Che fretta c’è
Recensione pubblicata il: 7/03/2013
Prendersi il tempo di riscoprire le cose piacevoli della vita quotidiana – fare merenda, giocare, guardare un film, amare, concedersi un bagno – senza dimenticare di sorridere, però. Questo ricordano le lumachine nate dalla penna scherzosa e inconfondibile di Agostino Traini: creature minuscole che escono direttamente dalla fantasia dell’autore, divertente e divertito, e che un’analoga porta dischiudono nel lettore. Quest’ultimo, incuriosito dalle protagoniste di Che fretta c’è, si ritrova così in un mondo ricco di dettagli umani ma lumachescamente trasformato, in cui la lentezza diventa la chiave della comprensione e del diletto.
Ciò che compare a ogni pagina voltata è il racconto di un’azione, frammentato in nove piccole scene dalle insolite inquadrature – dettagli, scorci e primi piani soprattutto – seguiti da un’ultima scena a tutta pagina, dallo sguardo più ampio e risolutivo. La tacita sfida è a raccogliere e assemblare gli indizi disseminati in ogni frammento per coglierne il senso globale: una sfida tutt’altro che scontata poiché nessuna parola viene in aiuto del lettore-investigatore. Che fretta c’è è infatti un delizioso libro senza parole che rende l’esperienza della lettura personalizzata e accessibile anche a chi ha difficoltà con l’espressione scritta.
E proprio in questo sta il bello, forse. Perché ognuno può seguire i suoi sentire fantastici, ricostruire la storia che più gli piace, raccontare un evento molto semplice da punti di vista differenti o semplicemente con parole nuove ogni volta, come in un libro-game insolito e rudimentale in cui si legge, si scorre, si fa attenzione a non perdere i dettagli, si scoprono finezze, si risolvono misteri e poi, soprattutto, si torna indietro e si ricomincia con nuova consapevolezza e rinnovata curiosità. Con tutta calma, però. D’altronde, che fretta c’è?
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