Guarda e scopri la città

Guarda e scopri la città, wimmelbuch contemporaneo nato in Spagna e portato sugli scaffali italiani da Il leone Verde piccoli, è un libro brulicante ma anche un libro-gioco. Tra le sue pagine pullulanti è infatti possibile muoversi secondo approcci diversi: girovagando senza una meta precisa per cogliere i molti dettagli che animano ogni scena o setacciando quest’ultima con minuzia per trovare cose e personaggi suggeriti dall’autrice. Non c’è un approccio giusto e uno sbagliato. L’autrice caratterizza, infatti, ogni doppia pagina con una moltitudine di micro-situazioni che possono essere parimenti godute a ritmo lento e a ritmo serrato.

Ciò che le rende particolarmente vitali e attraenti è da un lato il tratto ironico e dinamico con cui vengono dipinte e dall’altro il proliferare di dettagli curiosi che contrastano con l’ordinarietà della cornice. Insieme a un coccodrillo che sbuca dal tombino e a un alieno che interagisce in modo buffo con il mondo degli umani, per esempio, l’autrice si diverte a disseminare in ogni doppia pagina personaggi delle fiabe molto noti, contestualizzandoli a modino (Pinocchio, per esempio, se ne sta tra i banchi di scuola!) e facendoli talvolta interagire con gli abitanti della città (la musica del Pifferaio di Hamelin, a quanto pare, non è così gradevole da ascoltare).

Cristina Losantos costruisce il suo racconto brulicante attraverso sette grandi tavole senza parole che immortalano scorci diversi della città. Qui il lettore ritrova, di fatto, personaggi ricorrenti, come se una cinepresa li seguisse nel loro percorso attraverso le vie del luogo. Possiamo così accompagnare, per esempio, la corsa di un uomo ginnico, il tour di una coppia di turisti, gli spostamenti di una classe, le performance di un musicista di strada e via dicendo. Come spesso accade quando questo tipo di modello di racconto per immagini viene proposto, il lettore ha modo di muoversi con particolare agio tra le diverse scene, scegliendo secondo i suoi gusti e/o le sue capacità, di godere delle singole scene che contengono di per sé delle situazioni narrativamente appaganti, o di godere del loro succedersi in maniera diacronica.

Della stessa seria di Guarda e scopri la città, Il leone verde piccoli ha pubblicato anche Guarda e scopri i mestieri.

Storia di una coda

Prodigy Street è un’anonima via in cui nulla di interessante succede mai. O almeno così pare a Tom che proprio lì si è da poco trasferito con la madre. Ma se è vero che nomen omen, l’intitolazione della via deve pur significare qualcosa e le apparenze vengono presto smentite. Da lì a poco, infatti, si trasferisce nello stesso isolato un bizzarro signore di nome Mister Mirabilis accompagnato da suo cane Najki, e dall’istante in cui Tom ne fa la conoscenza, cose sorprendenti cominciano ad avere luogo. Non cosa casuali o del tutto impreviste, si badi bene, bensì cose ben precise che hanno a che fare con i desideri. Sarà presto chiaro, infatti, agli occhi di Tom che Najki non è un cane comune ma una creatura magica che realizza le volontà di chi gli si trova accanto. E se questo può rappresentare una grande fortuna, parimenti può farsi foriero di imprevisti e guai…

Scorrevole, intrigante e costruito su un’efficace alternanza di voci – quella del narratore esterno e quella del cane – Storia di una coda si presta ad offrire una narrazione abbordabile ma allo stesso tempo gustosa e corposa a bambini che iniziano a muoversi con una certa dimestichezza sul terreno della lettura autonoma. La presenza di illustrazioni frequenti e brillanti, in pieno stile Tony Ross, e il ricorso al corsivo per caratterizzare i capitoli che riportano la voce del cane, vanno dal canto loro a rafforzare la fruibilità di un testo già stampato con caratteristiche di alta leggibilità. Il font biancoenero, la spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, la sbandieratura a destra e la carta color crema affaticano, infatti, meno la vista e sostengono la lettura anche in caso di difficoltà legate alla dislessia. Il risultato è un racconto ricco e narrativamente ben strutturato che dà il benvenuto anche ai lettori meno forti sia in virtù della sua forma che della sua sostanza.

Alberi

Mauro Evangelista è stato un artista e un autore di libri tattili straordinario. A lui dobbiamo, in particolare, un albo illustrato che è familiare a molti bambini e che ha trovato spazio in molte scuole, un albo illustrato che è ormai un classico e che mostra in maniera eloquente come il dialogo tra editoria tattile e tradizionale possa essere fruttuoso. Si tratta di Saremo alberi, noto a molti per l’edizione portata in libreria da  Artebambini.

Il libro, che racconta la diversità di cui la natura è custode attraverso le variegate chiome degli alberi che si fanno metafora dei caratteri umani, tutti egualmente dignitosi e necessari alla collettività, è un piccolo capolavoro di grazia e poesia. Porge al lettore una riflessione suggestiva attraverso un testo minuto e una grafica che rifugge gli orpelli e fa risaltare la qualità squisitamente tattile delle illustrazioni fatte con un materiale semplice come la corda. Scriveva Evangelista nel 2010: «Toccare, sentire una superficie (la “pelle” delle cose) consente di avvicinarsi ad una conoscenza molto profonda del mondo perché permette di avere un contatto intimo con un luogo, una persona o anche solo una materia. È un movimento verso un sapere sensibile».

E non è un caso se, come pochi altri, questo lavoro così capace di farsi tangibile, ha saputo raggiungere pubblici eterogenei, ispirare innumerevoli laboratori e godere di una longeva vita, viaggiando in più sensi di marcia tra ambiti editoriali diversi. Le tavole dell’autore fatte di corda e carta, trasformate attraverso la fotografia nel passaggio ad albo tradizionale da Artebambini, trovano infatti, ora, una nuova veste editoriale che recupera e valorizza a pieno il senso e l’aspetto del lavoro originale e prettamente materico dell’autore.

Nel libro tattile pubblicato dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi con il titolo di Alberi, quelle chiome classiche, disciplinate, disordinate o felici nel vento sono, infatti, nuovamente realizzate con la corda e risultano pertanto palpabili in tutta la loro fisicità. Il testo, dal canto suo, si presenta a grandissimo carattere e unisce la stampa in nero a quella in Braille. Illustrazioni e parole, infine, si abbracciano all’interno di pagine di ampio formato quadrato, realizzate in cartoncino grezzo e rilegate con la stessa corda che compone le figure. L’insieme a cui tutto questo dà vita è un libro tattile corposo e incantevole, che restituisce agli occhi come al tatto l’omaggio alla natura che la narrazione custodisce, e che si presta a letture estremamente accessibili e trasversali per età e abilità. L’ultima pagina, poi, offre una base in velcro e una corda staccabile grazie alle quali il lettore può fare, disfare e rifare il suo personalissimo albero: una sorta di piccolo laboratorio già compreso nel libro!

Brava Chiocciolina!

Quante cose sanno fare gli animali del prato: tutti, ma proprio tutti, agli occhi di chiocciolina sembrano avere un talento speciale e ammirevole. Chi vola, chi salta, chi scava tunnel lunghissimi, chi trasporta cose davvero pesanti. E chiocciolina? Chiocciolina cosa sa fare? Apparentemente nulla di ciò che fanno i suoi pari. Apparentemente. A ben guardare, infatti, come sa fare e sa insegnare a fare la sua mamma, anche chiocciolina ha un modo unico e degno di vivere il prato, non solo standoci ma rendendolo un posto migliore di come sarebbe se lei non ci fosse.

Brava Chiocciolina! è un libro che ha un valore speciale. Non solo perché le parole che Silvia Vecchini impiega per raccontarla sono scelte e limate con cura sopraffina. E neanche soltanto perché le illustrazioni di Carla Manea abbracciano a puntino, con le loro sfumature pastello, una narrazione dall’indole quieta e accogliente. Brava Chiocciolina! è un libro che ha un valore speciale anche perché ha una genesi singolare che, curiosamente, sposa a pieno il messaggio di cui la protagonista si fa portatrice.

Brava chioccolina! è infatti pubblicato da Edizioni corsare in due edizioni – inbook e tradizionale – che vengono di fatto proposte come paritarie, sorelle. Anzi, sebbene la storia della chiocciolina nasca prima dell’idea di farne anche una versione accessibile, è proprio quest’ultima a fare da apripista, uscendo in libreria prima di quella tradizionale. Può sembrare un’inezia, una mera questione di forma, ma in realtà non lo è: perché quello che questa successione temporale ci dice è che l’editoria accessibile non deve sempre andare a rimorchio dell’editoria tradizionale e che lo scambio e l’incontro tra le due non deve per forza essere a senso unico. Certo, proprio come accade a Chiocciolina, serve che il valore che l’accessibilità può portare con sé venga visto e riconosciuto perché possa dare frutto, che poi è proprio ciò che hanno fatto autrici e casa editrice.

Non solo, proprio come nel prato della chiocciolina, tutti gli attori coinvolti in questo progetto sono stati di fatto valorizzati per la loro specifica competenza: un’autrice fuori da comune per immaginare e scrivere la storia, un’illustratrice talentuosa per farla riecheggiare sulla pagina, un gruppo di lavoro specializzato nella simbolizzazione per ampliare la fruibilità del racconto, un editore accorto per comporre parole, simboli e figure in pagine armoniose e piacevoli. Esattamente di questo, crediamo, ha bisogno l’editoria accessibile a abbiamo bisogno tutti noi: di libri che nascano dalla sinergia di professionalità specifiche e che brillino non solo per le buone intenzioni ma anche per esiti degni di nota.

Lunga vita, dunque, alla chiocciolina e alla sua storia! Che possa lasciare una traccia ben visibile sul terreno della lettura inclusiva.

La mia casa

Dal mondo mitteleuropeo, culla fertilissima dei cosiddetti wimmelbucher, arrivano con frequenza sempre maggiore titoli brulicanti da cui lasciarsi assorbire e conquistare. Ali Mitgutsch e Susanne Rotraut Berner sono i maestri indiscussi e gli autori più noti di questo tipo di narrazione. A loro si ispirano spesso gli autori più giovani o meno conosciuti, le cui proposte possono essere cionondimeno valide e interessanti. La mia casa di Anne Suess è una di queste.

Portato in Italia da Gallucci, questo volume-affresco senza parole, presenta un rapporto densità narrativa/spessore decisamente sorprendente. Sottili sottile e composto da sole 8 pagine, il libro contiene in realtà una moltitudine di quadri pullulanti. Ogni doppia pagina fotografa, infatti, la sezione di un condominio, mostrando al lettore cosa accade dentro ogni stanza. Una dozzina di ambienti per ogni doppia pagina, per un totale di circa 50 micro-mondi da osservare. Nel condominio di Anne Suess ci sono appartamenti e negozi, spazi culturali e servizi educativi, uffici e soffitte, laboratori e teatri. C’è tutta una vita, variegata e autentica, che pulsa tra queste mura, dando luogo a micro-scene riconoscibili ma gustose. Lo stile realistico dell’autrice facilita dal canto suo l’identificazione dei contesti e delle azioni mentre il suo guizzo inventivo aggiunge un tocco gustosissimo alle diverse situazioni. Mai piatte, queste ultime ospitano di fatto delle narrazioni istantanee che lasciano però immaginare dei prima e dei dopo suggestivi. Come ci sarà finita la bambina dentro la pendola del gioielliere? Come avranno fatto a portare una mucca fino in soffitta? E la macchina del tempo progettata all’ultimo piano funzionerà davvero?

Anne Suess mette in scena una straordinaria varietà umana: bambini, adulti e anziani (alcuni, peraltro, molto atletici!), professioni pratiche e intellettuali, diversi tipi di tratti somatici e disabilità. La sua è una realtà vera e multiforme, in cui i mestieri non hanno vincoli di genere (c’è una donna meccanico così come un premuroso maestro di asilo) e la quotidianità non cede alla tentazione dell’infiocchettamento. Così, non mancano salsicce rovesciate, buchi involontari nel muro, mal di denti e litigi tra compagni. E tutto questo fa crescere il desiderio e il piacere di avanzare nella lettura per riconoscere (e riconoscersi ancora), per stupirsi, per ridere, per immaginare. Le scene allestite dall’autrice, d’altro canto, non mancano di citazioni e riferimenti intriganti (basti pensare allo scienziato dagli iconici baffi grici!). Ciascuna di esse può essere apprezzata e goduta individualmente, cosa che ne agevola la fruizione anche da parte di bambini che faticano a padroneggiare sequenze articolate e complesse, ma spesso si intreccia con quelle accanto, come nel caso della cantante lirica che scatena l’ira e le reazioni di tutti i vicini. Nascono così collegamenti ulteriori e inattesi sui quali il racconto e l’immaginazione di ciascuno possono continuare a muoversi e trovare nuovo nutrimento.

Il ragazzaccio

Felix è un ragazzo cresciuto in un contesto difficile. Il padre è assente, la madre è malata e nessuno, di fatto, si occupa davvero di lui. Felix è povero e si sente invisibile. Come tale, d’altronde, lo trattano tutti: Felix a poco a poco perde persino il suo nome e diventa per il paese intero il ragazzaccio. Viene soprannominato così quando compie piccole ruberie per bisogno estremo e quella finisce per diventare la sua identità principale quando si lascia convincere da Tigre a entrare nella sua banda. A quel punto non si tratta più di arraffare una mela o un paio di calzettoni per sopravvivere ma di dedicarsi a furti e rapine in maniera sistematica, armi alla mano comprese. Sarà l’incontro con un mansueto ma tenace signore che gli dona un violino in cambio della sua pistola a cambiare la sorte di Felix, dimostrando a lui stesso (e a chi legge) che non si nasce buoni o cattivi e che umanità e arte possono cambiare le sorti di una persona.

Il ragazzaccio è ispirato alla storia vera di José Antonio Abreu, musicista e attivista che nel 1975 ha fondato in Venezuela El sistema, un’organizzazione che promuove la musica come strumento di riscatto sociale. Il signore che salva di fatto Felix da un destino segnato dalla delinquenza fa esattamente ciò che José Antonio Abreu ha fatto nella realtà con moltissimi bambini di strada. L’orchestra di cui Felix inizia a far parte celebra, infatti, il potere della musica in cui Abreu credeva fortemente.

Edito da Camelozampa, Il ragazzaccio, ha il sapore dei libri di una volta e l’aspetto di un libro modernissimo. Il racconto di Angeliki Darlasi non ha paura, infatti, di dire la povertà e di dipingere un contesto di periferia in cui le famiglie sono sgretolate, la fame è compagna fedele e l’appartenenza a una banda può offrire un effimero senso di protezione a appartenenza. Le illustrazioni di Iris Samartzi, dal canto loro, sottolineano il tono malinconico e non privo di sfumature cupe del racconto, optando però per un tratto attuale in cui fotografia e disegno si integrano e in cui le linee essenziali e pochi segni rossi su una base in bianco e nero guidano e allargano la riflessione del lettore. Il libro presenta inoltre la forma poco battuta del racconto illustrato in cui le figure, ampie e presenti a ogni doppia pagina, giocano un ruolo da protagonista. Questo, unito al carattere più grande del consueto e ad alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font Easyreading, la spaziatura maggiore e la sbandieratura a destra, concorre a rendere il libro più amichevole anche nei confronti di lettori dislessici o riluttanti.

Il bruco Misuratutto

Quella del Bruco Misuratutto non è forse una delle storie più note di Leo Lionni ma, al pari delle altre, porta la grazia inconfondibile del papà di Piccolo blu e piccolo giallo. Il protagonista è un bruco astuto che per sfuggire alle grinfie degli uccelli decisi a papparselo, fa valere una sua qualità più unica che rara: la capacità di misurare qualunque cosa. E così, un po’ per vanto e un po’ per curiosità, il pettirosso, il fenicottero, il pappagallo, l’airone, il fagiano e il colibrì decidono, uno dopo l’altro, di concedergli la libertà in cambio di una misurazione: chi del collo, chi delle ali, chi della coda. Con l’usignolo, però, la faccenda si fa più complessa: l’uccello sfida, infatti, il bruco a misurare il suo canto. Il bruco sembrerebbe a questo punto spacciato ma anche questa volta, con un’idea semplice ma brillante, riesce a mettere in salvo la pelle.  Perché si sa, l’ingegno vince sempre sulla prepotente vanità…

Sempre in catalogo per Babalibri, Il Bruco Misuratutto è reso ora disponibile in una versione in simboli da Officina Babùk. Quest’ultima preserva in maniera ottimale le illustrazioni di Lionni e ne mantiene pressoché intatto il testo, fatto salvo per qualche aggiustamento nell’ordine sintattico: qui il soggetto precede, infatti, sempre il verbo e il personaggio che parla viene sempre introdotto prima del discorso diretto. Tali modifiche non compromettono, di fatto, la musicalità del testo ma incidono in maniera significativa sulla sua comprensibilità, soprattutto nei confronti di giovani lettori con difficoltà comunicative. Come tutti i titoli di Officina Babùk, anche Il Bruco Misuratutto opta per lo stampato maiuscolo, così da agevolare gli apprendisti lettori, e predilige l’uso di simboli WLS, particolarmente adatti a supportare visivamente dei testi letterari. I riquadri che racchiudono i simboli, dal canto loro, appaiono apprezzabilmente fini così da risultare visibili ma non invasivi dal punto di vista grafico. Essi sfruttano, inoltre, stondature e bordi a punta per sottolineare la fine dei periodi e gli estremi dei discorsi diretti.

Il lavoro fatto da Enza Crivelli e Sante Bandirali in fase di simbolizzazione rende, poi, questa versione de Il Bruco Misuratutto particolarmente interessante. Quello che viene, infatti, prediletto nella scelta e nella composizione dei simboli è la loro comprensibilità. Più elementi testuali (come articolo e sostantivo o verbo e pronome) vengono, per esempio, accostati a un unico simbolo. Inoltre, nel momento in cui vengono citate le parti del corpo degli uccelli misurate dal bruco, il simbolo riproduce il corpo intero dell’animale in questione ed evidenzia con una freccia e uno riempimento cromatico la parte coinvolta. Certo, quei simboli non saranno magari quelli abitualmente impiegati dai bambini per indicare il collo, la coda o il becco di un generico animali ma sono senz’altro molto efficaci per permettergli di capire a cosa il testo faccia riferimento. Una scelta, questa, che va in maniera netta nella direzione di far dialogare fruttuosamente parole e illustrazioni e di trasformare la lettura in un’esperienza di partecipazione piena.

Dillo!

Dillo! di Teresa Porcella e Gusti è stato una vera sorpresa. Il libro ci ha infatti inizialmente attratto per la possibilità di diversificare le modalità di fruizione della storia (tramite versione cartacea e versione digitale multilingue), e ci ha poi definitivamente conquistato per le potenzialità inclusive insite nella sua costruzione narrativa. Doppio bingo, insomma!

Ma andiamo con ordine. Dillo! fa parte della recente collana MuMu di Telos che offre una duplice esperienza di lettura: in formato cartaceo e in formato digitale. Quest’ultimo, attivabile tramite scansione di QR code, propone le medesime illustrazione del primo arricchite da una minima animazione e la medesima scansione in pagine. Rispetto al cartaceo, però, consente di visualizzare e ascoltare il testo in 4 lingue diverse: italiano, inglese, russo e cinese. Selezionando la lingua preferita con un click sul mappamondo che compare in alto a sinistra, è possibile cambiare infatti sia la lingua del testo scritto sia quella dell’audio ad esso associato. Già solo in questo modo, il libro permette di raggiungere facilmente un’ampia gamma di lettori potenzialmente più fragili: quelli che non padroneggiano l’italiano (e può essere il caso dei destinatari ultimi del libro, ossia i bambini, ma anche dei mediatori che desiderano condividere con questi ultimi la lettura) e quelli che prediligono l’ascolto alla decifrazione del testo scritto. Inoltre, optando per una soluzione ibrida, Dillo! riesce a tenere insieme i benefici di un’esperienza di lettura tangibile e fisicamente esperibile tramite il libro di carta e i vantaggi in termini di personalizzazione che solo la tecnologia può garantire.

Veniamo al contenuto. Il libro – un cartonato robusto e quadrato – racconta di un gatto birichino che si ostina a rubare al suo padrone oggetti di uso quotidiano: calzini, berretti, guanti e zollette di zucchero. Tutto lascerebbe pensare a una strategia antifreddo ma una gustosa sorpresa aspetta il lettore all’ultima pagina! La struttura del libro è efficacemente iterata, sia nelle scansione (l’umano rimprovera il gatto per il furto – il gatto si interroga sulle affermazioni dell’umano) sia nella costruzione delle frasi. Questo fa sì che il racconto, già di per sé minimale e su misura per lettori alle prime armi, possa essere più facilmente compreso e fatto proprio, oltre che gioiosamente anticipato e condiviso in una lettura ad alta voce. Teresa Porcella offre infatti al mediatore un testo perfetto da interpretare insieme e capace di tenere desta l’attenzione anche di chi è meno abituato alla lettura. Le illustrazioni di Gusti, dal canto loro, sono un’esplosione di colore che solletica l’occhio e sottolinea il tono scanzonato del racconto, pur senza distrarre o confondere. Il tratto dell’autore argentino è infatti essenziale e pulito, concorrendo in maniera determinante ad accompagnare il lettore in un’esperienza di lettura spassosa, piena e appagante.

Contare sulle dita

Del talento di Claire Dé nel coniugare riconoscibilità delle immagini e moltiplicazione dei sentieri interpretativi attraverso la fotografia avevamo già detto, raccontando lo splendido Imagine… c’est tout blanc. Quello stesso talento lo ritroviamo ora all’interno di Contare sulle dita, un progetto editoriale che per fortuna, a differenza del precedente, è arrivato ora anche in Italia. Lo ha portato Editoriale Scienza che sta dedicando particolare attenzione a una promettente valorizzazione di titoli fotografici.

Contare sulle dita, dal canto suo, è un libro ibrido, multiforme, difficile da incasellare. È un libro per contare? È un libro per guardare? È un libro per creare collegamenti tra le cose? Sì, sì e sì, è in effetti tutte e tre queste cose, e probabilmente non solo. Ogni doppia pagina di questo robusto cartonato di formato quadrato, propone due fotografie (in una manciata di casi, una sola fotografia che occupa l’intero spazio) nitidissime e dai colori attraenti, associate a un numero o una semplice addizione che interpreta matematicamente gli elementi che la compongono. Più difficile a dirsi che a vedersi, in effetti! Qualche esempio può forse venirci in soccorso: un sasso a sinistra, una conchiglia a destra, la scritta “1”; due insetti a sinistra, due foglie a destra, la scritta “1+1 = 2”; tre coleotteri grandi e uno piccolo a sinistra, quattro foglie a destra, la scritta “3+1 = 4”; quattro foglie gialle e una rossa a sinistra, tre sassi gialli e due rossi a destra, la scritta “4+1 = 3+2” e via dicendo…

Descritto a parole, potrebbe sembrare un libro semplice semplice, che facilmente può esaurire l’interesse. Bene, la verità è che questo libro è l’esatto contrario! Contare sulle dita sottende, infatti, un’architettura raffinatissima, all’interno della quale crescono non solo i numeri ma anche la complessità dei soggetti e delle operazioni matematiche ad essi correlate e soprattutto all’interno della quale tutto, ma proprio tutto, chiede di essere letto: i colori con cui sono scritti i diversi numeri, la loro posizione sulla pagina, i richiami cromatici tra fotografie affiancate, gli sfondi, le luci i giochi di vuoti e pieni, di proporzioni e di contrasti. Di fronte a questo libro risulta, infatti, davvero difficile ostinarsi a ritenere la lettura visiva una lettura di serie B!

Lo sguardo e l’intelletto del bambino, non necessariamente piccolo (anzi!), sono sollecitati senza posa, invitati a cogliere nessi ed equivalenze, a godere di composizioni esteticamente meravigliose, a scoprire che la matematica è intrinsecamente custodita in ogni cosa del mondo, a riconoscere figure, colori e tesori della natura. A fare tutte queste cose o farne anche solo una: e questo è proprio il bello, anche in termini di potenzialità inclusive. In un libro piccolo come questo sono pronti a dipanarsi innumerevoli possibilità di letture e altrettanti percorsi didattici, in cui scienza e poesia possono viaggiare a braccetto.

I libri del topolino – Il vento

Di topini è pieno zeppo il mondo letterario che guarda all’infanzia. Quelli di Monique Felix, però, sono topini davvero speciali. Le loro avventure, già amate da intere generazioni di giovani lettori e ora fortunatamente riportate sugli scaffali da Camelozampa, sono, infatti sorprendentemente deliziose e si sviluppano sempre a cavallo tra dimensione narrativa e metanarrativa.

Qui si trova sempre, infatti, un piccolo roditore che rosicchia la pagina del volume in cui si trova immerso, svelando un mondo sottostante con il quale finisce per confrontarsi. La pagina diventa ogni volta, cioè, una soglia che separa il protagonista (e con lui il lettore) da un mondo altro e inatteso ma anche un oggetto di scena con cui questi interagisce e si destreggia, per poter esplorare e infine uscire indenne dal mondo che di volta in volta va svelando.

Così, per esempio, ne Il vento, il topolino sembra dapprima guardarsi intorno smarrito, come se si trovasse in trappola circondato del bianco disorientante della pagina. Poi, però, il bordo di carta appena mordicchiato lascia intravedere qualcosa subito sotto e la curiosità si fa irresistibile. Topino rosicchia e rosicchia ma non fa in tempo a strappare l’intero perimetro della pagina che questa si stacca e lo spinge con forza: quella che si agitava lì sotto era una tempesta di prim’ordine con tanto di vento impetuoso, fiocchi di neve e piume svolazzanti. Topino si nasconde dapprima dalle grinfie di un’aquila, studia rapito il movimento di un aeroplano e si adopera infine per mettere in opera un semplice ma efficace piano cartotecnico: ecco, infatti, che la pagina strappata si fa girandola. Topino è decisamente pronto per buttarsi a capofitto in quel mondo fatto di colori, oggetti e avventure tutti da scoprire.

Impeccabile nel formato (piccolo e quadrato) e nella composizione (essenziale e sempre in equilibrio tra i diversi piani narrativi), Il vento offre ai lettori più giovani, idealmente di età prescolare ma anche dei primi anni di scuola primaria, una gustosa e minima avventura letteraria, tutta raccontata senza far uso di parole scritte. Il tratto dell’autrice è realistico ed efficace nella resa di movimenti ed emozioni. Non cede inoltre alla tentazione di inserire dettagli superflui. Una volta compreso il meccanismo narrativo che gioca con la pagina e che crea una gustosa e non banale sfida interpretativa, il lettore può dunque seguire con discreto agio le silenziose e ingegnose avventure del protagonista.

Quello incontrato de Il vento appare a tutti gli effetti come un format originale che l’autrice riprende e sviluppa con esiti sempre diversi in una vera e propria serie. La potenziale difficoltà di comprensione data dall’incontro tra piano narrativo e piano metanarrativo può venir dunque mitigata, sul lungo periodo, dalla regolarità della struttura narrativa che caratterizza e accomuna i differenti volumi. Contemporaneamente a Il vento, Camelozampa ha pubblicato anche La merenda. La speranza è che anche gli altri volumi della serie possano presto trovare posto sugli scaffali delle nostre librerie.

Grande gatto, piccolo gatto

Vivace, giocoso, attraente: il libro Grande gatto & Piccolo gatto ha tratti decisamente affini ai due protagonisti che lo animano. I due micini al centro del libro tattile ideato da Stefania Pessina sono infatti inarrestabili e amano muoversi, esplorare e scoprire ciò che li circonda, senza preoccuparsi troppo dei guai che questo potrebbe portare con sé.

Il lettore è invitato dapprima a trovarli, aprendo la porta della loro casetta, e a conoscerli, esplorandone il pelo. Da lì in avanti è tutto un seguirli sul cornicione e sotto il tavolo, dietro la tenda e lungo il muro. Le loro tracce – impronte in rilievo, graffi sulla parete, campanellini smarriti… – sono chiare ed eloquenti, al tatto, alla vista e all’udito. Lasciandosi guidare da esse, si incontrano sulla pagina ambienti e oggetti di facile esplorazione, che delineano un percorso accattivante.

Se il testo di Grande gatto & Piccolo gatto non appare particolarmente sorprendente e sfrutta rime abbastanza basiche, le illustrazioni risultano, invece, piuttosto ben congegnate. Non solo, infatti, esse si caratterizzano per una apprezzabile semplicità compositiva che ne agevola il riconoscimento, ma il fatto che con esse possano interagire i due protagonisti, staccabili dalla prima pagina, le rende anche dei veri e propri scenari di gioco.

Il libro di Stefania Pessina diventa così un strumento efficace e stimolante per incontrare il Braille, per sperimentare semplici concetti topologici e per vivere la pagina come un’occasione di invenzione e narrazione. Non a caso, nel 2019, il prototipo di Grande Gatto e Piccolo gatto è stato insignito del premio come Miglior libro per la primissima infanzia al Concorso Nazionale di Editoria Tattile Tocca a te. Quello stesso prototipo è stato trasformato dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi in un vero e proprio libro tattile, distribuito gratuitamente in centinaia di copie a biblioteche, enti e associazioni del territorio nazionale, grazie al contributo di Enel cuore.

Il ristorante nel bosco

Il ristorante della pecora Gloria è sempre pieno: la sua inimitabile zuppa attira clienti da tutto il bosco e viene servita da un team specialissimo di camerieri. Difficile dire cosa renda quest’esperienza culinaria così irresistibile, quel che è certo è che mettere piede nella cucina di Gloria garantisce al lettore gustose sorprese e ghiotti sorrisi.

Scritto e illustrato da Alessandra Ciarmela con tocco deliziosamente ironico, Il ristorante nel bosco offre ai lettori alle primissime armi una lettura semplice, abbordabile e accattivante. Il testo, stampato in maiuscolo e con caratteristiche di alta leggibilità, è essenziale e breve ma tutt’altro che sciapo. Le illustrazioni, dal canto loro, sono buffe e non prive di dettagli curiosi. Corredato, in chiusura, da alcuni giochi e approfondimenti divulgativi collegati alla storia, Il ristorante nel bosco fa parte di una collana caratterizzata dalla possibilità di fruire del racconto anche in modalità audio, grazie alla presenza di un semplice qr code che rimanda alla lettura ad alta voce del testo.

Da un punto di vista squisitamente inclusivo, Il ristorante del bosco ha un doppio punto di forza. Non solo, infatti, il libro risulta accessibile, grazie ad accorgimenti grafici che rendono la pagina più amichevole e alla presenza dell’audiolettura che diversifica i canali di fruizione, ma affronta anche in maniera molto delicata e leggera il tema della diversità. I camerieri impiegati nel ristorante di Gloria, infatti, hanno tutti bisogno di un piccolo aiuto da parte della titolare per svolgere al meglio il loro lavoro e, non di rado, richiedono ai clienti una certa pazienza perché, per natura, portano a termine il loro compito con una discreta lentezza e con qualche pasticcio di troppo. Ciononostante, i clienti continuano a tornare con un amichevole sorriso in viso… il miglior esempio di apertura e accoglienza che si possa offrire a un lettore!

Un lavoro facile facile

Ha un font amichevole, una spaziatura maggiore, un’impaginazione ariosa, una carta color crema e una sbandieratura a destra. Insomma, Un lavoro facile facile è inequivocabilmente un libro ad alta leggibilità e, come tale, ha una marcia in più nella difficile sfida di accogliere anche i lettori meno forti, più riluttanti o con maggiori difficoltà di decifrazione testuale. Ciò che però trasforma quella marcia in più in un vero e proprio motore rombante è una storia breve, diretta e divertente.

Davide Calì, espertissimo narratore, confeziona infatti un racconto perfetto per un pubblico di preadolescenti, mettendo in scena quattro giovani scapestrati che animano un’avventura piccola ma gustosissima, puntellata da trovate sorprendenti e battute acute. Nella fallimentare impresa di Wassim e Borek, che progettano di fare i soldi addormentando il rinoceronte dello zoo e rubandogli il corno, c’è infatti una corposa dose di imprevisti e di ironia, ben stipata nello spazio di manciata di pagine (meno di 50, per intenderci).

Ecco, un’educazione alla lettura davvero democratica, che non lasci indietro i lettori più fragili, passa anche da proposte come queste: letture valide e appetibili ma al contempo consapevoli che leggerezza e brevità possono essere qualità preziosa e talvolta imprescindibili anche dopo che i bambini hanno imparato a leggere o stanno diventando grandi.

Uno e sette

Diritto alla lettura – lo sottolineiamo spesso – significa tra le altre cose diritto a condividere con i pari non solo conoscenze ma anche immaginari. Significa disporre di un bagaglio di storie, parole e figure che nutrono l’immaginazione di chi legge e che permeano il suo modo di conoscere e riconoscere il mondo, rendendolo capace di dialogare con quello di chi gli sta intorno. In quest’ottica, pensare che il lavoro di un maestro come Gianni Rodari possa risultare inaccessibile per qualcuno è fondamentalmente inaccettabile. Per questo l’iniziativa de La leggeria, che ha realizzato una meravigliosa versione tattile del racconto Uno e sette, originariamente inserito tra le Favole al telefono, è meritevole e apprezzabile. E lo è non solo per l’intento ma anche per la resa.

La versione tattile messa a punto da Ilaria e Lucia Macchiarini, infatti, è curata nei minimi dettagli, offrendo un’opportunità di lettura non solo fruibile da parte di lettori sia vedenti sia non vedenti ma anche godibile da un punto di vista estetico, qualunque sia il senso prevalente che un lettore usi. Questo speciale Uno e sette presenta, infatti, ampie pagine di stoffa grigia su cui spiccano testi in nero e Braille perfettamente inseriti all’interno di riquadri cuciti, e illustrazioni minimali di stampo simbolico. E qui risiede, forse, davvero il genio creativo delle autrici: nel trovare una chiave essenziale ed efficace per rendere a pieno lo spirito del racconto di Gianni Rodari senza compromettere l’accessibilità delle figure

Paolo, Jean, Kurt, Juri, Jimmy, Ciù e Pablo, i bambini protagonisti della storia, sono rappresentati, infatti, attraverso l’intelligente ed espressiva combinazione di diversi tipi di fili e bottoni. Niente di più, niente di meno. Questa scelta, dal canto suo, consente di rendere efficacemente la peculiarità di ciascun personaggio ma anche la sua somiglianza con tutti gli altri. Troviamo, così, sulla pagina bottoni di materiali, forme, dimensioni differenti che rappresentano in maniera non figurativa i singoli individui e che, uniti a fili di cotone, metallo e plastica, animano strade, pentagrammi, biciclette e campi fioriti… potere del pensiero che sa uscire dagli schemi!

Il mistero del cucciolo scomparso

Nella famiglia di Martina, non ci sono molti soldi e nemmeno molte manifestazioni d’affetto. Martina, che del libro di Petra Soukupova è protagonista e narratrice, manifesta insofferenza nei confronti di entrambe le mancanze, ma impara a nasconderla sotto una scorza dura e a tratti respingente, la stessa che poi porta con sé anche al di fuori delle mura di casa. A scuola, per esempio, dove la ragazzina – unica della classe senza device tecnologici – si sente spesso un pesce fuor d’acqua e fatica a trovare amici sinceri. Anche per questo, forse, ciò che desidera sopra ogni altra cosa è un cane: un amico fedele come lo era stato il suo vecchio Zampa.

E così, quando i genitori le permettono, non senza sbuffi, di adottare un cane, Martina stenta a crederci. La sua scelta ricade su Fiocco di neve, un cagnone candido che fin da subito rivela il suo carattere selvatico e indomabile. Sordo, letteralmente, a ogni insegnamento, Zampa si caccia sovente nei guai, contribuendo a suo modo a incrinare ulteriormente la solitudine della ragazzina. Fiocco di neve si rende spesso protagonista di fughe e morsi, fino a quando, in uno straziante colpo di scena, viene trovato morto. La sua morte  diventa a tutti gli effetti uno spartiacque: c’è un prima e c’è un dopo, ci sono quelli che aiutano Martina a scoprire il colpevole e quelli che invece gioiscono per quella scomparsa, ci sono i sospettati e ci sono gli alleati. Le indagini per la risoluzione del mistero della morte di Fiocco di neve vedono coinvolta non solo Martina ma anche alcuni suoi amici e, a vario titolo, diversi abitanti del paesino in cui tutti loro vivono. La ricerca della verità diventerà per la protagonista un modo per esorcizzare la morte, per scandagliare le emozioni che la attraversano e per esplorare relazioni tra pari multisfaccettate e complesse. Fino alla risoluzione del mistero, che assume dal canto suo la forma di una vera e propria catarsi.

Il romanzo di Petra Soukupova è schietto e a tratti crudo, grazie a una scrittura tagliente che lascia poco spazio a fronzoli e ricami sentimentali. Il lettore è catapultato fino al collo in una vicenda in cui bene e male non sono mai netti e in cui le emozioni si mescolano e si intrecciano, restituendo una visione dei fatti e del mondo che non è mai semplice o scontata. Che poi è quello che succede nella realtà.

Avvincente e fuori dagli schemi, Il mistero del cucciolo scomparso è pubblicato in Italia da Beisler che lo propone nella sua ormai collaudata collana leggieascolta. I libri che ne fanno parte si caratterizzano per la presenza di un qr code che consente di fruire dell’audiolettura tramite un’apposita app, scaricabile gratuitamente sia per Android sia per Ios. La possibilità di godere del testo sia tramite lettura sia tramite ascolto rappresenta, dal canto suo, un’opportunità importante offerta dall’editore perché moltiplica i canali di fruizione della narrazione, facilitando il libero movimento del lettore tra le parole. Un accorgimento fondamentale per quei lettori che in ragione di una disabilità o un disturbo specifico dell’apprendimento si trovano spersi di fronte a un fitto testo scritto ma anche per quei lettori che, più semplicemente, prediligono l’immersione in una storia tramite l’ascolto.

Il tasso blu

Tormentato da dubbi esistenziali – Bianco e nero, nero e bianco. Chi sono io? – il tasso protagonista di quest’albo illustrato percorre molti chilometri alla ricerca di qualche risposta. Ogni animale con cui condivide i suoi interrogativi non sa in realtà dargli una risposta ma a sua volta chiede un aiuto – chi per liberarsi da un impiccio, chi per giocare, chi per sentirsi rincuorato – e Tasso non manca mai di rendersi disponibile. Così, quando incontra Pinguino che come lui è sia bianco sia nero, non solo trova la risposta che cercava ma scopre molto di più: che la gentilezza conta e si nota di più di molte sfumature.

Contraddistinto da un bel gioco di contrasti cromatici, da dialoghi velatamente surreali e da un finale buffo che fa sorridere, Il tasso blu è un albo illustrato apprezzabile anche per un altro aspetto: come gli altri volumi che fanno parte della collana Upupa dell’editore La linea, anche il libro di Huw Lewis Jones e Ben Sanders presta grande attenzione alla questione dell’accessibilità.

Il libro presenta, infatti, un testo bilingue – italiano e inglese – e soprattutto dispone di un qr code sulla quarta di copertina attraverso il quale accedere all’audiolettura, anch’essa bilingue, del testo. Un espediente semplice ma efficace per facilitare la comprensione e il piacere della lettura, anche da parte di bambini con difficoltà di visione o decifrazione testuale, di bambini in età prescolare e/o di bambini che padroneggiano l’inglese meglio della lingua Italiana.

Pio pio bau bau

Tratto essenziale, figure evidenti, colori pieni, contorni netti: la cifra di Attilio Cassinelli è inconfondibile, tanto nelle sue fiabe illustrate quanto nei suoi libri senza parole o onomatopeici. Pio pio bau bau rientra in questa seconda categoria. Il libro, che fa parte di una collana di quattro titoli intitolata I senza parole di Attilio, presenta un formato che si sviluppa in orizzontale, perfetto per mettere in valore il lungo cammino del suo protagonista: un pulcino intraprendente che supera il recinto del pollaio per avventurarsi nei dintorni, prima di fare ritorno dai suoi cari. Il suo è un viaggio ricco di incontri: una capra, un cane, varie rane e cornacchie incrociano il suo cammino e a ogni tappa il pulcino impara un verso diverso che si esercita a replicare. Grande è lo stupore di mamma chioccia nel sentirlo belare, abbaiare, gracidare e gracchiare. Basta, però, il pigolio dei fratelli per far ritrovare al pulcino la strada e i suoni di casa…

Attilio, maestro nel raccontare storie in maniera chiara con pochissimi tratti ben scelti, rende perfettamente il senso di marcia del protagonista e dell’interazione con i suoi interlocutori. Lineare nello sviluppo, pulito nella composizione e sempre attento a non affollare la pagina con un numero troppo elevato di personaggi, Pio pio bau bau procede per sole immagini e onomatopee, risultando molto immediato e fruibile anche a bambini piccoli o con difficoltà di comprensione e aggancio a testi più articolati.

Lo sbadiglio

È possibile raccontare una storia – o, addirittura, la Storia – con un solo suono? A leggere Lo sbadiglio di Ilan Brenman e Renato Moriconi si direbbe proprio di sì! Questo libro (quasi) senza parole, che nasce sulla scia di Telefono senza fili, mette infatti in successione rigorosamente cronologica e profondamente ironica una serie di personaggi – dall’ominide all’astronauta, passando attraverso il faraone egizio, il guerriero vichingo e Napoleone – e li collega attraverso un filo narrativo inaspettato: lo sbadiglio, per l’appunto. A ben pensarci, in effetti, tante cose sono cambiate nel tempo ma tutti (proprio tutti) gli uomini e le donne della storia hanno senz’altro provato e manifestato noia e sonnolenza. Ecco allora che un sonoro Oooohhhh (con un numero di o e di h variabile), attraversa i secoli e le pagine di questo libro invitando irresistibilmente il lettore a interpretarlo alla maniera dei diversi personaggi ritratti. Eva, una statua greca e Charlie Chaplin sbadiglieranno mica alla stessa maniera?

Lo sbadiglia si presenta come un libro molto accessibile e altrettanto stratificato. È accessibile perché l’unica parola di cui fa uso è un’onomatopea, perché segue un filo cronologico chiaro, perché si compone di illustrazioni ampie e riconoscibili e perché ogni pagina presenta un solo personaggio alla volta. È stratificato perché può essere letto in tanti modi, perché le sue tavole possono essere godute anche singolarmente e perché alla rappresentazione in primo piano, realistica e apparentemente seria, Renato Moriconi aggiunge degli imprevisti dettagli di sfondo che generano spasso, straniamento, inferenza e invito alla lettura minuziosa: il cartello di divieto di sosta vicino all’albero di mele del paradiso, la sfinge con le orecchie da Topolino, un greco munito di fionda a fianco ad Icaro che precipita, ma anche Cappuccetto rosso insieme alla lupa di Romolo e Remo o il Bianconiglio e gli orologi di Dalì dietro l’inventore della relatività.

Difficile dire che la Storia è noiosa, di fronte a una rappresentazione di questo tipo. Reale e fantastico, passato e futuro scompigliano infatti le carte e creano percorsi inattesi, ricchi di citazioni tutte da scoprire. Che bello sarebbe fare didattica a partire da libri così?

Una casa per Fiammetta – versione tattile

Fiammetta nasce da un vulcano durante un’eruzione. È una fiamma curiosa e per questo decide di andare per il mondo a cercare una nuova casa. L’impresa è però meno semplice del previsto perché, data la natura della protagonista, né il bosco né le case si rivelano essere buone opzioni. Il rischio incendio è, infatti, sempre dietro l’angolo. La soluzione arriverà inaspettata grazie all’incontro con un fornaio il cui forno non ha mai funzionato. Non sarà difficile immaginare dove Fiammetta possa felicemente trovare, infine, la sua nuova dimora…

Molto piano ed elementare nello sviluppo narrativo e nella costruzione del testo in rima, Una casa per Fiammetta è il libro che ha vinto il premio Editabilità all’interno del concorso di editoria tattile Typhlo e Tactus 2022. Questa sezione del concorso riconosce e valorizza, in particolare, quei prototipi che risultano più facilmente riproducibili e dunque capaci di essere realizzati con costi più bassi e diffusi in molteplici copie. L’obiettivo è quello di sostenere concretamente la diffusione dei libri tattili: un processo che, evidentemente, non può prescindere da una riflessione sui prezzi e sui meccanismi di distribuzione tipici di questo settore editoriale.

Dal prototipo originale firmato da Claudia e Andrea Sorrenti è nato un libro tattile vero e proprio realizzato dalla Fondazione Robert Hollman e dall’Associazione Fiori blu, con testo stampato in nero e in Braille e parte delle illustrazioni fruibili anche al tatto. La casa Editrice Puntidivista, dal canto suo, ne ha messa a punto una versione sempre tattile ma ulteriormente lavorata per abbattere il più possibile i costi di produzione. Le differenze tra questo volume e l’originale concernono più che altro l’inserimento del Braille tramite l’applicazione di un cartoncino (e dunque non tramite stampa diretta sulle pagine e sulla copertina), la colorazione di alcuni elementi (variopinti nell’originale, tinta legno in questa versione) e la scelta dei materiali con cui questi sono riprodotti. Non si tratta dunque di differenze enormi ed è di fatto apprezzabile il tentativo della casa editrice di dissimulare l’effetto meno raffinato del cartoncino con il Braille applicato sulla pagina con un lavoro sul colore di sfondo e di nascondere la spirale con una copertina cartonata vera e propria.

Della medesima storia di Fiammetta, la casa editrice Puntidivista propone anche una versione in simboli.

Yipo

Il fascino che le creature buffe esercitano sui piccolini è fuor di dubbio. Se poi quelle creature portano il segno riconoscibile e vivace dell’artista messicano Juan Gedovius, è facile che l’attrazione si faccia ancora più forte. Con le loro sagome bitorzolute, i loro occhi tondi e la loro mostruosità amichevole, le sue figure generano infatti un’immediata simpatia che favorisce l’affezionamento e incentiva la scoperta.

Tutto fuorché sterili esercizi di disegno, le figure di Gedovius animano infatti piccole e significative narrazioni in cui la varietà dei soggetti si fa motore del racconto. Si prendano ad esempio i protagonisti di Yipo, leporello cartonato che mette in scena un’improbabile cordata di piccoli e grandi esseri mostruosi. Ciascuno di loro presenta una conformazione e alcune peculiarità fisiche che ne condizionano la presenza sulla pagina e la relazione con gli altri personaggi. Così, il vermone sinuoso si fa trainare poggiando ognuna delle sue gobbe su di un mezzo con le ruote e tira con la sua coda la lumaca sul monociclo; il mostriciattolo più paffuto e piccino salta la corda, mentre quello che ricorda un pipistrello se ne sta comodamente appeso a testa in giù. E via dicendo… Quello che si viene a creare è una sorta di lungo piano sequenza che scorre sotto gli occhi del lettore in cui il semplice avanzare diventa occasione di invenzione, sorpresa e divertimento.

Costruito in modo da proseguire fronte e retro, senza un vero inizio e senza una vera fine, Yipo fa di un comune filo di lana azzurra il filo conduttore lungo il quale si manifesta la sgangherata combriccola. Chi siano, dove vadano, che intenzioni abbiano i suoi membri è tutto la inventare: l’autore lascia infatti le figure libere dalle parole, incentivando così una certa libertà di lettura, sia nelle modalità di approccio al libro sia nei percorsi di interpretazione.

Non cancellarmi

Il diritto al gioco, il diritto al cibo, il diritto a una casa, il diritto a un ambiente familiare sereno, il diritto ai sogni… quante cose cancella la guerra ai danni dei bambini? Angelo Ruta prova a esplorare questo tema delicato attraverso le pagine di un albo totalmente privo di parole e di grande impatto simbolico.

Il suo Non cancellarmi, nato dalla collaborazione tra Carthusia e l’associazione culturale U-mani-tà, mostra  due bambini all’interno di normalissime situazioni quotidiane – in cortile, al parco, in casa, a tavola… – rappresentando in bianco e con i contorni tratteggiati tutti quegli elementi quotidiani che una situazione di deprivazione può portare via. Così dello scivolo non resta che la scaletta, della casa una porta, del pasto la tavola vuota e via dicendo. Certo, la resilienza è qualità principe dei bambini che infatti provano a sopperire alle mancanze e a ricucire i danni con l’ingegno e la fantasia, ma a quale prezzo?

L’espediente del tratteggio trovato dall’autore è molto efficace perché riesce a dire in maniera eloquente ed evocativa una realtà scomoda e complessa. Il contesto della guerra, dal canto suo, è citato in quarta di copertina ma non risulta di fatto evidente all’interno del libro: aspetto questo che rende la lettura particolarmente versatile e adatta più in generale a un lavoro sui diritti dei bambini.

Piantala

Piantala! è una storia di scontro e di riavvicinamento tra l’uomo e la natura. All’inizio del libro incontriamo infatti un uomo munito di sega che con metodo abbatte, uno dopo l’altro, gli alberi di un bosco. Il paesaggio si fa sempre più desolato ma gli animali che lo popolano non ci stanno e a turno mettono in atto la loro personale vendetta. Così, se prima sono cacche che cadono dagli uccelli in volo, poi sono pigne scagliate dagli scoiattoli e punture di api e infine sono minacce ringhiose di lupo. Impaurito, l’uomo di rifugia sull’unico albero rimasto e qui rimane fino al calare della sera. Sarà allora che il valore di fusti e chiome gli sarà finalmente chiaro e che il suo atteggiamento nei confronti della natura cambierà di segno, a tutto vantaggio degli animali così come suo.

Finalista del Silent Book Contest 2023, l’albo senza parole di Alessia Roselli riesce a tenere insieme in maniera puntualissima atmosfera elegiaca e tocchi ironici. Il suo è un tratto molto particolare in cui dettagli netti si stagliano su paesaggi sfumati. I toni caldi dell’ocra che dominano la pagina, in particolare, facilitano la messa in evidenza dei dettagli più scuri con cui si delineano le sagome degli animali coinvolti. Il risultato è un racconto per immagini dalla composizione raffinata ma dallo sviluppo chiaro e dalla comprensione agevole che ben si presta ad essere goduto tanto in lettura autonoma quanto in lettura condivisa.

No, no e poi no!

Il primo giorno di scuola è impegnativo per tutti. Per qualcuno, però, lo è un po’ di più. Marco, per esempio, reagisce all’idea di lasciare la sua mamma e di ritrovarsi in un posto nuovo con compagni sconosciuti con una sfilza di secchi e maldisposti “No!”. No andare un bacio di saluto. No ad appendere la giacca. No a farsi guidare nella nuova classe. No a fare un puzzle. No a una caramella offerta… le cose sembrano mettersi male, ma la caparbietà dei bambini e l’esperienza della maestra sanno fare miracoli. Ecco allora che, a volte, i no possono restare, assumendo però tutto un altro valore!

Firmato da Mireille D’Allancé nei testi come nelle figure, No, no e poi no! è in catalogo per Babalibri da oltre 10 anni. Ora, per iniziativa di Officina Babùk, l’albo si sdoppia e viene proposto al pubblico anche in una versione in simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, che non sostituisce ma si affianca alla precedente. Contraddistinta da testi in maiuscolo rinforzati visivamente dai simboli WLS, questa nuova versione si presta a facilitare la condivisione della storia e la sua comprensione anche da parte di bambini con difficoltà comunicative e linguistiche. Analogamente, la presenza di icone associate ai lemmi e la scelta del maiuscolo fanno sì che i bambini in età prescolare o in procinto di approcciare la letto-scrittura possano trovare un supporto più amichevole anche in un’ottica di fruizione autonoma del volume.

Il testo di No, no e poi no! presenta perlopiù frasi brevi, lineari e paratattiche così come dialoghi esplicitamente attribuiti: caratteristiche, queste, che lo rendono di per sé più facilmente simbolizzabile di altri. Le uniche modifiche apportate rispetto all’originale, non a caso, sono minime e riguardano l’ordine soggetto-verbo in alcune frasi. Al fine di agevolare la profonda comprensione del testo e della sua struttura, il libro predilige una simbolizzazione per unità di senso (articolo e sostantivo corrispondono per esempio a un solo simbolo e lo stesso accade per espressioni come mi dai un bacio) e ricorre a una riquadratura “eloquente” i cui bordi lisci, stondati o a punta indicano rispettivamente l’inizio e la fine di passaggio narrativo e l’inizio e la fine di un discorso diretto.

Il cappello di Topolina

In catalogo per Bohem press dal 2016, Il cappello di Topolina è un minuscolo libro senza parole che custodisce una storia genuina di amicizia e resilienza. Protagonista è una topolina munita di un elegante copricapo rosso fiammante corredato di un bel fiore blu. Quel cappello piace davvero a tutti e la topolina, molto generosamente, lo presta senza indugio. Il cappello passa così di testa in testa, adattandosi di volta in volta alle antenne della lumaca, alla cresta del gallo, alle corna dell’alce, al testone dell’elefante e alle orecchie dalle variegate forme del gatto, del coniglio, del lupo e dell’orso. Così, quando Topolina torna in possesso del suo accessorio, questo appare completamente deformato, pressoché irriconoscibile. Ma oltre a essere generosa, Topolina sa anche trovare il lato positivo delle cose e così, dopo un comprensibile e fugace momento di sconforto, riesce a valorizzare in modo sorprendente le gobbe e i bitorzoli che ormai caratterizzano il copricapo. Ché di fronte agli imprevisti e agli ostacoli della vita, si sa, possiamo rassegnarci oppure metterci comodi per trovare il modo di abitarli.

Essenziale nei contenuti e nella forma, come nello stile di Eric Battut, Il cappello di Topolina è un esempio puntualissimo di silent book di grande accessibilità. La sua forza inclusiva risiede in una struttura iterata, in una pagina pulita e popolata proprio solo dagli elementi funzionali al racconto, nella presenza di un numero fisso e basso (due) di personaggi di volta in volta presenti sulla pagina, in un uso comunicativo e orientante del colore (il rosso del cappello che cambia forma spicca sempre rispetto a tutte le altre figure che compongono le illustrazioni) e in una trama semplice e lineare. I personaggi scelti sono poi piuttosto comuni e riconoscibili e le posture ed espressioni loro attribuite sono dicono silenziosamente desideri e sentimenti. L’unico elemento che può costituire un ostacolo alla comprensione è rappresentato dal vuoto narrativo che separa ogni doppia pagina da quella successiva, quello in cui fondamentalmente chi sta indossando il cappello lo cede a chi glielo ha chiesto e quest’ultimo se lo mette in testa. Una volta esplicitato, per esempio in seno alla lettura condivisa, può diventare tuttavia anch’esso padroneggiabile.

Nel bosco

Se coltivare il pensiero divergente significa, per dirla con Rodari, rompere continuamente gli schemi dell’esperienza, possiamo serenamente affermare che Laura Cattabianchi è una contadina straordinaria. Il suo libro Nel bosco, rompe infatti più di una consuetudine consolidata nell’ambito dell’editoria tattile: quella di offrire al lettore immagini perlopiù figurative, per esempio, ma anche quella di privilegiare materiali molto diversi tra loro e quella di considerare questi ultimi quasi esclusivamente per le sensazioni tattili che possono offrire.

Al contrario, l’autrice sceglie di percorrere strade progettuali decisamente non battute, dando vita a un libro tattile composto perlopiù di immagini astratte, realizzate a partire dalla sola carta e confezionate in modo tale da valorizzarne essenzialmente l’aspetto sonoro. Ogni doppia pagina offre sulla sinistra il testo in nero a grandi caratteri e in Braille e sulla destra un riquadro di carta di tipo diverso ma di dimensione fissa.

Visionario, innovativo e unico nel suo genere, il libro accompagna il lettore a fare una passeggiata nel bosco, invitandolo a prestare attenzione alle piccole sorprese che questo ambiente gli può riservare: il rumore dei passi sulle foglie, l’incontro più o meno ravvicinato con le creature che vivono sugli alberi, l’inciampo in un ramo secco, il volo di un uccello, un soffio di vento, l’arrivo improvviso di un temporale. Fino al rientro a casa, al calduccio, di fronte a un camino scoppiettante e infine nel letto, sotto le coperte. Il testo, di fatto, fa strada come farebbe una guida lungo un sentiero: conduce, cioè, il lettore nel suo percorso nel bosco, alla scoperta dei suoni che lo animano. Ogni avanzamento immaginario è seguito da un’istruzione pratica (gratta la carta, tira le linguette, soffia sulla carta, infila la mano sotto la carta e tamburella con le dita…) che consente al lettore di ricreare l’atmosfera sonora evocata poco prima.

Quello che ne viene fuori è un’esperienza interattiva e immersiva sorprendente, di grande effetto e di grande accessibilità. Sperimentata facendo a meno dell’uso della vista, anche da parte di chi non presenta un deficit visivo, la passeggiata nel bosco di Laura Cattabianchi avvolge il lettore con una moltitudine di stimoli molto evocativi. Il fatto, poi, che questi ultimi nascano dall’incontro tra semplici gesti (sfregare, arrotolare, grattare…) e semplici materiali (cartoncino ondulato, carta velina, carta da pacchi…) ha un che di straordinario e costituisce per il lettore, piccolo o grande che sia, un incentivo irresistibile a indagare ulteriormente le inattese potenzialità sonore di materiali comuni come la carta.

Possono così nascere, con relativa facilità, nuove passeggiate e nuovi percorsi, attraverso i quali mettere alla prova e riscoprire sensi trascurati, lasciarsi sorprendere dalla fisicità degli oggetti quotidiani e ritrovarsi vicini, al di là delle specifiche abilità, nella bellezza dei viaggi immaginari. Non a caso, Nel bosco nasce proprio dalla lunga esperienza di Laura Cattabianchi nella conduzione di laboratori con lettori di ogni età, dedicati all’esplorazione dei suoni custoditi dai materiali più insospettabili. La cura che l’autrice profonde nella scelta dei tipi di carta e dei tipi di movimenti con cui interagirvi al fine di dar vita a suoni davvero efficaci, riconoscibili e significativi, è ammirevole e rara. Essa va, d’altronde, di pari passo con l’attenzione riservata alla confezione del libro come oggetto estetico prima e oltre che come contenuto accessibile: con il suo formato quadrato, le sue spesse pagine marroni che incorniciano i riquadri di carta e la sua predilezione per colori caldi e avvolgenti, Nel bosco incuriosisce e ammalia, infatti, il lettore, offrendo la meritata cornice a quella che sarà per lui un’esperienza sorprendentemente affascinante.

Missione al chiaro di luna

Missione al chiaro di luna di Aleksandra Artymowska è una dimostrazione lampante che nello spazio di poche pagine e senza parole scritte può prendere vita una storia avvincente, compiuta e felicemente accessibile.

Il libro, finalista del Silent Book contest 2023 e pubblicato da Carthusia, è ambientato in una serena notte di campagna e racconta di una bambina intraprendente e capace di compiere un’impresa spericolata. Svegliatasi di soprassalto, la bambina si accorge che qualcosa o qualcuno che dovrebbe stare sotto il suo letto manca all’appello. La sua passione per lo spazio, testimoniata da poster e complementi a tema, le dà l’ispirazione necessaria per avviare ricerche e recupero. A cosa potranno mai servirle, però, quadri, presine, paralumi e grucce? Il lettore è portato a chiederselo e a formulare congetture man mano che la protagonista si accinge a raccattare questi e altri oggetti più stravaganti dalla casa. Ogni cosa trova però un senso nello spettacolare finale che chiude in bellezza questa piccola avventura.

Capaci di incuriosire e al contempo di orientare chi legge, grazie a una scelta oculata degli elementi da inserire nelle tavole e a un uso efficace di colori e ombre. Missione al chiaro di luna offre una lettura lineare e chiara ma tutt’altro che prevedibile che ben si presta anche a condivisioni ad alta voce.

Ti voglio bene, Blu

I temi ambientali fanno spesso capolino all’interno degli albi firmati da Barroux. Ti voglio bene, Blu non fa eccezione: i danni provocati dall’abuso e dalla dispersione della plastica nell’ambiente mettono, infatti, a rischio la vita di Blu, una balena gentile che fa amicizia con il protagonista dell’albo. Intraprendente e socievole, quest’ultimo ha le fattezze di un bambino ma naviga in solitaria con la sua barchetta e conosce Blu durante una tempesta. È proprio la balena a metterlo in salvo dalle onde in quel pericoloso frangente e da quel momento il legame tra i due si fa saldo e forte. Così, quando un giorno Blu non si presenta al consueto appuntamento e non risponde ai richiami del bambino, quest’ultimo si tuffa a cercarla e la scopre afflitta dall’ingestione di corpose quantità di sacchetti. Con pazienza e dedizione il bambino riesce a liberarla da questo fardello, riportandola al sorriso e alla voglia di scherzare insieme.

Già in catalogo per Babalibri, Ti voglio bene, Blu è ora proposto da Officina Babùk in una versione alternativa in cui le illustrazioni e l’impianto grafico sono mantenuti intatti ma il testo è supportato visivamente dai simboli. L’obiettivo è quello di rendere albi molto apprezzati come questo, fruibili anche da parte di bambini con difficoltà cognitive e comunicative ma anche di bambini di origine straniere o in età prescolare. Rispetto ad altri titoli della giovane casa editrici specializzata nella pubblicazione di libri in CAA, questo di Barroux pone in questo senso una sfida forse più complessa: il testo si compone, infatti, in buona parte di dialoghi non attribuiti esplicitamente, e questo implica un maggiore sforzo da parte del lettore nella comprensione degli scambi tra i personaggi.

Per il resto, il lessico è piano, le frasi sono piuttosto brevi e paratattiche e le scelte di simbolizzazione fatte da Enza Crivelli e Sante Bandirali vanno nella direzione di ottimizzare i pittogrammi impiegati e di rafforzarne il legame con il testo. Così, per esempio, là dove il testo riporta solo il verbo, il riquadro sottostante riporta anche il simbolo del soggetto o dell’oggetto a cui il verbo si riferisce (“sei” è associato al simbolo di tu e a quello di essere, “incontrarti” al simbolo di incontrare e a quello della balena, e via dicendo…). Sempre nell’ottica di facilitare la comprensione del testo e la distinzione delle sue diverse parti, va l’accorgimento ormai consueto nei libri di Officina Babùk per cui la forma del riquadro del pittogramma cambia (forma a punta) quando posto in corrispondenza dell’inizio e della fine di un discorso diretto così come quando è posto alla fine di una frase di qualunque altro genere (forma tondeggiante). L’obiettivo è sempre quello di supportare il più possibile la piena appropriazione del racconto, anche quando questo, come nel caso di Ti voglio bene, Blu, un po’ più sfidante del consueto per i lettori che necessitano dei simboli della CAA.

A tutta musica!

Scopo divulgativo, approccio interattivo, brevi testi e giocose illustrazioni in dialogo: A tutta musica! è decisamente un libro sui generis. Progettato e realizzato a 4 mani da Ole e Hans Konnecke, il volume invita a scoprire 52 strumenti musicali diversi, dai più comuni ai più originali. A ognuno di essi è dedicata una pagina che riporta un breve testo di tono leggero che riassume le caratteristiche dello strumento e/o qualche curiosità in merito – e un’illustrazione in cui lo strumento viene suonato da un animale antropomorfo.

Proprio la scelta di rappresentare i soggetti con lo stile inconfondibile dell’autore tedesco e attraverso l’interpretazione dei suoi personaggi iconici risulta particolarmente felice per rendere il libro accattivante anche per chi non manifesti particolare interesse per la musica. E poiché di musica si può certo disquisire ma poi, a conti fatti, è l’orecchio che deve dire la sua, ogni pagina presenta un Qr code che, inquadrato, consente di ascoltare un piccolo brano suonato con lo strumento descritto. Per il lettore diventa, così, intrigante immaginare il suono di ogni strumento a partire dalle parole e dalle figure che gli autori vi dedicano per poi confrontare le sue ipotesi con una melodia vera.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità, in primis il font Testme, A tutta musica! può essere letto anche a spizzichi e bocconi proprio come un’enciclopedia musicale. Sarà un diletto scoprire che esistono strumenti come lo Steeldrum o la Kalimba… certo, non si può garantire che poi i bambini non vogliano a loro volta testarli in prima persona!

Torna a comprare il pane

Jean-Baptiste Drouot ha un tratto delicato e ironico che sa declinare a modino suscitando nel lettore tenerezza e sorrisi. Sinnos ce lo ha fatto conoscere con l’rresistibile prima lettura Vai a comprare il pane a cui fa seguito ora Torna a comprare il pane. Il protagonista è sempre un volpacchiotto intraprendente che anche questa volta viene mandato dalla mamma a fare una semplice commissione ma si ritrova suo malgrado nel bel mezzo di un’avventura incredibile. Basti dire che ci sono di mezzo un cugino scomparso e poi ritrovato, un naufragio, un giro in mongolfiera, l’incontro con coccodrilli selvaggi e una fuga rocambolesca tra dirupi e ponti sospesi. Non che questo gli impedisca di portare a termine il suo compito, ma l’imprevisto – è bene ricordarlo – è sempre dietro l’angolo…

Torna a comprare il pane si presenta come una lettura di grande accessibilità grazie alla combinazione di una serie di caratteristiche. Si tratta infatti di un libro breve (meno di 50 pagine) con testo contenuto e stampato in maiuscolo e ad alta leggibilità e con immagini preponderanti e regolari. Non solo, si tratta anche e soprattutto di un libro divertente e capace di condensare in uno spazio ridotto un’avventura ricca e avvincente, supportata da illustrazioni amichevoli che sposano perfettamente il tono del racconto. Il risultato è un volume estremamente godibile anche in caso di dislessia e/o di scarsa propensione alla lettura a cui affidarsi a occhi chiusi in un qualsivoglia percorso volto a mostrare ai bambini più riluttanti che il libro può essere sinceramente un amico.

La paura del mostro

La paura del mostro è un classico per l’infanzia firmato da Mario Ramos. Protagonista è Taddeo, un mostro dalle sembianze amichevoli che si trova ogni sera a vedersela con una creatura orribile e dispettosa: una bambina dai codini biondi e dal ghigno maligno che lo spaventa e lo tormenta con sgarbi di ogni sorta, comprese addirittura delle mosse di karatè. Taddeo però resiste e alla fine, ogni sera, riesce ad addormentarsi come un bebè, rassicurato dalla sensazione di essere dopo tutto un grande cacciatore di mostri.

Tutto giocato sul meccanismo del ribaltamento, La paura del mostro esorcizza e sdrammatizza i timori notturni familiari a qualunque bambino con una storia in cui il mostro e la bambina si scambiano di fatto i ruoli generando un effetto insieme straniante e divertente. Maestro dell’ironia e attento conoscitore dei bambini, Mario Ramos aggancia efficacemente il suo lettore mettendo in scena una routine serale comune e dando spazio a delle preoccupazioni molto umane per poi sorprenderlo col sorriso ridefinendo completamente i contorni della paura.

Contraddistinto da testi brevi (non più di una frase per pagina), essenziali e perlopiù lineari, da figure dai contorni netti e prive di dettagli superflui e da una precisa corrispondenza tra parole e illustrazioni, La paura del mostro si presta facilmente ad un adattamento che preveda l’inserimento dei simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Non a caso, il volume è uno dei primi proposti a catalogo da Officina Babùk, casa editrice specializzata nella produzione di libri in simboli. Questa versione, in effetti, si presenta molto fedele all’originale sia nei testi sia nella grafica. Le uniche variazioni testuali – che si contano sulle dita di una mano – concernono, infatti, l’ordine di alcuni termini, funzionale a rendere la frase più lineare o a simbolizzare insieme più lemmi. Quanto alla composizione grafica, l’equilibrio tra testo e figure viene sempre mantenuto, al netto del maggiore spazio richiesto dall’aggiunta dei simboli WLS.

Questi ultimi, contraddistinti da una riquadratura leggerissima, quasi impercettibile, e da un uso votato alla fluidità della lettura (non dunque un simbolo per ogni parola ma un simbolo per ogni unità di senso), sono sufficientemente grandi da poter essere ben indicati in lettura condivisa ma non compromettono la gradevolezza della pagina. Come sempre accade per i libri di Officina Babùk, i riquadri a inizio e fine frase cambiano forma in presenza di discorsi o di un punto a capo. Il testo che vi è associato è stampato in maiuscolo, così da agevolare, laddove, possibile, il passaggio alla lettura alfabetica autonoma.

Una giornata per immagini

Una giornata per immagini è un cofanetto di librotti senza parole che portano l’inconfondibile firma di Attilio. Le figure che lo popolano – oggetti e animali, non di rado antropomorfizzati – si caratterizzano infatti per forme minime e contorni netti, colori pieni e inquadrature chiare, proprio come nello stile unico dell’autore genovese.

I libri che compongono il cofanetto, tutti di formato quadrato e contraddistinti da pagine robuste, sono quattro, rispettivamente dedicate a Il mare, La campagna, La città e La montagna. Ognuno di essi, presenta una sequenza di immagini – una sola, netta, per pagina – collegate tra loro da un punto di vista tematico. Occhiali, infradito, paletta e secchiello, pesci e animali in costume, per esempio, nel volume dedicato al mare. O alberi, frutti, attrezzi da lavoro e animali nelle vesti di contadini in quello dedicato alla campagna. L’idea è che il bambino possa trovare soddisfazione nel guardare le figure, nel riconoscerle, nel nominarle, nel collocarle in una medesima cornice e – non va escluso – nel metterle in relazione attraverso semplicissimi fili narrativi. Così, per esempio, nel volume dedicato alla montagna si può intravedere una sequenza di azioni – dalla vestizione, alle scivolate sulla neve, al rientro al calduccio – che va potenzialmente a delineare una protostoria.

Questa libertà di esplorazione, unita all’imbattibile essenzialità compositiva che è cifra di Attilio, fa sì che i volumi di Una giornata per immagini possa risultare molto trasversale per età e abilità, moltiplicando le possibilità di accesso anche in caso di disabilità cognitiva o comunicativa.

Ho bisogno di te

Ripresi nel bel messo di una traversata tra i ghiacci polari, mamma e cucciolo di orso procedono a passo spedito diretti chissà dove. Il cucciolo è curioso e questo talvolta lo porta a rallentare, a distrarsi e seguire percorsi alternativi. Così gli succede di restare indietro, attratto per esempio da un branco di socievoli foche. La mamma, dal canto suo, procede diritta, senza guardarsi praticamente mai alle spalle. È fiducia estrema o imperdonabile imprudenza, la sua? Man mano che la storia procede, il lettore è portato a chiederselo. Quel cucciolo, ci viene da pensare anche in virtù del titolo del libro, andrebbe forse protetto.

Cosa capita, infatti, se il supporto dell’adulto di riferimento viene a mancare? Che i predatori possano farsi minacciosi, che la neve possa disorientare e che un guado possa sembrare insuperabile. Per fortuna, l’aiuto può arrivare anche da figure esterne, amiche e di fiducia, che come un ponte possono aiutare a superare momenti difficili.

Contraddistinto da tavole silenziose, non solo perché prive di parole ma anche perché capaci di catapultare in una natura dal fascino ovattato, Ho bisogno di te di Angelo Ruta racconta della cura e del ruolo fondamentale che essa gioca all’interno delle relazioni. Nato da un progetto congiunto di Carthusia e Cesvi, il libro trasforma l’assenza di testo nella chiave per suscitare ipotesi e interrogativi nel lettore, attivando un processo di pensiero che può scavare molto nel profondo.

Storielline

Le Storielline di Miguel Tanco sono come le ciliegie: ne assaggi una e poi finisci per snocciolarne una sfilza, che preso il giro diventano a dir poco irresistibili. Piccine picciò, hanno la durata di una pagina e si fanno spiluccare con diletto. Proprio come dei fumetti a strisce (senza parole però, fatto salvo per il titolo di ognuna) si sviluppano in orizzontale, sfruttando la lunga doppia pagina come scena per moltiplicare interpretazioni e punti di vista rispetto a un medesimo tema. La fine delle vacanze può coincidere con la mogia fine delle corse in spiaggia o con il gioioso ritrovamento delle amicizie di scuole. Si può essere senza paura attraversando il parco con tutto ciò che è proibito portarvi o guardando un elefante da distanza ravvicinata. Si può sperimentare la grande evasione tra pile di libri o campi di grano. E vi dicendo…

E proprio qui stanno la peculiarità e il grande fascino di queste storie mignon: nel raccontare le molte sfaccettature che uno stesso sentimento, esperienza o situazione possono avere. Attraverso i suoi personaggi bambini, indomiti e creativi, Miguel Tanco celebra, cioè, la bellezza dell’umanità, variegata e imprevedibile, soprattutto quando sa conservare l’intraprendente spirito infantile.  È così, infatti, che gli scalini possono diventare montagne e le strisce pedonali tronchi sul fiume infestati dai coccodrilli, che a ping pong si può pensare di giocare con palla, racchetta e mazza da baseball o che può valer la pena affrontare una lunga passeggiata nel bosco solo per bagnare una piantina nascente.

Estremamente concise ma capaci di solleticare grandi aperture di pensiero e immaginazione, le Storielline di Miguel Tanco ci dicono che la vita può essere in un modo ma anche nel suo esatto contrario, e che non è affatto detto che solo l’uno o l’altro sia quello giusto. Lo fa con un approccio freschissimo, ironico e positivo, riflesso da un tratto vivace e dinamico.  Ne risultano vignette quasi istantanee e immediate che mescolano adesione al reale e piccole evasioni fantastiche e che trasformano titoli neutri in contenitori di grandi e variegate avventure.

Finestre

Vincitore del Silent Book Contest 2024, Finestre è un libro senza parole giocoso e sorprendente, tutto basato sull’ingannevolezza delle apparenze. Vietato farsi fuorviare dai toni cupi che non mancano né in copertina né negli interni: il volume è tutt’altro che triste e, anzi, delizia il lettore giocando proprio sul contrasto tra le figure malinconiche o paurose suggerite dalle ombre e le realtà dinamiche e sorridenti che dietro di esse si celano.

Il libro assume il punto di vista di una bambina che troviamo assorta nei suoi pensieri mentre guarda fuori dalla sua finestra di casa. L’immagine di apertura ci dice che il palazzo in cui la bambina vive è alto e circondato da edifici simili: le cose da osservare sono dunque potenzialmente numerose. Attraverso lo sguardo della protagonista, ci soffermiamo su alcune finestre illuminate, mentre fuori il buio della notte avvolge la città. Le sagome che si delineano sembrano appartenere a inquilini isolati, litigiosi, minacciosi o inquietanti: vecchiette chine sul loro solitario lavoro a maglia, coniugi in preda alla disperazione, uomini mastodontici o desolati e persino coccodrilli furibondi… ma la realtà, spesso, non è come appare e così a ogni doppia pagina in cui emerge un’ombra perturbante, ne segue un’altra che inquadra il soggetto dall’interno della stanza, perfettamente illuminato.

Ed è qui che emerge con gioiosa allegria, l’equivoco generato dalla semioscurità. Ciò che sembrava non è: abbuffate di sushi, balli sfrenati, coccole confortanti, tentativi di rinfrescamento e appassionate sessioni di hobbistica vengono alla luce in tutta la loro vivacità, anche cromatica. I toni caldi e avvolgenti diventano protagonisti e catapultano il lettore all’interno di contesti dinamici che molto fanno immaginare. Anche la bambina incontrata in apertura non è esente dal gioco delle apparenze: con lei e con il suo affettuoso gatto si chiude, infatti, questa narrazione fatta di molti inganni, pochi colori e nessuna parola.

Sfizioso e ammaliante, Finestre presenta una struttura iterata che ne agevola la comprensione. Il tratto denso ed espressivo dell’autrice, Lola Svetlova, gioca un ruolo chiave insieme al contrasto tra realtà e apparenza nel solleticare l’immaginazione del lettore. L’ampio formato e il meccanismo ludico lo rendono infine particolarmente adatto anche a una lettura condivisa e ad alta voce.

Tanti auguri!

Che graziosa sorpresa riserva un libro come Tanti auguri! di Kaori Takahashi! L’autrice costruisce infatti una piccola storia sfruttando un ingegnoso sistema di pieghe del cartoncino e dando vita a un volume in cui le pagine non sono rilegate ma si aprono ora in orizzontale ora in verticale fino a comporre una sorta di poster.

Man mano che le pagine si aprono, il semplice ma compiuto racconto si sviluppa: una bambina esce di casa, incontra due amici – l’uno in possesso di un palloncino e l’altro in possesso di una caramella appena comprati nei relativi chioschi sul ciglio della strada –, si cruccia di non aver nella con sé, vede dei fiori in un prato lì accanto, ne raccoglie alcuni e infine ne fa dono, come gli altri fanno con il palloncino e la caramella, all’amica che li aspetta per il giorno di festa. Buon compleanno!

Fresca nel tratto e gioiosa nei colori, Kaori Takahashi confeziona un libro che contiene in sé, per come è costruito, un minimo elemento ludico capace di rendere speciale il racconto. Il fatto di aprire le pagine in maniera insolita e di dare fisicamente forma al percorso compiuto dalla protagonista attraverso uno scenario che diventa via via più grande fa sì che il volume risulti non solo particolarmente appetibile ma anche particolarmente fruibile. La familiarità dei soggetti e della situazione rappresentati e lo stile essenziale e privo di fronzoli dell’autrice contribuiscono, dal canto loro, a facilitare la comprensione e l’apprezzamento del racconto.

Il compleanno

Difficile immagine un compleanno più incredibile di quello di Angelica: invitati, festa e regali sono tutto fuorché ordinari. La bambina protagonista di questo adorabile silent book firmato dalla pluripremiata artista Albertine ha la fortuna infatti di condividere preparativi e ricevimento con una squadra di creature insolite -un po’ animali, un po’ pupazzi, un po’ mostriciattoli – fortemente motivate a rendere indimenticabile questa giornata speciale. Insieme, Angelica e i suoi amici dormono, si fanno belli, cucinano e preparano gli addobbi e infine si scatenano, dentro e fuori casa, insieme agli invitati venuti da fuori. La festa dura fino a sera quando infine la stravagante casa torna alla sua quiete sorridente.

È un tripudio di gioia e libertà bambina, Il compleanno. C’è una casa immaginaria senza figure adulte, c’è una giocosa convivenza con amici di ogni tipo, c’è la libertà di fare cose da grandi alla maniera dei piccoli, c’è il gusto di realizzare con il massimo impegno decorazioni casalinghe e c’è il gioco, autoregolato e creativo, che assume mille e una forma. A mettere in valore questa dimensione dinamica e festosa concorrono in particolare i colori vivaci che popolano le tavole, il tratto sottile e mai stereotipato con cui Albertine dà vita ai suoi personaggi e la costruzione del libro come un autentico wimmelbuch.

Ogni pagina pullula, infatti, di personaggi diversi che fanno cose diverse. A questi si aggiunge una miriade di oggetti, altrettanto buffi e attraenti, che definiscono il contesto e rendono viva la scena. Così, i giochi nella stanza, i quadri in bagno o gli alimenti sul tavolo della colazione, bel lungi dall’essere meri elementi decorativi, contribuiscono attivamente ad arricchire e moltiplicare le ipotesi narrative che il lettore può fare in merito alla stravagante compagine che anima il libro. Il risultato è una sequenza di pagine spumeggianti in cui l’occhio del lettore viene costantemente sollecitato e chiamato a destra e a manca. Tante sono le cose da osservare e nessuna, in fin dei conti, ha priorità effettiva o più valore delle altre: aspetto, questo, che può mettere maggiormente a proprio agio quei lettori che faticano a individuare il focus della storia. Certo, si potrebbe pensare che la festeggiata (che è peraltro l’unica umana) esiga maggiore attenzione ma a ben guardare, il suo stesso atteggiamento nei confronti dei compagni e delle cose da fare, sembrerebbe dirci il contrario, ossia che la festa è di tutti, è un gioco collettivo.

Benvenute sono dunque le esplorazioni libere della pagina, le attenzioni a dettagli apparentemente insignificanti, il gioco di ritrovare personaggi e oggetti man mano che la storia scorre e la propensione a dare voce a storie parallele ma mai marginali. Perché se non c’è un vero fuoco, anche il margine sfuma e quando questo accade, anche chi fatica a stare dentro binari narrativi rigidi può finalmente trovare il suo posto e sentirsi parte della festa.

Scappa, Nocciola!

Scoiattoli accumulatori, ragni furbetti, uccellini affamati, rane dispettose… quanto può essere imprevedibile e rischiosa la vita di un frutto in mezzo al bosco! Lo sa bene la protagonista di Scappa, Nocciola! che per fortuna, però, ha coraggio da vendere, una buona dose di intraprendenza e un pizzico di fortuna che non guasta mai: così, nonostante incappi in una serrata serie di incontri poco felici, Nocciola riesce sempre a mettere in salvo il guscio. Certo, a furia di scappare la sua casa si fa lontana. Sarà a quel punto la fiducia (ben) riposta nella creatura più spaventosa della foresta, a permetterle di riabbracciare il suo nocciolo e gli affezionati insetti che come lei vi abitano.

Incalzante, avventuroso e non privo di tenerezza, Scappa, nocciola racconta una storia densa di personaggi, incontri e colpi di scena, facendo leva sulle sole figure. Del tutto privo di parole, il libro di Caroline Romanet e Magali Clavelet fa parte della validissima collana Le nuvolette di Arka Edizioni: una raccolta di storie avvincenti e appaganti che uniscono l’accessibilità del racconto per immagini alla chiarezza compositiva tipica del fumetto. Proprio come gli altri titoli della collana, anche Scappa, Nocciola! presenta una regolare scansione in vignette (da due a sei per pagina) che accompagna e sostiene la comprensione del racconto. I passaggi narrativi sono infatti molto chiari ed espliciti così che, difficilmente, il lettore si ritrova sperduto.

Perfetto per bambini in età prescolare che, pur senza padroneggiare la lettura alfabetica, amino le storie ricche Scappa, Nocciola! può felicemente accompagnare anche i lettori alle prese con le prime letture autonome, non ultimi quelli che, in ragione di una disabilità uditiva o di un disturbo specifico dell’apprendimento,  trovano nei racconti visivi un rifugio appagante e accogliente.

La scomparsa di Maresciallo. Le indagini di Italo

In questa storia ci sono un pappagallo scomparso, un maialino investigatore e una sfilza di altri animali da fattoria che collaborano o interferiscono con le indagini. Seguire le tracce di un pennuto scorbutico misteriosamente sparito è faccenda tutt’altro che semplice, soprattutto se come l’investigatore Italo non puoi volare, non puoi scavare gallerie e provi un’attrazione irresistibile per i pisolini. Ma Italo è un tipo tosto, perciò con molta calma e le dovute pause si mette sulle tracce di Maresciallo, pronto ad affrontare anche il più feroce di cani randagi. Dovrà fare accordi loschi, trovare insperati alleati, fare domande scomode e trovare il coraggio di dire di no ai bulli da cortile ma alla fine verrà a capo dell’enigma, come solo un vero professionista delle indagini sa fare.

Scorrevole e spiritoso, La scomparsa del maresciallo può contare sulla penna giocosa di Beniamino Sidoti e sulla matita leggera di Evelise Obinu. La misura è inoltre breve e il testo è stampato con la font Inconstant, la cui caratteristica irregolarità risulta funzionale a una maggiore leggibilità anche in caso di dislessia. La font in questione, progettata da Daniel Brokstad, fa in particolare leva su forme, altezze inclinazioni variegate che rendono il testo piuttosto dinamico. L’aspetto dei grafemi viene inoltre modificato in funzionale dei grafemi circostanti, così da contrastare spiacevoli sovrapposizioni e confusioni. Lo stesso grafema assume dunque forme diverse a seconda della parola in cui è inserito. La font nasce su sollecitazione di Dyslexia Scotland, ente scozzese che promuove l’inclusione delle persone dislessiche, che attraverso la campagna There’s nothing Comic about Dyslexia ha portato alla luce il rischio di giudicare una font come il Comic Sans solo per il suo aspetto estetico (e non per la sua leggibilità) e ha promosso la progettazione di un carattere approvato tanto dai lettori dislessici quanto dai designer.

Conta chi conta

Un libro per contare, un libro per riflettere, un libro per dare valore: Conta chi conta ha tante facce e proprio come tale può essere proposto ai giovani lettori. Ogni sua doppia pagina mette a confronto un numero che, di fatto, non è che un’entità astratta, con un oggetto che, al contrario, è decisamente concreto. I numeri dal canto loro crescono, l’oggetto cambia ma resta sempre uno. Eppure, con buona pace della matematica, il secondo – che sia un panino per chi ha fame, un raggio di sole per chi ha freddo, un abbraccio, un amico sincero o una fiaba – conta sempre più del primo. Difficile, in effetti, affermare il contrario.

Compatto e dall’aspetto raffinato, il libro di Ilaria e Lucia Macchiarini presenta testi in rima in nero (applicati a posteriori con una soluzione cartotecnica elegante) e Braille e illustrazioni fruibili sia alla vista sia al tatto. Se i testi, dal canto loro, difficilmente sfuggono alla retorica, le illustrazioni evidenziano una ricerca approfondita e interessante sui materiali. Talvolta molto realistiche, come nel caso della candela di compleanno, talvolta simboliche, come nel caso dell’abbraccio di mamma e papà, queste risultano sempre estremamente essenziali, ben percepibili dai polpastrelli e tattilmente stimolanti. Ogni doppia pagina riporta inoltre in alto a destra un numero di tondi dorati che rispecchia il numero di cui di volta in volta parla il testo. In questo modo il confronto tra quantità e valore diventa particolarmente concreto e comprensibile.

Scatola con sorpresa

Edizioni Arka ha portato in Italia un delizioso progetto editoriale di origine francese: una collana di fumetti senza parole per bambini intitolata Le nuvolette (originariamente: Mini bulles). I volumi che la compongono si caratterizzano per un tipo di racconto estremamente fruibile nella misura in cui l’accessibilità legata alla narrazione per immagini si somma a quella dettata dalla partitura regolare delle vignette.

La collana si rivolge idealmente a un pubblico di età prescolare, come intuibile dai personaggi e dal tipo di vicende narrate, dalla predilezione per il codice iconico e dall’attenzione a rendere i passaggi da una vignetta all’altra particolarmente chiari ed evidenti. In questo senso, i diversi autori che hanno collaborato a questa collana hanno dato a vita a storie facili da seguire nel loro sviluppo grazie a sequenze che lasciano pochi vuoti narrativi e dunque accompagnano il lettore passo passo. L’idea che sta alla base della collana è, non a caso, che i volumi che ne fanno parte possano prima di tutto essere letti in autonomia dai bambini, senza che debba necessariamente essere un adulto a guidarli (cosa che, in ogni caso, è sempre possibile e offre una diversa possibilità di lettura).

Scatola con sorpresa di Édouard Manceau si apre, manco a dirlo, con una scatola rossa ben chiusa. Da quella scatola, a partire dalla seconda vignetta, fa capolino un micio che esce, trova a sua volta una scatola azzurra da cui – sorpresa! – esce un amico, un piccolo coniglio. I due si avviano insieme (muovendosi sempre verso destra) e compiono un lungo viaggio durante il quale incontrano un gran numero di scatole, ciascuna delle quali contiene nuovi incontri e/o nuovi ambienti in cui muoversi. Così, in una sequenza molto dinamica, i due si imbattono in un’orchestra allegra, in un mostro buffo, in una motocicletta, in un pesce, in una foresta, in un equipaggiamento da campeggio, in una mongolfiera, in un barattolo, in un arco, in un’auto e in un paesaggio marino… Come si combinino questi elementi per dar vita a piccole spassose e ingegnose vicende non lo riveleremo. Si sappia, però, che quelle che possono sembrare delle innocue scatole di cartone possono contenere tutti gli ingredienti necessari per vivere un’avventura degna di questo nome. Potere dell’immaginazione!

I molteplici cambi di scenario, la dimensione magica che trasforma le scatole in veri e propri mondi in cui immergersi e la varietà di personaggi incontrati ed eventi sopraggiunti rendono Scatola con sorpresa leggermente più complesso rispetto a Coco e Mosca, l’altro titolo che ha inaugurato la collana de Le Nuvolette. Ciononostante troviamo anche qui un’apprezzabile attenzione a rendere agevolmente decodificabile ciò che accade nelle vignette, a esplicitare passaggi anche minimi e a guidare il lettore all’interno di scene mutevoli grazie a efficaci cambi di sfondo (un colore diverso per ogni scatola esplorata) e a precise espressioni del viso dei personaggi. Ne vien fuori un racconto denso ma amichevole che può riservare grandissima soddisfazione!

Il Miciometeo

Non è raro, in montagna, imbattersi in curiosi e ironici sistemi di previsione del tempo basati sulle condizioni di una corda: se è rigida fa freddo, se è mossa c’è vento, se è bagnata piove, se è invisibile c’è nebbia. Ecco, Il Miciometeo potrebbe essere una variante libresca, animata e coccolosa di quei sistemi.

Il protagonista è infatti un placido gattone dal cui lungo pelo si possono evincere le condizioni metereologiche: se piove è umettato e compatto, se grandina nasconde granelli duri, se c’è il sole è caldo e arruffato, se c’è vento è tutto pettinato da un lato, se gela è rigido e se nevica porta dei fiocchi leggeri. Il volume che ne descrive le prodigiose qualità è un libro tattile illustrato che si compone di 8 doppie pagine in stoffa ruvida, con testo in nero (stampato maiuscolo e a grande carattere) e in Braille e con illustrazioni da vedere e da toccare. Il primo è sempre posto sulla pagina di sinistra e le seconde sempre su quella di destra: in questo modo l’orientamento del lettore viene agevolato e la lettura del testo supporta l’esplorazione delle figure che seguono.

Dopo la prima doppia pagina che spiega la peculiarità del Miciometeo, quelle seguenti sono dedicate ai diversi giorni della settimana. A ogni pagina corrisponde un giorno, a ogni giorno corrisponde un clima diverso, e a ogni clima corrisponde un aspetto diverso del pelo. La base di quest’ultimo è però sempre identica e questo aiuta il lettore a riconoscere gli elementi che di volta in volta su di essa variano, senza disperdere tempo e sforzi nella decodifica di sagome sempre diverse. La rappresentazione, inoltre, non è figurativa ma si compone di un semplice quadrato di pelo: in questo modo il lettore è invitato a concentrarsi sull’aspetto tattile più che sulla forma del gatto.

Questi aspetti, uniti a una scelta curata e suggestiva dei materiali da apporre o dei trattamenti da applicare alla base di pelo, fanno sì che il libro di Ilaria e Lucia Macchiarini, già apprezzate autrici di Tana, risulti molto immediato, comprensibile, stimolante e fruibile. Non a caso, in occasione del 7° concorso nazionale di editoria tattile Tocca a te, è stato insignito di una menzione speciale come miglior libro dedicato alle disabilità complesse.

Rico e il mistero dell’angolo triangolo

Quella dedicata alle avventure di Rico e Oscar è una consigliatissima trilogia di libri per ragazzi scritta da Andreas Steinhöfel che non solo offre al lettore storie appassionanti e divertenti ma dà anche spazio, in maniera degna e avvincente, a un protagonista che si discosta dalla norma. “Lento di cervello”, come suole autodefinirsi, Rico ha un modo tutto suo di vedere e affrontare il mondo, non sempre al passo con i ritmi che la società esigerebbe, e ciononostante perfettamente capace di trovare la sua strada. Il suo modo un po’ ingenuo e non tempestivo di cogliere le cose è spesso all’origine delle (dis)avventure che lo coinvolgono: (dis)avventure da cui, alla sua maniera e con i tempi, Rico esce però sempre vincitore.

Sulla scia della serie che lo vede protagonista insieme all’amico Oscar, nasce Rico e il mistero dell’angolo triangolo: un volume snello e abbordabile destinato a un pubblico più giovane, alle prese con le prime letture autonome. Di breve misura e stampato in stampatello maiuscolo, questo nuovo titolo ci mostra il personaggio di Rico di qualche anno più giovane. Qui il bambino si appresta, infatti, ad iniziare la prima elementare: fase della vita in cui il suo modo di pensare divergente e un poco rallentato inizia a emergere con più evidenza e a porre i primi ostacoli pratico-scolastici. Come farà Rico ad arrivare da solo a scuola ogni mattina (cosa evidentemente comune in Germania, dove il libro è ambientato) e a stare al passo dei pari, se la sua mente si distrae, segue percorsi lunghi e lenti e si interessa di cose apparentemente insignificanti o insensate per tanti adulti che lo circondano?

Il libro affronta con grande delicatezza e ironia questi interrogativi, dando voce a una fase di passaggio, come quella che caratterizza l’attesa di una diagnosi, contraddistinta da molte incertezze e altrettanti cambiamenti. Accanto al protagonista c’è una mamma accogliente e positiva, che come e insieme a Rico si sforza di trovare soluzioni anche stravaganti là dove gli altri vedrebbero solo criticità e limiti. Ma attenzione: Rico e il mistero dell’angolo triangolo affronta senz’altro più di petto dei volumi precedenti la questione della diversità ma non per questo risulta cedere alla tentazione di farsi mero libro a tema. L’autore segue con passione, infatti, e dà credito alla teoria di Rico seconda la quale i triangoli sarebbero in via di estinzione e la trasforma da un lato in un filo narrativo piacevole da seguire e dall’altro in una metafora attraverso la quale dare voce alla divergenza.

Il libro si compone di brevi capitoli che appaiono abbordabili anche per i lettori meno forti. Merito, in particolare, della grafica pulita, del font ad alta leggibilità testme, dell’impaginazione ariosa e non giustificata e delle frequenti figure dal tratto dinamico che accompagnano puntualmente i testi rendendo la pagina accattivante e di più agevole decifrazione.

Io ti aspetto qui

Io ti aspetto qui è un albo illustrato con testo in nero e in Braille e inserti tattili, nato in casa Puntidivista per offrire al lettore uno strumento di supporto in caso di difficoltà emotiva. Il libro si rivolge direttamente a un ipotetico bambino triste o spaventato, a cui suggerisce alcune strategie che possano aiutarlo a calmarsi: accarezzare un gatto morbido, passeggiare in un bosco, prendersi del tempo per starsene un po’ da solo in un luogo quieto, per esempio. Alla fine di ogni consiglio il libro invita il lettore a sperimentarlo attraverso le illustrazioni tattili dopodiché gli dà appuntamento alla pagina successiva, come in una sorta di percorso guidato.

Il volume, disponibile anche in una versione semplificata e simbolizzata, sempre contraddistinta da inserti tattili, è pensato per risultare fruibile sia da bambini ciechi sia da bambini vedenti. Il testo in doppio codice è impresso su cartoncino, a sua volta apposto sulla pagina: un espediente, questo, che da un lato consente di ridurre i costi legati alla stampa Braille ma che dall’altro restituisce un aspetto più amatoriale al volume, soprattutto quando il testo viene applicato sulle illustrazioni. Queste ultime, dal canto loro, hanno una base visuale dai colori vivaci, arricchita da alcuni elementi tattili con cui il lettore può interagire (la sagoma morbida del gatto, l’albero, i giocattoli…). Ne risulta così un libro fruibile anche facendo esclusivo uso del tatto.

La prima storia che abbiamo raccontato

Grande nel formato e nella minuzia compositiva, La prima storia che abbiamo raccontano è un silent book straordinario che celebra la potenza delle storie. Frutto del lavoro a quattro mani di Rafael Yockteng e Jairo Buitrago, il libro si compone di ampie tavole in bianco e nero realizzate a matita con un’accuratezza impressionante. Dinamico e palpitante, ogni passaggio narrativo prende vita grazie a figure definite a tratto fine e a scenari di ampio respiro.

La storia è ambientata nel Pleistocene e ritrae una eterogena tribù di ominidi che si sposta nel bel mezzo di una natura sconfinata e zeppa di pericoli, mentre si dedica ad attività fondamentali come la caccia e la pesca. Ogni passo è un rischio, ogni giorno è una scommessa. Ci sono pareti ripide da superare, intemperie da affrontare, massi da spostare e soprattutto bestie feroci da cui fuggire o contro cui combattere. Non sempre gli esiti sono positivi e il libro non lo nasconde, anzi. Proprio il durissimo combattimento dei protagonisti con un branco di enormi bisonti fa da prologo alla storia e occupa le pagine che precedono il titolo stesso, catapultando immediatamente il lettore in un mondo ostile, in cui stare all’erta è prerequisito fondamentale alla sopravvivenza.

Servono riflessi pronti e sguardo attento. Ma lo sguardo, è bene precisare, può modularsi in tanti modi: si può guardare per trovare delle prede, si può guardare per trovare delle vie di fuga, e si può guardare per trovare delle storie. Così fa, infatti, la più piccola della tribù: una bambina dalla chioma ribelle che silenziosamente, in ogni situazione, si distingue dai suoi compagni di viaggio per la maniera in cui osserva le cose intorno a sé. Nei suoi occhi c’è spazio anche e soprattutto per la curiosità e per la meraviglia: esattamente le scintille che consentono di trasformare legno e fuoco in arnesi per dipingere le pareti di una grotta. Ed ecco che con  questa straordinaria scoperta, tutte le avventure affrontate dalla tribù possono rivivere ancora e ancora. Ma questa è un’altra storia…

Estremamente affascinante, La prima storia che abbiamo raccontano mette in scena molti personaggi e scenari diversi offrendo al lettore una grande varietà di stimoli tra cui districarsi. I passaggi narrativi non sono sempre espliciti e questo rende l’esperienza di lettura particolarmente densa e sfidante. Le cose da osservare sono molte, compresi dettagli dell’ambiente e della fauna ricostruiti in maniera meticolosa: il grado di assorbimento, il tempo di immersione e la ricchezza di questa narrazione per immagini risultano perciò davvero elevati. Immaginate quanti percorsi – inventivi e didattici – possano prendere vita tra questi vulcani e foreste, grotte e animali preistorici?

Piccoli tesori

È un piccolo e vivissimo mondo in miniatura, quello dipinto dall’illustratrice francese Charlotte Klein: un mondo accogliente e a misura di bambino, in cui è pressoché impossibile ritrovarsi senza nulla da fare. O senza nulla da osservare, se ci si pone dal punto di vista del lettore. Ciò che quest’ultimo si trova tra le mani, sfogliando il board book Piccoli tesori, è infatti una successione di irresistibili quadri dedicati ai diversi spazi cittadini – al chiuso e all’aperto – in cui incontri e attività pullulano a dismisura. È a tutti gli effetti un wimmelbuch (quasi) senza parole, Piccoli tesori: un libro brulicante in cui immergersi seguendo a proprio gusto la molteplicità di stimoli offerti dalla pagina. Ma è anche un libro-gioco: sotto ogni tavola si trova, infatti, una raccolta di dieci oggetti che il lettore può divertirsi a cercare all’interno della scena.

Assenza di parole, gioco e moltiplicazione dei percorsi di esplorazione della pagina costituiscono una bella combinazione, anche e soprattutto in ottica di accessibilità. Tra le scene confezionate da Charlotte Klein, infatti, anche il lettore che normalmente fatica a mantenere salda l’attenzione o a seguire percorsi narrativi troppo rigidi o lunghi può muoversi con agio, rispettare il proprio ritmo, trovare le proprie parole per dire ciò che accade e seguire i suoi binari, perché di fatto non c’è un giusto e uno sbagliato. Le microstorie che l’autrice imbastisce si consumano inoltre nello spazio di una scena, sono cioè istantanee e non proseguono di pagina in pagina, e questo fa sì che anche la memoria di lavoro richiesta possa essere ridotta. La presenza, infine, di elementi da rinvenire, oltre a incentivare l’esplorazione e a mantenere vivo l’interesse attivando un appetibile meccanismo di sfida, può aiutare il lettore a riconoscere (anche linguisticamente) gli oggetti e a orientarsi in una scena potenzialmente caotica, trovando cioè una direzione lungo la quale muoversi per dare un senso a ciò che vede. Il gioco può farsi dunque divertimento, stimolo, prova e bussola, contribuendo a definire la multisfaccettatura di un libro solo all’apparenza semplice.

Piccoli tesori è infatti un libro da guardare, da esplorare, da nominare, da giocare. I suoi personaggi, piccini piccini e delineati da pochi tratti abbozzati, danno vita a un mondo vivace e gioioso in cui grandi e piccoli quasi non si distinguono e in cui anche l’identità del singolo non è così prioritaria, perché in fondo è ciò che accade a sollecitare il lettore.  L’azione si fa cioè motore di narrazione e di scoperta, proprio in linea con quello che è il modo di stare al mondo dei più piccoli.

La canzone degli insetti

Franco Cosimo Panini ha portato in Italia una piccola serie di deliziosi cartonati di grande formato firmati da Thierry Dedieu, poliedrico autore francese che sa combinare in maniera originale ed efficace sguardo scientifico e indole artistica.

La collana si rivolge a un pubblico di piccolissimi e si compone di volumi in bianco e nero dalle pagine ampie, resistenti e sufficientemente spesse da potersi tenere in piedi da sole. Attraenti fin dalla nascita, i titoli che la compongono si caratterizzano per le grandi figure nere che spiccano senza fronzoli sulla pagina bianca e che delineano un mondo naturalmente incantevole.

La canzone degli insetti, in particolare, propone una breve successione di pagine (12 in tutto) su cui si stagliano dapprima le grandi sagome di un coleottero, di una mantide e di una libellula (uno per doppia pagina), poi uno scenario erboso che pullula di creature volanti e non, e infine una raccolta di onomatopee che descrivono acusticamente quanto visto vino ad allora. A una prima parte del tutto priva di parole fa seguito, dunque, una seconda composta solo di suoni. Gli insetti cantano, come ci dice in effetti il titolo del libro, e il loro concerto è un’armonica combinazione di Bzzz, Cricricri, ssh ssh ssh e flap falp flap tutta da ascoltare e da riprodurre.

Le figure di Dedieu sono ad alto contrasto, precise e nette, così da risultare ben riconoscibili da parte di bambini che abbiano in minimo di esperienza della natura, e allo stesso tempo ammalianti per chi da poco si sia affacciato al mondo. Il libro si presta in questo senso a letture, osservazioni ed esplorazioni trasversali per età e abilità all’interno delle quali è l’incanto dei contrasti e delle sonorità a fare da guida e da filo conduttore.

Tiritera giornaliera

Delicato nei toni e nelle forme, musicalmente orecchiabile e capace di favorire l’identificazione del bambino, Tiritera giornaliera è una raccolta di filastrocche pensate per un pubblico di lettori della scuola dell’infanzia. La successione dei testi in versi non è casuale ma segue di fatto la routine della giornata scolastica, prendendo in considerazione tutte le attività e le esperienze più significative che qui possono avere luogo: dai laboratori al pasto, dal gioco in giardino all’igiene, dalla nanna alla socializzazione. A ogni momento corrisponde una filastrocca di due strofe che si conclude sempre con un’onomatopea: un’espediente questo che agevola l’animazione della lettura e il coinvolgimento dei lettori.

I testi di Tiritera giornaliera sono piani ma non piatti, piacevoli da dire e ascoltare anche più volte e fruibili nonostante la struttura sintattica della frase venga talvolta condizionata dalla rima. Stampati in minuscolo, sono supportati visivamente dai simboli WLS – Widgit Literacy Symbols – della Comunicazione Aumentativa e Alternativa che aiutano il bambino, soprattutto ma non solo con difficoltà comunicative, a seguire a comprendere la narrazione. I simboli sono in bianco e nero, riquadrati insieme alle parole corrispondenti, associati a singoli lemmi e provvisti di qualificatori che indicano eventuali plurali o tempi verbali diversi dal presente.

Ogni filastrocca è associata a un’illustrazione dai toni pastello. L’interprete di ogni azione o attività è un tenero coniglio in salopette dall’aria amichevole. Le illustrazioni sono sempre minimali, prive di tinte accese e dettagli superflui che possano risultare disturbanti. È interessante notare, inoltre, come esse vengano sempre collocate su una pagina diversa da quella del testo corrispondente, così da agevolare l’orientamento del lettore e la lettura dell’oggetto libro prima ancora che della storia. Nella fattispecie, la pagina in questione è quella di sinistra, ossia la prima che il bambino incontra sfogliando la pagina: una scelta non trascurabile perché dà prima di tutto valore alla lettura delle figure, di fatto quella principale e prioritaria per i bambini in età prescolare e per i bambini con difficoltà comunicative.

In Tiritera giornaliera, così come nei volumi più recenti del suo catalogo, la casa editrice Homeless Book ha iniziato a inserire una tabella efficace e poco invasiva ad uso dei genitori, degli insegnanti e degli operatori che potrebbero farsi mediatori di lettura con i bambini. Caselle di colore e dimensione diversi, consentono di capire a colpo d’occhio il livello di complessità relativo alla narrazione, alla sintassi, al lessico e alla simbolizzazione (che si ritrovano più dettagliati sul sito dell’editore): elementi che possono avere, in effetti, un ruolo non trascurabile sulla fruibilità del volume da parte di ogni specifico bambino. Uno strumento che può essere molto utile in fase di ricerca, come sempre se usato come bussola orientativa e non come rigido selettore.

Io aspetto te qui

Io aspetto te qui è la versione semplificata e simbolizzata di un albo tattile illustrato nato in casa Puntidivista per offrire al lettore uno strumento di supporto in caso di difficoltà emotiva. Il libro si rivolge direttamente a un ipotetico bambino triste o spaventato, a cui suggerisce alcune strategie che possano aiutarlo a calmarsi: accarezzare un gatto morbido, passeggiare in un bosco, prendersi del tempo per starsene un po’ da solo in un luogo quieto, per esempio.

Questa specifica versione si caratterizza per un testo orientato alla scrittura Easy To Read con frasi minime e costrutti lineari e senza sottintesi, anche se questo può talvolta compromettere la piacevolezza e la fluidità della frase (il titolo può costituire in questo senso un esempio emblematico). L’idea è che possa risultare fruibile e chiaro anche a lettori con difficoltà cognitive e comunicative importanti. A questo scopo concorre d’altronde anche l’affiancamento dei simboli al testo. I simboli appartengono in particolare a una collezione messa a punto dalla stessa casa editrice e vengono riquadrati insieme alle parole di riferimento, stampate in maiuscolo.

Va evidenziato, inoltre, il fatto che le illustrazioni, originariamente nate come immagini visuali piuttosto basiche, vengono arricchite da dettagli tattili anche se il target di riferimento non è quello di lettori con disabilità visiva. Si tratta di un accorgimento apprezzabile e funzionale perché risulta non solo gradito ma anche funzionale, in un’ottica di sostegno all’aggancio e alla comprensione del racconto, da parte di quei bambini che più di altri faticano a seguire e fare proprio la narrazione.

I giorni del mare

Dopo Nel mio giardino il mondo e Su e giù per le montagne, Irene Penazzi torna in vacanza con spirito bambino. Per il terzo volume della serie edita da Terre di Mezzo, l’autrice sceglie una meta marittima. Il titolo è, infatti, I giorni del mare. Come negli altri libri, anche qui troviamo una narrazione che procede per sole immagini e incontriamo tre personaggi: due bambine e un bambino. Eppure a ben guardare non sono davvero loro al centro del racconto. Sembrerebbero piuttosto il gioco e il tempo, i protagonisti assoluti di queste tavole meravigliose.

Il gioco è declinato in tutte le sue forme: strutturato e improvvisato, solitario e condiviso, sulla sabbia e tra le onde, con il supporto di giocattoli o della sola fantasia, corto o lungo, calmo o sfrenato, di ricerca o di sfida… quante opportunità riserva, in effetti, il contesto della spiaggia a chi voglia godersi a pieno le vacanze? Non c’è un minuto da perdere!

Il tempo, dal canto suo, appare silenzioso sulla pagina. I giorni del mare ritrae, infatti, le attività dei tre personaggi in un ipotetico arco temporale che va da inizio giugno a fine agosto. L’affollamento che cambia, l’arrivo delle stelle cadenti, il clima via via meno clemente, gli indumenti sempre più pesanti, i ritmi più lenti… Irene Penazzi non si limita a fotografare l’estate ma ne segue gli sviluppi con attenzione, premurandosi di costruire le sue illustrazioni con dovizia di dettagli che possano guidare la lettura sequenziale. Il suo tratto a matita leggero e inconfondibile, le sue tinte tenui e allegre e il suo sguardo fresco su un mondo mai sopito come quello infantile fanno de I giorni del mare una delizia in cui immergersi per un tempo lungo, godendo dei particolari e dei ricordi che questi senza dubbio attivano in ognuno di noi. La pista delle biglie, la sfida ai cavalloni, i gelati, le altalene a testa in giù, gli scherzi, le costruzioni con la sabbia e le partite a bocce o racchettoni ma anche, più sottilmente, l’allegria spensierata – diversa inevitabilmente da quella di città – con cui queste attività si susseguono e si intrecciano e la curiosità indomita che un ambiente naturale come quello marittimo può solleticare. Irene Penazzi sa guardare, ricordare, fotografare e restituire benissimo non solo le cose ma anche i sentimenti e proprio questo rende speciali i suoi libri senza parole.

La costruzione narrativa, dal canto suo, è particolare come nei volumi precedenti e tende a trattare in maniera dinamica e non lineare la doppia pagina. Gli stessi protagonisti compiono cioè più azioni all’interno della stessa cornice, senza soluzione di continuità, e questo richiede al lettore grande spirito di osservazione e capacità di inferenza: due qualità spesso presenti nei bambini con disturbi specifici dell’apprendimento o con una disabilità in cui sia compromessa la sola decifrazione testuale (per esempio la sordità) ma che possono faticare a emergere all’interno dei libri tradizionali e che invece, all’interno di silent book come questi, trovano terreno fertilissimo per risplendere ed essere messe a frutto.

Topé

New entry nella collana Minizoom di Biancoenero, dedicata alle prime letture, il racconto illustrato Topé è firmato da uno dei più grandi autori per bambini e ragazzi italiani: Roberto Piumini. E dell’autore bresciano, Topè porta tutta la grazia e l’amore per la parola. La parola che gioca, la parola che vola, la parola che rima e che dà nuova forma al mondo.

Topè mescola infatti prosa e versi per raccontare l’avventura del suo piccolo protagonista: un topolino che, in sogno o per davvero, chissà! – si trova un giorno tutto solo e inizia un viaggio alla ricerca dei suoi cari. È un viaggio zeppo di imprevisti, di prove e di scoperte, il suo. Un viaggio a cui il lettore è chiamato dall’autore a dare slancio, pronunciando insieme a lui parole in rima che sanno di incantesimo e fiabesca poesia. E così, guidato dalla voce di chi legge, Topé supera massi e ruscelli, alberi e gatti, fidandosi del suo istinto, dei suoi sensi e dei ricordi, che anche quando svaniscono, restano in qualche modo sopiti in qualche parte nascosta del nostro corpo. Fino alla sorpresa finale, che non può che essere lieta e che apre uno spiragli verso un viaggio ancora da cominciare…

Tenero e coraggioso, Topé è al centro di un racconto dal ritmo deciso e dalla forma curata. Il volume che lo ospita, dal canto suo, presenta tutte le caratteristiche di alta leggibilità che agevolano la lettura anche in caso di dislessia (font specifica, spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra, capitoli brevi, carta opaca e color crema, illustrazioni frequenti) ma vanta anche un’apprezzabile sinergia tra testo e figure. Le illustrazioni a colori di Isadora Bucciarelli accompagnano, infatti, le parole di Piumini con puntualità, sposandone a pieno il tono leggero.

Diversi?

Diversi? è un piccolo albo illustrato in simboli che di ragazzi parla e che ai ragazzi si rivolge. Si tratta dunque di una proposta abbastanza insolita e apprezzabile se si considera la desolante carenza di risorse editoriali in Comunicazione Aumentativa e Alternativa che prendano in considerazione un pubblico di lettori un po’ più grandi rispetto al consueto target della scuola primaria: lettori esigenti che possono necessitare di un supporto visivo al testo ma che non per questo devono automaticamente ritenere interessanti dei contenuti adatti a dei bambini. È bene infatti ricordare che la presenza di una disabilità può rendere necessari degli accorgimenti compositivi, relativi per esempio ai codici utilizzati e una taratura dei contenuti ma anche soltanto una sola delle due cose.

Il libro mette in dialogo le voci di due ragazzi dalle abitudini, dalle caratteristiche e dagli interessi diversi che a turno si descrivono mettendo man mano in evidenza come le differenze superficiali possano nascondere una grande affinità e vicinanza dal punto di vista dei sentimenti provati. A partire dai loro ritratti, rispettivamente di ragazzo neurotipico e di ragazzo neurodivergente, le autrici stimolano il lettore a interrogarsi rispetto a cosa significhi essere diversi. Il testo, diretto ma non privo di costruzioni articolate, viene accompagnato da sagome in bianco e nero che illustrano ciò che le parole dicono e al contempo sottolineano l’idea che la diversità possa spesso essere solo un’etichetta. Dalle silhouette, infatti, la disabilità risulta del tutto invisibile.

Dove abita la frutta

Un piacevole testo in rima, illustrazioni minimali e dai colori attraenti, un impianto compositivo iterato e rassicurante: Dove abita la frutta di Caterina Bolasco offre una lettura tattile di agevole esplorazione che stuzzica l’appetito del lettore con una serie di versi dedicati ai diversi frutti e alle relative piante.

Limoni, uva, ciliegie, castagne, fragole e pesche sono protagonisti di ampie pagine in cartoncino nero, su cui spiccano in maniera felicemente contrastata le illustrazioni colorate a collage materico. Accompagnate da brevissimi testi descrittivi in rima, che evidenziano uno o due tratti peculiari di ogni albero e di ogni frutto, queste si fanno particolarmente apprezzare per la scelta oculata ed efficacissima dei materiali con cui i soggetti sono rappresentati. L’idea di impiegare, per esempi, le solette in gel – rispettivamente nella parte totalmente liscia e in quella puntinata – per sagomare la fragola o le ciliegie è, per esempio, un piccolo colpo di genio.

Questa attenzione a offrire materiali significativi, unita a uno stile compositivo votato all’essenzialità (pochissimi elementi ben distinguibili per ogni albero e frutto), agevola il riconoscimento dei soggetti nonostante questi siano in buona parte aderenti a modelli di rappresentazione basati sulla vista (gli alberi, nella fattispecie, presentano puntualmente la forma tronco + chioma con una sagoma diversa). A sostenere il lettore nelle operazioni di decodifica concorre inoltre la struttura fissa della doppia pagina che vede sempre il testo in nero e in Braille collocato nella parte bassa, la rappresentazione dell’albero sulla sinistra e la rappresentazione del frutto sulla destra.

Completa il volume un’ultima doppia pagina che raccoglie alcune ricette, anch’esse scritte sia in nero sia in Braille, che vedono protagonisti i frutti descritti e che costituiscono un rinnovato invito a costruire collegamenti funzionali tra il mondo reale e quello dei libri.

Piccolo Blu e Piccolo Giallo

Il giorno in cui viene pubblicato un libro accessibile di qualità è un buon giorno per l’inclusione. Il giorno in cui viene pubblicata una versione accessibile di qualità di un libro per l’infanzia straordinario come Piccolo blu e piccolo giallo, però, è a dir poco meraviglioso. Se, come crediamo, il potenziale inclusivo di un libro accessibile risiede prima di tutto nella sua capacità di aprire alla condivisione degli immaginari, la possibilità di godere di un pilatro della cultura infantile anche in una versione in simboli è quantomai preziosa. Massima, dunque, è la gioia per l’iniziativa di Officina Babùk che ha da poco dato alle stampe il capolavoro di Lionni: un libro che peraltro si presta estremamente bene a questo tipo di resa perché caratterizzato da un’essenzialità di fondo, da testi diretti e da figure minimali ed espressive.

La storia è arcinota: due piccoli amici, rappresentati come due macchie di diverso colore, amano giocare insieme e, in seguito a un gioioso abbraccio, si fondono in un colore terzo che ne impedisce inizialmente il riconoscimento da parte dei genitori ma che diventa sul finale segno tangibile di un sentimento affettuoso. Ben distante dall’essere un semplice libro sui colori, Piccolo blu e Piccolo giallo è diventato un classico per la sua narrazione meravigliosamente semplice e insieme raffinata e per la capacità di arrivare dritto ai bambini, parlando intensamente di emozioni senza avvertire però il bisogno di costruire una storia a tema. Pensare dunque che un simile patrimonio possa ora essere condiviso anche da bambini con difficoltà comunicative o cognitive o fruito in maniera alternativa da bambini senza specifiche difficoltà in procinto di imparare a leggere (per i quali non è trascurabile la scelta di stampare il testo in maiuscolo) è cosa assai importante.

La versione di Piccolo Blu e Piccolo giallo di Officina Babùk, la cui simbolizzazione è curata da Enza Crivelli e Sante Bandirali, presta attenzione a rispettare non solo il testo originale ma anche l’equilibrio grafico che coinvolge testo e immagini e che destina agli spazi bianchi un ruolo non trascurabile. I simboli WLS, di dimensione contenuta ma fruibile, sono sempre posti sotto le parole nella parte bassa della pagina, proprio come nella versione tradizionale dell’albo. Il loro uso è funzionale a creare un supporto visivo al testo: ecco dunque che vengono impiegati qualificatori temporali, che articoli e (la maggior parte delle) preposizioni non vengono, per esempio, associati a un simbolo (ma vengono uniti al sostantivo di riferimento) e che talvolta unità di senso corrispondano a un unico simbolo. Ciò che colpisce e che dà anche la misura, però, del talento di Lionni nel parlare ai bambini, è che i simboli impiegati e resi necessari dal suo testo sono estremamente trasparenti, ossia parlano quasi da sé. La schiettezza e la chiarezza essenziale, cifre inconfondibili di Piccolo Blu e Piccolo giallo hanno, di fatto, un valore intrinseco anche in termini di accessibilità.

Fuori piove!

L’immaginazione trova sempre nuove strade: leggere Fuori piove! per credere! Nel libro di Jane Massey, la piccola protagonista viene bloccata dentro casa dal maltempo, trovandosi così faccia a faccia con  un ospite imprevisto: la noia. Di certo la bambina non può giocare a palla con il suo cagnolino (non che non ci abbia provato…) ma nulla le vieta di trasformare le cose di casa in ciò che occorre per evadere con la fantasia. Così i cuscini diventano sassi per guadare il fiume, i pupazzi dei perfetti compagni di degustazione di tè, le scale strade di collina su cui arrampicarsi. E poi si possono fare le bolle, suonare gli strumenti, travestirsi… e quando anche la scatola dei giochi finisce per svuotarsi, la sua utilità non si esaurisce. Basta un palloncino e si è già pronti a partire per un viaggio, giusto il tempo che il sole torni a fare capolino e che si formino per bene le pozzanghere in cui saltare!

Delizioso nel tratto e nel racconto, Fuori piove! dice bene del potere dell’immaginazione e del motore creativo che può essere la noia. L’autrice sa rendere in maniera molto efficace il viaggio multidirezionale tra mondo reale e mondo fantastico che la protagonista compie, grazie a un tratto minimale, a un efficace uso del colore e a una studiata scansione narrativa. Il rosso del vestito e di pochi altri oggetti chiave di scena, che spicca su scene in bianco e nero con qualche tocco tenuissimo di azzurro e rosa pastello, aiuta infatti a sottolineare l’azione. Il passaggio da un mondo all’altro avviene, dal canto suo, sempre in coincidenza con il voltare della pagina, trasformando il movimento della sfogliatura in una sorta di rituale funzionale al compiersi della magia. Questa ricorrenza, inoltre, facilita la comprensione di ciò che sta accadendo, al pari della riquadratura che scandisce la narrazione senza trascurare mai dei passaggi essenziali. Il fumetto senza parole che prende così forma appare di conseguenza molto fruibile, oltre che capace di suscitare sincera identificazione da parte del piccolo lettore.

Hank Zipzer. Chi ha ordinato quel bambino?

Avventura numero 13 per Hank Zipzer, il bambino combina-disastri-e-trova-soluzioni più simpatico di New York. 13 è un bel numero, soprattutto considerando che la qualità delle storie che compongono la serie di cui Hank è protagonista è finora sempre rimasta elevata. Come fare per mantenerla tale? Può certo essere utile una scossa, un elemento inatteso, una novità che mescoli un po’ le carte in tavola, devono aver pensato Lin Oliver ed Henry Winkler. Detto fatto: ecco che in questo nuovo volume della serie qualcosa di sorprendente accade: Hank sta per diventare fratello maggiore!

Il problema è che la sorpresa non tocca solo il lettore ma anche e soprattutto Hank stesso, che tutto si aspettava fuorché di ritrovarsi in pochi mesi con un bebè che gironzola per casa. La sua reazione è, dunque, tutt’altro che composta. Oltretutto la notizia arriva a pochi giorni dal suo compleanno e tutti sembrano più interessati a dare il benvenuto al bambino che ad aiutarlo a organizzare una festa epica. Per fortuna c’è Papa Pete, nonno insuperabile, che abbraccia le emozioni di Hank (belle e brutte, che siano) e lo accompagna nel negozio di animali per scegliere un regalo di compleanno adeguato alle aspettative. Deciso a fare uno sforzo e ad allenarsi nel prendersi cura di una creatura piccola come potrebbe essere un fratellino, Hank opta per una tarantola che decide di chiamare Rosa. Inutile dire, se un poco si conosce la serie, che la combo Hank+tarantola non può che generare scompiglio, soprattutto se si considera che Hank decide di auto-organizzarsi una festa di compleanno in solitaria, portando in pubblico la sua nuova amica.  Guai e pezze (peggiori dei guai stessi) sono dunque dietro l’angolo, ma con loro anche qualche inattesa sorpresa che fa capire ad Hank che l’arrivo di un fratellino non divide l’amore dei famigliari ma piuttosto lo moltiplica. Il che può sembrare strano, in effetti, ma è proprio vero. Questione di matematica affettiva, la discalculia questa volta non c’entra!

Divertente e scorrevole come di consueto, Hank Zipzer. Chi ha ordinato quel bambino? ruota meno di molti volumi precedenti  intorno al tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, come se questi fossero ormai una peculiarità assodata del personaggio, che emerge di tanto in tanto proprio come accade nella realtà, senza che debba necessariamente scatenare degli eventi narrativi. Restano inalterati tutti gli accorgimenti di alta leggibilità che Uovonero mette in campo in questa collana (font, spaziatura, margini, sbandieratura, colore della carta) e che continuano a renderla particolarmente gradevole non solo nei contenuti ma anche alla vista.

I guai di mini cowboy

Un cowboy si giudica dal suo coraggio, non dalla sua statura.  Eppure, per chi è alto poco più di un soldo di cacio, la vita del west sembra particolarmente dura. Un’impresa montare a cavallo, impossibile ordinare da bere, ridicole taglie sulla testa proporzionate all’altezza. Mini cowboy lo sa bene e per far fronte agli inconvenienti dovuti ai suoi centimetri ridotti, prova ogni sorta di ingegnosa soluzione. Sarà però l’incontro con altri due cowboy (anzi, un cowboy e una cowgirl) che condividono i suoi stessi crucci a permettergli di trovare la soluzione. Perché è proprio vero che non è importante essere alti ma essere all’altezza!

Scritto e illustrato dall’inglese Daniel Frost, I guai di mini cowboy fa deliziosamente leva sull’immaginario western dando vita a una storia insieme buffa e serrata. L’autore privilegia illustrazioni asciutte e dai colori accesi, in cui spiccano i giochi di altezze e prospettive su cui si basa l’intero libro. Le ampie pagine del volume danno loro ampio spazio e restituiscono pieno valore alla tensione grande-piccolo che anima il racconto. Quest’ultimo procede spedito e secco attraverso frasi perlopiù brevi e distribuite con grande parsimonia, così da lasciare il maggior spazio possibile alle figure.

Già in catalogo per Babalibri, I guai di mini cowboy trova ora una nuova veste (che non sostituisce ma si affianca alla precedente) in cui il testo viene supportato visivamente dai simboli a beneficio dei lettori che faticano, per ragioni diverse, a padroneggiare la lettura alfabetica: bambini con disabilità comunicative e intellettive, per esempio, ma anche bambini stranieri e, più genericamente, bambini in età prescolare. Il libro, pubblicato da Officinia Babùk, è in tutto e per tutto identico alla versione tradizionale, fatto salvo per l’aggiunta dei simboli WLS. Anche il testo, in questo caso, non subisce la benché minima modifica e l’ampio formato delle pagine ne facilita un inserimento che mantiene inalterato l’equilibrio con le illustrazioni. Proprio la grandezza delle pagine, inoltre, consente di fare un propizio uso del volume anche in contesti di lettura collettiva.

I simboli, dal canto loro, sono impiegati secondo una logica di economia ed efficacia: un unico simbolo, per esempio,  affianca non singole parole ma porzioni di testo che compongono unità di senso così come più simboli vengono talvolta posti all’interno dello stesso riquadro per rendere più immediata la comprensione del significato (es: altri cowboy = simbolo di “altri” e simbolo di “cowboy” o trovarli = simbolo per “trovare” e simbolo per “loro”). L’idea è quella, infatti, non di impiegare in maniera rigida il codice simbolico ma di sfruttarne le potenzialità per facilitare la comprensione e/o il passaggio alla lettura autonoma, garantendo a tutti i lettori la possibilità di godere dell’incontro con il libro come di un’esperienza piacevole e non legata a una logica di performance.

È rosso? È giallo? È blu?

Si scrive Tana Hoban, si legge versatilità. I libri della nota fotografa statunitense, che iniziano finalmente ad arrivare anche in Italia grazie soprattutto al lavoro di Camelozampa, hanno infatti la rara e apprezzabile capacità di prestarsi ad approcci e modalità di lettura diversi, che ciascun lettore può calibrare sulle sue preferenze e abilità. I percorsi visivi allestiti da Tana Hoban prendono forma, infatti, a partire da fotografie molto riconoscibili e attraenti, esplorabili nella loro individualità o nelle sottili e molteplici relazioni che le legano. Con quelle immagini, poi, il lettore può guardare, analizzare, giocare, collegare, immaginare, e questo, probabilmente è il senso più profondo di quell’educazione allo sguardo che sta al cuore della pratica artistica dell’autrice.

È rosso? È giallo? È blu? è, in questo senso, un libro particolarmente emblematico. Come la maggior parte dei volumi di Tana Hoban si presenta privo di parole e dedica ogni pagina a una singola fotografia. Rispetto agli altri libri della fotografa, però, questo propone sotto ogni immagine uno o più pallini colorati che ne riprendono i colori dominanti. Quei pallini possono essere una guida o una sfida nell’esplorazione della figura (come a dire, implicitamente: cosa c’è di rosso, di giallo e di blu in questa foto? oppure: Riesci a trovare tutti questi colori?). Sollecitato da questa traccia, il lettore si trova a scannerizzare con particolare attenzione l’immagine che si trova sotto gli occhi, soffermandosi sui dettagli e cogliendo armonie, risonanze, motivi e collegamenti con le altre figure che altrimenti potrebbero risultare più sfuggenti. È un’attività, questa, che genera soddisfazione e interesse sia che venga condotta in solitudine sia che si faccia pretesto di condivisione: e anche questo è elemento di versatilità.

In quanti modi, poi, si possono leggere le fotografie di È rosso? È giallo? È blu?, tutte peraltro contraddistinte da inquadrature nette per quanto non scontate, soggetti decifrabili (ombrelli, foglie, caramelle e occhiali popolano senza dubbio la quotidianità del lettore, anche a distanza di 35 anni dalla prima pubblicazione del libro), assenza di dettagli superflui, chiara presenza dei colori indicati? Moltissimi! Tra quelle figure si può sperimentare il piacere del riconoscimento dei soggetti, del ritrovamento cromatico, del confronto tra figure ravvicinate, della minima costruzione narrativa e dell’invenzione, solo per fare qualche esempio. Un estintore che pare quasi un personaggio animato o un bambino con una scatola in testa invitano quasi istintivamente a ritrovare in un’immagine statica lo spunto per andare oltre, per inventare. Allo stesso modo, l’accostamento apparentemente neutro di una bambina in bicicletta e di un parcheggio affollato porta a far emergere un numero inatteso di categorie – singolare/plurale, staticità/movimento, ordine/disordine, umano/inanimato… – con le quali interrogare ciò che ci si trova davanti e ad attivare così una sorta di dialogo figurato.

E poi ancora,  a lasciarsi solleticare dalle somiglianze e dai contrasti che creano relazioni tra fotografie, dalla tensione tra ciò che è familiare e ciò che è insolito (un’anguria è cosa nota, un’anguria con un taglio quadrato genera un poco di straniamento…), dai sottili fili che possono legare immagini apparentemente estranee (fili formali come un disegno che ritorna su una cartaccia e su un vestito o fili semantici come l’acqua che schizza da una fontana e quella che, invisibile, che è contenuta in un tubo…) si scoprono mille e uno modi di entrare nelle figure e di leggerle. Sicché, occorre essere davvero miopi per non riconoscere in questo tipo di esperienza una forma di lettura piena e autentica al pari di quella alfabetica.

La montagna

C’è il reale e c’è il fantastico. C’è il dentro e c’è il fuori. C’è il minuscolo e c’è il gigante. C’è il colore e ci sono i toni di grigio. C’è tutto questo ne La montagna, regno gioioso dei contrari che si intrecciano e si contaminano.

Costruito come un solido leporello di  spesso cartone che resta agevolmente su da sé, il libro di Andrea Antinori è deliziosamente sorprendente. Da un lato del volume, quello più colorato, il lettore può esplorare l’esterno della montagna, (ri)conoscendone profili, elementi e abitanti più familiari. Dall’altro lato del volume, quello in cui primeggiano il bianco e il nero, egli può sondare la montagna nelle sue profondità, scoprendone profili, elementi e abitanti più misteriosi. Ai campanili, alle vette e alle mucche del fronte, fanno dunque da contraltare le stalattiti, gli gnomi e le variegate creature sotterranee.

Sopra come sotto la superficie, c’è un mondo pullulante da scandagliare attentamente perché, sotto come sopra la superficie, gemme e storie inaspettate attendono di essere portate alla luce. Chi si aspetterebbe, per esempio, che nella pancia della montagna si celi un autentico forno da pizza e che, tra rocce e fiumi arcobaleno, gnomi, funghi e animali stravaganti se ne gustino fette fumanti (anche da asporto!)? Che dai mammut dipenda il trasporto delle pietre preziose estratte con perizia da una squadra di piccoli esseri dal cappello a punta? Che tra i pini si allevino mucche a pallini rossi, che bislacchi professionisti misurino le cime con lunghissimi righelli o che papere intrepide possano darsi alla guida degli elicotteri?

Il confine tra vero e immaginario è talmente labile nel segno di Andrea Antinori, vincitore nel 2023 dell’International Illustration Award della Bologna Children’s Book Fair, che l’unica cosa da fare è immergersi nel mondo inconfondibile da lui delineato e abbandonarsi al diletto di scoprirlo ora estraneo ora familiare. Non c’è di fatto, niente da capire, solo da assaporare, muovendosi senza vincoli tra ciò che è noto e ciò che non lo è.

Questo, d’altra parte, è uno dei punti di forza, in termini di accessibilità, mostrati da questo volume straordinario che può essere fruito in maniera molto libera e trasversale sia per età sia per abilità. C’è letteralmente posto per tutti ne La montagna e questo accade non solo in virtù di un racconto visivo votato al piacere dell’esplorazione più che a quello della comprensione, ma anche in virtù di una narrazione a tutti gli effetti istantanea. Il libro non segue, infatti, una serie di eventi successivi ma immortala una serie di situazioni simultanee che avvengono nel medesimo scenario. Questo significa che al lettore non viene richiesto di padroneggiare la sequenzialità e la concatenazione dei passaggi narrativi: competenza che spesso può essere compromessa dalla presenza di una disabilità, soprattutto relativa alla sfera cognitiva. Di fatto, scorrendo la lunghezza del leporello è come se seguissimo una telecamera che si muove in orizzontale inquadrando via via ciò che compare sulla scena. Non c’è dunque un prima e un dopo, una causa e una conseguenza: il lettore è messo nella condizione di muoversi con grande agio e libertà. Se a questo si unisce, poi, il fatto che lo stile dell’autore ha un fascino assolutamente magnetico, che cattura al primo sguardo, anche solo per la scelta dei colori accesi e per il richiamo a un universo naif, si capirà facilmente quanto questo volume possa offrire il terreno perfetto per molteplici possibilità di incanto, godimento e invenzione. Un gioiellino (di grande formato!) per bellezza e condivisibilità: provare per credere!

Il gatto con gli stivali

Alla storia del gatto furbo che aiuta il suo padrone a sposare la figlia del re, facendolo credere ricco, è dedicata l’ultima uscita dei Pesci Parlanti di Uovonero, l’unica collana di fiabe in simboli PCS ad oggi disponibile sul mercato. Contraddistinto come i precedenti da testi ridotti al nocciolo (l’incipit “Un mugnaio muore.” È in questo senso forse anche troppo emblematico!), impaginazione ariosa, simboli grandi e netta distinzione tra testo e illustrazioni, Il gatto con gli stivali offre un racconto dinamico e animato da diversi personaggi che rendono la narrazione particolarmente densa e tutt’altro che scontata.

Apprezzabile, soprattutto per un pubblico con importanti difficoltà comunicative e cognitive, la costruzione dei testi – sempre minimali, chiari e lineari – a cura di Enza Crivelli e la scelta di simbolizzarli, certo dettata anche dalla scelta della collezione PCS, procedendo per unità di senso e non per singole parole. I simboli, dal canto loro, appaiono chiari, pertinenti ed efficaci nel supportare la comprensione del racconto, anche se la scelta di ricorrere all’illustrazione in luogo dell’icona viene usata in maniera irregolare (per il marchese, il gatto e l’orco ma non, per esempio, per il re e per la principessa). Preziosa e funzionale, come già rilevato in passato, la sagomatura irregolare delle pagine che ne agevola la sfogliatura autonoma anche in caso di disprassia. Brevettato da Uovonero, questo formato denominato sfogliafacile® viene applicato nei titoli più recenti a pagine più sottili e dunque più leggere senza che tuttavia la praticità e l’efficacia della soluzione cartotecnica vengano compromesse.

Rispetto ad altri volumi, come il recente I vestiti nuovi dell’imperatore, questo predilige illustrazioni di stampo più tradizionale. Affidate alla matita di Roberta Angeletti, queste si caratterizzano per un tratto delicato, colori pastello e inquadrature nette che mettono in evidenza i protagonisti e gli eventi narrati senza dedicare spazio ad elementi marginali o di contorno.

Gugo impara a usare il vasino

Già protagonista di due albi illustrati tradotti in simboli – uno secondo il modello inbook e l’altro da Fondazione Paideia – il personaggio di Anna, bambina in età prescolare alle prese con le sfide di un’età ricca di scoperte, torna protagonista di due storie inclusive targate Clavis.

Anna impara a usare il vasino e Anna si lava i denti sono infatti resi disponibili dall’editore in una nuova versione (che non sostituisce ma si affianca a quella tradizionale) in cui il testo è supportato dei simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Entrambi si rifanno nuovamente al modello inbook privilegiando il rispetto del testo, che non subisce dunque variazioni rispetto all’originale, l’uso di simboli WLS, la simbolizzazione dei singoli elementi lessicali e l’unione di parola e simbolo all’interno del riquadro. Ne risultano pagine piuttosto piene dal punto di vista grafico, benché i riquadri riescano a mantenere una dimensione sufficientemente ampia e la separazione netta e regolare tra pagina del testo e pagina dell’illustrazione faciliti l’orientamento del lettore.

Entrambe le storie in questione presentano una natura ibrida che di fatto veste da albo illustrato una sorta di storia sociale. Anna impara a usare il vasino, per esempio, scandisce con precisione i diversi passaggi che il bambino deve seguire per poter usare efficacemente il vasino, dall’abbassamento di pantaloni e mutandine all’accurato lavaggio delle mani. A fine di rendere la cronaca più briosa giocano un ruolo primario le illustrazioni colorate e amichevoli di Kathleen Amant – l’autrice a cui si deve per l’appunto la fortunata serie di Anna – e la presenza di un personaggio collaterale come il pupazzo Gugo. Sempre al fianco della protagonista, questo non solo la accompagna in ogni sua impresa quotidiana ma è anche l’interlocutore a cui la protagonista si rivolge: cosa che rende le spiegazioni al centro del volume meno piatte e impersonali.  Questo aspetto risulta particolarmente evidente in questo volume a partire dal titolo che, dal canto suo, non fa riferimento alla bambina (come gli altri volumi della serie), bensì a Gugo stesso.

Alfred e la gogna

Trascorrere buona parte della propria vita alla gogna, nella pubblica piazza, schivando insulti e ortaggi e assistendo impotenti al passaggio indifferente (quando non disgustato) dei propri concittadini: questa è la sorte che è toccata ad Alfred, il protagonista di questa storia. Accusato di lesa maestà in un tempo così lontano che nessuno se lo ricorda nemmeno più, Alfred non nasconde i segni di questa lunghissima punizione. Il suo corpo è quasi irriconoscibile sotto strati di sudiciume e sotto l’effetto delle intemperie. Ma è soprattutto il suo pensiero ad apparire deformato: Alfred è ormai rassegnato a condurre una vita in catene, i ricordi di ciò che è stato prima pian piano sfumano e così sogni e riflessioni rivolte al futuro si fanno via via più indistinti, grezzi, quasi ferini. Di pari passo va il suo modo di esprimersi, intriso della rabbia che la condizione inumana a cui è costretto alimenta. Alfred bofonchia, urla, fa versi, lancia improperi a destra e a manca. Il suo frequente turpiloquio, non privo di un lato buffo, dice forte e chiaro il suo stato di disagio a cui nessuno, tuttavia, sembra ormai prestare caso.

Cosa accade però se quel disagio viene guardato e non ignorato, accolto e non deriso? Accade che le cose poco a poco possono cambiare, e con loro anche le persone. Ecco allora che l’incoronazione di un nuovo sovrano, fatto di tutt’altra pasta rispetto al precedente, e l’incontro con una fanciulla premurosa, curiosa e capace di distinguersi dalla massa, rimette in gioco una corte che sembrava irrimediabilmente segnata. Quegli incontri segnano un cambio di marcia: nulla di miracoloso, si badi bene, piuttosto un lento processo fatto di passi avanti e passi indietro, aperture e ritrosie, slanci e ripensamenti. Ma è proprio l’incertezza di quel processo a renderlo così vero e appassionante per il lettore, che lo segue con il sorriso e un pizzico di trepidazione, godendo fino alla fine di quel suo fare irriverente e sdegnoso dei conformismi.

Non convenzionale nei personaggi come nel linguaggio, Alfred e la gogna si fa apprezzare anche per l’attenzione che, nell’edizione italiana curata da Uovonero, viene riservata all’accessibilità. Il libro presenta infatti caratteristiche di alta leggibilità che non concernono solo la font ma anche la spaziatura (tra lettere, parole, righe e – cosa non scontata ma importante – paragrafi), i margini, la sbandieratura, il tipo e il colore della carta. Non solo: grazie alla collaborazione già sperimentata con Emons audiolibri, il testo può essere fruito anche in modalità audio. La presenza di un QRcode sulla prima pagina consente infatti di scarica l’audiolibro, ascoltabile tramite l’app gratuita Emons audiolibri.

Il Natale di Pettson

Il gatto Findus e il suo padrone Pettson, inventati dall’autore svedese Sven Nordqvist, sono due personaggi irresistibili e così, ça va sans dire, sono le loro avventure. Inaugurate dal volume Una torta per Findus, queste sono state portate in Italia da Camelozampa che le sta pian piano raccogliendo e proponendo all’interno di una bella collana dedicata del suo catalogo. Sono avventure cui vale la pena dedicare attenzione perché offrono letture abbordabili e accattivanti che possono rappresentare una validissima proposta anche per i lettori più riluttanti o che sperimentino difficoltà legate alla dislessia. Non solo, infatti, la collana Pettson e Findus è impaginata e stampata dall’editore con alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font EasyReading, la sbandieratura a destra e un minimo di spaziatura in più tra le parole e le righe, ma i volumi che la compongono si caratterizzano per una lunghezza contenuta, un ampio spazio riservato alle illustrazioni, testi perlopiù paratattici e ritmo sostenuto. Al lettore vengono cioè offerte delle storie gradevolissime, ricche di avvenimenti sempre diversi ma animate da due protagonisti ricorrenti e familiari, presentate in una forma che riserva un ruolo significativo alle figure (molto dinamiche e particolareggiate) ma che al contempo amplia la misura del racconto rispetto a ciò che accade in un albo illustrato.

Il Natale di Pettson presenta, dal canto suo, tutte queste caratteristiche e propone una storia che profuma intensamente di festa. Decisi a celebrare come si deve il Natale, Pettson e Findus si preparano a una vigilia operosa in cui non possono mancare il taglio e la decorazione dell’abete, la preparazione di piatti tradizionali e le pulizie di casa. Una brutta (ma buffa) caduta dallo slittino costringe però Pettson all’immobilità e così, con somma delusione di Findus, albero e delizie culinarie sembrano sfumare: toccherà accontentarsi di cibo ordinario e decorazioni di recupero. Non tutto è perduto però: quando i vicini di casa scoprono dell’incidente di Pettson, la casa torna a risplendere. I piatti e la gioia delle feste non mancheranno, alla fine. E anche un albero decorato con cucchiai, orologi e termometri finirà per dire forte e chiara la magia del Natale.

Anna si lava i denti

Già protagonista di due albi illustrati tradotti in simboli – uno secondo il modello inbook e l’altro da Fondazione Paideia – il personaggio di Anna, bambina in età prescolare alle prese con le sfide di un’età ricca di scoperte, torna protagonista di due storie inclusive targate Clavis.

Anna impara a usare il vasino e Anna si lava i denti sono infatti resi disponibili dall’editore in una nuova versione (che non sostituisce ma si affianca a quella tradizionale) in cui il testo è supportato dei simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Entrambi si rifanno nuovamente al modello inbook privilegiando il rispetto del testo, che non subisce dunque variazioni rispetto all’originale, l’uso di simboli WLS, la simbolizzazione dei singoli elementi lessicali e l’unione di parola e simbolo all’interno del riquadro. Ne risultano pagine piuttosto piene dal punto di vista grafico, benché i riquadri riescano a mantenere una dimensione sufficientemente ampia e la separazione netta e regolare tra pagina del testo e pagina dell’illustrazione faciliti l’orientamento del lettore.

Entrambe le storie in questione presentano una natura ibrida che di fatto veste da albo illustrato una sorta di storia sociale. Anna si lava i denti, per esempio, scandisce con precisione i diversi passaggi che il bambino deve seguire per una corretta igiene orale prima della nanna. Al fine di rendere il racconto, che di fatto è piuttosto descrittivo, più brioso, giocano un ruolo primario le illustrazioni colorate e amichevoli di Kathleen Amant – l’autrice a cui si deve per l’appunto la fortunata serie di Anna – e la presenza del personaggio collaterale del pupazzo Gugo. Sempre al fianco della protagonista, questo non solo la accompagna in ogni sua impresa quotidiana ma è anche l’interlocutore a cui la spesso protagonista si rivolge come se fosse lui il destinatario delle indicazioni fornite. Una scelta, questa, che  concorre a rendere il racconto meno piatto e impersonale.

Mi chiamano Teschio

Il paese di Monte Quiete, sperduto, mignon e apparentemente tranquillo, è un luogo ormai familiare a molti lettori. Qui hanno avuto luogo le straordinarie avventure di Giustino in compagnia del pirata Sgrunt, e ha preso forma il famigerato piano di Mia e Testone per far chiudere la scuola locale. Giustino, Sgrunt, Mia e Testone, tipi dai tratti riconoscibili e memorabili, sono solo alcuni degli abitanti del posto nati dal felice sodalizio tra Daniele Movarelli e Alice Coppini e protagonisti dei racconti illustrati targati Sinnos. Non meno iconici, però, sono i cattivi di turno che in questi racconti si sono sempre ritagliati un ruolo: Teschio, il capo banda, Tozzo e Smilzo, i suoi scagnozzi, sono infatti ragazzini prepotenti dal look e della fisionomia eloquenti, che di divertono a importunare i bambini più timidi e a far compiere grandi voli ai 54 gatti del paese.

Nel terzo episodio della serie, proprio i bulli diventano protagonisti (il titolo Mi chiamano Teschio lo lascia in effetti intuire!). Attratti dall’idea che la nuova maestra della scuola possa essere una strega e nascondere segreti terrificanti, i tre decidono di appostarsi vicino al cimitero dove l’hanno vista sostare più volte. Tozzo e Smilzo, però, si tirano indietro all’ultimo con scuse improbabili e così Teschio si ritrova da solo a pedinare la maestra Atena. Le cose non andranno esattamente come Teschio immaginava ma le strade impreviste che le giornate a volte prendono, possono essere dei felici punti di svolta nelle vite degli individui. E così è per Teschio che, scoprendo un lato inatteso della maestra e condividendo con lei un’attività nuova, finisce di fatto a fare i conti con la sua identità e con un’immagine di sé che non lo soddisfa davvero. Ché anche il più duro dei teschi, forse forse preferisce farsi (ri)conoscere come Jacopo…

Tenero ma tutt’altro che melenso e soprattutto capace di non sacrificare lo spirito ironico e intrepido sull’altare di un messaggio edificante, Mi chiamano Teschio ha il sapore di un’avventura insieme familiare e sorprendente. La dimestichezza che il lettore può avere non solo con i personaggi e il contesto ma anche con lo stile compositivo e con una narrazione che mescola efficacemente racconto, figure e fumetti, ne facilita l’orientamento e ne agevola l’immersione e il godimento della storia. Dall’altro lato, la scelta di guardare oltre le apparenze e portare in primo piano il personaggio più scomodo, spiazza e suscita piacevole curiosità. Questo, unito all’attenzione che abitualmente Sinnos dedica alla leggibilità dei suoi testi, grazie a scelte che investono font, impaginazione e tipo di carta, fa di Mi chiamo teschio una lettura molto apprezzabile e da non sottovalutare in un’ipotetica rosa di proposte rivolte anche ai lettori più riluttanti.

La zuppa dell’orco (FabuLIS)

Lettori impressionabili e dal cuore debole, tenetevi alla larga: La zuppa dell’orco non è affare per voi! Perfettamente in linea con la tradizione più autentica e non edulcorata delle fiabe dei Grimm, il racconto di Vincent Cuvellier non esita a mettere in scena orchi sporchi del sangue dei bambini ingurgitati e genitori disposti a tagliare a pezzetti i figli. Il gusto un po’ cruento non manca insomma nell’avventura che vede protagonista l’astuto Josef, il più piccolo di sette fratelli, alle prese con genitori fannulloni e disposti a mutilare i figli per farli mendicare più efficacemente. Venuto casualmente a conoscenza del truce piano di mamma e papà, il bambino organizza una furbissima fuga, inganna e rabbonisce un terribile orco cieco e rimedia, infine, un destino gioioso per sé e per i suoi fratelli.

Il libro, stampata ad alta leggibilità dalla Biancoenero, racchiude illustrazioni espressive che ben si sposano con i toni cupi della storia e un racconto che unisce la sospensione tipica della fiaba e l’ironia caratteristica dell’autore francese. Non è raro infatti trovarsi a sorridere tra un pericolo e l’altro in cui incappano gli otto fratelli. Proprio grazie a questo stile strenuamente leggero, Vincent Cuvellier (già noto ai lettori della casa editrice romana per Giancretino e ioScappiamo!La settima onda e Mamma e papà oggi sposi) riesce a dare forma a una narrazione in cui temi forti come il disagio familiare e la disabilità, pur trattati in un contesto fiabesco, emergono con forza nuda e cruda e trovano nel finale un riscatto sorridente. Lo dice bene quel “Visto che i bambini avevano le mani, se le strinsero forte. Visto che avevano i piedi, ballarono tutta la notte. Visto che avevano gli occhi si guardarono a lungo sorridendo, fino a quando spuntò il sole su quel paese di neve e di notte”, con cui si chiude il racconto e che celebra l’importanza di trovare il bello della propria condizione. Qualunque essa sia.

Pubblicato per la prima volta da Biancoenero nel 2016, e insignito di diversi riconoscimenti tra cui il premio Andersen come miglior libro 6-9 anni e il premio Orbil come miglior libro 6-10 anni, La zuppa dell’orco torna ora protagonista di un nuovo e importante progetto della casa editrice romana: il progetto Fabulis. Il volume di Vincent Cuvellier e Andrea Antinori viene cioè riproposto in una nuova versione, che non sostituisce ma si affianca alla precedente. Qui, ogni doppia pagina presenta sulla sinistra un QRcode grazie al quale accedere a un video che ne racconta il testo in Lingua dei Segni Italiana. L’illustrazione figura, come una sorta di sfondo, anche alle spalle dell’interprete, facilitando così l’associazione tra i due supporti. Nella parte destra di ogni doppia pagina, inoltre, possono essere presenti altri QRcode contraddistinti da un bordo di colore differente. Questi attivano la traduzione in LIS delle parole meno comuni o di più difficile comprensione, all’interno di video che, così come i precedenti, non presentano audio.

Fabulis è un progetto estremamente significativo e apprezzabile, per più di una ragione. In primo luogo perché sfrutta in maniera semplice ma efficace la sinergia tra cartaceo e digitale. Grazie al basico riconoscimento di un QRcode, che rinvia a un video caricato su Vimeo, il lettore ha infatti la possibilità di fruire di una modalità narrativa e comunicativa supplementare che mal si accorderebbe con l’inserimento sulla pagina, senza dover per questo rinunciare al valore del rapporto con la fisicità del volume. L’espediente del QRcode, inoltre, è molto poco invasivo e questo fa sì che la pagina risulti praticamente identica a quella della versione originale del libro. Il lettore si trova perciò tra le mani un volume bello e curato come l’originale ma ancora più accessibile.

La corrispondenza puntuale tra testo in italiano sulla pagina e video in LIS non solo favorisce l’appropriazione e il pieno godimento del racconto da parte dei bambini sordi segnanti ma facilita anche la costruzione di un ponte tra le due lingue che questi lettori si trovano a fronteggiare nella vita quotidiana. La zuppa dell’orco, così come gli altri volumi che compongono la collana Fabulis,  costituisce, cioè, una bellissima proposta di narrativa che merita e chiama il libero gusto e il gratuito piacere della lettura, rivelandosi però anche un prezioso e valido strumento di sostegno all’apprendimento.

Da ultimo, non va trascurato il processo che ha portato alla nascita della collana. Il coinvolgimento, insieme a Biancoenero, dell’ENS (Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordi) e di Huawei (azienda privata già sensibile al tema e attiva sul campo grazie al progetto Storysign), mette in luce l’importanza e la validità di progetti che fanno leva sull’integrazione di competenze specifiche e complementari così da offrire ai lettori prodotti di qualità tanto dal punto di vista dell’accessibilità quanto da quello letterario.

Frida Kahlo pittrice coraggiosa

Frida Kahlo pittrice coraggiosa è un libro in simboli sui generis. Non solo fa parte della collana Parimenti de la meridiana, unica attualmente a offrire titoli in CAA adatti a un pubblico di ragazzi e giovani adulti, ma segue anche una strada, quella di divulgazione di ambito artistico, poco praticata dall’editoria accessibile.

Il volume delinea infatti la figura della pittrice messicana, raccontandone in maniera fruibile e accattivante la biografia e le principali opere. La narrazione è affidata dall’autrice alla stessa Frida Kahlo che si presenta, evidenzia le tappe salienti della sua vita e guida il lettore alla scoperta dei dettagli e delle storie che si nascondono dietro i suoi dipinti. I testi sono confezionati in maniera da risultare fruibili ma allo stesso tempo non piatti. Supportati visivamente dai simboli WLS, sono distribuiti sulla pagina seguendo l’andamento della punteggiatura: aspetto, questo, che bilancia l’affollamento della pagina dovuto alla presenza di testi (e relativi simboli) non ridotti all’osso.

Ogni doppia pagina presenta di fatto sulla sinistra una rielaborazione semplificata di un quadro di Frida Kahlo, per mano dell’autrice del volume Teresa Righetti, e sulla destra il testo che ne dettaglia le caratteristiche e ne svela i segreti. La combinazione dei due elementi è efficace rispetto all’aggancio del lettore e al supporto alla comprensione dei fatti e delle opere. Vero è che, data anche la forza comunicativa del lavoro di Frida Kahlo, l’inserimento delle sue opere originali (ostacolato probabilmente dal complicato iter necessario per ottenere le dovute autorizzazioni) avrebbe potuto avere un impatto ancora più significativo in termini di incontro im-mediato con l’arte.

Il libro ha, dal canto suo, un chiaro ed esplicito orientamento divulgativo che ben si presta alla costruzione di attività e percorsi didattici. Non a caso, se la prima metà del volume introduce la vita e le opera di Frida Kahlo, la seconda invita il lettore a giocare con le ispirazioni offerte dall’artista messicana, proponendo una serie di semplici materiali (fotocopiabili e) ritagliabili su cui lavorare. Gli stessi sono inoltre agevolmente scaricabili tramite un QRcode posto in ultima pagina. Corone di fiori da comporre, figurine da abbigliare con modelli di carta, alberi genealogici da costruire… i suggerimenti per giocare con l’arte di Frida non mancano e sono sempre proposti attraverso istruzioni in simboli. L’idea è quella di facilitare l’avvicinamento all’arte attraverso un coinvolgimento attivo e la piena partecipazione di quanti più lettori possibili attraverso espedienti diversi come la moltiplicazione dei codici comunicativi e la sperimentazione in prima persona di stimoli ludici e creativi.

Un mammut nel frigorifero

Michaël Escoffier e Matthieu Maudet sono una specie di marchio di garanzia. Difficile trovare un libro firmato da questa coppia scoppiettante di autori che non susciti sonore risate o non stupisca il lettore con un colpo di scena finale. La forza dei loro albi sta nell’ironia costante sottesa al racconto, nei puntuali rovesciamenti di prospettiva, nelle costruzioni narrative ad accumulo e nella capacità di immaginare situazioni ogni volta surreali e sinceramente spassose. Tutti questi aspetti, poi, vengono messi in valore dalla sinergia rara con cui procedono parole e figure: due codici che dialogano senza posa, ora dandosi manforte, ora facendosi sberleffi.

Un mammut nel frigorifero, uno dei titoli a cui i due autori francesi hanno dato vita, non fa eccezione. Divertente, surreale e sorprendente, il libro racconta di quella volta in cui la famiglia protagonista si ritrova nel frigorifero un preistorico pachiderma. Come l’animale sia finito lì dentro, non è inizialmente dato saperlo. Quel che si sa è che il mammut, da lì, deve sparire: serve dunque l’intervento dei pompieri. Tutto è pronto per la cattura ma la preda è scaltra e riesce a fuggire su un albero nelle vicinanze. Tocca farla scendere ma il mammut è tenace, non molla e anzi si sistema tra le fronde per schiacciare un pisolino. E così, uno alla volta, pompieri e famigliari desistono e ritornano ai propri affari. Scesa la notte, però, qualcosa succede. Qualcuno, in particolare, si attiva nuovamente per far scendere il mammut. Il motivo non lo sveleremo: basti sapere che, come d’abitudine, l’insospettabile aspetta dietro l’angolo il lettore!

In catalogo per Babalibri nella sua versione tradizionale, Un mammut in frigorifero è ora reso disponibile in versione in simboli da Officina Babùk. Questa appare contraddistinta, come gli altri volumi dell’editore, da testo in maiuscolo supportato visivamente da simboli WLS, simbolizzazione per unità di senso, testo esterno ai riquadri (sottili) e riquadri dalle forme diverse per segnalare la fine di una frase e l’apertura o la chiusura di un discorso diretto. Nel caso di Un mammut nel frigorifero quest’ultima accortezza è particolarmente significativa poiché il volume procede praticamente per intero attraverso i dialoghi. Non esplicitamente attribuiti, questi possono complicare un poco la comprensione da parte di bambini che presentano maggiori difficoltà a compiere inferenze. Per contro, il testo sembra nato per supportare la simbolizzazione dal momento che si compone di frasi brevi e brevissime, perlopiù dalla struttura lineare. Comparata alla versione originale, quella in simboli mostra di conseguenza un numero davvero irrisorio di modifiche, perché il testo appare naturalmente chiaro e fruibile.

Il libro risulta, dal canto suo, estremamente rispettoso dell’originale, in linea con la filosofia che anima il progetto di Officina Babùk, che intende offrire al maggior numero di bambini la massima qualità editoriale. In questo senso può essere significativo notare non solo come le illustrazioni mantengano intatto il loro valore, nonostante il maggiore ingombro della parte testuale dovuto alla presenza dei simboli, ma anche come la disposizione di testo e figure risulti immutata e come l’armonia compositiva generale benefici di accorgimenti piccoli ma significativi quale per esempio l’assenza di riempimento dei riquadri e l’adattamento del colore di simboli e cornici in base alla tonalità dello sfondo.

Dentro me

Negli ultimi anni, la produzione editoriale rivolta all’infanzia ha registrato un pullulare di proposte dedicate al tema delle emozioni: titoli molto variegati, talvolta profondi e coinvolgenti, talaltra volti perlopiù a definire, incasellare, fare presunta chiarezza tra i sentimenti che ciascuno di noi si trova a provare. Anche nell’ambito dell’editoria tattile non sono mancati volumi costruiti intorno a questo tema, con cornici narrative più o meno articolate e con approcci più o meno diretti, da Ho un po’ paura di Laure Constantin a Prima o poi di Isabella Christina Felline. Il punto di forza di questi libri  risiede, spesso, nella capacità di offrire una rappresentazione tangibile delle emozioni trattate: di proporre, cioè, possibilità di entrare in contatto con qualcosa di molto astratto, come i sentimenti, a partire da qualcosa di molto concreto, come le sensazioni.

Un nuovo titolo, da poco pubblicato dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, percorre in maniera particolarmente efficace questa strada. Si tratta di Dentro me di Stefania Luisi, un volume in cui l’essenzialità compositiva nasconde una grande ricchezza di spunti.  L’autrice offre, in particolare, una carrellata di situazioni a ciascuna delle quali fa corrispondere un modo di sentirsi espresso in forma di metafora. “Quando mi sento in pace con il mondo, dentro me c’è una distesa di erba tenera. Oppure Quando mi sento solo, dentro mi sgonfio come un palloncino bucato”. O ancora: “Quando non capisco quello che sta accadendo, dentro me c’è un groviglio attorcigliato”. Ogni situazione emotiva è descritta a parole, in nero e in Braille, sulla pagina di sinistra, e rappresentata con illustrazioni tattili sulla pagina di destra. Il bianco dello sfondo domina, da una parte e dall’altra, creando una composizione orientata alla pulizia piacevole alla vista e capace di agevolare l’esplorazione tattile. Quest’ultima, dal canto suo, è resa agevole anche dalla scelta dei soggetti (e, dunque, a monte, anche delle metafore proposte) e dei materiali. L’erba, la mano e i grovigli di fili, per esempio, sono senz’altro familiari al lettore. il primo, inoltre, fruscia realmente, la seconda è davvero vellutata e il terzo risulta praticamente indistricabile.

Dentro me si presenta come un volume che può offrire validi spunti di lavoro e riflessioni soprattutto (ma non solo) in un contesto come quello scolastico. Molto apprezzabile il fatto che le emozioni non vengano semplicemente definite ma contestualizzate e raccontate attraverso immagini efficaci. Potrebbe sembrare trascurabile, ma anche il fatto che la voce narrante parli in prima persona gioca un suo ruolo in questa direzione. Le sensazioni descritte sono, cioè, proposte come personali, come a dire “Io (e non necessariamente anche tu) mi sento così”. Come tali, dunque, esse non si impongono come delle definizioni ma invitano piuttosto chi legge a pensare se si riconosce in quella immagine o se esprimerebbe la sua sensazione in maniera differente. È una differenza sottile ma importante perché segna un percorso (non scontato) che predilige l’apertura alla chiusura stringente. E non è poca cosa.

Il nostro cane Max (FabuLIS)

Gli animali domestici sono, per tanti padroni e padroncini, autentici membri della famiglia. Con loro si condividono rituali, viaggi, esperienze, emozioni e così, quando muoiono, lasciano un vuoto grande e un segno indelebile. Proprio questa parabola esistenziale, tanto familiare a chiunque abbia posseduto e amato un cane o un gatto, trova posto tra le pagine de Il nostro cane Max.

Il libro scritto da Alessandra Bocchetti omaggia e ripercorre la vita del cane Max all’interno della famiglia che lo ha accolto quando era ancora piccolissimo e brutto. L’autrice racconta in particolar modo il rapporto speciale e unico che il cane instaura con i diversi membri della famiglia, dando un assaggio delle piccole gioie che, dal primo all’ultimo giorno, la sua presenza ha regalato. Fino a che la vecchiaia lo porta via, senza che tuttavia il suo ricordo svanisca. Tutt’altro: nel cielo, nelle rocce e persino nella forma di un’isola Max torna a far visita ai suoi padroncini, nel nome di un legame intenso e sempre vivo.

Lineare e senza arzigogolate capriole narrative, Il nostro cane Max si presenta come un omaggio personalissimo a un cagnolino realmente esistito che suscita simpatia e affetto. Piacevole da leggere e commuovente nel finale, il libro fa parte di una doppia collana. La versione originale è stata inserita, infatti, all’interno della Minizoom di cui il libro condivide tutte le apprezzabili caratteristiche di alta leggibilità: font specifica, spaziatura, maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra e carta color crema. Una seconda versione, che va ad affiancarsi alla precedente e che ne mantiene tutte le caratteristiche sopracitate, è stata invece di recente messa a punto da Biancoenero e inserita nella nuovissima collana Fabulis.

In questa nuova versione, inserita all’interno della collana Fabulis, ogni doppia pagina del volume di Alessandra Bocchetti e Martina Tonello presenta sulla sinistra un QRcode grazie al quale accedere a un video che ne racconta il testo in Lingua dei Segni Italiana. L’illustrazione figura, come una sorta di sfondo,  anche alle spalle dell’interprete, facilitando  così l’associazione tra i due supporti. Nella parte destra di ogni doppia pagina, inoltre, possono essere presenti altri QRcode contraddistinti da un bordo di colore differente. Questi attivano la traduzione in LIS delle parole meno comuni o di più difficile comprensione, all’interno di video che, così come i precedenti, non presentano audio.

La collana Fabulis è frutto di un progetto estremamente significativo e apprezzabile, per più di una ragione. In primo luogo perché sfrutta in maniera semplice ma efficace la sinergia tra cartaceo e digitale. Grazie al basico riconoscimento di un QRcode, che rinvia a un video caricato su Vimeo, il lettore ha infatti la possibilità di fruire di una modalità narrativa e comunicativa supplementare che mal si accorderebbe con l’inserimento sulla pagina, senza dover per questo rinunciare al valore del rapporto con la fisicità del volume. L’espediente del QRcode, inoltre, è molto poco invasivo e questo fa sì che la pagina risulti praticamente identica a quella della versione originale del libro. Il lettore si trova perciò tra le mani un volume bello e curato come l’originale ma più accessibile.

La corrispondenza puntuale tra testo in italiano sulla pagina e video in LIS non solo favorisce l’appropriazione e il pieno godimento del racconto da parte dei bambini sordi segnanti ma facilita anche la costruzione di un ponte tra le due lingue che questi lettori si trovano a fronteggiare nella vita quotidiana. Il nostro cane Max, così come gli altri volumi che compongono la collana Fabulis,  costituisce, cioè, una bellissima proposta di narrativa che merita e chiama il libero gusto e il gratuito piacere della lettura, rivelandosi però anche un prezioso e valido strumento di sostegno all’apprendimento.

Da ultimo, non va trascurato il processo che ha portato alla nascita della collana. Il coinvolgimento, insieme a Biancoenero, dell’ENS (Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordi) e di Huawei (azienda privata già sensibile al tema e attiva sul campo grazie al progetto Storysign), mette in luce l’importanza e la validità di progetti che fanno leva sull’integrazione di competenze specifiche e complementari così da offrire ai lettori prodotti di qualità tanto dal punto di vista dell’accessibilità quanto da quello letterario.

Zeb e la scorta di baci

La storia di Zeb, che ha paura di andare da solo al campo estivo e che riceve da mamma e papà una scatolina di baci-caramella da tirare fuori all’occorrenza è amatissima. Letto e riletto in famiglia, in biblioteca e a scuola, dall’asilo nido fino all’inizio della scuola primaria, Zeb e la scorta di baci è uno dei libri che più frequentemente vengono proposti per accompagnare i momenti di distacco dei bambini e il suo protagonista è uno di quelli a cui più si affezionano i giovanissimi lettori. Perché Zeb è proprio come loro, mostra le stesse paure e fragilità e ama scoprirsi più grande e forte del previsto. L’apprensione che prova Zeb di fronte all’idea di stare per la prima volta lontano da mamma e papà, il conforto che riceve da un oggetto semplice ma simbolicamente forte come la scatola di baci di carta, il timore che ha di essere preso in giro, il sollievo che sperimenta nel riconoscere nei compagni di viaggio sentimenti affini ai suoi e l’incoraggiamento che trova nella condivisione della sua scorta di baci sono tutti sentimenti familiari ai bambini.

Anche per questo motivo, il libro di Michel Gay, da anni in catalogo per Babalibri (la prima edizioni italiana è datata 2008!), continua a essere ristampato e a riscuotere consensi, nei grandi come nei piccoli. Per certi versi, con garbo e discrezione, Zeb riesce a entrare nella quotidianità dei bambini per poi dimorarvi a lungo, come una sorta di rassicurante compagno di sfide emotive. È dunque, a tutti gli effetti, una presenza forte nell’immaginario collettivo, e come tale merita di essere conosciuto e fatto proprio da tutti i bambini.

È dunque una lieta notizia, quella che vede Zeb e la scorta di baci entrare nel catalogo di Officina Babùk, la casa editrice specializzata in libri in simboli nata dalla sinergia tra Babalibri e Uovonero. Grazie all’impiego dei simboli WLS della Comunicazione Aumentativa e Alternativa a supporto visivo del testo, questa pubblicazione consente infatti anche ai bambini con difficoltà di lettura di accedere con maggiore agio alla storia della timida zebra. Quest’ultima, dal canto suo, rimane assolutamente riconoscibile poiché il rispetto dell’originale è uno dei principi che animano la produzione degli albi della neonata casa editrice. Così, il lettore che già conosca la versione tradizionale del libro e che ne scopra questa adattata, ritroverà le stesse figure dallo stile delicato e amichevole, la stessa organizzazione della pagina (illustrazione in alto, testo in basso) e lo stesso testo, fatto salvo per minimi aggiustamenti che possono rendere più lineare e fruibile la sintassi (esplicitazione del soggetto, trasformazione di una frase subordinata in una frase autonoma, ecc…), per l’aggiunta dei simboli e per il cambio del carattere da minuscolo a maiuscolo.

La scelta del maiuscolo, dal canto suo, evidenzia una volta di più l’approccio inclusivo adottato dalla casa editrice. Si tratta infatti del carattere che prima e meglio riescono a padroneggiare i bambini che iniziano a cimentarsi con la lettura e la scrittura. L’idea vincente è dunque che si tratti di libri ad ampio raggio, che accolgono tante esigenze diverse non necessariamente legate a una disabilità.

Il libro, come gli altri che animano il catalogo di Officina Babùk, adotta un modello di simbolizzazione orientato all’equilibrio tra ricchezza e fruibilità, per cui in molti casi un simbolo corrisponde a un’unità di senso più che a una parola singola. I riquadri che contengono i simboli, inoltre, assumono una funzione comunicativa, presentando stondature e punte diverse a seconda che si trovino a inizio/fine di un dialogo o di un passaggio narrativo di altro tipo. L’aspetto finale è chiaro e gradevole, anche in quelle pagine in cui il numero di parole e simboli risulta più alto e richiede grande perizia dal punto di vista grafico.

Le allacciature

I telai delle allacciature sono un supporto di ispirazione montessoriana che consente al bambino, soprattutto in età da asilo nido o scuola dell’infanzia, di allenare abilità manuali fondamentali e migliorare la propria autonomia in attività quotidiane come quelle legate alla vestizione.

Elia Falliti si è ispirata a questo supporto per confezionare un libro tattile che invita a sperimentare i diversi tipi di allacciature, supportando questa pratica giocosa con un testo minimale che aiuta a contestualizzarla. L’autrice non si limita, infatti, a offrire una sequenza di bottoni, fiocchi, alamari e fibbie, trasferendo di fatto sulla pagina i telai, ma associa ogni tipo di allacciatura a un oggetto di uso quotidiano in cui il bambino potrà ritrovarla. Così, per esempio, introducendo i bottoni dice: “Mi abbottono il grembiule per non sporcarmi con la pittura”. Si tratta, dunque, di testi essenziali e di stampo prettamente descrittivo, che risultano estremamente fruibili anche in caso di disabilità diverse da quella visiva e che contribuiscono a dare una cornice minimamente narrativa alla successione di pagine, evidenziando l’impiego quotidiano degli oggetti citati.

Realizzate in stoffa pesante, che ne agevolano la sfogliatura, le doppie pagine de Le allacciature presentano nella parte sinistra il testo in nero, stampato in maiuscolo, e in Braille. Entrambi sono collocati su placchette plastificate, robustamente cucite alla pagina. Nella parte destra si trova invece l’allacciatura vera e propria con cui il bambino può mettersi alla prova. Le allacciature sono in totale otto (bottoni, fiocchi, alamari, lacci, velcro, cerniera, automatici, fibbie) e riflettono gradi di complessità diversi.

Il libro, edito dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, assume in definitiva una forma ibrida, a cavallo tra l’album tattile illustrato e il volume di attività. E proprio questa collocazione a scavalco ne costituisce forse la qualità più significativa, poiché da un lato offre un supporto interattivo alla narrazione e dall’altro sostiene l’esercizio delle operazioni di allacciatura con la forza delle parole e delle situazioni da queste evocate. Non solo: proprio perché il volume nasce con un’esplicita predisposizione pratica, le pagine sono tenute insieme da tre anelli apribili, risultando perciò staccabili e impiegabili anche singolarmente o in una forma diversa da quella del libro da sfogliare. Questo aspetto è, dal canto suo, tutt’altro che trascurabile perché facilita la fruizione del libro da parte di bambini con difficoltà motorie o di bambini che prediligono l’introduzione di un solo elemento da esplorare alla volta. Essa permette, inoltre, di impiegare il libro in molti modi e situazioni diversi, per esempio dividendo le pagine tra più bambini, consentendone l’esplorazione in contemporanea.

La strega del tombino

Gli accorgimenti che possono essere adottati nei libri per agevolare e incentivare la lettura nei bambini dislessici sono molteplici – dall’uso di font specifiche alla spaziatura più ampia del consueto, dalla sbandieratura del testo all’uso di carta color crema – e la casa editrice Biancoenero è tra quelle che meglio le padroneggia e più le impiega all’interno del suo catalogo. A questi accorgimenti di tipo grafico e tipografico si possono aggiungere altre qualità del volume, questa volta squisitamente stilistiche e contenutistiche, che ne ampliano e rafforzano l’efficacia. Storie accattivanti e testi incisivi, per esempio, incidono in maniera decisiva sulla motivazione e sulla soddisfazione collegate alla pratica della lettura. E anche in questo, la casa editrice romana ha una lunga esperienza.

Si prenda ad esempio il recente racconto ad alta leggibilità La strega del tombino di Isabelle Renaud. Qui l’incipit sembra dire al lettore “Vieni qui, ho decisamente qualcosa per te! Non sei curioso?”. Si legge, infatti, in apertura: Nella mia città c’è una scuola. La scuola ha un cortile dove si fa ricreazione. Nel cortile c’è un tombino. In fondo al tombino c’è una strega imprigionata. Io e la mia amica Melinda le diamo spesso da mangiare: fili d’erba, sassolini, avanzi delle nostre merende. A volte la strega non mangia tutto quello che le diamo e il giorno dopo vediamo i fii d’erba o altro galleggiare in superficie. La maggior parte delle volte, però, mangia ogni cosa senza lasciare niente. Va detto che nella situazione in cui si trova non può essere troppo schizzinosa. E poi è una strega! […]

Da qui in poi il racconto procede spedito, con un piede sempre dentro un’interpretazione fantastica del reale. Quella strega che Melinda e Maud temono e nutrono dal tombino, immaginando sul suo conto le storie più articolate, si sospetta abbia un ruolo determinante nel piano messo in atto dalle bambine per tenere testa alla terribile supplente che ha preso il posto della deliziosa maestra Vittoria. Inflessibile e con una passione sfrenata per la pratica di far sezionare i pesci ai suoi allievi, la signora Tric non solo tratta la classe con autoritaria prepotenza ma rischia anche di far saltare lo spettacolo di fine anno ispirato al pow-wow indiano per cui gli alunni si sono a lungo preparati. Per liberarsi di lei servono un piano e circostanze fuori dal comune. Un’eccezionale tempesta, per esempio, di quelle che solo una creatura magica, forse, è in grado di scatenare…

Isabelle Renaud ci regala un racconto confezionato a puntino e perfetto per intercettare l’interesse anche dei lettori più riluttanti. Breve ma dotato di una storia solida e dal ritmo serrato, La strega del tombino mescola in poche pagine humour e avventura. Impaginazione ariosa e illustrazioni frequenti, dal canto loro, completano il quadro di una narrazione che sorride invece che allontanare chi teme un po’ di più la parola scritta.

La casa di notte

Siamo proprio sicuri che il momento in cui scende la sera sia il più tranquillo della giornata, quello in cui di fatto tutti dormono e poco accade? Il libro di Joub e Nicoby sembrerebbe mostrarci l’esatto contrario. Pur essendo apparentemente molto ordinaria e abitata da una famiglia poco numerosa, La casa di notte che ci offrono è tutt’altro che silenziosa, immobile e quieta. C’è chi fa amicizia, chi si ama, chi rubacchia, chi esplora, chi scappa e chi festeggia.

Perché ogni casa nasconde qualche segreto, più o meno noto a chi vi risiede: ospiti imprevisti come mostri buffi o topolini ma anche azioni segrete e intime che si consumano a porte chiuse. Ecco allora che il lettore de La casa di notte, tutto può permettersi salvo che di pisolare: c’è tanto da scoprire, seguire, intuire, tra queste pagine senza parole.

Del tutto privo di testo, La casa di notte presenta un’architettura narrativa intrigante che poggia su un efficace contrasto tra regolarità e imprevisto. Ogni pagina vanta, infatti, una partitura regolarissima a sei riquadri e inquadrature ricorrenti che fotografano in maniera sempre identica alcuni interni (più un esterno) della casa. All’interno di quelle cornici stabili, però, succede di tutto e proprio questo scarto tra ciò che è fisso e ciò che cambia, si anima e succede, dà vita a una lettura dinamicissima e appassionante, in cui anche i personaggi apparentemente più collaterali portano guizzi narrativi spassosi (imperdibili, in particolare, gli uccellini insaziabili che vivono sul tetto).

Il gioco di inquadrature ricorrenti che caratterizza il volume predispone un’intelaiatura fissa con cui il lettore può familiarizzare e che le lo aiuta a orientarsi. I fitti fili che legano ciò che accade nelle diverse stanze danno però vita a una narrazione tutt’altro che banale che richiede dal canto suo un lettore abbastanza scaltro, capace di muoversi tra situazioni distinte (per quanto intrecciate), tra personaggi diversi e tra avvenimenti che richiedono alcune inferenze.

Un pezzetto di carta solleticante

Un pezzetto di carta solleticante è un compagno formidabile di avventure per chiunque desideri allenarsi ad abitare – come dice Bobin – poeticamente il mondo. Il libro tattile progettato e realizzato da Élodie Maïno per la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi costituisce infatti un invito molto pratico e suggestivo a cogliere la magia nascosta nelle cose, a creare micro-storie a partire dall’accostamento inatteso degli elementi e a trasformare materiali comuni e apparentemente banali in figure evocative e ricche di senso.

Il libro, dal particolare formato basso e largo e dalla rilegatura a spirale, presenta la struttura di un mix and match. Si compone, cioè, di testi e figure collocati su pagine mobili e combinabili a piacere, in modo tale da dare vita a composizioni sempre diverse. Ogni ipotetica pagina è divisa in cinque sottoparti, così dedicate: soggetto – aggettivo relativo al soggetto – verbo – complemento oggetto – aggettivo relativo al complemento oggetto. Le micro-storie che ne derivano, che sono di per sé delle frasi semplici ma il cui potenziale evocativo suggerisce veri e propri percorsi narrativi, sono spiazzanti, poetiche, divertenti e impreviste. L’autrice ha selezionato, infatti, in maniera molto efficace gli ingredienti con cui il lettore può dar vita alle combinazioni, spaziando dal quotidiano al fiabesco, dall’ordinario all’insolito. Una medusa dolce scolpisce un petalo di fiore bizzarro, Una roccia vulcanica scura arrotola un pizzo spiegazzato, Una lavatrice minuscola spiana un labirinto croccante… Sono storie in nuce, germogli narrativi pronti a sbocciare!

Piacevolmente coinvolgente, il libro di Élodie Maïno è totalmente fruibile sia alla vista sia al tatto. Ogni segmento di pagina che contiene un elemento narrativo presenta un’illustrazione tattile e, subito sotto, la parola corrispondente stampata in nero e in Braille. La grafica è minimale, essenziale, chiara. La cosa straordinaria è che l’autrice è riuscita a costruire tutte le illustrazioni facendo uso soltanto della carta, o per meglio dire dei diversi tipi di carta. Carta da fotocopia, da pacchi, Bristol, acquerello, pergamina e velina si prestano a trasformarsi e ad evocare un numero inimmaginabile di cose se opportunamente piegate, manipolate, strappate, tagliate, forate, arrotolate, goffrate, graffiate, grattate, incollate, cucite… L’autrice si premura di presentare, in apertura di volume, sia le carte impiegate sia le azioni a cui queste possono essere sottoposte. E questo è un valore aggiunto perché oltre a offrire al lettore uno spunto metanarrativo interessante, dandogli accesso, per certi versi, al dietro le quinte del libro, lo invita davvero a spalancare gli occhi (e le mani) rispetto alle innumerevoli possibilità che sono custodite in un materiale ordinario come la carta.

È un libro davvero speciale, Un pezzetto di carta solleticante. E lo è per tante ragioni. È in primo luogo un libro molto accessibile, non solo in relazione alla disabilità visiva. La brevità delle composizioni che si formano, l’associazione diretta tra figura e parola, l’essenzialità del testo, la pulizia della grafica e la ricchezza di stimoli (non solo tattili ma anche sonori) delle illustrazioni lo rendono infatti molto apprezzabile anche da bambini e ragazzi con altri tipi di difficoltà di lettura: cognitive, uditive o comunicative, per esempio, ma anche legate a un disturbo specifico dell’apprendimento. In seconda battuta è un libro ma è anche un gioco, quindi non teme gli sconfinamenti ma anzi li accoglie con diletto per dar vita a qualcosa di bello. Ed è un libro che oltre a consentire e incentivare molteplici letture, perché le combinazioni a cui può dar vita sono numerose, predispone un modello di invenzione narrativa multisensoriale facilmente e piacevolmente replicabile. Praticamente è un libro che contiene senza sforzo alcuno anche un’idea di laboratorio. E, infine, è un libro che, nel suo divertito e divertente spirito combinatorie e nella sua capacità di indagare le potenzialità nascoste e immaginifiche della carta, ci pare un omaggio schietto e fedele agli insegnamenti di due maestri come Munari e Rodari. Insomma, come si fa a resistergli?

È permesso?

Non c’è forse gioco infantile più replicato e al contempo più moltiforme del progettare e costruire un rifugio. Cuscini, lenzuola, mobili e qualunque supporto capiti a tiro può contribuire a dare forma a tane e fortini in cui nascondersi, stipare proviste, condividere segreti e inventare avventure. Alzi la mano chi non l’ha mai sperimentato! Ecco allora che il libro di Elena Rossini e Irene Penazzi – È permesso? – che a questa comune pratica ludica è dedicato diventa per il lettore occasione di riconoscimento e spunto per nuovi allestimenti. Non solo: tra le pagine di questo libro in cui c’è tanto da guardare e poco da leggere, si trova una fitta trama di relazioni familiari e amicali che danno vita a micro-narrazioni e dettagli da trovare. È dunque un libro quasi senza parole, È permesso?, un simil-wimmelbuch e un libro che ha qualcosa del gioco: un libro decisamente ibrido, dunque, che come tale prometta ampia libertà di movimento e molteplici possibilità di esplorazione.

Protagonisti sono, in prima battuta, cinque bambini di età e stature diverse, che si dirigono con fare deciso verso il salotto. In un attimo – il tempo di un voltar di pagina – la stanza viene ripresa con un’inquadratura più ampia e presto invasa da mollette, lenzuola, scatole, sedie rovesciate a giocattoli. Il gioco è partito! Da lì in avanti il fortino appare allestito e il lettore ha modo di immaginare cosa vi accada all’interno solo da sparuti dettagli – una teiera, un ciuccio, biscotti, fogli e pennelli – che spuntano da sotto le lenzuola appese. In parallelo sopraggiungono nuovi potenziali ospiti che educatamente chiedono di poter entrare. Come una sorta di parola d’ordine votata alla gentilezza, l’È permesso? fa via via crescere l’accampamento e le attività in esso custodite. Sono le ultime due doppie pagine, che si aprono come una sorta di sipario, a rivelare il pullulare di giochi, chiacchiere, scherzi e lavori che nel rifugio hanno trovato posto. I dettagli spuntati qua e là nel corso della lettura trovano allora nuovo senso e invitano a ripercorrere da capo le pagine affollate per riconoscere e ricollocare i personaggi, metterli in relazione e ricostruire ciò che per buona parte del libro è rimasto celato nel fortino.

Dinamicissimo, autentico e predisposto a soddisfare molteplici letture consecutive, È permesso? dà spazio a un disordine creativo che profuma di famiglia vera. Tra quelle scope che diventano puntelli, quei tappeti che ospitano picnic informali e quei divani che si fanno, all’occorrenza, letto, supporto o parco-giochi, il lettore può muoversi senza un ordine predefinito, cogliendo dettagli disseminati con perizia dalle autrici. Là dove la confusione (ricercata) della pagina non crei insofferenza e dove l’avanti e indietro tra le pagine per mettere a posto i tasselli non costituisca un ostacolo al godimento della lettura, È permesso? offre una storia per immagini (ché di fatto le poche e ricorrenti parole sono praticamente accessorie) in cui il lettore può prendersi il tempo di sostare, in cui è chiamato a fare ipotesi (chi sono questi personaggi e che tipo di relazione li lega? Perché il bambino con la tshirt della montagna toglie una molletta? Cosa pensa il gatto di tutto questo trafficare tra tappeti e coperte?…) e in cui, in definitiva, il gioco simbolico che ispira la narrazioni si fa cornice di nuove imprevedibili invenzioni che trovano forma e parole proprio grazie a chi legge.

Trucas

Se c’è un personaggio capace di incarnare il richiamo irresistibile dell’arte, quello è senza dubbio Trucas, mostriciattolo alto un dito o poco più creato dall’artista messicano Juan Gedovius. Impossibile non provare un moto di tenerezza verso questa creatura verde dal naso importante, i piedoni lunghi, i capelli arruffati e le orecchie a punta. Il suo viso ispira subito simpatia, per non parlare poi delle sue disavventure. Il fatto è che Trucas trova nel colore e nel segno grafico una forma di espressione trascinante e così, che sulla sua strada si trovi una matita o della tempera, poco importa: quello che Trucas farà sarà farne un uso smodato, impiastricciando senza ritegno sé stesso e tutto ciò che lo circonda.

Lo conosciamo proprio così, tubetti alla mano, che corre dopo aver lasciato delle tracce variopinte. Ma subito una mano grande e minacciosa gli impone un bagno nel mastello. Neanche il tempo di asciugarsi e Trucas si lancia alla ricerca di nuovi stimoli artistici. Peccato che quella che sembra una matita piazzata lì per aspettarlo si rivela essere la coda di un drago sputafuoco. Poco male, messa in salvo la pelle, Trucas scopre presto che anche delle zampe fuligginose possono lasciare il segno!

Incontenibile e irriverente, Trucas è il protagonista di un libro senza parole portato in Italia da Logos. Le sue avventure iniziano e finiscono nei risguardi, parte a pieno titolo del racconto, e fanno della pagina un oggetto con cui giocare. Anche grazie a queste trovate metanarrative, il racconto per immagine strizza l’occhio di continuo al lettore e assume delle sfumature di senso tutt’altro che banali. Contraddistinte da un ampio ed efficace uso dello sfondo bianco, le pagine di Juan Gedovius non cedono ai fronzoli, rendendo sempre molto chiaro il focus del racconto. I passaggi da una scena all’altra sono dal canto loro sempre piuttosto chiari, anche grazie a una resa molto eloquente delle espressioni del protagonista. Ne risulta un volume, oltre che divertente e accattivante, anche molto accessibile.

La scatola

La scatola di Isabella Paglia e Paolo Proietti è un albo illustrato che celebra il potere dell’amicizia come dono affettuoso e disinteressato. Protagonisti sono alcuni animali del bosco che un giorno trovano tra gli alberi una scatola dalla provenienza e dal contenuto ignoti. La scatola sembrerebbe senza dubbio abitata da qualcuno che però, nonostante gli inviti e le premure degli animali, non manifesta alcuna intenzione di uscire. Ma gli animali non demordono e, oltre a escogitare soluzioni variegate per rassicurare l’inquilino e convincerlo a fare capolino, fanno soprattutto una cosa importante: aspettano. Ché l’attesa è una forma di rispetto tanto difficile quanto preziosa e abbracciare senza sindacare le esigenze dell’altro è un modo quanto mai amorevole di manifestare la propria benevolenza. Grazie per avermi aspettato è, non a caso, la prima cosa che l’animale misterioso ci tiene a dire non appena trova il coraggio di aprire il coperchio e godersi l’abbraccio dei nuovi amici.

Delicato nei testi, nel messaggio trasmesso e nelle illustrazioni, che colpiscono per la grazia tenue con cui dipingono non tanto i protagonisti quanto i loro atteggiamenti premurosi, La scatola è in catalogo dal 2023 per La Margherita Edizioni. Lo stesso editore ne propone ora una versione in simboli che segue in particolare il modello inbook. Il testo viene perciò qui simbolizzato integralmente e riquadrato insieme ai simboli: due aspetti, questi, che rendono l’adattamento molto fedele all’originale dal punto di vista del racconto a scapito dell’adesione all’originale in termini visivi. I numerosi riquadri bianchi occupano infatti molto posto sulla pagina, pur essendo di dimensioni contenute, e spiccano in maniera evidente là dove lo sfondo non sia dello stesso colore. Le competenze di lettura che questo tipo di testo in simboli richiede sono, dal canto loro, piuttosto raffinate, perché i simboli da padroneggiare sono molti, completi di qualificatori di genere, numero e tempo e spesso non immediati.

La costituzione degli alberi

Magistrate di professione, Valeria Cigliola ed Elisabetta Morosini non sono nuove alla creazione di testi a misura di bambini e ragazzi che mescolino narrazione e divulgazione su temi di educazione civica. Il loro La costituzione degli alberi fa infatti idealmente seguito a La costituzione in tasca, pubblicato sempre da Sinnos nel 2018.

Se quest’ultimo proponeva una sorta di caccia al tesoro tra i diversi articoli della Costituzione, il focus del volume più recente è piuttosto la tutela ambientale. Attraverso la vicenda esemplare di una roverella secolare che rischia di essere abbattuta e le voci di una moltitudine operosa di personaggi, La costituzione degli alberi porta il lettore a scoprire che la voce e l’azione di ciascuno di noi può fare la differenza per impedire delle ingiustizie e che queste ultime possono e devono riguardare non solo gli esseri umani ma anche la natura che quegli esseri umani li nutre, li circonda e li ospita. A partire dalla storia della quercia Eleanor, si racconta ai lettori che proprio lo scorso anno la nostra Costituzione è stata modificata per allargare la tutela sancita dall’articolo 9 anche all’ambiente, alla biodiversità, agli ecosistemi, e agli animali. Ecco allora che la vicenda narrata diventa anche per pretesto per ragionare in maniera più ampia sul ruolo che la Costituzione ha e sul valore che le sue modifiche possono assumere, nel rispetto dei tempi che cambiano ma anche dello spirito originario con cui la carta è stata scritta.

Molto scorrevole nonostante il tema complesso e l’animo divulgativo, La Costituzione degli alberi si presta particolarmente a letture di classe e a ispirare possibili riflessioni condivise. Le caratteristiche di alta leggibilità del volume, peraltro, nel allargano le possibilità di fruizione e le illustrazioni dinamiche di Irene Penazzi ne amplificano la dimensione immaginifica.

I vestiti nuovi dell’imperatore

Quella de I pesci parlanti di Uovonero è una collana che mostra bene come si possano sposare solidità e disponibilità al cambiamento. Attiva da oltre 13 anni (il primo titolo, Cappuccetto rosso, è datato 2010), la collana si è nel tempo arricchita di nuovi titoli (10, ad oggi), si è sdoppiata offrendo due tipi di formato differenti (ai Pesci si sono aggiunti i più snelli Pesciolini) e soprattutto si è fatta più consapevole e matura nelle scelte compositive, espresse attraverso illustrazioni variegate e via via più ricercate, una stampa di qualità crescente e migliorie dal punto di vista dell’armonia grafica.

In questo senso, se gli ultimi titoli pubblicati come La principessa sul pisello o I vestiti nuovi dell’imperatore, presentano lo stesso impianto dei primi – testo in maiuscolo, simbolizzazione per unità di senso, pochi e grandi simboli nella pagina di sinistra e illustrazioni in quella di destra – vantano anche alcune accortezze –riquadri dei simboli meno marcati, equilibrio tra dimensione del simbolo e dimensione del testo, figure accattivanti – che li rendono più simili, nell’effetto finale, agli albi illustrati tradizionali. Ne I vestiti nuovi dell’imperatore, poi, anche il formato risulta più maneggevole e leggero. Il volume presenta, infatti, pagine meno spesse pur continuando a garantire una più agevole sfogliatura grazie alla sagomatura Sfogliafacile brevettata dall’editore.

Sempre curato nell’adattamento testuale da Enza Crivelli, I vestiti nuovi dell’imperatore propone le illustrazioni di Nadia Corfini, formatasi al Master Ars in Fabula di Macerata, contesto all’interno del quale il progetto editoriale messo a punto con Uovonero è nato. Le sue figure dagli irresistibili colori vivaci giocano con leggerezza sul contrasto tra il tempo lontano della fiaba e la modernità. Introducendo nelle tavole elementi contemporanei come lavatrici, computer, transenne e smartphone, l’illustratrice strizza l’occhio al lettore di oggi e regala alle immagini un quid inatteso e sorprendente. Ne nasce in questo modo un racconto per immagini che non procede esattamente in parallelo a quello fatto di parole e simboli. All’essenzialità e all’asciuttezza di quest’ultimo fanno, infatti, da contraltare illustrazioni particolareggiate e stranianti. Al lettore si offrono così diverse chiavi di accesso alla narrazione che questi può modulare secondo i suoi gusti, le sue predisposizioni e le sue abilità.

La matita

La matita di Hyeeun Kim è un libro senza parole in cui immaginazione e riflessione vanno a braccetto. Il libro si apre infatti con una matita che viene temperata e i cui trucioli fanno crescere una rigogliosa foresta: uno spazio accogliente e affascinante in cui la biodiversità può trovare casa. Specie diverse di animali e piante convivono in uno spirito di armonia ben espresso dal delicato concerto cromatico messo a punto dall’autrice.

Pochi colori e pochi tratti danno forma, infatti, a un bosco ricco e quasi ipnotico, su cui posare e far vagabondare piacevolmente lo sguardo. Quando però le chiome si scuotono e i volatili iniziano a fuggire si intuisce che qualcosa sta accadendo. In rapida successione i tronchi cadono, i camion sgasano, le fabbriche triturano. Ed ecco che gli spessi tronchi diventano oggetti al servizio dell’uomo: matite, per esempio, con cui una bambina paziente ridisegna un futuro possibile.

Grazie a una struttura circolare e a un sottile gioco di richiami interni, questo volume pubblicato da Terre di Mezzo fa di un oggetto semplice come una matita colorata il fulcro intorno al quale può ruotare una storia evocativa in cui fantasia e realtà si rincorrono senza posa. Il tratto essenziale di Hyeeun Kim è capace di dar vita a una straordinaria ricchezza visiva in cui perdersi e da cui lasciarsi ispirare. È un tratto un po’ magico, il suo, che inventa connessioni tra piani del reale differenti e che fa dell’assenza di parole la chiave per interrogare, pungolare e deliziare il lettore.

La sedia blu

Insieme a Mangerei volentieri un bambino, La sedia blu è il titolo con cui Officina Babùk ha inaugurato la sua produzione editoriale. Si tratta di un titolo già noto a molti lettori, perché in catalogo dal 2011 per Babalibri, e che in questa versione viene proposto in simboli. Nata dalla collaborazione tra Uovonero e Babalibri, Officina Babùk è infatti una neonata casa editrice specializzata nella pubblicazione di albi illustrati in cui il testo è supportato visivamente dai simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Il suo catalogo, che per ora attinge principalmente al vasto, ricco e curato ventaglio di titoli di Babalibri di cui offre una versione accessibile, raccoglie di fatto il testimone dello splendido progetto “I libri di Camilla” di Uovonero che dal 2016 al 2022 (ma i cui titoli sono tuttora disponibili) ha consentito la pubblicazione di una versione simbolizzata di una decina di albi molto apprezzati di diverse case editrici tra cui Topipittori, Giralangolo, Kalandraka e Sinnos. In linea con la filosofia de I libri di Camilla, Officina Babùk promuove con i suoi libri l’idea che la lettura possa costituire un potente strumento di inclusione e che le storie più amate e diffuse tra i bambini necessitino di molteplici versioni capaci di consentire una reale condivisione di immaginari anche da parte di coloro che leggono e comunicano in maniere non convenzionali.

La sedia blu, curato nei testi come nelle figure da Claude Boujon, è dal canto suo un albo illustrato molto ironico, a tratti surreale ed estremamente aderente all’approccio dei bambini alle cose del mondo. I due protagonisti – due cani di nome Bruscolo e Botolo – trovano un’insolita sedia blu in mezzo al deserto in cui vivono e subito ne fanno il fulcro di un appassionante gioco simbolico. In un crescendo immaginativo, quella semplice sedia diventa, infatti, un rifugio, una barca, un bancone e un versatile strumento circense. Fino a quando i due non vengono redarguiti da un severissimo camelide che tutto può approvare fuorché un uso così divertente e divergente di una sedia. Ai due non resta che andarsene – ché chi ha fantasia, in fondo, un oggetto consono al gioco lo trova facilmente – non prima però di aver lanciato una spassosa e irriverente stoccata al gobbuto bacchettone.

La sedia blu è contraddistinto dall’impiego di simboli WLS riquadrati, dal testo in maiuscolo esterno ai riquadri e da una simbolizzazione votata a un principio di economia funzionale. In base a quest’ultimo, i singoli elementi testuali non vengono sempre simbolizzati individualmente ma vengono talvolta riuniti in unità di senso (es: una macchia blu, articolo + sostantivo …). Il volume presenta pagine piuttosto ariose in cui i simboli tendono a occupare gli spazi bianchi delle figure così da non compromettere l’apprezzamento di queste ultime.  Ogni pagina offre un paio di frasi al massimo, distribuite in maniera tale da seguire l’andamento della frase (a capo dopo la punteggiatura, unità di senso mai divise tra due righe diverse…). I riquadri, come accade per tutti i volumi di Officina Babùk – non si limitano a delimitare i simboli ma assumono una vera e propria funzione comunicativa, cambiando forma in presenza dell’inizio e della fine di un discorso diretto (bordo a punta) e della fine di una qualunque frase (bordo stondato).

Il risultato finale è un volume in cui la presenza dei simboli non mina affatto la leggibilità e la piacevolezza della pagina e in cui un vero e proprio inno al gioco simbolico trova curiosamente espressione attraverso un codice fatto proprio di simboli.

Ultimo regalo

In questa storia ci sono una nipotina intraprendente, una prozia elegante, uno spasimante un po’ troppo invadente e tanti animali domestici, più o meno comuni. Come si legano tra loro questi ingredienti? È presto detto: la prozia elegante riceve quotidianamente dei regali dai suoi spasimanti, così tanti che non sa più dove metterli e periodicamente è costretta a fare un mercatino per disfarsene, cosa in cui la pronipote la affianca con piacere. Un giorno, però, l’omaggio che arriva dallo spasimante più attivo e donominato Ultimo regalo è davvero fuori dal comune: nelle dimensioni, nell’aspetto e nelle abitudini alimentari. Gestirlo non sarà semplice e ancor meno sarà recuperarlo in seguito a un’inaspettata fuga. Ignota fino alla fine è la sua natura e questo fa sì che il racconto assuma un allure intrigante e surreale con la quale si sposano alla perfezione le illustrazioni di Andrea Antinori.

Coloratissime e capaci di reinventare forme, dimensioni e inquadrature del reale, queste ultime catapultano il lettore in una dimensione fantastica irresistibile. Distribuite con frequenza tra le pagine di testo che compongono i brevi capitoli, le figure del giovane illustratore concorrono a rendere la lettura più dinamica, abbordabile e amichevole. A questo fino contribuiscono d’altro canto le acute scelte editoriali fatte da Camelozampa in un’ottica di alta leggibilità. Al font EasyReading, alla spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe, alla sbandieratura a destra e alla carta opaca si aggiunge anche una dimensione del carattere più ampia del consueto che sembra dire ai lettori che da poco o con fatica padroneggiano la lettura: “Scegli me!”.

Papà-isola

Émile Jadoul è tra gli artisti che più e meglio hanno raccontato il meraviglioso e delicato rapporto tra padri e figli attraverso il linguaggio dell’albo illustrato. Papà-isola è uno dei libri attraverso i quali l’autore francese ha dato voce a questo tema con la delicatezza del tratto che lo contraddistingue. È un albo tenero e vero, questo che vede protagonista l’orso Gigi che sta per avere un cucciolo. Un albo che non ha paura di dire le fragilità dei grandi e in cui i timori di chi sta per affrontare una grande avventura come la paternità si dissolvono di fronte all’idea che l’amore porta a galla il meglio di noi. E poco importa, allora, se Gigi non ama il calcio, non sa nuotare e non ha molta dimestichezza con gli attrezzi. A renderlo speciale per il suo piccolo sarà ciò che lo rende l’orso che è: l’essere protettivo come un papà-capanna, avventuroso come un papà-cavallo, curioso come un papà-aeroplano. O, per l’appunto, accogliente come un papà-isola.

In catalogo per Babalibri nella sua versione tradizionale, questo classico di Émile Jadoul diventa oggi più accessibile grazie alla versione in simboli pubblicata da Officina Babùk. Quest’ultima mantiene intatta tutta la poesia del racconto e la felicità delle illustrazioni ma rende più fruibile il testo grazie al supporto visivo dei simboli WLS (Widgit Literacy Symbols) e grazie a minime modifiche orientate alla linearità della sintassi e all’attribuzione esplicita dei discorsi diretti. Si tratta per l’appunto di modifiche minime perché l’originale di Jadoul presenta già, di per sé, caratteristiche di essenzialità, chiarezza e ricorsività testuale che risultano estremamente funzionali a una resa in simboli. La brevità e il numero ristretto delle frasi che compongono Papà-isola fanno sì, inoltre, che, anche accompagnato dai simboli, il testo non occupi troppo spazio e lasci ampio respiro alle poetiche illustrazioni che rendono il volume così riconoscibile.

I simboli, dal canto loro, sono impiegati in maniera puntuale (praticamente solo gli articoli e le preposizioni vengono uniti al sostantivo di riferimento) e si adattano felicemente alle invenzioni linguistiche proprio del volume. Così, per esempio, l’espressione papà-isola corrisponde a un unico riquadro che contiene il simbolo del papà e quello dell’isola. Vale la pena sottolineare, infine, l’uso caratteristico dei riquadri fatto dall’editore per evidenziare l’inizio e la fine dei discorsi diretti e degli altri tipi di frasi (oltre che, chiaramente, per racchiudere i simboli) e la scelta di sostituire il carattere minuscolo dell’originale con il maiuscolo. Il volume adattato assume così un aspetto più amichevole anche per quei bambini che – con o senza il supporto dei simboli – si cimentino con le prime letture autonome.

Non aver paura dei cimiteri

A.A.A., lettori impavidi cercasi! Servono nervi saldi, scarsa propensione a lasciarsi impressionare e una certa dose di coraggio per tuffarsi tra le pagine della nuova collana di Biancoenero edizioni, intitolata non a casa Fifa Blu. Immancabilmente contraddistinta delle caratteristiche di alta leggibilità che da sempre rendono prezioso il catalogo dell’editore romano in un’ottica inclusiva, questa nuova collana raccoglie storie ad alta tensione e dall’accento decisamente horror. Perfette per lettori coraggiosi della scuola secondaria di primo grado, queste risultano generalmente piuttosto brevi (un centinaio di pagine al massimo) e molto intense, assecondando così i gusti e le esigenze di chi ama i racconti da brivido ma fatica magari a confrontarsi con tomi troppo impegnativi. In questo senso, la presenza di illustrazioni in bianco e nero e dallo stile gotico di Julie Massy, concorre a sua volta a sostenere la lettura, rendendo le pagine più ricche e dinamiche, e a sottolineare il tono dei racconti, dando una forma visibile all’inquietudine.

Non aver paura dei cimiteri di François Gravel ne è un esempio eloquente. Qui si narra la storia di Clara, una ragazzina da poco trasferitasi in una nuova città, in una casa prospicente il cimitero. La sua famiglia ha da sempre manifestato un curioso interesse nei confronti di tombe e affini, insegnandole fin da piccola che non deve averne timore. Possibile, però, che le abbiano tenuto nascosto qualcosa? Clara inizia a sospettarlo quando dalla sua finestra vede delle luci tremolanti dentro il cimitero che nessuno pare notare e si sente come chiamata da forze misteriose. Ne avrà conferma poco tempo dopo, quando scoprirà un segreto insospettabile sulla sua natura e quando, cercando di saperne di più, andrà incontro a un destino tutt’altro che luminoso…

Braille

Michela Tonelli e Antonella Veracchi, le due anime di E.T. – Editoria tattile, ci hanno abituati a lavori di grandissima raffinatezza in cui l’esplorazione tattile non è mai solo un modo per conoscere e riconoscere le cose ma anche e soprattutto un valore aggiunto per trasformare la pagina in un’esperienza che tocchi corde profonde.

In Braille, le due autrici giocano sull’apparente neutralità del codice che dà il titolo al volume. Lo fanno immaginando a occhi chiusi cosa potrebbero evocare i punti in rilievo disposti in vario modo sulla pagina. Davvero non sono altro che una traccia aliena per qualcuno e un alfabeto per qualcun altro? A seguire i loro spunti si direbbe decisamente di no. Ecco, infatti, che a sfogliare ed esplorare le pagine di Braille, quei puntini così immobili e quasi impercettibili schiudono al lettore le porte di campi dorati e cieli burrascosi, alte montagne e sinfonie travolgenti.

Come di consueto, le pagine confezionate a mano dalle autrici sono ispirate a un principio di essenzialità. Ecco allora che oltre ai punti che ricordano la pioggia e i chicchi, le stelle, la neve e le note musicali, non troviamo che semplici tracce di contesto come nuvole di ovatta, vette di carta o papaveri di tessuto. Ogni quadro è inoltre offerto a chi legge in grande libertà. Le uniche parole che si trovano nel libro sono infatti poste in prima pagina, come una sorta di breve introduzione al lavoro che ne illustra il senso. L’effetto di un’esplorazione così proposta è suggestivo e straniante, senz’altro non immediato ma davvero capace di spalancare possibilità immaginative nuove e inattese.

Coco e Mosca

Edizioni Arka ha portato in Italia un delizioso progetto editoriale di origine francese. Mini bulles, qui diventato Le nuvolette, è una collana di libri fumetti senza parole per bambini. I volumi che la compongono si caratterizzano, cioè, per un tipo di racconto estremamente fruibile nella misura in cui l’accessibilità legata alla narrazione per immagini si somma a quella dettata dalla partitura regolare delle vignette.

La collana si rivolge idealmente a un pubblico di età prescolare come intuibile dai personaggi e dal tipo di vicende narrate, dalla predilezione per il codice iconico e dall’attenzione a rendere i passaggi da una vignetta all’altra particolarmente chiari ed evidenti. In questo senso, i diversi autori che hanno collaborato a questa collana hanno dato a vita a storie facili da seguire nel loro sviluppo grazie a sequenze che lasciano pochi vuoti narrativi e dunque accompagnano il lettore passo passo. L’idea che sta alla base della collana è, non a caso, che i volumi che la compongono possano prima di tutto essere letti in autonomia dai bambini, senza che debba necessariamente essere un adulto a guidarli (cosa che, in ogni caso, è sempre possibile e offre una diversa possibilità di lettura).

In Coco e mosca di Mathis, uno dei primi due titoli pubblicati all’interno de Le Nuvolette, il protagonista è un piccolo lupo fortemente motivato a usare tutti i pezzi della sua scatola di costruzioni per realizzare una torre altissima. Se i primi piani del progetto non gli creano particolari problemi, da un certo punto in poi il lupetto deve trovare degli stratagemmi per arrivare più in alto. Una scaletta? Non basta. L’aiuto dell’amica cicogna? Non pervenuto. L’uso di una pinza? Apprezzabile nella teoria, fallimentare nella pratica. La frustrazione di Coco cresce e come se non bastasse una mosca continua a tormentarlo, poggiandosi sulla costruzione e compromettendone il già precario equilibrio. Ne nasce un’accanita caccia all’insetto che non darà gli esiti sperati. Ma questo non è necessariamente un male…

Contraddistinto da una grafica pulita, da figure con contorni netti e tratti buffi, da situazioni divertenti e da espressioni estremamente eloquenti, Coco e la mosca propone un racconto per immagini molto lineare e agevole da interpretare. Laddove necessario, l’autore inserisce anche dei balloons il cui contenuto è però a sua volta iconico e privo di parole. Davvero una proposta interessante per prime letture autonome senza parole, accessibili ma non prive di una certa raffinatezza compositiva.

La voce delle cose

La voce delle cose è un libro particolare perché dedica alla disabilità una doppia attenzione. Firmato dall’autrice francese Cécile Bidault ed edito in Italia da Comicout, il volume racconta la storia di una bambina sorda e lo fa attraverso una sorta di fumetto silenzioso in cui le vignette si susseguono facendo uso di pochissime parole. Si tratta dunque di un libro (quasi) accessibile e che al contempo che fa della disabilità oggetto di narrazione.

Costruito in quattro tempi – le quattro stagioni che compongono un anno – il volume è ambientato in un tempo non troppo lontano ed eppure molto diverso da quello presente, soprattutto nel vissuto di chi, come la protagonista, sperimenta una difficoltà di tipo uditivo.  In Francia, dove il libro nasce, la LSF (Langue dei Signes Française) è stata vietata, infatti, fino alla metà degli anni ’70 e La voce delle cose racconta precisamente il disagio, le difficoltà e l’inutile frustrazione che tale scelta ha portato con sé.

La piccola protagonista del volume sperimenta sulla sua pelle non solo lo straniamento di vivere in un mondo indecrifrabile, ben rappresentato da balloons vuoti o contenenti segni incomprensibili, ma anche la mortificazione di sentirsi chiamata ad apprendere una lingua che sente non appartenerle. Per questo, quando si trasferisce con i genitori (udenti) in una nuova casa in campagna e trova un vecchio manuale di segni usati dai sub, il suo approccio alla vita cambia. Il mondo esplorato, sognato e visto assume, infatti, nuovi contorni nel momento in cui può essere detto in una maniera per lei significativa. Di fatto è come se per la prima volta quel mondo iniziasse davvero a esistere. Lo notiamo all’interno delle dinamiche familiari ma anche nei momenti di intima solitudine e nel gioco con il nuovo amico che accompagna la bambina in avventurose esplorazioni. Ma curiosamente il mondo subacqueo si intreccia a quello della bambina lungo tutto il racconto, quando i discorsi non uditi e dunque compresi assumono le sembianze di pesci sfuggenti e trasformano l’ambiente in una sorta di acquario. Così, quando sul finale delle forti piogge provocano un allagamento imprevisto, tutto sembra tenersi e tornare, in una sorta di cerchio metaforico di grande impatto.

Delicato nel fratto e fortissimo nei contenuti, La voce delle cose non fa sconti e non tema di rappresentare gli aspetti più scomodi della disabilità. Lo fa mescolando abilmente dimensione reale e dimensione onirica, quella che facilmente può farsi salvifica quando il quotidiano impone vincoli troppo stretti.

Zuppa di coccole

Zuppa di coccole è il primo libro cartonato in simboli edito da Homeless book. Ha pagine spesse, testi minimi e illustrazioni essenziali: tutte caratteristiche che lo rendono particolarmente adatto alla lettura condivisa con un pubblico di lettori piccoli e piccolissimi.

La formula che lo contraddistingue, già felicemente sperimentata dall’editore faentino, mescola un forte aggancio alla realtà a un leggero tocco narrativo, agevolando il coinvolgimento e la piena appropriazione anche da parte di quei bambini che faticano maggiormente ad allontanarsi dal piano pratico e a seguire trame più o meno complesse. Il libro invita infatti a scoprire cosa bolla nel pentolone, passa in rassegna una serie di appetitosi ingredienti, serve immaginariamente il risultato al lettore e gli suggerisce di concludere il pasto con una calda camomilla e le coccole di mamma. Ben ancorato alla dimensione di un fare concreto, quotidiano e familiare, il libro trasforma lo spunto pratico in un’occasione per rafforzare la relazione attraverso una lettura piacevole.

A questo scopo concorrono in particolare i testi di Daniela Casotti composti con una certa attenzione alla rima e alla musicalità e le suggestive illustrazioni di Piki realizzate in forma di timbro. Minimali – nei dettagli e nel cromatismo -, queste ultime si accompagnano a testi parimenti asciutti dando vita a una pagina pulita, piacevole e comunicativamente efficace. Dal canto loro, i testi (in font maiuscolo) si caratterizzano per strutture sintattiche lineari ed essenziali e vengono supportati visivamente da simboli WLS riquadrati, di dimensione adeguata, in numero ridotto (non più di cinque per pagina) e dotati di qualificatori di numero.

Ne risulta un libro agevole da seguire e dotato di una certa armonia compositiva che ne facilita senz’altro la condivisione anche con potenziali lettori che non necessitino di accorgimenti speciali.

I classici facili

Quella dei Classici facili, curata da Carlo Scataglini, è una delle collane editoriali che più considera l’accessibilità come una questione prioritaria. Lo fa mettendo in campo strumenti e accorgimenti diversi, che concernono il testo, le illustrazioni, il loro rapporto e le loro modalità di fruizione.

La peculiarità principale dei titoli che ne fanno parte consiste in una semplificazione sintattica e lessicale del testo. Ispirate ai principi della scrittura Easy-to-Read, le frasi risultano infatti brevi, dalla struttura preferibilmente lineare, e perlopiù composte da coordinate o al massimo da una subordinata. Le parole che le compongono sono selezionate in modo da essere facilmente comprensibili e, laddove risultino più ostiche o comunque meno comuni, vengono evidenziate e spiegate alla fine del capitolo. In questo modo l’autore aggira in maniera piuttosto efficace il pericolo di un appiattimento lessicale che limiterebbe fortemente il diritto all’arricchimento e alla complessità di cui anche i bambini con maggiori difficoltà sono detentori. In questa stessa direzione va inoltre la scelta, nel caso di classici dell’epica come per l’appunto l’Odissea, di selezionare alcuni versi particolarmente significativi e restituirli al lettore nella loro integrità, accompagnati da una puntuale perifrasi e spiegazione. In questo modo non solo si mantiene un legame diretto con il testo originale ma se ne incentiva la scoperta, supportandola solidamente con un preliminare approccio alle vicende in una forma più abbordabile.

A seconda delle reali possibilità del bambino, I classici facili possono così rappresentare un punto di arrivo ma anche un punto di partenza nella scoperta di grandi capolavori letterari. In entrambi i casi, a sostegno della lettura e del suo apprezzamento, vengono tre ulteriori elementi di spicco: in primo luogo la scelta di presentare capitoli brevi e puntualmente accompagnati dalle illustrazioni; in seconda battuta la presenza di un’anticipazione illustrata dei personaggi che il lettore incontrerà, posta in apertura di libro e di due righe di riassunto di ogni capitolo, poste all’inizio di quest’ultimo; e infine la disponibilità a rendere fruibile il testo anche tramite audiolibro. Ogni capitolo può essere infatti ascoltato in formato audio, grazie alla scansione del QRcode o all’inserimento di un codice fornito in apertura sul sito della casa editrice.

La collana include proposte di generi e con gradi di complessità diversi – da Peter pan a I promessi sposi, da Pinocchio a L’Iliade, da Il piccolo principe a Le avventure di Sherlock Holmes – offrendo così la possibilità di raggiungere lettori con competenze ed età diverse e di offrire risorse preziose per percorsi scolastici di ampio respiro. Può essere infine utile segnalare che buona parte dei volumi che compongono al collana fungono da base per la versione degli stessi classici in Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Si tratta in questo caso, dunque, di classici il cui testo viene semplificato e supportato visivamente dall’uso di simboli.

Gaspare e Amleto

Come cane e gatto – o per meglio dire, come rospo e riccio – Gaspare e Amleto non si possono proprio vedere. Fin dal loro primo incontro allo stagno si intuisce che, tra i due, la miccia del litigio può essere facilmente accesa. Un sasso gettato di sorpresa nelle acque placide scatena infatti una rapida zuffa. La prima di una serie, a dire la verità, perché da lì a poco inizia la scuola e, loro malgrado, Gaspare e Amleto si ritrovano nella stessa classe ogni pretesto diventa buono per litigare e scambiarsi oltraggi e dispetti. Fino a quando il rospo e il riccio non si scoprono complici perfetti di una marachella con la M maiuscola: il furto del tesoro che la maestra nasconde nel suo armadietto. Cioccolato, imprevisti e segreti condivisi si riveleranno allora più forti di diversità e superficiali antipatie…

La storia di Gaspare e Amleto è buffa e lineare, movimentata e capace di rispecchiare dinamiche infantili autentiche. A tutto questo, che già gioca la sua parte nel rendere il volume accattivante e abbordabile, si aggiungono le scelte adottate dalle autrici e dall’editore per fare di questo libro una prima lettura amichevole e accessibile, anche per coloro che faticano un po’ di più a confrontarsi con la parola scritta.

Oltre ad adottare il font maiuscolo leggimi (leggimiprima) e tutto il set di caratteristiche di alta leggibilità (spaziatura ampia, sbandieratura a destra, distribuzione del testo che segue la punteggiatura, carta color crema…), Gaspare e Amleto presenta un’architettura narrativa in cui testo e illustrazioni si alternano regolarmente e con equilibrio, rendendo ogni doppia pagina poco densa di parole e capace di stimolare parimenti lettura alfabetica e lettura visiva. Quest’ultima, peraltro, trova ampio spazio alla fine di ogni capitolo dove si trova sempre una doppia pagina conclusiva fatta solo di figure.  I capitoli, dal canto loro, sono brevi e offrono così traguardi di lettura raggiungibili e incoraggianti.

Settimana

Il delicato e riuscito equilibrio tra semplicità e complessità è forse la qualità più evidente del libro tattile Settimana, progettato e realizzato da Elodie Maïno per la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi. Il volume racconta, infatti, il sistema solare in maniera poetica, affidando l’immaginazione alle sollecitazioni offerte da ciascun pianeta, stella o satellite. Così, per esempio, il terreno irregolare della Luna la rende deliziosa come una galletta, mentre gli anelli di Saturno, che volteggiano come gonne, invitano chi legge al gran ballo del cielo.

Ogni doppia pagina è dedicata a un corpo celeste: a sinistra il testo in versi in nero e in Braille, a destra l’illustrazione tattile a collage materico, in parte posta sopra il cartoncino, in parte collocata al di sotto di essa ed esplorabile tramite un foro che ne delinea la sagoma. Quest’ultima cambia di poco di pianeta in pianeta: rappresentati come tondi, i pianeti cambiano piuttosto nella dimensione e nella texture. L’autrice sceglie quest’ultima con attenzione, privilegiando materiali che rispecchino a pieno le qualità evocate dal testo. Il lettore si trova perciò sotto le dita un Sole davvero caldo perché fatto di pelo, un mercurio irregolare che stuzzica la curiosità o un Giove morbido e rassicurante perché tutto di lui sembra esser già stato raccontato.

Nel compore i suoi versi e le sue tavole l’autrice si fa parimenti ispirare dal mito, dall’osservazione scientifica e dalla fantasia. Ne risulta un libro raffinatissimo, finalmente adatto a ragazzi un po’ più grandi del target cui si rivolgono abitualmente i libri tattili e che, ciononostante, possono trovare nella lettura visiva e tattile delle figure grandi sollecitazioni. Tutt’altro che semplice o scontato, Settimana si presta particolarmente bene a suggerire percorsi multidisciplinari in cui la dimensione della scoperta e della poesia non vengano relegate ai margini ma offrano anzi nuova linfa e nuove possibilità.

Mangerei volentieri un bambino

Il 2023 è un anno importante per i libri in simboli. È, infatti, l’anno in cui nasce Officina Babùk: una casa editrice nuova ma con una salda esperienza alle spalle, che unisce le forze e le competenze di due realtà editoriali dall’identità forte come Uovonero e Babalibri e che raccoglie il testimone di un progetto come I libri di Camilla il cui ruolo nella costruzione di una nuova idea di libro accessibile è stato fondamentale .

Dal 2016 al 2022, infatti, il progetto de I libri di Camilla a cura di Uovonero ha portato alla pubblicazione di una versione di simboli, in tutto e per tutto identica all’originale se non per minimi aggiustamenti testuali e per l’aggiunta dei simboli WLS, di nove albi illustrati di altrettante case editrici indipendenti: da Che rabbia! (Babalibri) a Lindo porcello (Bohem press), da Ninna nanna per una pecorella (Topipittori) a Il piccolo coniglio bianco (Kalandraka). Ma perché questo progetto è stato così importante? Perché ha segnato un punto di svolta, evidenziando la necessità di offrire anche ai bambini con disabilità non solo dei libri progettati ad hoc ma anche degli adattamenti di quei libri che dai compagni sono particolarmente letti e amati. Perché è proprio su questi ultimi che è possibile costruire degli immaginari condivisi, terreno fertilissimo per coltivare possibilità di incontro, dialogo, gioco, relazione.

Con la pubblicazione di Lei ci sarà sempre, il progetto de I libri di Camilla si è chiuso ma ha lasciato un’eredità importante. L’idea forte con cui era nato ha trovato, infatti, nuova linfa proprio in Officina Babùk: una casa editrice specializzata in libri in simboli che metterà a frutto l’esperienza di Uovonero in materia di lettura accessibile di qualità e che attingerà in primis al catalogo di albi illustrati di Babalibri. Albi curati, divertenti, amati e conosciuti, dunque. Albi che sono una garanzia per chi desidera proporre letture su misura per i bambini. La forza sta proprio in questo: nel fatto che le due case editrici che hanno dato vita al progetto condividono un’idea di diritto alla lettura come di diritto a un’esperienza piena, ricca, appagante e che ciascuna di esse ha messo a disposizione, a questo fine, la propria esperienza specifica. Perché, di fatto, è così che nascono i libri accessibili meglio riusciti: dalla compenetrazione di professionalità e competenze diverse, messe al servizio di una comune idea. L’avventura di Officina Babùk è iniziata nel mese di settembre con la pubblicazione dei primi due titoli: Mangerei volentieri un bambino e La sedia blu.

Mangerei volentieri un bambino è, per l’appunto, un titolo di grande successo firmato da Sylvaine Donnio e Dorothée de Monfreid e pubblicato nella sua versione standard da Babalibri. Qui si racconta del cocciuto coccodrillino Achille, determinato più che mai a mangiare un bambino. A nulla valgono i tentativi di mamma e papà coccodrillo, che provano a dissuaderlo dal progetto offrendogli ogni sorta di delizia: le banane di cui il piccolo è ghiotto, una salsiccia grande come un camion e persino la torta al cioccolato a cui non è proprio difficile resistire. Niente funziona. Fino a che Achille, una bambina, la incontra davvero e l’incontro non va esattamente come il cucciolo aveva previsto. Allora sì che le banane tornano utili, anche se non certo a raggiungere lo scopo di mamma e papà coccodrillo…

Divertentissimo, contraddistinto da una piacevole e funzionale struttura iterata e animato da illustrazioni buffe che fanno a meno di inutili fronzoli, Mangerei volentieri un bambino si presta a favorire momenti di lettura condivisa molto spassosi. Quelle stesse caratteristiche, d’altra parte, lo rendono anche particolarmente adatto a una resa in simboli perché la ripetizione, sia narrativa sia testuale, favorisce l’attenzione e la comprensione e perché l’ampio spazio bianco lasciato dalle figure lascia ampio margine di manovra per l’inserimento dei pittogrammi. Le doppie pagine adattate risultano così molto ariose, piacevoli alla vista e rispettose dell’originale, nonostante la consistenza presenza di simboli.

Il testo, dal canto suo, appare molto simile alla versione solo alfabetica, fatto salvo per  minimi aggiustamenti legati per esempio all’inversione delle componenti testuali (soggetto e verbo, sostantivo e aggettivo…) e all’esplicitazione o all’anticipazione del soggetto parlante, laddove non presente o laddove collocato alla fine del discorso diretto. Si tratta, cioè, di accomodamenti che vanno a incidere in maniera irrisoria sulla musicalità e sulla resa testuale ma che possono fare la differenza nella comprensione del racconto da parte di chi necessiti di una narrazione più lineare. Per le stesse ragioni, la distribuzione del testo sulla pagina segue maggiormente la punteggiatura e l’andamento della frase. Così, per esempio, dopo ogni punto il testo va a capo e fa lo stesso rispettando il più possibile le unità di senso: aspetto questo, estremamente prezioso, per qualunque lettore alle prime armi.

Mangerei volentieri un bambino, così come gli altri titoli di Officina Babùk, si caratterizza infine per un uso particolare e per certi versi sperimentale dei simboli. Oltre alla scelta di optare per un carattere maiuscolo, più adatto a chi si cimenti con le prime letture autonome, il libro fa un uso flessibile dei riquadri, la cui forma diventa leggermente a punta, rispettivamente a sinistra e a destra, quando inizia o finisce un dialogo, così come diventa leggermente stondata a destra quando finisce una frase. Il riquadro non si limita, dunque, a contenere il pittogramma ma assume anche una funzione squisitamente comunicativa. La simbolizzazione predilige poi, in generale, un certo equilibrio tra completezza ed economia. Così per esempio, gli articoli non sono mai simbolizzati ma vengono uniti al sostantivo di riferimento ed elementi che compongono unità di senso (torta al cioccolato, il nostro caro Achille…) vengono spesso uniti in un unico simbolo.

Il risultato è un libro davvero ben progettato, in cui l’accessibilità non diventa fardello per la godibilità estetica e in cui, anzi, gli accorgimenti adottati in funzione di una più agevole fruizione da parte di chi sperimenti una difficoltà di lettura risultano in definitiva apprezzabili da qualunque lettore vi si approcci.

Lumaca, dove sei?

Inaugurata nel 2023 con il racconto illustrato Il cappello, la curatissima collana Doppio Passo di Biancoenero cresce ora con altri due titoli firmati dallo stesso Tomi Ungerer: Scarpa, dove sei? (prima pubblicato da Salani) e Lumaca, dove sei?.

Si tratta di due libri (quasi) senza parole che presentano un impianto analogo: una successione di immagini in cui compare un elemento grafico ricorrente, declinato di volta in volta in maniera diversa. Il titolo è di fatto un invito a trovarlo, una sorta di istruzione minima rispetto all’interpretazione del volume. Così, per esempio, in Lumaca, dove sei? Il lettore è portato a ricercare la caratteristica forma a chiocciola nei contesti più disparati – in montagna, in mezzo alle onde, nel mezzo del salotto e vi dicendo – dove questa si fa trombone o trombetta, proboscide, filo di fumo o cappello da giullare. Si crea così una sorta di fil rouge sottile e impalpabile che lega le figure attraverso la dinamica del gioco e della sorpresa. L’autore è, infatti, maestro nel dare forma a situazioni impreviste e imprevedibili che regalano guizzi immaginativi e spunti narrativi stimolanti per chi legge. Basti pensare al maiale munito di cappellino da festa che tiene ombrello e tromba in equilibrio su una palla o alla facoltosa signora che piroetta sul ghiaccio a bordo di una slitta.

Il risultato è un libro di immagini che stimola la lettura visiva e che genera diletto, soprattutto se condiviso. La riconoscibilità della forma ricorrente, la pulizia grafica delle pagine, l’assenza di dettagli o sfondi superflui e l’autonomia di ciascuna doppia pagina lo rendono inoltre estremamente accessibile anche per chi fatichi a orientarsi all’interno di figure o narrazioni troppo ricche.

Che mistero anche se…

Storybox è piccolo editore indipendente che ha scelto di adottare caratteristiche di alta leggibilità per i suoi volumi. Questi ultimi fanno uso, in particolare, del font EasyReading e privilegiano un’impaginazione ariosa con margini non risicati, sbandieratura a destra e spaziatura ampia tra lettere, parole e righe.

Tra le pubblicazioni di Storybox, avviate nel 2021, spiccano in particolare alcune raccolte di racconti, contraddistinte da una formula ricorrente e azzeccata così sintetizzabile: storie brevi, penne diverse e, appunto, grafica amichevole. Alle prime due – È Natale anche se… e Che paura anche se…, si è da poco aggiunta la terza, intitolata Che mistero anche se…

Il volume raccoglie in particolare 31 racconti scritti da altrettanti autori, tutti soci di ICWA (Associazione Italiana degli Scrittori per Ragazzi). Si tratta di storie brevi e brevissime che in una manciata di pagine offrono al lettore piccole vicende enigmatiche il cui tono è sempre piuttosto leggero e ironico, più orientato quindi a far divertire il lettore che a fargli fare ardite congetture e ipotesi. In questo senso, anche il tratto leggero amichevole dell’illustratrice Silvia Baroncelli asseconda bene le atmosfere delineate dagli autori.  Dalle loro penne escono, per esempio, note scomparse e vicini di casa sospetti, marchingegni antichi ed eredità da decifrare, crocchette magiche e gatti ipnotizzatori. A volte la spiegazione sta tutta in un equivoco, altre viene a galla mettendo insieme tracce e indizi, altre ancora è la magia a metterci lo zampino.

Da un punto di vista dell’accessibilità, Che mi stero anche se… è una proposta molto valida. Nel sostenere la lettura anche da parte di lettori meno forti o con dislessia, le caratteristiche di alta leggibilità sopra citate vengono infatti coadiuvate dalla brevità dei racconti, dalla varietà di stili e soggetti e dal tono brioso che si riflette anche nella grafica.

Diario di un ragazzo invisibile

A chi non è capitato – a scuola, in famiglia o in qualunque altro contesto sociale – di sentirsi invisibile? Vivien conosce questa sensazione meglio di chiunque altro. Lui, infatti, invisibile lo è letteralmente. Non sempre, non dappertutto. Ma spesso e in situazioni diverse. La faccenda è strana forte, Vivien se ne rende conto. E così inizia ad annotare sul suo diario tutto ciò che nota in relazione alle sue scomparse e a cercare di entrare in contatto con i pochi studiosi che hanno approfondito il fenomeno. La strategia non sembra portare nuovi frutti. Al contrario, l’incontro inatteso con una coetanea a sua volta convinta di avere uno strano potere, lo fa sentire improvvisamente visto…

È un tema vivo, questo del sentirsi visti, un tema in cui facilmente un lettore alle prese con l’adolescenza può riconoscersi. L’autrice lo affronta con un taglio particolare, non privo di guizzi ironici. Il suo Diario di un ragazzo invisibile si presenta al lettore come un libro compatto, dal formato tascabile e dall’aspetto grafico amichevole. Le pagine si caratterizzano, infatti, per l’impiego del font EasyReading (in dimensione però abbastanza ridotta), per una spaziatura abbastanza ampia tra lettere, righe e anche paragrafi e per la sbandieratura a destra che ne agevolano la lettura anche in caso di dislessia.

Il valzer delle foglie

Chi l’ha detto che l’autunno debba essere per forza la stagione della malinconia e dell’attesa di un tempo in cui la natura si ferma e si congela? Il vento e la caduta delle foglie che caratterizzano questi mesi possono accendere infatti la più vorticosa delle danze, creando sagome, figure, percorsi e giravolte in cui tuffarsi senza ritegno alcuno. Sulla scia delle foglie che si staccano dai rami, si balla, si esplora, si vortica, si naviga… parola dei sei scoiattoli che fanno capolino dalla loro tana in un tronco e si lasciano trasportare dall’irresistibile ritmo autunnale. Tra una capriola e una piroetta, uno di loro si accorge però che una foglia non è caduta. Ecco allora che in quattro e quattr’otto una squadra di soccorso si mette all’opera per far scendere in totale sicurezza quella che diventerà il simbolo di una stagione da conservare, letteralmente e metaforicamente. Sarà più dolce, allora, svegliarsi dal torpore invernale e scoprire che la ciclicità della natura può essere qualcosa di straordinariamente emozionante…

Contraddistinto da un tratto delicato e dinamico, Il valzer delle foglie riesce a dare voce, con pochi tratti schizzati, a una grande espressività che non solo concorre a coinvolgere sensibilmente il lettore ma lo aiuta a procedere con maggiore agio nel lavoro di lettura visiva. Qui l’attenzione ai dettagli si fa determinante: dalla posizione di una zampa, dalla forma degli occhi  o dalla linea della bocca è possibile comprendere cosa pensano e cosa stanno facendo i protagonisti, seguendo un racconto che appare dal canto suo molto lineare e privo di critici salti narrativi. Il valzer delle foglie porta la firma di Oleksandr Shatokhin, artista ucraino che nel 2022 ha partecipato al Silent Book Contest promosso da Carthusia ed è risultato finalista. Il suo libro senza parole mescola con apprezzabile equilibrio grazia e brio, invitando il lettore a guardare alla natura, anche nei suoi momenti apparentemente meno vitali, con occhi nuovi.

Ti aspetto a San Qualcosa

Beniamino Sidoti maneggia le parole come fossero plastilina: ci gioca, le trasforma, ne trae con destrezza inattesi spunti narrativi. Questa sua consuetudine con la lingua, con il gioco e con le storie, ha un ruolo importante anche nel suo Ti aspetto a San Qualcosa, romanzo breve recentemente pubblicato da Camelozampa.

Qui il protagonista Simone, appena trasferitosi in un paesino sperduto con il papà, decide di esplorare in maniera originale la nuova realtà in cui senza diritto di lamentela è stato catapultato. Il gioco che fa consiste nel decidere ogni giorno un libro (ma anche una canzone, un film o un gioco) diverso e di osservare e interpretare ciò che lo circonda come se fosse dentro la storia che qui si racconta. Così, per esempio, il primo giorno si muove per le viuzze del paese come fosse in un bosco dove cercare briciole di pane, orientarsi con le stelle, trovare la strada tra gli alberi. E magari farsi accompagnare da qualcuno, dal momento che la storia scelta è quella di Hansel e Gretel e che Hansel senza Gretel non ha granché senso. E in effetti sul suo cammino Simone incontra Sara, che come lui non si affanna a omologarsi e che accetta di buon grado di calarsi nel gioco. La loro è senza dubbio un’affinità elettiva che si nutre, giorno dopo giorno, di esplorazioni e di scoperte, di domande e di silenzi, di pensieri e di vicinanza fisica. Come una sorta di elemento terzo che aiuta a creare un distacco e a mettere a fuoco le cose, le storie che Simone usa come lenti tracciano sentieri e creano confidenza, aiutando a dirsi e a dire agli altri anche le cose più intime, dolorose o difficili da guardare e nominare.

Tra le pagine di Ti aspetto a San Qualcosa, pubblicate da Camelozampa con caratteristiche di alta leggibilità (compresa la spaziatura tra i paragrafi che dà respiro anche a chi fa più fatica), il lettore, idealmente di scuola media, può trovare spunti di letture ghiotte e stimoli a guardare la realtà più ordinaria con occhi differenti. Può trovare personaggi fuori dagli schemi ma profondamente credibili. E può trovare legami, emozioni e preoccupazioni che gli suonano familiari. Perché ogni buona storia – che parli di un gigante gentile, di un lupo nella foresta, di autobus a forma di gatto o di giustizieri mascherati – è una storia che parla di noi.

L’ultima isola

I silent book di Ji Hyeon Lee portati in Italia da Orecchio acerbo ci hanno abituati a racconti in cui reale e surreale convivono con grande naturalezza, in cui l’assenza di parole moltiplica le suggestioni che si levano dalle pagine e in cui alcuni nodi problematici della contemporaneità trovano spazio in una critica pacata ma incisiva. Così accade, per esempio, che la frenesia caciarona che anima la folla ne La piscina o l’avanzare corrucciato e miope degli adulti ne La porta vengano a galla in tutta la loro stonatura e in netto contrasto con mondi ben più abitabili in cui si muovono solitamente dei protagonisti bambini.

Ne L’ultima isola i bambini non ci sono e la critica si fa più marcata, ma il tratto gentile a matita, l’uso significativo e miratissimo del colore e le incursioni del fantastico rendono evidente la firma dell’autrice coreana. In questo suo terzo albo di sole figure, il lettore entra pian piano in confidenza con l’abitante di un’isola presumibilmente deserta, un uomo mansueto che vive in grande sintonia con l’ambiente naturale che lo circonda. Lo vediamo pescare con la sua piccola rete, raccogliere frutti, condividere pasti e momenti di festa con le altre creature – animali dalle forme bislacche – che popolano l’isola.

Man mano che si avanza nella lettura, però, la vita sul posto si fa meno idilliaca: il livello dell’acqua inizia a salire, con conseguenze nefaste su cose, animali e persone, all’orizzonte si staglia sempre più minaccioso un denso fumo nero e la furia del mare si fa incontenibile. A nulla valgono i tentativi si tamponare la situazione, trasformando per esempio la capanna in una palafitta. La natura sfidata e spremuta in alcune parti del mondo presenta indifferentemente il suo conto a tutti i suoi abitanti. E così, anche il protagonista della storia è costretto a fuggire a bordo della sua fragile barchetta. Il suo approdo reca con sé un piccolo colpo di scena che, come una secchiata d’acqua in viso, risveglia improvvisamente il lettore dal ruolo di spettatore per catapultarlo in un presente da cui nessuno può tirarsi fuori e far finta di non essere coinvolto.

Senza rinunciare al suo tocco magico, Ji Hyeon Lee ci mette di fronte a una realtà drammaticamente vera, una realtà in cui i cambiamenti climatici si fanno sempre più evidenti e pressanti nella loro urgenza e con tutte le conseguenze, non ultima la necessità di migrare di migliaia di persone. Quella realtà che da tempo ormai bussa ostinatamente alle nostre porte ma da cui incoscientemente tendiamo a sottrarci, come se di fatto non ci riguardasse in via diretta, trova nella capacità immaginativa dell’autrice una via potente per arrivare a un pubblico trasversale, toccandolo sul vivo e nel profondo. In questo senso l’assenza di parole risulta particolarmente efficace nella misura in cui veicola contenuti stratificati e complessi che lettori diversi possono modellare sul proprio grado di conoscenza e interpretazione del reale. L’ultima isola si presenta così, non solo come un racconto godibilissimo e toccante ma anche uno strumento estremamente accessibile a partire dal quale muoversi nel presente.

Il grande volo

Quello della violenza assistita e subita in ambito domestico è un tema spinoso e complesso. Un tema che, tuttavia, riflette una realtà esistenze e vissuta sulla propria pelle da un numero non trascurabile di bambini e bambine e che come tale necessita di parole e figure in cui questi possano riconoscersi. Questa possibilità è offerta, per esempio, da un libro come Il grande volo scritto da Fulvia degl’Innocenti e illustrato da Silvia Colombo. Qui si racconta di Nina, nella cui casa le cose volano. Vola di tutto: piatti, libri, cuscini. E soprattutto mani, che lasciano segni rossi sulla pelle e parole, che possono essere taglienti come lame. Nina assiste a tutto questo, con paura e con dolore. Nina vede, terme, agisce e subisce. E così anche Nina vola. Vola perché spinta e vola per salvarsi. Sopra tutto e sopra tutti. Fino a quando le parole rassicuranti e decise della mamma non annunciano un cambiamento salvifico. Ad accompagnare il racconto tutto incentrato sulla metafora del volo, entrano in gioco illustrazioni dai colori accesi in cui figure reali e riconoscibili si mescolano ad elementi di contorno più insaturi ed espressivi che valorizzano la dimensione simbolica della narrazione.

Il grande volo è un libro due volte coraggioso. Per il tema che tratta, poco o per nulla presente nei volumi destinati ai più piccoli. E per la scelta di ampliare il più possibile la fruibilità di una narrazione così delicata. Il libro scritto da Fulvia degl’Innocenti e illustrato da Silvia Colombo viene infatti proposto dall’editore Astragalo in una doppia versione: albo illustrato tradizionale e inbook. Quest’ultima presenta il testo in simboli WLS che ne agevolano la comprensione anche da parte di giovani lettori con difficoltà comunicative.

Data la lunghezza del testo di partenza e la scelta (propria del modello inbook seguito dal libro) di non modificarlo, i riquadri che contengono i simboli risultano giocoforza di dimensioni ridotte, richiedendo una certa dimestichezza con questo tipo di lettura. D’altro canto, la struttura sintattica raffinata e il racconto a forte carica metaforica presuppongono a loro volta un lettore modello non alle prime armi e capaci di muoversi con agio anche tra le sfumature e le capriole del testo. La grafica, infine, tende a ricalcare quella originale dando vita ad alcune pagine più pulite, lineari e leggibili ed altre un poco più ostiche per via del minore contrasto tra sfondo e testo o della sistemazione arcuata della sequenza di simboli. Come da modello inbook, questi ultimi traducono individualmente ogni elemento lessicale e prevedono qualificatori di numero e genere. Inoltre – peculiarità di questo volume – mentre la maggior parte dei simboli presenta la parte lessicale in minuscolo, come normalmente accade, alcune parole chiave sono proposte in maiuscolo. Sono al massimo tre-quattro per pagina e si tratta delle parole più significative di ogni pezzo di racconto. Un espediente che mira a ricalcare con fedeltà l’originale, focalizzando l’attenzione sugli elementi più pregnanti e guidando così l’attenzione del lettore.

Rachele, artista contorsionista

Di fronte a un libro tattile come Rachele, artista contorsionista si può rimanere un po’ spiazzati. Si percepisce, infatti, un certo contrasto, tra la veste curatissima e raffinata del volume e l’aspetto molto più ordinario del suo contenuto.

Proviamo a spiegare meglio: il libro si presenta con un ricercato formato quadrato e un’elegante copertina rigida ricoperta di stoffa nera su cui, in bianco, spiccano titolo e autore (sul fronte) e una breve descrizione (sul retro). Da entrambi i lati, le parole appaiono incise nel tessuto, risultando così suggestive anche al tatto. Sempre in bianco, compare sulla copertina la protagonista del libro – il serpente Rachele – il cui corpo delinea uno zigzag sul fronte e prosegue più sinuoso sul retro. Realizzata in cartoncino, risulta perfettamente percepibile e riconoscibile non solo con gli occhi ma anche con i polpastrelli.

La medesima pulizia grafica e attenzione ai contrasti così come alla leggibilità delle figure la ritroviamo nelle pagine interne. Quella di sinistra contiene sempre il testo in nero e in braille – mentre quella di destra propone sempre uno sfondo colorato e un’illustrazione in cartoncino bianco. Quest’ultima rappresenta sempre Rachele che di volta in volta, grazie al suo carattere flessuoso, assume una forma diversa. Il volume nasce, infatti, con l’intento di far scoprire e familiarizzare i bambini, soprattutto ma non solo non vedenti, con le forme geometriche. A tale scopo, le figure tattili appaiono essenziali e mirate e vengono accompagnate da semplici e brevissimi testi (due-tre righe al massimo) in rima. E proprio questi – tutto sommato un po’ piatti e scontati – creno uno scarto rispetto alla cornice ben più sofisticata in cui sono inseriti. Si pensi, per esempio, al connubio stelle-belle che chiude il volume. Da un libro così fine e così curato nella forma, frutto evidentemente di un grande investimento di tempo, pensiero ed energia, ci si aspetterebbe forse una limatura maggiore, una ricerca più sensibile, una scelta meno prevedibile.

Nonostante questo, il libro risulta apprezzabile, spendibile (anche all’interno di percorsi scolastici inclusivi), attraente e soprattutto efficace nel suo intento primario. Solo, qualche capriola in più, sulla scia della sua protagonista, lo avrebbe reso una piccola gemma.