Il mio amico Tartattà
Recensione pubblicata il: 4/12/2012
Quarantatre pagine che sembrano trascritte con fedeltà dalla testa di un bambino: il ritmo è incalzante, la digressione è dietro l’angolo e qualche parola viene rielaborata in maniera del tutto personale. Così, tra le lezioni di “logovattelapesca, con una specie di maestra che ti insegna a parlare bene”, i cavoletti di Bruxelles furbescamente schiacciati e spalmati nel piatto, e piccole quotidianità scolastiche disastrose, veniamo a conoscere Basilio Tamburo, il protagonista del bel libro scritto da Béatrice Fontanel e illustrato da Marc Boutavant.
A presentarcelo è il suo compagno di banco Ferdinando Ponpon che, con un cognome così, conosce bene le prese in giro ma ha imparato ad arginarle con la minaccia di un cazzotto alla ricreazione. Sarà per questa sua esperienza o per il piglio sveglio che lo contraddistingue, ma è proprio Ferdinando a cogliere dei sentimenti dietro le azioni di Basilio e a mettere il lettore nella condizione di condividerli. Raccontando di come il compagno sia arrivato il primo giorno di scuola con i capelli selvaggi, abbia mentito sul suo vero nome, si sia chiuso in bagno per non partecipare alla recita scolastica o sia salito sul tetto per starsene un po’ da solo, il giovane narratore trova il modo più schietto di svelare le difficoltà dovuta alla balbuzie e il dolore dovuto a un lutto in famiglia.
La sua forza è lo stile a tratti ingenuo e a tratti cinico, che non dribbla la crudeltà ma nemmeno l’inimitabile empatia tipica soltanto dell’infanzia.
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