La bambina, il cuore e la casa
Recensione pubblicata il: 10/02/2014
Sullo sfondo di un’Argentina sonnacchiosa e malinconica si distende indolente la vita di Tina e della sua famiglia. Ogni domenica la protagonista de La bambina, il cuore e la casa parte con il papà dalla dimora in cui i due vivono per raggiungere la mamma e il fratellino Pedro, che abitano invece fuori città. La domenica è quindi per lei il giorno degli affetti, del gioco, dei piccoli piaceri condivisi e della completezza familiare. Quando cala la sera, però, seguendo un tragitto contrario, Tina e il papà riprendono la via di casa in attesa che i sette giorni successivi passino più in fretta possibile. La distanza e gli arrivederci infliggono ogni volta piccole ferite che ognuno rielabora alla sua maniera: con profonda e fiacca tristezza, per esempio, la mamma, e con cocciuta e ostinata ribellione, Tina. Sarà proprio quest’ultima, con l’entusiasmo curioso e coraggioso dei suoi cinque anni, a interrogarsi per prima sulla reale necessità della famiglia di vivere separata e a insistere per sperimentare un’alternativa là dove l’arrendevolezza degli adulti rendeva impossibile persino vederla.
In questo racconto di quotidianità rinnovate, trova uno spazio insolito la figura di Pedro. Intorno alla sua malattia che malattia poi non è – la sindrome di Down – ruotano molte delle decisioni spesso incomprensibili della famiglia di Tina. Ma lo fanno con quella vaghezza diffusa che impedisce alla protagonista così come al lettore di comprendere esattamente quale sia il problema. Per questo, nel fluire coinvolgente della narrazione, rimane della disabilità un piccolo e autentico ritratto: il ritratto di qualcosa che difficilmente trova una definizione emotivamente accettabile, che genera distacchi e avvicinamenti più o meno consapevoli e che non cessa di generare domande, talvolta insolute.
Maria Teresa Andruetto racconta tutto questo con uno stile inconfondibile, profondamente sudamericano e capace di rendere la narrazione melodiosa come una nenia. In quello stile confluiscono tutti i racconti della sua infanzia e tutto il sapore di una storia familiare tormentata e insieme permeata di affetti. La sua cifra – proprio quella che forse le è valsa il prestigiosissimo Hans Christian Andersen Award 2012 – sta proprio nella capacità di dare un ampio respiro alla sua scrittura intercettando tuttavia il succo emotivo più caro all’infanzia.
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