Filastroccario
Recensione pubblicata il: 29/03/2017
Tre raccolte di filastrocche, una per ogni trimestre dell’anno, o per contare diversamente 365 filastrocche divise in tre volumi. Comunque la si voglia mettere, il lavoro realizzato da Pippo Scudero e pubblicato dalla casa editrice catanese Splēn sotto il titolo di Filastroccario è davvero consistente e instancabile. Due sono i protagonisti dei versi: i mestieri e i nomi. A ogni giorno dell’anno l’autore fa infatti corrispondere un personaggio inventato con un nome e un lavoro precisi, spesso legati tra loro da sottili giochi di parole. Così il lettore si trova faccia a faccia con il clown Felice, l’agente matrimoniale Valentino o l’onorevole Onorato, dei quali decanta meriti, abitudini o avventure.
Con esiti più o meno originali e con sviluppi più o meno accattivanti (alcune raccontano infatti delle mini-storie mentre altre descrivono soltanto la professione), le filastrocche composte da Pippo Scudero attingono spesso a un mondo perduto – quello di ricamatrici e arrotini – narrato con parole talvolta desuete ma che lo rispecchiano a dovere. A fare un po’ le spese di questo contesto d’altri tempi sono soprattutto le protagoniste femminili che appaiono in minoranza rispetto ai colleghi uomini e sovente associate a ruoli un po’ polverosi, come la ricamatrice o la suora. Non mancano tuttavia anche associazioni che superano una certa stereotipia di genere come quella che riguarda la costruttrice Alessandra o la fattorina Genoveffa. Come si potrà desumere da questi pochi esempi, anche i nomi scelti dall’autore rimandano a un passato poco prossimo ma, soprattutto quando strani e arzigogolati come Eriberto o Cirillo, hanno il merito di suscitare il sorriso divertito dei lettori.
Semplici e perlopiù naif, le rime dell’autore catanese costituiscono senz’altro un invito a inventarne di nuove ispirate a nomi e lavori non battuti. Portatrici talvolta di una memoria rodariana (come sottolinea Fochesato nell’introduzione al volume), queste ne celebrano lo spirito soprattutto quando danno vita a piccole narrazioni, a giochi di parole e a chiusure originali. Esemplare, in questo senso, il componimento dedicato a Ermete il pescatore tutto giocato sul detto “chi dorme non piglia pesci” e sulla doppia valenza della parola rete (da pesca e da materasso). La linearità delle rime, la prevalenza di frasi brevi e coordinate, e la compattezza dei componimenti stimolano e facilitano l’approccio anche in caso di difficoltà, situazione nei confronti della quale risulta apprezzabilissimo l’impiego di un font e di caratteristiche tipografiche ad alta leggibilità.
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