da tanta esuberante diversità, e per permettere ad Ada di vivere con leggerezza la sua travolgente unicità.

Indomita, irresistibile e colma di energia, Ada è una paladina del diritto a essere sé stessi ma anche un simbolo di quell’infanzia che non di rado deve mostrare più cura e buonsenso degli adulti stessi. Ecco allora che il suo mondo ci appare al contrario non tanto o non solo perché fuori dagli schemi ma anche e soprattutto per questo rovesciamento di ruoli in cui la capacità di accogliere e assecondare modi diversi di stare al mondo viene coltivata e insegnata dai piccoli più che dai grandi.

Capace di evocare alcuni tratti caratteristici della Sindrome di Asperger, Ada al contrario è un libro che dice molto della disabilità senza nemmeno nominarla e che riesce in questa acrobazia tutt’altro che banale grazie a un uso sapiente dell’ironia – tanto nel testo quanto nelle illustrazioni – e grazie a un focus mirato sulle emozioni dei protagonisti invece che su presunte verità rispetto a ciò che la disabilità è o richiede. Così a emergere con forza dalle pagine di Ada al contrario sono soprattutto il senso di libertà che invade la protagonista quando sente di poter seguire la sua naturale indole, la difficoltà che la lega quando si sforza di aderire ad un modello che non le appartiene, o la sua soddisfazione nell’apprendere modalità di relazione nuove con i suoi cari. Al centro dell’obiettivo c’è dunque la questione della felicità – fragilissima e misteriosa, che tutti ma proprio tutti ci accomuna – e di come ciascuno abbia il diritto di coltivarla: a passo d’uomo, di lucertola o di granchio, sta a lui deciderlo.

Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio

Vampiri, streghe, scheletri e mummie: tutti costumi triti e ritriti per una festa di Halloween. Niente a che vedere con un costume da tavola imbandita alla maniera di un ristorante italiano: proprio quello che Hank intende indossare per la sfilata del 31 ottobre a scuola. E a nulla valgono i tentativi di dissuaderlo degli amici Frankie e Ashley: determinato, Hank porta in classe un costume decisamente originale ma soprattutto ingombrante che finisce per causargli inciampi e incastri. Per non parlare delle prese in giro, soprattutto da parte di Nick McKelty che non perde occasione per dar pessimo fiato alla bocca. E così, infuriato come di rado è stato prima, Hank si lascia ispirare dal saggio Papà Pete e costruisce una casa degli orrori da far venire la pelle d’oca a chiunque. L’obiettivo è dare una bella lezione a quel bullo di Nick. Oltre a questa soddisfazione, però, ciò che Hank guadagna dal suo spaventoso progetto è la consapevolezza che essere sé stessi può risultare davvero molto divertente e che si può essere un bambino fantastico indipendentemente da come si legge.

Con Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio, l’ingegnoso personaggio creato da Lin Oliver ed Henry Winkler raggiunge la sua avventura numero nove: un traguardo non da poco, soprattutto se si considera che la coppia di autori americani ha saputo mantenere lungo il tragitto una verve stilistica, una vena inventiva e una capacità di raccontare le difficoltà e le risorse dei bambini, soprattutto (ma non solo) legate alla dislessia, con apprezzabilissima levità. Anche qui, per esempio, non si nasconde l’ostico rapporto di Hank con la parola scritta, con le cose da ricordare o con l’immobilità nei momenti di stress, ma il suo amalgamarsi a una trama spassosa e coinvolgente ne restituisce l’importanza senza caricarlo di inutile (e dannosa) pesantezza.

Hotel Bonbien

Un albergo a conduzione familiare su una strada di passaggio nella Marna: questa è la casa di Siri, la giovane protagonista e narratrice del romanzo. Qui la bambina vive con la mamma, impetuosa addetta alla cucina, il papà, remissivo addetto ai conti e alle reception, e il fratello Gilles, adolescente aspirante filosofo e cultore dell’hard rock. Le cose non vanno proprio a gonfie vele all’Hotel Bonbien: gli affari non decollano, i soldi scarseggiano, gli arredi iniziano a risultare datati e, soprattutto, a causa di tutto ciò mamma e papà litigano spessissimo a suon di piatti rotti e urla furibonde. Così Siri, tra un’amicizia volante con gli ospiti dell’albergo, qualche osservazione silenziosa di cuccioli di tasso e qualche coccola alle galline del pollaio, inizia a preoccuparsi che la famiglia possa sfasciarsi, complice anche la recente separazione dei genitori della sua più cara amica Sylvie. E come spesso accade ai bambini della sua età con famiglie in crisi, si sente in dovere di fare qualcosa, di trovare una soluzione. La soluzione sembra letteralmente cascare dal cielo, quando una brutta caduta da un albero dona a Siri una memoria prodigiosa: il fratello Gilles pensa infatti di sfruttarla per tirare su un bel bottino e risolvere così i problemi dei genitori. Inizia a quel punto un rocambolesco viaggio di famiglia verso un concorso di memoria con un bel gruzzolo in palio, che porterà a un inatteso lieto fine in cui i soldi hanno in realtà un ruolo più che marginale.

Con uno stile fresco e ironico, Enne Koens racconta l’anno di svolta di Siri (quello del suo decimo compleanno), mettendo bene in luce i crucci che possono accompagnare una crisi famigliare e il modo in cui possano amplificarsi entrando nella testa di un bambino. Lo fa con leggerezza, costruendo una cornice – quella dello scalcinato Hotel Bonbien e di tutte le figure che vi abitano o vi passano – animatissima e brulicante in cui è difficile annoiarsi e in cui gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Il romanzo solletica insomma il lettore con una costante e delicata vivacità che ben si accompagna al tono sorridente delle illustrazioni schizzate di Katrien Holland che tanto ricordano il maestro Quentin Blake. Scrittura ritmata, personaggi a cui ci si affeziona presto, pensieri in cui ci si può riconoscere e piccole avventure quotidiane a filo di pagina rendono Hotel Bonbien un romanzo delizioso che più facilmente di altri può accogliere anche lettori con difficoltà legate per esempio alla dislessia o alla disabilità visiva, anche grazie all’impegno profuso dalla casa editrice Camelozampa nel rendere il testo disponibile in molteplici formati: a stampa ad alta leggibilità, audiolibro, ebook e audioebook.

Hank Zipzer. Odio i corsi estivi

In Tiratemi fuori dalla quarta abbiamo lasciato Hank alle prese con un tormentato superamento della penultima classe e ora eccoci qui: è arrivata l’estate e con essa i temibili corsi estivi che Hank si trova a dover frequentare mentre i suoi migliori amici si godono lo spassoso programma dei Giovani Esploratori. Si aggiunga poi che i compagni di corso del povero Hank sono i peggiori in circolazione (compresa la fidanzata dello stolido Nick McKelty) e si capirà il perché dell’umore nero di Hank. Unica consolazione: a tenere i corsi estivi è il signor Rock, insegnante di musica e docente preferito di Hank. È lui a chiedere come compito la presentazione di un personaggio famoso ammirevole e ad Hank, in particolare, consiglia di scegliere Albert Einstein. Così il ragazzo inizia una forsennata ricerca di informazioni sullo scienziato: l’obiettivo è confezionare la più straordinaria introduzione mai vista alla SP 87 perché la posta in gioco è alta. In ballo, per Hank, c’è infatti la possibilità di partecipare al talent show finale dei Giovani Esploratori con la performance da urlo dei Magik 3.

Anche questa volta il protagonista brilla per la sua capacità di affrontare i problemi con creatività, per le sue associazioni mentali sorprendenti, per il suo saper fare di una motivazione forte un importante alleato. Ma rispetto agli episodi precedenti, il protagonista mostra qui un’ulteriore inattesa qualità: il saper accogliere con dolcezza persone indifese, come il piccolo Mason, riconoscendo nelle difficoltà altrui le proprie e vestendo i panni di un affettuoso e talentuoso insegnante.

Farfariel

Farfariel è il titolo di un romanzo insolito e coraggioso pubblicato da Uovonero nel 2018 per un pubblico di lettori forti. È insolito e coraggioso perché racconta di un luogo e di un tempo distanti dal presente (eppure da questo per nulla scissi) quale la campagna abruzzese del periodo fascista, e lo fa scegliendo una lingua fedelissima al quadro scelto, in cui dialetto e italiano si fondono e si contaminano profondamente.

La storia narrata è quella di Micù, bambino tenace e intelligente a cui la poliomielite ha lasciato in eredità una costituzione gracile, una salute instabile, una statura ridotta e una gamba zoppa: caratteristiche che segnano profondamente la sua quotidianità, tra dolori fisici, prese in giro malevole e stupidi pregiudizi dettati dalla credenza popolare. Ma Micù è forte di spirito e questi ostacoli impara a saltarli col suo personalissimo passo, soprattutto quando l’arrivo di un diavolo impertinente di nome Farfariel lo costringe a mettersi sulle tracce di un libro misterioso che condizionerà radicalmente la sua vita e il suo modo di affrontarla.

È una vita tutt’altro che in discesa, quello di Micù, costretto a fare i conti con un periodo storico molto duro e un contesto socio-culturale molto arretrato e povero. Qui la distanza tra signorotti e braccianti è netta e apparentemente incolmabile, ben rappresentata da personaggi ben definiti e capaci di portare con sé una precisa visione dell’esistenza. Intorno a Micù si muove infatti una moltitudine di personaggi che incarnano valori molto diversi tra loro: due su tutti il papà di Micù, lavoratore infaticabile e a tratti violento che a testa china si rassegna al suo destino sottomesso e che in esso proietta anche il destino del figlio, e il nonno Tatà che, forte di un passato avventuroso in America (o per meglio dire, lamerica, di cui reca traccia la sua lingua misteriosa e affascinante), porta avanti e trasmette a Micù l’idea di un necessario e giusto  riscatto sociale.

Densissimo e ricco di memoria, Farfariel non è un libro immediato o leggero. La sua lettura – vuoi per la lingua impastata di dialetto, vuoi per le vicenda che affondano in un contesto sopito – mette il lettore di fronte a una sfida consistente e impegnativa ma che, se accolta e affrontata con determinazione, può offrire un bagaglio prezioso di spunti e nondimeno un certa ironia.

Nel mio giardino il mondo

Un giardino, piccolo o grande che sia, è un piccolo teatro a cielo aperto. Qui accadono meraviglie di diversa taglia, avvengono scoperte straordinarie e si dipanano storie travolgenti: la natura offre infatti materie prime a iosa per trasformare pomeriggi qualunque in autentiche imprese da ricordare.

Lo sanno bene i tre protagonisti del delizioso albo senza parole Nel mio giardino il mondo, firmato da Irene Penazzi ed edito in Italia da Terre di Mezzo. Intercettati sul fare della primavera, quando gli uccelli si risvegliano e i primi germogli fanno capolino, i tre giovani si avviano fuori casa armati di una palla, una poltrona e un rastrello: tre oggetti simbolo di quel che un giardino può diventare. Cornice di giochi, relax e lavori all’aria aperta, il giardino si trasforma infatti fin dalla seconda pagina in un luogo del fare in cui è difficile annoiarsi. C’è da estirpare le erbacce, sistemare il pollaio, creare rifugi a prova di sole e di pioggia, curare bestiole, gustare ciliegie, fare gli indiani, creare dinosauri,  festeggiare compleanni e trovare tesori. Solo per fare qualche esempio, puntualmente fotografato dalla matita colorata dell’autrice. C’è da fare tutto questo e molto altro perché la bella stagione passa in fretta e non si fa in tempo a meravigliarsi di fronte alla magia delle lucciole in una calda sera d’agosto che è già ora di raccogliere fichi, creare tane per ricci, scaldarsi di fronte a un fuocherello e rassettare il giardino prima che la prima neve cada e l’inverno renda meno intensa (ma non certa nulla, come ci suggeriscono il pupazzo e la slitta!) la vita all’aria aperta.

Scorre insomma un anno intero tra le pagine di questo albo meraviglioso, scandito da ritmi diversi a seconda della stagione di volta in volta ritratta. Al breve e pacato inverno, reso attraverso due pagine silenziose prive di figure umane, si contrappongono le numerose e movimentate pagine dedicate alla bella stagione in cui i bambini protagonisti paiono non fermarsi mai, animati da un irrefrenabile spirito di creazione ed esplorazione che trova nello spazio del giardino un vero e proprio regno delle possibilità. Il tratto di Irene Penazzi, dal canto suo, è preciso e dinamico, capace di restituire tutta la vitalità delle giornate operose all’aria aperta e il brulicare di avventure più o meno immaginarie che nel cuore di un giardino possono prendere forma. Ci si può attardare con gusto e perdere con grande soddisfazione, dunque, tra le sue tavole ricchissime ma tutt’altro che soffocanti, nelle quali riconoscere con delizia gesti familiari, dettagli nascosti, spunti di gioco e  osservazioni importanti.

Anche in virtù di questa qualità oltre che dell’assenza di parole, risultano innumerevoli le letture che di questo albo si possono fare, a tutto vantaggio anche di un pubblico di giovani lettori con difficoltà (per esempio legate alla dislessia, alla sordità o ai disturbi della comunicazione) che possono qui trovare un terreno narrativo fertilissimo, aperto e stimolante.

Una giornata di sole

Una giornata di Sole è una raccolta di microstorie quotidiane che vedono protagonista un cane di nome Sole. Pelo chiaro ed energia da vendere, Sole si trova ad affrontare diverse situazioni per lui perlopiù nuove – dall’incontro con il gatto neo-inquilino di casa al primo pomeriggio senza la sua padrona, dalla rottura del pupazzo preferito ai tuffi nel fiume – e le emozioni che da esse derivano. Attraverso ciò che accade al cucciolo peloso – soggetto capace di suscitare grande interesse e di rivelarsi familiare a numerosi bambini – il libro offre semplici e spendibili spunti anche per riflettere e riconoscere le emozioni umane. Non a casa al termine del volume si trovano alcuni suggerimenti di attività che genitori e insegnanti possono proporre sul tema ai loro bambini.

Pubblicato da Homeless Book in simboli WLS, Una giornata di Sole presenta un testo lineare ma non minimale, composto perlopiù di frasi brevi o coordinate e contraddistinto da un lessico quotidiano. Le illustrazioni semplici ma attente soprattutto a rendere con precisione le emozioni dei protagonisti – vero focus del libro – aiutano a rafforzare l’aggancio con il racconto il quale, grazie a una struttura frammentata in tante piccole storie, si presta agevolmente anche a una lettura in più momenti.

Il nonno bugiardo

Ne racconta di storie, il nonno di Andonis! E il nipote, comprensibilmente, si chiede di continuo se siano vere o meno. Racconta storie quando banalmente arriva in ritardo, nonno Marios, ma anche quando, più sentimentalmente, evoca il suo passato da giramondo. Attore di teatro esiliato durante la dittatura greca, il nonno ha vissuto sulla sua pelle grandi eventi come il ‘68 parigino, eventi che nei suoi racconti restano sospesi tra il reale e l’immaginario, sicché il decenne Andonis oscilla tra il fascino che emana un passato avventuroso  e il timore che qualcosa gli venga costantemente tenuto nascosto. Come tutto ciò che riguarda la nonna, per esempio, di cui nessuno in famiglia parla. Chi era? Dove è finita? Perché tutti tacciono quando viene citata? E così silenzi e  mistero alimentano una visione talvolta distorta e talvolta surreale della storia famigliare fino a quando, una serie di viaggi in cui il nonno porta con sé Andonis, gli consentono di ritrovare i pezzi mancanti a una visione d’insieme. Quei viaggi saranno l’occasione per conoscere direttamente alcune tracce di quel passato favoloso narrato dal nonno e per  rafforzare il legame che lo lega a quest’ultimo: un legame che si alimenta di esperienze sui generis, citazioni di classici, conversazioni da grandi e che rivela forse tutta la sua intensità proprio quando il nonno viene a mancare.

Scritto da una delle più affermate autrici greche, Il nonno bugiardo è un libro dall’andamento perlopiù placido (ma mai stagnante!) e capace di un’accelerata sul finale, quando i tasselli del puzzle famigliare vengono a ricomporsi. Animato da personaggi ben caratterizzati e da una capacità rara di intrecciare la Storia e le storie, il romanzo di Alki Zei invita il lettore a una lettura sorniona, resa più fruibile non solo da una stampa ad alta leggibilità nella versione cartacea ma anche dalla possibilità di optare per soluzioni variegate – ebook (in formato epub o mobikindle, 7.90 €), audiolibro (8.90 €) e una combinazione dei due (9.90 €) – che dimostrano ancora una volta la grande sensibilità dell’editore Camelozampa per la questione dell’accessibilità della lettura.

I libri delle stagioni – Autunno e Inverno

I wimmelbuch sono, per definizione, libri brulicanti. Brulicano i personaggi sulla pagina, brulicano le storie a cui questi danno vita e brulica, da ultimo, la fantasia del lettore che corre loro dietro. Quando lo sguardo incontra le pienissime tavole di questi volumi, la densità di elementi che chiamano attenzione è tale da generare un particolare ed eccitante spiazzamento, travolgente preludio  al dipanarsi di una composizione narrativa tutt’altro che caotica e casuale. Questo almeno è ciò che accade negli straordinari Libri delle stagioni di Rotraut Susanne Berner che, dissolta la prima impressione di sopraffazione data dalla fittezza degli elementi, rivelano una struttura rigorosissima in cui ogni dettaglio assume un preciso e meditato significato. E proprio da questo scarto imprevisto tra confusione iniziale e meticolosa esattezza che pian piano si rivela dipende forse il carattere irresistibile di questi libri in cui il lettore è silenziosamente invitato ad attardarsi per compiere un’esplorazione che difficilmente si esaurisce in una sola lettura.

I libri delle stagioni sono, come facilmente intuibile, quattro, due dei quali – Inverno e Autunno – pubblicati in Italia nel 2018 da Topipittori. La cittadina in cui sono ambientati è sempre la stessa, ben riconoscibile con  il suo centro e la sua campagna circostante, e caratterizzata da edifici chiave per la comunità come il centro culturale e quello commerciale, la piazza, la stazione o il parco con il laghetto. Sviluppata lungo una strada dritta come un fuso, la cittadina viene osservata dall’autrice come attraverso una cinepresa che si muove orizzontalmente catturando sette istantanee finemente legate l’una all’altra: a prestar bene attenzione, infatti, i dettagli dell’estremità destra di una doppia pagina combaciano con quelli all’estremità sinistra della seguente sicché, se poste affiancate, queste potrebbero ricomporre un paesaggio unico senza soluzione di continuità. All’interno dei diversi libri, le istantanee sono scattate dalla matita dell’autrice sempre nello stesso punto il che aumenta la sorpresa e il gusto di una lettura consecutiva o parallela dei volumi poiché all’interno di cornici analoghe accadono cose sempre differenti.

Perché ogni stagione ha le sue attività, i suoi riti e i suoi ritmi, la natura e la città vestono abiti diversi a seconda del momento dell’anno e così fanno i suoi abitanti che, sempre non a caso, ricorrono da un volume all’altro. Così la signora riccia e paffuta che in autunno raccoglie e trasporta un’enorme zucca, in inverno rincorre il bus per non fare tardi a un appuntamento; il signore dall’ampio cappotto verde che in autunno acquista e sfoggia un’originale lanterna a forma di oca, in inverno accompagna un’oca in piume ed ossa a incontrare le sue simili del lago; e il pappagallo Nico che in autunno esce dalla finestra di casa per andarsene a zonzo per la città, in inverno decide di replicare l’esperienza nonostante i primi fiocchi di neve. E di questo passo potremmo continuare a lungo perché gli abitanti che popolano la cittadina e le pagine della Berner sono tanti e minuziosi, ciascuno con una storia, una personalità, un ruolo sociale e una quotidianità che l’autrice ha ben chiari in mente e che non manca di svelare al lettore grazie a una coerenza narrativa, interna al singolo volume ma anche all’intera serie, davvero sbalorditiva.

Anche e soprattutto per questo sono libri incredibili, i suoi  libri delle stagioni, che celano marchingegni narrativi sofisticatissimi e aprono le porte a una lettura dilatata,  personalissima e potenzialmente ripetibile all’infinito. Sono talmente tanti i particolari cui prestare attenzione che ogni volta ci si ritrova a stupirsi e a godere di quel piccolo fremito di sorpresa e soddisfazione dato da un dettaglio rivelatore, da un quadro che si ricompone, da dei fili che si intrecciano rivelando il complesso e rigoroso impianto progettuale dell’autrice. E i dettagli in questione sono diversissimi tra loro, più o meno nascosti (il libro acquistato dalla signora col fez non ha un’aria felicemente familiare?), più o meno raffinati (quella volpe che dal muretto osserva il corvo e il suo formaggio appena rubacchiato, non omaggia con gusto la tradizione esopiana?), più o meno istantanei (chi riesce a rintracciare il bottino della gazza ladra e i suoi originali proprietari?): dettagli che giocano saporitamente con la dimensione del grande e del piccolo, del vicino e del lontano, dell’immediato e del durevole predisponendo uno spazio di scoperta che si adatta a età, contesti di lettura, capacità di inferenza e attenzione, conoscenze, e, non da ultimo, abilità e modalità di lettura diverse.

Sono volumi straordinariamente trasversali, dunque, I libri delle stagioni e questo li rende preziosissimi anche in un’ottica rivolta all’accessibilità. L’assenza di testo, la stratificazione narrativa e la libertà di movimento non solo concessa ma implicitamente incoraggiata nel lettore li rende infatti apprezzabili e fruibili a pieno anche da parte di bambini con disabilità – uditiva o cognitiva, per esempio, ma anche comunicativa –  o Disturbi Specifici dell’Apprendimento, predisponendo un terreno fertilissimo, proprio perché naturalmente accogliente nei confronti di possibilità di lettura differenti, per il brulicare di esperienze narrative e relazionali.

Zucchero filato

Ci sono estati ed estati: quelle spensierate, che semplicemente attraversano un tempo sospeso tra la fine di un anno scolastico e l’inizio del successivo, e quelle decisive, che non solo segnano passaggi critici di crescita ma portano anche con sé cambiamenti inaspettati. Ecco, l’estate raccontata da Derk Visser in Zucchero filato rientra decisamente nel secondo tipo. Non solo la protagonista Ezra si accinge a iniziare la scuola superiore ma nella sua famiglia accade qualcosa di inatteso: il rientro dalla guerra del papà, infatti, non è affatto come nelle aspettative – gioioso e con la prospettiva di andare ad abitare in una casa più grande – bensì tutto il contrario – cupo e potenzialmente capace di distruggere l’unità famigliare.

Profondamente segnato dall’esperienza del fronte vissuta sulla propria pelle, il papà di Ezra appare il fantasma di sé stesso: paranoico, con la testa sempre altrove, depresso e inspiegabilmente aggressivo. Basta un petardo o la visione di una divisa per far scattare qualcosa di oscuro nella sua mente e fargli avere reazioni del tutto imprevedibili. E questo non è facile da accettare per nessuno, tantomeno per una ragazzina come Ezra alle prese con una fase delicatissima della vita come l’adolescenza.

Così Ezra si ritrova suo malgrado a farsi grande prima del previsto, prendendosi cura di quel papà così incapace di badare a sé stesso e alla sua famiglia. Lo fa anche quando questi passa il segno e aggredisce la mamma, costringendola a rifugiarsi presso una casa di accoglienza insieme a Zoe, la sorella minore di Ezra. Ma Ezra no. Lei gli rimane accanto fino a che è possibile, fino a quando non è costretta dai servizi sociali a raggiungere la mamma, nell’attesa che un periodo di cura porti un po’ di serenità tra le mura di casa.

Ostinata e risoluta, Ezra si mostra come un pendolo che oscilla tra il bisogno di sentirsi accudita e protetta e la necessità di tenere insieme la famiglia con tutte le sue forze, anche mostrandosi dura e sfrontata all’occorrenza. Accanto a lei, la sorellina di otto anni Zoe: la personificazione dell’ingenuità proiettata talvolta in un mondo adulto che non dovrebbe riguardarla. Come quando Ezra la porta con sé al centro commerciale per rubare un top da un negozio, scatenando una guerra di sfide e ricatti con una commessa meschina. Ma anche in quel caso è proprio Zoe, con il suo sguardo ancora inesperto sulle cose, a  mantenere Ezra aggrappata a una dimensione in cui il gioco, il sogno e la speranza possono ancora trovare spazio.

Il loro è un rapporto profondamente vitale, capace di offrire rifugio reciproco da una realtà – la famiglia che si disgrega, il quartiere disagiato, i guai quotidiani, il diventare grandi che entusiasma e spaventa- che talvolta si fa opprimente. Ecco allora che gli incalzanti dialoghi tra le due sorelle, intorno ai quali ruota l’intera narrazione, si fanno specchio efficace e ben riuscito di una realtà multisfaccettata e travolgente, anche per il lettore che si trova dall’altra parte della pagina. Con un racconto forte e schietto, Derk Visser propone una lettura tutt’altro che scontata e capace di lasciare un segno. La stampa ad alta leggibilità per cui opta l’editore Camelozampa – con font Easyreading e impaginatura più ariosa – offre dal canto suo un ultimo e significativo incentivo per il lettore, anche con difficoltà legate ai DSA, a immergersi in una storia che parte dai margini per mettere l’adolescenza al centro.

Teo e Leo

Teo e Leo sono fratelli, gemelli per la precisione. Si assomigliano molto (ma non del tutto!) e vivono questa loro affinità a tratti con favore e a tratti con avversione. Nella prima storia che li vede protagonisti (Gemelli quasi uguali), per esempio, i due si divertono al parco giochi in modi non convenzionali che avranno conseguenze un pochino dolorose, a suon di bernoccoli e denti dondolanti, ma che offriranno loro l’inattesa occasione di distinguersi l’uno dall’altro. Nella seconda storia (Voglio la febbre!), invece, i due si trovano forzatamente separati poiché Leo si ammala e Teo no, il primo resta quindi a casa mentre al secondo tocca andare a scuola. Invidiosi l’uno dell’altro e desiderosi di godere dei privilegi altrui, i due gemelli si inventano fantasiosi stratagemmi fino a scoprire che ciò che rende speciale lo stare a casa o a scuola dipende in gran parte da chi si ha accanto.

Vivaci e scanzonati Teo e Leo sono due personaggi divertenti, resi particolarmente simpatici da un approccio sorridente alla quotidianità delineato dall’autrice Sara Stangherlin e dal tratto fumettistico dell’illustratore Fabio Santomauro.

 

LA COLLANA TANDEM

Teo e Leo fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Una per i Murphy

La scrittura di Lynda Mullaly Hunt è magnetica, lo avevamo scoperto leggendo Un pesce sull’albero (non a caso vincitore di numerosi riconoscimenti in tutto il mondo tra cui il Premio Letteratura per Ragazzi di Cento). Ecco perché la pubblicazione, sempre per i tipi lungimiranti di Uovonero, di un nuovo romanzo dell’autrice americana (anche se in realtà sarebbe il suo primo) è una notizia che manda in brodo di giuggiole. Ed ecco perché, anche dopo la lettura, in quel brodo si resta a mollo!

Una per i Murphy – questo è il titolo del libro – è infatti un romanzo di grande forza, che mette a  nudo l’importanza di un’educazione sentimentale di cui la famiglia è prima custode. Lo fa attraverso la vicenda di Carley Connors, ragazza tenace e fragilissima, vissuta per anni insieme a una madre per nulla in grado di occuparsene, scampata alle intenzioni violente del patrigno e finita in affido all’affettuosa famiglia dei Murphy. E qui, in particolare, inizia il racconto che riprende Carley nei mesi in cui cerca di trovare il suo nuovo posto e il suo nuovo ruolo in una dinamica famigliare che le è del tutto sconosciuta, in cui impara a costruire relazioni solide basate sulla fiducia e l’apprezzamento (reciproco ma anche di sé stessi), in cui viene a patti con il suo passato e con il suo presente e in cui sperimenta in prima persona che consentire agli altri di lasciarsi amare e accudire è prima di tutto questione di allenamento. Quello di Carley è un percorso in salita ma con una pendenza che man mano cala, fino a quel finale tutt’altro che atteso con cui si apre per lei una fase di consapevolezza nuova in cui riuscire a definirsi non solo in base a “quello che la rende diversa da tutti gli altri”.

In mezzo c’è una trama fitta di relazioni in costruzione, autentiche e tangibili, prima fra tutte quella con la signora Murphy solo apparentemente distante da Carley e in realtà capace di un avvicinamento paziente e di un abbraccio rispettoso dei tempi della ragazza. E poi quella con il papà e fratelli Murphy, ciascuno animato da sentimenti diversi e contrastanti nei confronti della ragazza; quella con la compagna Toni, amica non scontata e costantemente in divenire; quella con la madre biologica, in un tira e molla emotivo che richiede pazienza; e non ultima quella con la Carley reale, così diversa dalla ragazzata corazzata e resa inavvicinabile da un’infanzia anaffettiva. Proprio quelle relazioni, tenute insieme da un personaggio dinamitico e pungente come quello della protagonista,  rende il romanzo palpitante e vero, capace di smuovere il lettore nel profondo e di farlo interrogare sul valore dei sentimenti, al li là della specifica questione dell’affido. E l’autrice è davvero brava in questo perché attraverso una scrittura in movimento, che si plasma proprio sulla crescita di Carley, riesce a passare dalle iniziale frasi criptiche e tenute insieme da fili fragilissimi, espressione di un’esistenza tormentata e di un’emotività asfittica, a un racconto di ampio respiro in cui la consapevolezza di sé e della propria interiorità consente al pensiero di  dilatarsi.

Potente e profondo, Una per i Murphy è un invito caldissimo al lettore a trovarsi un posto comodo e a prendersi qualche ora per sé (per sicurezza munito di una buona scorta di fazzoletti), per gustarsi parole pesate e storie che realmente lasciano un segno. Grazie dunque a Uovonero non solo per aver portato in Italia questo romanzo, ma anche per averlo stampato ad alta leggibilità così da agevolare l’accesso anche a lettori meno forti  o con maggiori difficoltà di lettura, a una narrazione che letteralmente  travolge.

Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf

Ha una dimensione più grande della maggior parte degli albi in commercio, è piacevolmente più pesante e corposo e si presenta con un’insolita forma quadrata. Impossibile, dunque, non farsi incuriosire da Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf, fin dalla sua fisicità. È un fuori raffinato e intrigante, il suo, che si fa sincera anticipazione di un dentro che è un’autentica delizia.

Qui i due maiali che compaiono in copertina – una scrofa agghindata che torna dal mercato carica di provviste e un porcellino dall’aria monella che la tira per il grembiule  – sono immortalati in alcuni momenti, tanto gustosi quanto apparentemente irrilevanti, di una giornata qualunque. Un pettegolezzo al telefono, una torta in preparazione, una cena distinta, un bagno rilassante: tutti istanti  di poco conto nella quotidianità di una suina signora, se non fosse per quel terremoto del suo figliolo che li trasforma in ghiotte occasioni per qualche guaio. E così, tra frange di tappeto tagliuzzate, uova rotte e  cerbottane di ciambellone, il maialino invita il lettore scoprire marachelle sempre nuove fino quasi a sentirsene felicemente complice.

È un invito irresistibile, in effetti, quello a voltare pagina seguendo lo scorrere del giorno. Complici di grande effetto, sono i finissimi intagli che dinamizzano e prolungano ogni scena, trasformandola in una sorta di quinta teatrale dietro cui sbirciare. Il lettore ha così modo di sfogliare pagine preziose nella loro delicatezza che offrono piccole gustose anteprime di ciò che verrà dopo: un personaggio, un’azione o anche solo un ambiente, comunque sufficienti a far venire l’acquolina narrativa in bocca. È un coinvolgimento insieme emotivo (sfido a trovare qualcuno che non abbia compiuto simili guai domestici) ma anche fisico, poiché si ha letteralmente l’impressione di varcare le porte ed entrare nelle stanze in cui le diverse scene si svolgono. La soddisfazione di lettura e rilettura, in solitaria o anche a due voci genitore-figlio, è dunque grande. L’assenza di parole, poi, unita a un’innegabile raffinatezza stilistica la rende fruibile anche a giovanissimi lettori che poco d’accordo vanno con il testo scritto, per esempio perché dislessici o sordi, ma che in un racconto per immagini trovano terreno fertile e accessibile per i loro volteggi fantastici.

Edito originariamente nel 1978, pubblicato per la prima volta nel nostro paese dalla visionaria casa editrice di Rosellina Archinto (con il titolo Un giorno nella vita di Cecilia Lardò), la mitica Emme Edizioni, Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf torna ora a solleticare i lettori italiani grazie alla felicissima intuizione e iniziativa di una casa editrice fresca fresca, la LupoGuido. Primo titolo in catalogo per la casa editrice milanese, il silent book firmato da Tatjana Hauptmann festeggia così i suoi primi quarant’anni, continuando a offrire un ritratto scanzonato e realissimo dell’infanzia in cui bricconi di ogni età non faticheranno a riconoscersi e mamme di ogni tempo troveranno sorridente conforto!

La costituzione in tasca

“Giovanni, tu lo sai che cos’è la Costituzione?”, chiede Emma.
“No e non me ne importa, ho dodici anni, ho tutta la vota davanti. La Costituzione è roba da vecchi”, risponde Giovanni.

Si apre così, con un dialogo che non potrebbe essere più credibile, La Costituzione in tasca: l’agile e denso volume ad alta leggibilità che Sinnos ha volute dedicare alla nostra Carta per il suo settantesimo compleanno. È un dialogo tra due ragazzini che con il pretesto di una ricerca scolastica si confrontano e si interrogano sul significato e sull’attualità del libro che sostiene e guida la nostra Repubblica. È roba da vecchi, dice Giovanni, interpretando quello che potrebbe essere un sentire diffuso. Quanti giovani e giovanissimi si interessano alle leggi fondamentali del nostro Paese? O meglio: quanti hanno occasione di incontrare la Carta in maniera comprensibile e attiva? Senz’altro pochi, sicché riconoscere e rispettare la loro posizione e offrire uno strumento utile per rivederla con cognizione di causa è un’azione civile di grande e silenziosa portata. Perché Giovanni – e con lui il lettore – scopra che nonostante i suoi 70 anni suonati la Costituzione è tutt’altro che roba da vecchi, serve che le parole difficili di cui si compone suonino più familiari e comprensibili alle giovani orecchie e che il contenuto che essa porta si cali concretamente nel quotidiano bambino.

Ecco, con questo scopo si muove La Costituzione in tasca, costruita come un dialogo incalzante, a cui prendono parte, oltre a Emma e Giovanni, anche personaggi di natura teatrale come Pausa e Tafferuglio – che marcano momenti riflessivi e di acceso dibattito – e di natura storica come Piero Calamandrei. Ai loro interventi si alternano poi le citazioni di alcuni articoli, presi in ordine sparso e citati nella loro forma ufficiale, ma anche notizie e riflessioni che aiutano a collocare la stesura della Carta in un preciso momento storico per mano di persone in carne ed ossa (bellissimo, per esempio, il riferimento alle 21 madri costituenti che si tennero per mano durante il voto per il ripudio alla guerra). Il risultato è un testo composito che potrebbe ben prestarsi a un’interpretazione su palcoscenico ma che al contempo sviscera con parole chiare un testo apparentemente antico e distante, rendendolo la base ideale per un confronto tra pari in classe. Non è, se vogliamo, una lettura di evasione, ma è una lettura che rende stimolante l’avvicinamento a un testo che merita di essere interiorizzato da tutti i cittadini, anche e soprattutto quelli del futuro. Il fatto poi che proprio un testo che promuove la conoscenza della Costituzione sia stampato ad alta leggibilità – con font leggimi e caratteristiche di impaginazione più amichevoli anche per il lettore dislessico – è una piccola importante attenzione a quello che è, non a caso, uno dei diritti – quello alla cultura – sanciti dalla Carta.

La Costituzione in tasca rispecchia in pieno l’impegno che da sempre Sinnos profonde in favore della legalità e della cittadinanza attiva attraverso il potentissimo strumento dei libri. Nato in seno a un progetto importante intitolato BILL – La biblioteca della legalità, il volume è stato scritto da due persone che il diritto lo conoscono a fondo e che con cura si dedicano a renderlo maneggiabile da bambini e ragazzi. Il lavoro di avvicinamento alla Carta costituzionale fatto da Valeria Cigliola ed Elisabetta Morosini, che di mestiere fanno i magistrati, è infatti attento e profondamente mosso dalla convinzione che il rispetto della Costituzione passa prima di tutto dal sentirla propria e vicina. In questo senso, interessante e apprezzabile è anche il gioco di carte proposto alla fine del volume, con tutto il necessario da staccare e ritagliare, per  far sì che le parole che raccontano i nostri diritti e doveri diventino qualcosa di concreto che muove con leggerezza pensieri e confronti.

“La Costituzione sono io.
La osservo, la leggo, la prendo, ci gioco, la mangio a colazione con la cioccolata calda e le frittelle.

Fragomino fa il bagnetto

Fragomino è un personaggio tenero e bizzarro, dai tratti piacevolmente vintage, nato dalla penna di Carlo Cordella: è in tutto e per tutto un bimbo alle prese con piccole e comunissime esperienze quotidiane, solo con un’insolita fragolona al posto della testa. Protagonista di quattro avventure proposte dall’editore milanese La vita felice, Fragomino è una creatura di carta che, nella sua semplicità, arriva in maniera diretta e rispettosa al lettore bambino.

Le sue storie hanno infatti sempre al centro momenti della giornata, occasioni della vita e oggetti di casa  – il ciuccio, il bagnetto, l’asilo, la torta di compleanno –  non solo di cui il piccolo lettore ha esperienza diretta ma che segnano in maniera particolarmente significativa il suo vissuto emozionale.  Raccontate attraverso testi brevissimi e disegni netti, poco dettagliati e dagli spessi contorni, e contraddistinte da una leggera sovrapposizione tra piano reale e piano fantastico, queste hanno perciò la capacità di coinvolgerlo senza grandi artifici.

Per tutte queste ragioni il fatto che alcune delle avventure di Fragomino trovino ora il modo di arrivare anche a lettori con difficoltà di comunicazione e attenzione, attraverso la simbolizzazione del testo, è una cosa non solo molto bella ma anche molto sensata. L’essenzialità testuale e iconica di Fragomino dorme senza ciuccio e Fragomino fa il bagnetto, unite alla riconoscibilità delle esperienze narrate, rende infatti le due storie una base ideale per la resa in in-book. Il risultato sono due librini dall’aspetto pulito, agevoli da seguire e corredati da simboli WLS riquadrati che riprendono puntualmente tutti gli elementi della frase.

 

Fragomino dorme senza ciuccio

Fragomino è un personaggio tenero e bizzarro, dai tratti piacevolmente vintage, nato dalla penna di Carlo Cordella: è in tutto e per tutto un bimbo alle prese con piccole e comunissime esperienze quotidiane, solo con un’insolita fragolona al posto della testa. Protagonista di quattro avventure proposte dall’editore milanese La vita felice, Fragomino è una creatura di carta che, nella sua semplicità, arriva in maniera diretta e rispettosa al lettore bambino.

Le sue storie hanno infatti sempre al centro momenti della giornata, occasioni della vita e oggetti di casa  – il ciuccio, il bagnetto, l’asilo, la torta di compleanno –  non solo di cui il piccolo lettore ha esperienza diretta ma che segnano in maniera particolarmente significativa il suo vissuto emozionale.  Raccontate attraverso testi brevissimi e disegni netti, poco dettagliati e dagli spessi contorni, e contraddistinte da una leggera sovrapposizione tra piano reale e piano fantastico, queste hanno perciò la capacità di coinvolgerlo senza grandi artifici.

Per tutte queste ragioni il fatto che alcune delle avventure di Fragomino trovino ora il modo di arrivare anche a lettori con difficoltà di comunicazione e attenzione, attraverso la simbolizzazione del testo, è una cosa non solo molto bella ma anche molto sensata. L’essenzialità testuale e iconica di Fragomino dorme senza ciuccio e Fragomino fa il bagnetto, unite alla riconoscibilità delle esperienze narrate, rende infatti le due storie una base ideale per la resa in in-book. Il risultato sono due librini dall’aspetto pulito, agevoli da seguire e corredati da simboli WLS riquadrati che riprendono puntualmente tutti gli elementi della frase.

Lucia

La giornata di Lucia inizia, come per tutti, con pochi automatici gesti quotidiani: lavarsi i denti, mettere a bollire il tè, infilarsi il giubbino, afferrare il bastone. Il bastone le serve per muoversi per strada ed è il dettaglio che ci fa capire con certezza che Lucia è una bambina cieca: una bambina che il libro di Roger Olmos intende accompagnare nel suo cammino da casa a scuola e qui dare voce a una piccola storia di bellezza che ha la possibilità di fiorire proprio grazie a quello che parrebbe il limite della protagonista. Dopo un suggestivo percorso in autobus e un eloquente percorso a piedi, accarezzata dal vento come in altalena, divertita da un legnetto su una staccionata che pare un organo e incuriosita da bizzarri personaggi dalla testa di colonia, pipa o foglie, Lucia arriva a scuola e condivide momenti preziosi con un compagno poco alla moda al cui aspetto Lucia non bada.

Frutto di un grosso e accurato lavoro condotto dall’autore per immergersi realmente nel mondo di una persona cieca, Lucia offre una storia delicata e una riflessione raffinatissima sullo scarto che separa la reale percezione di una persona non vedente e il nostro modo consueto di immaginarla. L’autore sottolinea, in particolare, e veicola questo scarto con un gioco sapientissimo e suggestivo tra immagini colorate e in banco e nero così come tra figure realistiche e figure fantastiche. Ecco allora che il consueto immaginario onirico di Olmos trova quindi qui un terreno fertilissimo e una possibilità di espressione nuova, funzionale a rappresentare un’esperienza fuori dal comune.

Nato dalla collaborazione tra CBM onlus, che si occupa di disabilità visiva nei paesi più poveri, e Logos edizioni, Lucia fa parte di una collana inaugurata da un altro grande illustratore – Lorenzo Mattotti – con un albo più astratto e adatto a un pubblico adulto intitolato Blind. Si tratta di una collana volta a esplorare il mondo della disabilità visiva nelle sue molteplici sfaccettature: un progetto importante in cui una riflessione profonda sulle possibilità d’inclusione nasce e si diffonde grazie alle matite più pregiate dell’attuale panorama editoriale.

Maionese, ketchup o latte di soia

Élianor è nuova a scuola: secca secca, pallida pallida e silenziosa come pochi, la ragazza è da subito vittima di scherni e angherie da parte dei compagni. Non che serva per forza un motivo per finire vittima dei bulli, ma questi pensano bene di bersagliarla per il suo presunto insolito odore. E così, in meno di un giorno di scuola, Élianor diventa per tutti la ragazza che puzza. Per tutti tranne uno, a dire il vero: per Noah, infatti, l’odore può raccontare a suo modo la storia delle persone, creando invisibili forme di relazione e contatto, e per questa ragione non esita ad avvicinarsi alla ragazza. Sarà un incontro turbolento il loro, sia perché li porta a sfidare la prepotenza di teppisti come Sylvester sia perché li porta a mettere faccia a faccia due quotidianità molto distanti tra loro. Come può una ragazza che vive con un guru scalzo e che si ciba di strani intrugli naturali  trovare qualcosa in comune con un ragazzo cresciuto a cola e merendine? Sarà necessario per i due andare più a fondo di una dieta per scoprire che ci si può incontrare nelle comuni esperienze di vita, emozioni e rispetto della diversità.

Fresco e avvincente, il racconto di Gaia Guasti parla in modo schietto e diretto alle orecchie dei giovanissimi, trovando così il modo più efficace di dare spazio a cose vere e complesse come il bullismo e la tolleranza. Nei pensieri di Noah ed Élianor, nelle dinamiche tra i banchi di scuola, nelle storie nascoste dei singoli personaggi, si percepisce infatti un’adolescenza palpitante. E brava davvero è l’autrice a coglierla e restituirla nella sua ricchezza. Già edito nel 2016 da Camelozampa, Maionese, ketchup o latte di soia è ora ripubblicato dall’editore padovano in una snella e apprezzabilissima versione ad alta leggibilità che sfrutta il font Easyreading e un’impaginazione più ariosa del testo.

Super P

Di supereroi ce ne sono tanti ma quanti possono vantare una superpipì? Non molti, certo. A parte Super P, il cui insolito superpotere si rivelerà determinante quando, con Superman influenzato, Spiderman in deshabillé, Mega Cindy in castigo e Batman a letto, la città rischia di cadere in mano all’abominevole Uomo delle Nevi. Ironico e scanzonato, l’albo firmato da Benjamin Leroy e JaapRabben riesce a trattare un tema insieme spassoso e critico come quello del controllo della pipì, restituendogli con il sorriso l’eroicità che dal punto di vista bambino merita.

Così, con grande divertimento di chi legge e grazie a un personaggio irresistibile, Super P dice con ammirevole nonchalance dei superpoteri che si nascondono dove meno ci si aspetta di trovarli e della straordinaria normalità delle piccole battaglie che ogni lettore quotidianamente compie. Azzeccata e arguta, in questo, l’attenzione riservata dall’illustratore ai piccoli dettagli (come il cestone colmo di vestiti sporchi in bagno, i giocattoli in disordine in ogni casa rappresentata, la varietà di personaggi, compreso il bimbo in carrozzina, che celebrano l’impresa di Super P) che danno un gusto familiare e vero a una storia da veri supereroi.

Super P è particolarmente interessante anche per la trasversalità del suo pubblico. Adattissimo, per tema, equilibrio tra testo e immagini e lunghezza, a bambini in età prescolare per i quali l’argomento pipì è di scottante attualità, il libro strappa sorrisi garantiti anche a lettori di qualche anno più grandi. Ecco dunque che in un solo volume si intravedono possibilità di lettura multiple: da quella ad alta voce di un adulto a un piccolino a quella in autonomia di un lettore alle prime armi (anche con difficoltà legate alla dislessia, data la scelta della  font e delle caratteristiche di impaginazione). Il tutto senza tralasciare una terza opzione: quella in cui il lettore autonomo e il fratellino più piccolo si incontrano in uno speciale momento di lettura a due. Se non è un superpotere questo!

Lola e io

Lola e io è un albo illustrato intenso e coinvolgente, un lavoro raffinato e capace di parlare a un pubblico ampio che non esclude i ragazzi più grandi.

Perché qui le immagini sofisticate e di ampio respiro e il testo misurato e aperto ai sensi dialogano davvero, senza posa, intessendo tra loro un rapporto costruttivo e dinamico. Non c’è semplice sovrapposizione o rispecchiamento tra i due linguaggi, ma un continuo rincorrersi e stuzzicarsi a vicenda, svelando di soppiatto ciò che l’altro non vuol dire. Per esempio, che a raccontare la storia, non è, come si potrebbe credere, la giovane Lola, bensì il suo cane Stella.

Non un cane comune ma un cane guida, uno di quelli che trasformano affetto e dedizione in un aiuto imprescindibile per le persone cieche che accompagnano. E al centro del libro c’è proprio questo: il rapporto intimo e simbiotico, profondo e complesso, commuovente e quotidiano tra un essere a due e un essere a quatto zampe. Un rapporto che nasce da un’esigenza pratica, legata alla disabilità visiva di Lola, ma che si nutre di un affetto sincero e che giorno dopo giorno si fa forte di piccole felicità tutte da condividere.

Lola e io è scritto e illustrato da Chiara Valentina Segré e Paolo Domeniconi, che abbiamo visto lavorare insieme in maniera felice anche in L’albero, la nuvola e la bambina, sempre edito da Camelozampa. Entrambi gli albi, per scelta apprezzabilissima dell’editore, vengono proposti al pubblico con caratteristiche di alta leggibilità come il font EasyReading, la spaziatura maggiore e l’allineamento a sinistra: caratteristiche queste che, unite alla forma dell’albo illustrato in cui le immagini assumono un ruolo determinante, offre una possibilità di lettura ricercata e non banale ma allo stesso tempo amichevole e fruibile anche da parte di bambini e ragazzi dislessici.