Gita sulla Luna
Recensione pubblicata il: 17/12/2020
Quando c’è di mezzo una gita scolastica non c’è tempo da perdere: ecco allora che John Hare non spreca neanche un minuto (e una pagina!) e inizia il suo racconto per immagini fin dalla copertina di Gita sulla Luna. È qui, infatti, che incontriamo la classe che si prepara all’escursione, che ci immergiamo senza preavviso in un’insolita ambientazione spaziale e che intercettiamo il protagonista della storia che balza all’occhio per il passo lento e lo sguardo poco entusiasta che lo distingue dai compagni. Perché se le gite sono perlopiù ragione di euforia, non tutti i bambini reagiscono allo stesso modo. E in effetti, ad addentrarsi nella lettura, si scopre un giovane astronauta un po’ timoroso – forse per nostalgia di casa, forse per timidezza, forse per lontananza di interessi, chissà – che segue la classe da distante e si tiene sempre un po’ in disparte, fino ad isolarsi del tutto per ritrarre al meglio coi suoi pastelli colorati quel pianeta verde e azzurro che tanto risalta rispetto ai crateri e ai rilievi grigi della luna. Purtroppo però, nessuno si accorge della sua assenza e così il bambino viene scordato sulla luna quando l’astronave-pullmino riparte alla volta della stazione spaziale. A nulla valgono i suoi tentativi di farsi notare dal mezzo ormai in moto e così si ritrova a cercare consolazione nel disegno, tracciando sul suo taccuino uno sgargiante arcobaleno con due nuvole al fondo (un’immagine che riletta alla luce dei tanti teli apparsi sui balconi in questo nefasto 2020 assume un significato di speranza e buon auspicio ancora più forte). Ma evidentemente il giovane protagonista non è l’unico a subire il fascino dei colori: cinque bizzarre creature lunari, di sfumatura grigiastra e forma aliena, si avvicinano infatti, prima guardinghi e poi strabiliati, trasformando l’attesa del salvataggio in una spassosa sessione di disegno.
Curato e sfizioso, Gita sulla Luna, con cui John Hare ha esordito nel mondo della letteratura illustrata per l’infanzia, è un libro che fa dell’assenza di parole non solo una preziosa possibilità di accesso alla storia anche per quei giovani lettori che faticano di fronte al testo alfabetico, ma anche una forma narrativa in cui lo sguardo viene continuamente sollecitato a scovare particolari significativi, valorizzando quella capacità di lettura visiva troppo spesso snobbata anche in ambito scolastico. Proprio perché non ci sono le parole occorre qui fare caso a ciò che comunicano i dettagli – la direzione delle orme sulla superficie lunare o l’espressività dei gesti e delle distanze tenute dai personaggi, per esempio – perché attraverso di essi si dipana il filo del racconto.
L’autore è davvero molto bravo in questo, così come nell’attribuire fascino e senso all’uso del colore. Il giallo del pullmino-astronave, il verde e il blu della Terra distante o le tinte accese dei pastelli che spiccano sul nero dello spazio e sul grigio della luna calamitano l’occhio del lettore (con buona pace di chi aborre i libri per bambini con pagine scure), rendendo vivide le scene presentate e aiutando a focalizzare l’attenzione sui particolari che denotano l’avanzamento della storia. Il lettore si trova così a muoversi senza gravità tra tavole che calano a puntino in una cornice e in un’atmosfera distantissime in cui tutto sembra rovesciato – i bambini sono astronauti, la terra è un corpo celeste lontano, gli alieni hanno paura degli umani – ma in cui l’infanzia, nei suoi movimenti e nei suoi sentimenti più propri, appare ciononostante del tutto riconoscibile. Perché le emozioni, forse, sono davvero qualcosa di universale.
A un anno di distanza dalla pubblicazione di Gita sulla Luna, Babalibri porta in Italia anche il secondo libro senza parole realizzato da John Hare e intitolato Gita sotto l’oceano.
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