La musica di Ettore

Mica facile fare musica con quattro zampone da elefante: parola di Ettore! Trombe, fisarmoniche, arpe e xilofoni mal si accordano, infatti, con le movenze maldestre tipiche di un pachiderma e così, malgrado il suo amore spassionato per le melodie, l’elefantino Ettore si trova costretto ad assistere ai concerti della giungla invece che prendervi attivamente parte. Sarà una giornata iniziata col piede sbagliato a tirar fuori un suo inaspettato talento, che con lo strumento giusto diventa musica per le orecchie di tutti!

Semplice nella trama così come nel messaggio, La musica di Ettore è un albo scritto e illustrato dall’autrice polacca Monika Filipina. Si caratterizza per un testo minimo e lineare che lascia ampissimo spazio narrativo alle immagini. Sgargianti, movimentate, ricche di dettagli e dal tratto ironico, queste sono le vere protagoniste del libro e conducono il lettore per mano alla scoperta della storia: un aspetto, questo, che ben si sposa con gli accorgimenti di alta leggibilità – font EasyReading, spaziatura maggiore, testo non giustificato – messi in campo da Camelozampa per la stampa del volume. La sinergia tra leggibilità del segno grafico e facilità di accesso al testo è infatti determinante nello stimolare un approccio alla lettura il più possibile amichevole, accogliente e stimolante anche nei confronti di bambini con dislessia.

Caro signor F.

Elvira e Concetta sono due amiche che vivono insieme sul cucuzzolo di una montagna. Molto diverse tra loro – sedentaria, golosa e amante della scrittura la prima; avventurosa, smilza e appassionata di navi la seconda – le due trascorrono le giornate con una certa placida ritualità. Su quel cucuzzolo, in effetti, non succede mai nulla. Un giorno però dei rumori sospetti le mettono in allarme, costringendole a fantomatiche ipotesi su cosa possa averli generati, a qualche accusa reciproca e infine a rocambolesche indagini. Verrà fuori che il responsabile è un misterioso signor F., che frattanto manda lettere ad amici, parenti e ditte di trasloco, per informarli del suo felice trasferimento in montagna.

A suon di equivoci e soluzioni di emergenza per liberarsi dell’inquilino abusivo, Elvira e Concetta finiscono per scoprire che un intruso a quattro zampe può essere estremamente amichevole e che, grazie al trambusto generato dalla sua presenza, si può persino pensare a una ristrutturazione, non tanto della casa quanto piuttosto della propria vita!

Scritto e illustrato dal collaudato duo Alice Keller e Veronica Truttero, Caro signor F. è un racconto delizioso che scorre piacevole, fa sorridere e che mette in scena un piccolo protagonista a cui è difficile non affezionarsi. Stampato con alcune caratteristiche di alta leggibilità, come il font EasyReading, la sbandieratura a destra e la spaziatura maggiore tra le lettere, le righe e le parole, il libro presenta frequenti illustrazioni a matita che consolidano il tono tenero e buffo del racconto.

 

Golfo

Quando nasce Andy, suo fratello Tom è così felice da sentire di non aver più bisogno del suo inseparabile amico immaginario Figgis e così, da quel momento, Figgis diventa il nomignolo con cui Tom chiama affettuosamente Andy. Molto legato e protettivo nei confronti del piccolo, Tom si gode fino all’adolescenza la tranquillità di una vita normalissima in una normalissima famiglia inglese. La mamma – accudente, attiva e impegnata nel sociale – e il papà – ammirato imprenditore e giocatore di rugby – si spendono molto per crescere i figli in maniera serena. Ma, c’è un ma. Capita infatti di tanto in tanto che Figgis complichi la quotidianità familiare con quelle che tutti chiamano “le sue fisse”: momenti in cui si immedesima così tanto nei protagonisti di notizie sentite in tv o lette sul giornale, da non riuscire a far altro che pensarvi per giorni e giorni. Questione di empatia, un’empatia fortissima e del tutto fuori dal comune. Nella maggior parte dei casi le fisse portano un forte disagio in Figgis e un grande scompiglio in famiglia ma si risolvono abbastanza rapidamente. Purtroppo lo stesso non si può dire dell’ultima, sorta con l’inizio della guerra del Golfo. All’improvviso e sempre più spesso Figgis inizia ad assentarsi mentalmente pur senza muoversi da casa, a vivere la notte in una sorta di trance, a parlare arabo, a comportarsi in modo strano e a pronunciare con insistenza il nome di un certo Latif. Ricoverato in una clinica specializzata, Figgis finisce per non riconoscere più i suoi familiari, assorbendo a tal punto il dolore e la paura di un giovane soldato iracheno da vivere nei suoi panni 24 ore al giorno. Insieme al lungimirante direttore della clinica sarà proprio Tom, mai rassegnato, a intuire cosa stia davvero capitando nella testa del fratello e a stargli testardamente accanto fino a che questi non riesce, nel bene e nel male, a liberarsi dal suo incubo.

Intenso e coinvolgente, Golfo è un romanzo breve dal grande spessore narrativo. Scritto nel 1992, dedica attenzione a una guerra lontana nello spazio e nel tempo come quella del Golfo, ma la racconta in una maniera tale da farla suonare familiare anche a chi può essere nato una ventina di anni più tardi. Perché ben più di Saddam Hussein e degli attacchi in Iraq, al centro di questa storia coraggiosa e densa c’è il nostro modo di porci di fronte a notizie terribili. Quanto riusciamo a lasciarci toccare? Quanto ci sentiamo davvero implicati? E quanto riteniamo giusto attivarci per non lasciarci semplicemente scivolare addosso gli avvenimenti del nostro tempo? Robert Westall porta queste domande a ronzare insistentemente nella testa del lettore, senza fornire mai una semplicistica risposta. Sta a ciascuno di noi, in qualche modo, capire in che maniera e in che misura un po’ di Figgis possa dimorare dentro di sé.

Imperdibile per offrire una lettura forte e non scontata a ragazzi dai 12 anni in su, Golfo viene proposto da Camelozampa in una snella e maneggevole edizioni tascabile che mette in campo alcuni accorgimenti di alta leggibilità quali il font EasyReading, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe e la sbandieratura a destra.

 

Le catastrofi del giorno

Non è facile affrontare le giornate quando i pericoli – dall’inquinamento agli incidenti aerei, dai malintenzionati ai cibi poco sani – sembrano nascondersi minacciosamente dappertutto e diventano un chiodo fisso. Così è per la dodicenne Majken che, con fare più vicino a quello di un’anziana che non a quello di una ragazzina, formula pensieri molto maturi e nient’affatto privi di allarmismo. Nella sua vita non c’è spazio – sembrerebbe – per frivolezze preadolescenziali, amicizie del cuore e pomeriggi spensierati: tutte cose che poco le interessano e che giudica per di più sciocche. Questo suo modo di porsi di fronte al mondo, che agli occhi del lettore e dei coetanei oscilla tra lo strambo e l’assillante, preoccupa non poco la madre, con la quale Majken vive sola e che un giorno, per convincerla a uscire, a distrarsi e a socializzare, le regala un cagnolino di cui occuparsi. È un cane bruttarello e indisciplinato, Blunder, ma il suo arrivo segnerà una svolta nella vita della ragazzina, consentendole di fare incontri preziosi e di incrinare la solida gabbia emotiva dentro la quale si è da tempo rinchiusa.

Con una narrazione che, seguendo il filo dei pensieri di Majken, dipinge il mondo con un filtro diverso da quello comune, Cilla Jackert ci fa affezionare, spesso scuotere la testa, talvolta chiedere “ma come ti viene in mente?” di fronte a una protagonista tanto bizzarra. Fino all’ultimo capitolo, dove un finale liberatorio, tanto per Majken quanto per chi legge, ci conduce nel passato della ragazzina, offrendoci uno spiraglio di comprensione ed empatia per quella sua interiorità tanto tormentata. Senza alcuna pretesa né attitudine prescrittiva, la storia di Majken ci illumina su cosa possano portare con sé un lutto e il dolore che ne consegue e su quanto valga la pena interrogarsi su ciò che si nasconde dietro un atteggiamento strano o persino respingente.

In Le catastrofi del giorno si ritrova e si riconosce il piglio schietto e a tratti cinico dell’autrice e la sua radicata familiarità con la città di Stoccolma, di cui pare di percorrere strade e quartieri, percepire odori e rumori, respirare la cultura, proprio come accadeva in Ci si vede all’Obse, altro bel romanzo di Cilla Jackert pubblicato nel 2018 da Camelozampa. Anche qui la stampa presenta font EasyReading e spaziatura maggiore che rafforzano la leggibilità del libro anche da parte di ragazzi con dislessia. Una più ariosa distribuzione del testo, per esempio con paragrafi distanziati e pagine meno piene, potrebbe consolidare ulteriormente l’accessibilità del volume.

I tre funerali del mio cane

A scrivere con ironia e garbo una storia che pone al centro un lutto, mica son tutti buoni. Guillaume Guéraud però lo è: il suo I tre funerali del mio cane è infatti un delizioso racconto in cui la morte di una creatura cara, come può essere un animale domestico, diventa il fulcro narrativo intorno a cui orbitano dialoghi autentici, piccole disavventure di cui sorridere e un’ampia gamma di sentimenti veri: il tutto senza quasi spostarsi dal giardino di casa dove il protagonista, sua sorella e i suoi amici decidono di seppellire il povero Babino, dopo che è stato malauguratamente investito da un’auto.

Alla serietà delle intenzioni e delle emozioni dei giovani personaggii fanno da contraltare una serie di piccoli imprevisti logistici e la spontaneità con cui Babino viene affettuosamente ricordato. Il racconto mescola così, senza soluzione di continuità, aneddoti buffi e schietta tenerezza. E alla morte, lungi da essere un tema su cui dissertare, viene restituito il ruolo di cosa della vita con cui prendere le misure tra una partita di calcio, uno scherzo tra amici e una corsa in un prato di tulipani.

Divertente e delicato, I tre funerali del mio cane è proposto da Biancoenero all’interno della bella collana Maxizoom dedicata a giovani lettori a cavallo tra la scuola primaria e la scuola media. Come gli altri volumi della collana, il libro vanta dunque un’impaginazione ariosa, una spaziatura maggiore, un font ad alta leggibilità e una stampa su carta color crema che ne agevolano l’accesso anche a bambini con dislessia. A tale scopo concorrono inoltre in misura non meno significativa anche scelte sintattiche e lessicali orientate alla linearità, oltre che una storia coinvolgente che sa parlare la lingua dei bambini.

Broncio e Coda

libro Quando desideri un animale da compagnia ma cani e gatti, per i tuoi genitori, sono fuori discussione, i pesci rossi possono essere un ottimo ripiego! È così che Broncio e Coda – muso lungo il primo, coda appariscente il secondo – entrano a far parte della famiglia di Teresa il giorno del suo compleanno.

Sistemati nella loro vaschetta nuova di zecca, i due pesci diventano presto degli insostituibili confidenti per la protagonista che, incuriosita dalle loro qualità e abitudini, ne trae sovente sagge lezioni di vita. Perché i pesci come Broncio e Coda saranno pure muti come si usa dire ma possono insegnarci molte cose: che addomesticare animali e persone non è affar scontato, per esempio, o che ci si può sentire soli anche quando si vive vicino a qualcuno. Come una sorta di filtro silenzioso attraverso il quale Teresa osserva le piccole e grandi cose della sua quotidianità, Broncio e Coda diventano parte integrante di una famiglia in cui nessuno resta del tutto immune al fascino dei pinnati e in cui le relazioni, soprattutto tra fratelli, si nutrono di piccoli screzi e rappacificamenti.

Proprio quelle relazioni, in cui – pesci rossi o no – non sarà difficile per il lettore riconoscersi, sono al centro del libro di Silvia Nalon, con le briose illustrazioni di Martina Motzo.

Più ricco di pensieri che di peripezie, Broncio e coda offre un’occasione di lettura quieta e piacevole in cui immergersi. Inserito nella collana leggimi di Sinnos, il libro presenta inoltre tutte le caratteristiche di alta leggibilità che agevolano la lettura anche in caso di dislessia.

L’incredibile corsa dello sciroppo

Quella formata da Alex Cousseau e Charles Dutertre è una coppia collaudata da cui ci si aspetta frizzi, lazzi e magnifiche sorprese letterarie. Già creatori di quell’irresistibile personaggio che è Lucilla Scintilla, i due autori francesi tornano in libreria, sempre per Sinnos, con un volume ad alta leggibilità ugualmente gustoso ma di tutt’altro segno, intitolato L’incredibile corsa dello sciroppo.

Protagonisti del libro dal formato arioso, dalle illustrazioni densissime e dai colori accesi sono tanti intrepidi insetti pronti a sfidarsi nell’annuale Corsa dello sciroppo, una classicissima del mondo entomologico. Al via, ragni, bruchi, lumache e altri piloti in miniatura e perlopiù muniti di ali e parecchie zampe avanzano lungo un percorso tortuoso che si snoda in mezzo a una natura lussureggiante. I loro nomi sono buffi e i loro mezzi sono a dir poco stupefacenti: si va dai vasetti di yogurt volanti alle vasche da bagno a motore, dai trattori a molla ai piroscafi a elica. Ingranaggi e meccanismi sono tanto sofisticati quanto divertenti (mai più senza un treno fantasma con binario mobile!) e le affollate pagine che li ospitano sono un autentico luna park per l’occhio del lettore che può sollazzarsi a coglierne ingegnosità e tratti comici. La gara avanza senza esclusione di colpi, costringendo i protagonisti a deviazioni, decisioni, incidenti e incontri imprevisti, verso una linea del traguardo che si svela solo alla fine, con un delizioso colpo di scena.

Contraddistinto da caratteristiche di alta leggibilità – dal font leggimi alla spaziatura maggiore, dalla sbandieratura a destra all’evidenziazione dei dialoghi grazie all’uso del colore e del maiuscolo – L’incredibile corsa dello sciroppo può facilmente solleticare i giovani lettori, con e senza dislessia, in virtù del suo particolare impianto grafico e dell’efficacissimo dialogo che instaura tra parole e figure. Intorno a testi concisi che perlopiù introducono i protagonisti con i loro spassosi tratti e riportano gli eventi salienti della gara, si sviluppano infatti illustrazioni minuziosissime che raccontano molto di più di quanto si trovi scritto e che disseminano ghiotti dettagli sul funzionamento dei mezzi e sulle attitudini dei loro conduttori. Sono le immagini, insomma, a farla da padrone, a incentivare l’avanzamento nella lettura e, in qualche modo, a dettarne i tempi, rendendo del tutto legittimo quell’attardarsi sulla pagina che di norma può far sentire a disagio i bambini meno abili nella lettura.

E in questo suo temporeggiare di fronte al bello, il lettore non si discosta di molto dai personaggi del libro i quali, pur desiderando con forza avanzare verso il traguardo, conoscono il piacere di sedersi ai bordi di quell’oceano di sabbia bianca per assistere all’arrivo del sole “che già comincia a tingere il cielo di un bel rosso, rosso come lo sciroppo di amarena”.

Che febbre!

Un oggetto banale e inanimato come un letto può, contro ogni aspettativa, condurre verso incredibili avventure: Pomi d’ottone e manici di scopa docet! Difficile credere che lo stesso non si possa dire di un divano, che del letto, in effetti, è parente stretto. Detto fatto, la conferma arriva dritta e comoda su cuscini e braccioli tra le pagine di Che febbre!, l’albo firmato da Rina Allek e di fresco nominato vincitore del Silent Book Contest 2020.

Protagonista del racconto senza parole ideato dall’illustratrice russa è una bambina malata – il termometro segna un buon 38° – che si addormenta rannicchiata proprio sul divano di casa. Ma la febbre può giocare brutti scherzi e all’improvviso la bambina si trova minacciata da un gigantesco millepiedi: ci pensa il rosso divano, presto trasformatosi in una volpe scattante, a trarla in salvo e a condurla in un viaggio incantato tra cieli stellati, foreste lunari e oceani sottosopra. Non privo di pericoli e insidie, che prendono di volta in volta la forma di creature bizzarre, il viaggio si conclude là dove è iniziato, nel salotto di casa, in cui (quasi) tutto sembra tornato come prima.

Capace di valorizzare il silenzio per dondolare il lettore in una dimensione a mezz’aria, finemente sospesa tra sogno e realtà, Che febbre! si dimostra un wordless book degno di questo nome e non semplicemente una storia qualunque a cui sono state tolte le parole. L’autrice è poi bravissima a tendere fili sottili tra le pagine, popolando le sue tavole di figure minime dai tratti vagamente espressionistici, i cui dettagli si richiamano tra loro man mano che la narrazione avanza. Così, la forma allungata e inconfondibile degli occhi della protagonista ritorna tra le cortecce degli alberi, come segno del tempo o, chissà, del loro essere sentinelle naturali; il tondo luminoso della luna si deforma nel volto del millepiedi e poi torna rassicurante nel viso della protagonista e via dicendo… A rendere possibile questo gioco di andate e ritorni che, per certi versi, culla e rassicura il lettore, e che, per altri, evoca l’andamento contorto dei sogni più agitati, è il segno netto e serigrafico dell’autrice, la sua scelta accorta e scremata degli elementi grafici e il suo efficace giostrare tre soli colori: il blu, il rosso e il bianco.

In risultato è un albo affascinante che merita più di una lettura, rifuggendo del tutto il pericolo di stancare. Perfetto per lettori attenti, sognatori e intrepidi, poco importa se abili o meno con la parola scritta (che qui, per l’appunto, proprio non c’è), ma a proprio agio di fronte a storie sfuggenti e che volteggiano sganciate dalla più schietta realtà.

Gita sotto l’oceano

Altro giro, altra corsa: dopo la passeggiata nello spazio di Gita sulla Luna, John Hare ci accompagna in una nuova emozionante escursione, questa volta subacquea. A bordo di un sottomarino ultraequipaggiato, che nelle linee e nel giallo brillante ricorda immediatamente il pullmino-astronave della prima avventura, l’autore ci porta a immergerci tra le profondità oceaniche più misteriose e affascinanti. In Gita sotto l’oceano la classe di bambini e bambine segue il maestro, attratta da calamari bioluminescenti, sorgenti idrotermali e lava cuscino popolata da vongole. Un bambino in particolare appare così rapito dalle bellezze marine e così dedito a immortalarle con la sua macchina fotografica che a un certo punto si allontana dai compagni per curiosare dentro il relitto di una nave e viene lasciato indietro. Proprio come in Gita sulla Luna, la classe finisce per risalire a bordo del sottomarino senza di lui e, prima che il maestro possa correre in suo soccorso, il bambino diventa protagonista di un’esplorazione fotografica che gli fa compiere straordinarie scoperte archeologiche e stringere amicizia con buffe creature dei fondali.

Abilissimo nel giocare sui meccanismi di ripetizione e variazione, John Hare ci regala un nuovo albo senza parole coinvolgente e movimentato.  All’interno di una struttura narrativa che puntualmente e volutamente ricorda quella di Gita sulla Luna, l’autore sa dare vita a un’avventura tutta nuova. I richiami al primo viaggio non solo non annoiano ma creano una fitta rete di corrispondenze divertenti da scovare e amplificano l’effetto sorpresa quando il protagonista si toglie lo scafandro. Attento come il primo titolo a rendere molto credibili le movenze, i comportamenti e le fantasie del protagonista (e dei suoi compagni), Gita sotto l’oceano rafforza l’idea di fondo che ogni bambino abbia un talento che, se coltivato e accolto, alimenta la curiosità e genera una ricchezza condivisibile.

Anche qui tavole e figure hanno un fascino ammaliante e i passaggi narrativi che legano l’una all’altra sono molto chiari, nonostante l’assenza di parole. Il silenzio, che quasi si tocca tra queste pagine e che non a caso è caratteristica significativa degli abissi come dello spazio, invita il lettore a guardarsi intorno a caccia di meraviglie, muovendosi con un ritmo e con uno sguardo del tutto personali. Così balzano all’occhio dettagli e minuzie che incantano, svelano e guidano la lettura, in un’immersione che può felicemente vedere protagonisti anche giovani lettori con difficoltà di decodifica del testo, legate per esempio alla dislessia o alla sordità.

Gita sulla Luna

Quando c’è di mezzo una gita scolastica non c’è tempo da perdere: ecco allora che John Hare non spreca neanche un minuto (e una pagina!) e inizia il suo racconto per immagini fin dalla copertina di Gita sulla Luna. È qui, infatti, che incontriamo la classe che si prepara all’escursione, che ci immergiamo senza preavviso in un’insolita ambientazione spaziale e che intercettiamo il protagonista della storia che balza all’occhio per il passo lento e lo sguardo poco entusiasta che lo distingue dai compagni. Perché se le gite sono perlopiù ragione di euforia, non tutti i bambini reagiscono allo stesso modo. E in effetti, ad addentrarsi nella lettura, si scopre un giovane astronauta un po’ timoroso – forse per nostalgia di casa, forse per timidezza, forse per lontananza di interessi, chissà – che segue la classe da distante e si tiene sempre un po’ in disparte, fino ad isolarsi del tutto per ritrarre al meglio coi suoi pastelli colorati quel pianeta verde e azzurro che tanto risalta rispetto ai crateri e ai rilievi grigi della luna. Purtroppo però, nessuno si accorge della sua assenza e così il bambino viene scordato sulla luna quando l’astronave-pullmino riparte alla volta della stazione spaziale. A nulla valgono i suoi tentativi di farsi notare dal mezzo ormai in moto e così si ritrova a cercare consolazione nel disegno, tracciando sul suo taccuino uno sgargiante arcobaleno con due nuvole al fondo (un’immagine che riletta alla luce dei tanti teli apparsi sui balconi in questo nefasto 2020 assume un significato di speranza e buon auspicio ancora più forte). Ma evidentemente il giovane protagonista non è l’unico a subire il fascino dei colori: cinque bizzarre creature lunari, di sfumatura grigiastra e forma aliena, si avvicinano infatti, prima guardinghi e poi strabiliati, trasformando l’attesa del salvataggio in una spassosa sessione di disegno.

Curato e sfizioso, Gita sulla Luna, con cui John Hare ha esordito nel mondo della letteratura illustrata per l’infanzia, è un libro che fa dell’assenza di parole non solo una preziosa possibilità di accesso alla storia anche per quei giovani lettori che faticano di fronte al testo alfabetico, ma anche una forma narrativa in cui lo sguardo viene continuamente sollecitato a scovare particolari significativi, valorizzando quella capacità di lettura visiva troppo spesso snobbata anche in ambito scolastico. Proprio perché non ci sono le parole occorre qui fare caso a ciò che comunicano i dettagli – la direzione delle orme sulla superficie lunare o l’espressività dei gesti e delle distanze tenute dai personaggi, per esempio – perché attraverso di essi si dipana il filo del racconto.

L’autore è davvero molto bravo in questo, così come nell’attribuire fascino e senso all’uso del colore. Il giallo del pullmino-astronave, il verde e il blu della Terra distante o le tinte accese dei pastelli che spiccano sul nero dello spazio e sul grigio della luna calamitano l’occhio del lettore (con buona pace di chi aborre i libri per bambini con pagine scure), rendendo vivide le scene presentate e aiutando a focalizzare l’attenzione sui particolari che denotano l’avanzamento della storia. Il lettore si trova così a muoversi senza gravità tra tavole che calano a puntino in una cornice e in un’atmosfera distantissime in cui tutto sembra rovesciato – i bambini sono astronauti, la terra è un corpo celeste lontano, gli alieni hanno paura degli umani – ma in cui l’infanzia, nei suoi movimenti e nei suoi sentimenti più propri, appare ciononostante del tutto riconoscibile. Perché le emozioni, forse, sono davvero qualcosa di universale.

A un anno di distanza dalla pubblicazione di Gita sulla Luna, Babalibri porta in Italia anche il secondo libro senza parole realizzato da John Hare e intitolato Gita sotto l’oceano.

Rolando Lelefante legge

Che Rolando Lelefante fosse un tipo colto lo sapevamo già, ma che fosse un vero divoratore di storie, bhe… quello lo scopriamo nel secondo volume che Sinnos gli dedica, intitolato per l’appunto Rolando Lelefante legge.

Qui seguiamo Rolando nella sua sfrenata passione per la lettura – cosa, dove, quando e come legge – in una buffa rassegna che mette in evidenza abitudini, trucchetti, rêverie e piccole manie in cui qualunque lettore potrà in qualche modo riconoscersi. Ma attenzione: Rolando sa bene che la lettura non è solo gioie. Il suo padroncino non legge infatti altrettanto bene perciò lui si prodiga in ogni maniera per rendergli la parola scritta più familiare. Deliziosa, in questo senso, la doppia pagina in cui Rolando interpreta con la sua goffa mole le diverse lettere dell’alfabeto, rendendo magistralmente evidente come la lettura sia un’esperienza che coinvolge tutto il corpo!

Come l’autrice riesca a condensare in pochi tratti di matita tanti spunti, ammiccamenti e persino citazioni, rimane un piccolo mistero: sta di fatto che, come la precedente, anche questa storia di Rolando fa di un nulla una piccola gustosa avventura che si legge con il sorriso sulle labbra. Piacevole nell’aspetto e attento alle esigenze dei lettori più inesperti o come maggiori difficoltà di decodifica del testo, Rolando l’elefante legge unisce le caratteristiche di alta leggibilità tipiche della collana Leggimi prima di Sinnos (font maiuscolo leggimiprima, spaziatura maggiore, testo non giustificato, pagina pulita, illustrazioni puntuali e frequentissime) a uno stile arioso, tanto nelle figure quanto nel racconto, che dice con garbo al lettore che il libro può essere amico e che addentrarsi tra le pagine può essere, sì, una sfida, ma non necessariamente spaventosa. Se non è un bell’inno alla lettura questo, è davvero difficile dire cosa lo sia!

Ecco a voi Rolando Lelefante

Attenzione, pericolo! La lettura di Ecco a voi Rolando Lelefante aumenta il rischio di desiderare un pachiderma per animale domestico. È l’effetto Rolando: un misto di tenerezza e sorpresa che coglie senza scampo chiunque incontri l’irresistibile personaggio creato da Louise Mézel.

Elefantino mini dall’appetito taglia XL, Rolando Lelefante ha un mucchio di qualità: riesce a stare in spazi ristretti, anche grazie ad acrobatici arrotolamenti di coda e proboscide, è colto, sportivo quanto basta, oltremodo goloso e pieno di passioni. Insomma, come si fa a non volergli bene?

L’autrice ce ne offre un ritratto delizioso in questo primo volume di una serie portata in Italia da Sinnos. Lettura sfiziosissima per bambini 4-5 anni accompagnati da un grande o per bambini di prima elementare che iniziano a leggere da soli, la storia di Rolando Lelefante presenta testi minimi, curati e ben leggibili (stampa in maiuscolo, font ad alta leggibilità, forte contrasto con la carta color crema, massimo una frase o due per pagina), puntualmente accompagnati da illustrazioni ironiche e delicate, realizzate a matita e con pochi tratti di colore.

Questo passo a due leggiadrissimo tra parole e figure regala alle pagine una pulizia che rassicura e un ritmo che incalza, accompagnando nell’avventura di leggere anche il lettore con dislessia o difficoltà di decodifica del testo, valorizzandone a pieno la preziosa capacità di muoversi tra le immagini.

Nella stessa serie si trova già anche il secondo volume intitolato Rolando Lelefante legge.

Giacomino già che sei in piedi

Già che sei in piedi… prendi questo? Fai quello? Mi passi quell’altro? A chiunque è senz’altro successo di sentirsi rivolgere una richiesta di questo tipo ma di certo a nessuno è capitato così di frequente come al protagonista della buffa storia firmata da Angelo Mozzillo e Umberto Mischi. Fin da piccolo, infatti, Giacomo – Giacomino per gli amici – è diventato Giacomino-già-che-sei-in-piedi proprio a causa delle insistenti preghiere dei suoi familiari, abituati a farsi fare favori, sporgere cose e prendere oggetti dal malcapitato giovanotto.

Questi, però, un bel giorno si stufa e mette in piedi uno sciopero d’effetto. Un vero a proprio sit in, a dirla tutta. Giacomino decide infatti di restare seduto a oltranza e così resta sia per mangiare, sia per dormire, sia per giocare. Irremovibile nella sua decisione persino quando si tratta di andare a scuola, Giacomino vien trasportato di peso in classe dai genitori. E qui succede l’inatteso: sulla scia del maestro di arte, il corpo docenti interpreta il gesto del giovane come una meravigliosa provocazione contro la frenesia moderna e, per valorizzarne la portata, tutti si recano in comitiva dal sindaco. Di Giacomino seduto si fa dunque un gran parlare, tanto che il ragazzo viene invitato a tenere un discorso. Ma mai sedersi sugli allori: gli imprevisti possono sollevarsi proprio quando meno te lo aspetti…

Simpatico e scorrevole, Giacomino già che sei in piedi unisce una storia surreale e divertente a uno stile ben ritmato che incentiva la lettura. Inserito all’interno della collana Minizoom di Biancoenero, il volume presenta tutte le caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono quest’ultima, rendendola una proposta davvero appetibile per giovanissimi lettori, anche con difficoltà legate alla dislessia, alle prime armi con la lettura autonoma.

 

 

 

Joker

“In fondo erano contenti di tornare a scuola”, così inizia Joker, il racconto di Susie Morgenstern da poco uscito per i tipi di Biancoenero (ma in realtà pubblicato per la prima volta nel 1999 in Francia e nel 2002 in Italia). Difficile immaginare un incipit più ficcante in questo preciso momento storico, se si considera che dopo mesi di DAD e scuole chiuse, il desiderio di tornare fra i banchi è quantomai acceso nei bambini e nei ragazzi. Ecco dunque che la loro attenzione ha subito di che esser catturata da una storia che non delude anche oltre la prima pagina. L’autrice, pluripremiata e di conclamata bravura, si conferma infatti abilissima nel mantenere accesa la curiosità del lettore con un racconto brillante e molto vicino al sentire dei bambini.

Protagonista è  Biagio Natale, anziano maestro che, nonostante l’apparenza dettata dall’età, sa come sorprendere la sua nuova classe. Il primo giorno, infatti, in luogo di sterili presentazioni, Biagio distribuisce ad ogni allievo un mazzo di Jolly, ciascuno valido per far fare o non far fare qualcosa a chi decida di giocarselo. In ogni mazzo c’è il jolly per ballare in classe, per esempio, quello per restare a letto, quello per dire una bugia o quello per fare una carezza a chi si vuole. Spiazzati e divertiti, i bambini scoprono presto il valore di quelle carte ma lo stesso non si può purtroppo dire dell’arcigna preside Candida Peres, perfetta incarnazione della didattica più stantia e meno empatica. Nonostante i suoi provvedimenti, i semi piantati da Biagio Natale finiranno tuttavia per germogliare, dando risalto all’imbattibile capacità dei bambini di fare tesoro di quanto vien loro con gioia trasmesso. E a quella di alcuni adulti di trasformare l’insegnamento in Educazione con la E maiuscola.

Coinvolgente e brioso, Joker lascia trapelare una profonda conoscenza dell’infanzia, del pensiero che la attraversa e degli interruttori che ne accendono la partecipazione. La sua lettura si fa così scorrevole e accattivante, complici anche i personaggi ben costruiti, la narrazione snella e gli accorgimenti con cui il libro è stampato. Le caratteristiche di alta leggibilità proprie della collana Minizoom di cui Joker fa parte, che coinvolgono la struttura testuale ma anche gli aspetti di stampa come la spaziatura, il font e la sbandieratura, concorrono infatti ad alleggerire il confronto con la pagina scritta e a sostenere l’avanzamento nella storia anche da parte di giovani lettori con dislessia.

La supergita dei supereroi

Avevamo lasciato Tritone e la sua cricca di ormai attempati supereroi al termine di una entusiasmante impresa contro il malefico Vortice e li ritroviamo ora alle prese con le consuete faccende da casa di riposo: attività blande e ripetitive che ben poco si addicono a degli ex paladini della giustizia. Il clima è mogio, per non dire mortalmente noioso: quel che occorre è un po’ di azione! Ecco allora che al termine di una lunga e divertente trattativa (ma quanto possono dilungarsi i vecchietti?!), la combriccola parte alla volta di una gita speciale. Non si sa molto della destinazione ma sembrerebbe offrire molte cose da vedere, anche se difficilmente si tratterà delle auspicate corse di cavalli, gare di lotta o vasche giganti di pesci. Ne nascerà un’escursione sorprendente, pur nella sua ordinarietà, e capace di non lasciare a bocca asciutta nessuno dei partecipanti, né tantomeno il lettore!

Divertente e ricco di trovate sorridenti, in pieno stile Davide Calì, La supergita dei supereroi offre un racconto snello e abbordabile che sostiene anche i lettori più riluttanti o con difficoltà legate alla dislessia, e lo fa con il superpotere dell’irriverenza e dell’alta leggibilità. Il font biancoenero, le frasi brevi e lineari, la spaziatura maggiore e le illustrazioni quasi a ogni pagina agevolano infatti la lettura e fanno squadra con una narrazione ironica che solletica e che invita ad arrivare presto alla fine. La possibilità, inoltre, che il lettore abbia già familiarizzato con i personaggi grazie alla precedente avventura sempre edita da Biancoenero, fa sì che l’ingresso nella storia sia più immediato e coinvolgente. Interessante, in questo senso, anche la scelta di proporre figure che richiamano felicemente lo stile del precedente volume (firmato per intero da Davide Calì), pur essendo realizzate in questo caso da un’illustratrice diversa (Alice Piaggio).

Novelle fatte a macchina

Ci sono personaggi che fanno parte di un immaginario collettivo ben radicato. Ecco, gli extraterrestri che atterrano a Pisa per sgraffignare la torre, l’irriverente bambola a transistor che sa parlare o i due terribili gemelli Marko e Mirko che non mancano di coraggio fanno parte di quella schiera di figure fantastiche che in molti di noi evocano ricordi, accendono scintille e suonano familiari. Merito della penna straordinaria di Gianni Rodari che a quei protagonisti ha dato vita all’interno della raccolta Novelle fatte a macchina.

Chissà quale effetto sortiscono sul lettore di oggi. Se è vero infatti che le novelle di Rodari fanno riferimento a un precisissimo contesto storico – basti pensare alla centralità di un programma come Rischiatutto all’interno di uno dei racconti –  che può renderle un po’ distanti, è altrettanto vero che esse mescolano reale e fantastico in maniera così sapiente e lasciano spazio a domande e riflessioni così importanti e attuali che difficilmente, anche oggi, possono lasciare indifferenti. In più, la loro formula snella risulta particolarmente spendibile e vincente, anche pensando a letture frammentarie e lettori riluttanti.

Nate come racconti brevi commissionati dal giornale Paese sera, le Novelle fatte a macchina sono pubblicate negli anni ’70 da Einaudi. Oggi Emons le ripropone in formato audio (su Cd o scaricabili direttamente in file MP3) che ne allarga le possibilità di fruizione anche a bambini e ragazzi con difficoltà di lettura legate per esempio a una disabilità visiva o alla dislessia e a lettori desiderosi di godersi una bella storia anche quando gli occhi sono impegnati in altra attività. Con il suo piglio senza lungaggini, ecco che l’ascolto delle Novelle fatte a macchina potrebbe in un ipotetico viaggio in automobile riempire a meraviglia tratte medio-brevi!

 

Cane, lupo e cucciolo

Ricordate Lupo e Cane, i due cugini a dir poco insoliti nati dalla penna di Sylvia Vanden Heede e dalla matita di Marije Tolman? Protagonisti di Lupo e Cane, insoliti cugini, uscito per Beisler nel 2015, i due animali tornano sulla scena con una nuova avventura ad alta leggibilità intitolata Cane, lupo e cucciolo.

Come il titolo lascia facilmente intuire, alla coppia di nemici-amici si aggiunge questa volta un terzo compare, più precisamente un giovane spitz di pura razza che poco sa del mondo e che necessita di molte cure. Il padrone di Cane lo ha preso perché questi avesse compagnia ma per Cane il nuovo arrivato è più che altro una scocciatura, dal momento che si trova a fargli da balia e a prendersi le sgridate al posto suo. Così, quando gli si offre l’occasione di togliersi di torno il cucciolo e al contempo di liberarsi delle angherie di Lupo, non gli par vero: subito Cane ne approfitta e torna a godersi la sua serenità. Non ha però fatto i conti con l’affetto che presto prende dimora anche nei confronti di chi ci pare distante e così, in quattro e quattr’otto, Cane torna sui suoi passi, dimostrando che anche i tipi più carini e coccolosi sanno e possono all’occorrenza tirare fuori i denti per difendere i propri cari.

Senza bisogno di dichiararlo e sbandierarlo tanto in giro (ottimo segnale!), il libro svela dunque un catalogo variegato e interessante di emozioni – dalla rabbia alla paura, dalla felicità alla nostalgia – con cui il lettore frequentemente si misura e in cui può facilmente riconoscersi. Le micro-vicende dei due cugini e del loro nuovo compagno, perciò, non solo compongono un racconto non convenzionale e a tratti ironico in cui immergersi, ma offrono anche un terreno fertilissimo per confrontarsi con e su un tema delicato come la gestione emotiva delle diverse situazioni.

Dotato di un umorismo tutto particolare e scritto in una forma originale che mescola prosa, cadenza poetica e indole teatrale, Cane, lupo e cucciolo si compone di 16 capitoli abbastanza brevi, il cui animo delicato viene amplificato dalle illustrazioni dalle linee sottili e dalle sfumature accese che frequentemente animano la pagina. Questo, unito alla scelta di un font meno affaticante per la vista come il TestMe e di caratteristiche di impaginazione ad alta leggibilità (spaziatura maggiore, testo allineato a sinistra…), concorre a rendere la lettura del libro più amichevole anche in caso di dislessia.

Non solo: Cane, Lupo e cucciolo rivela un alto grado di accessibilità anche per un’altra ragione. Il libro inaugura, infatti, l’interessante progetto Leggieascolta di Beisler che prevede l’unione del testo cartaceo e del relativo audiolibro. Quest’ultimo è ascoltabile tramite l’app gratuita leggieascolta, disponibile per dispositivi Android e iOS. Inquadrando il QRcode che compare sul risguardo di copertina, l’app apre infatti l’audiolibro corrispondente al volume, all’interno del quale il lettore può muoversi con grande libertà. A sua disposizione ci sono in particolare i tasti per scegliere il capitolo da leggere, per far avanzare la lettura di 60 secondi in 60 secondi, per accelerare o rallentare la velocità di lettura, per inserire dei segnalibri o per stabilire un tempo predefinito dopo il quale l’audiolibro si spegna automaticamente.

Molto intuitiva nell’uso e curata nella registrazione, l’app che rende disponibile la versione audio del libro segna un passo importante nel lavoro che alcune attente case editrici stanno pian piano facendo in favore dell’accessibilità. Mettere infatti il giovane lettore nella condizione di poter accedere al testo attraverso porte diverse, che sarà lui a scegliere a seconda delle necessità personali e del momento, concorre in maniera non indifferente a rendere la lettura più agevole e dunque più piacevole.

Sssh

Le storie si possono narrare in tanti modi, lo diciamo spesso. Anche con i rumori? Certo che sì! Sssh fa, infatti, esattamente questo: racconta la giornata di un piccolo protagonista attraverso i suoni che di situazione in situazione lo circondano.

Ogni doppia pagina fotografa un preciso momento della giornata in una particolare cornice – in casa, in classe, in piscina, per strada – dando spazio alle figure umane e agli oggetti più disparati che di volta in volta spiccano, emettendo un suono. Dal tostapane ai denti strofinati, dalle forbici al martello pneumatico: ogni cosa si fa sentire e partecipa alla sinfonia dell’ambiente. All’interno di quadri molto colorati e attenti alla vita vera dei bambini, come nello stile inconfondibile di Mariana Ruiz Johnson, risaltano dunque una serie di dettagli che si accompagnano ad eloquenti e riconoscibilissime onomatopee. Lì cade l’occhio e si attiva l’attenzione del lettore.

Ecco allora che il reperimento sulla pagina di una serie di elementi rumorosi non solo innesca un divertente e interessante meccanismo di associazione tra oggetto, azione e rumore, ma permette a un piccolo percorso narrativo di snodarsi attraverso i suoni evidenziati.  Soffermandosi su di essi e cogliendo i fili sottili che non di rado li collegano – il gatto che miagola sembra fuggire dall’aspirapolvere rombante, per esempio, o la risata che si sente nello spogliatoio della piscina si presume sia scatenata da una puzzetta – accade infatti che l’istantanea dipinta in ogni pagina si dilati e si animi secondo una logica tutt’altro che casuale.

C’è infatti una coerenza interna di base grazie alla quale il lettore non solo riconosce uno sviluppo temporale che si dipana attraverso le pagine ma può anche cogliere una serie di richiami tra di esse che danno sostanza alla narrazione. Elemento chiave, in questo senso, è la presenza fissa e ricorrente di un libro rappresentato accanto al protagonista. Dopo una giornata immerso nei suoni più variegati, infatti, questi trova nel finale un rifugio quieto tra le pagine del suo volume preferito: un luogo in cui il silenzio assume un ruolo del tutto ineffabile.

Vietato dunque ridurre Sssh a un comune libro di suoni che procede per semplice giustapposizione. Il volume rivela infatti un’orditura trasparente che lo rende molto più ricco e ne moltiplica le possibilità di lettura.  Nato da un progetto editoriale di Camelozampa, Sssh mette insieme due firme internazionali importanti: quella di Fred Paronuzzi e quella di Mariana Ruiz Johnson, dando vita a una proposta assolutamente originale e stuzzicante, oltre che dalle straordinarie potenzialità inclusive.

Sssh si presta infatti a una lettura ad alta voce irresistibile ed estremamente coinvolgente, anche nei confronti di quei bambini che per deficit cognitivi, comunicativi o di attenzione faticano a seguire un racconto complesso. Lo sviluppo di una narrazione basata su di una forma comunicativa basica ed efficacissima come quella onomatopeica, inoltre, permette di agganciare e stimolare, sia sul piano della comprensione che su quello della verbalizzazione, anche bambini con difficoltà più marcate. Da ultimo, la presenza di un numero di parole molto circoscritto e facilmente intuibile fa sì che anche una lettura individuale possa essere condotta con soddisfazione da chi non coltiva una relazione facile con il testo (o ancora non sa leggere). Una volta colto che le parole scritte rispondono a un preciso meccanismo – quello di restituire il suono emesso dalle figure ad esse associate – esse possono essere facilmente ricostruite e, anche laddove vengano sostituite da sinonimi o affini, l’effetto non cambia.

Il lavoro originale e difficilmente incasellabile di Fred Paronuzzi e Mariana Ruiz Johnson contiene dunque un vero e proprio tesoro di opportunità che difficilmente ci si aspetterebbe da un libro di onomatopee e che invece rivela tutta la sua ricchezza a chi gli presti occhio (e orecchio) attento. Parafrasando i Negrita, alla domanda che rumore fa la felicità? Probabilmente potremmo rispondere Sssh!

Le avventure di Augusta Snorifass

Augusta Snorifass è, in tutto e per tutto, una creatura di carta. Lo è in senso metaforico, perché si anima e vive straordinarie avventure grazie alla parola scritta di Chiara Carminati, e lo è nella realtà poiché, come spiega quest’ultima, nasce dalla fantasia di Hans Christian Andersen in persona, che la ritagliò con un bel corredo di vestitini, per fare un dono alla figlia di un caro amico. E proprio da questo aneddoto, poco noto ma molto suggestivo, Chiara Carminati prende le mosse per costruire un personaggio delizioso e intraprendente, che vive nella casa di un certo conte in compagnia di un vanitoso soldatino di piombo e di una fitta schiera di topolini.

A lei che ama ritagliarsi meravigliosi abiti in carte di volta in volta differenti e che non nasconde una certa dose di coraggio, l’autrice dedica otto racconti incantevoli, due per ogni stagione. Troviamo così Augusta in sella all’amico corvo nel tentativo di recuperare gli abiti sparpagliati dal vento, in fuga da un rospo intenzionato a papparsela per cena, alla ricerca di un topolino disperso nel labirinto del castello, all’inseguimento della sua ombra in compagnia di uno scoiattolo o intenta a sfidare il freddo del giardino pur di spedire la sua lettera dei desideri natalizi. Il suo è un mondo piccolissimo in cui succedono cose, in proporzione, straordinariamente grandi.

I racconti di cui si compone Le avventure di Augusta Snorifass sono piccini e deliziosi come dolcetti mignon. Ognuno è in sé gustoso e pieno, oltre che facilmente abbordabile per la lunghezza, ma unito agli altri compone un quadro di ampio respiro, minuzioso e ricchissimo. Esperta tessitrice di parole, Chiara Carminati confeziona delle fiabe moderne molto saporite, che uniscono un certo gusto per i vezzi e le preziosità con una buona dose di peripezie avventurose. E la cura con cui l’autrice cuce i suoi racconti è in fondo la stessa con cui la sua Augusta inventa, taglia, imbastisce e impreziosisce i suoi abiti straordinari.

Nella versione del libro edita da Mondadori le illustrazioni sono firmate, con una scelta a dir poco azzeccata, da Clementina Mingozzi, autentica maestra del ritaglio della carta. Le sue immagini intagliate accompagnano alla perfezione le vicende di un’eroina che di carta è per l’appunto fatta, aggiungendo al volume un tocco fiabesco di grandissimo valore.

Un audiolibro de Le avventure di Augusta Snorifass sembrerebbe partire con uno svantaggio, non potendo evidentemente contare sul prezioso contributo delle immagini. Eppure la versione che ci offre Locomoctavia, in file audio scaricabile o cd MP3, trova il modo di restituire al lettore, per altra via, quel medesimo incanto. Anche stavolta Daniele Fior, che della piccola casa editrice udinese è l’anima e il motore, compie una piccola magia, immergendo il lettore in un’atmosfera che profuma di meraviglia. Lo fa con un uso sapiente della voce, capace di modellarsi su una moltitudine di personaggi differenti, e con l’accompagnamento musicale di Marco dell’Acqua che con il suo pianoforte fa passeggiare, correre, volare ed emozionare il lettore di pari passo con Augusta. L’incontro studiato e accorto di voce e strumento musicale – così come abbiamo imparato ad apprezzare in lavori precedenti come Pinocchio, Il giornalino di Gianburrasca o Il drago di K e altre fiabe polacche – fa in qualche modo quello che su carta fanno le figure di Clementina Mingozzi: amplifica il sapore incantevole delle parole di Chiara Carminati in cui ritaglia una possibilità di immersione ancor più profonda.

È possibile ascoltare un assaggio dell’audiolibro sul sito della casa editrice.

 

Le avventure di Augusta Snorifas, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, sono inoltre fruibili tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Il cavaliere saponetta e la terribile strega

L’avevamo lasciato al termine di una avventurosa caccia al drago, più lindo e scintillante che mai, ed ora eccolo di nuovo qui, il lustro e illustre Cavaliere Saponetta! Innamorato della sua Lucy, disordinata quanto basta per mettere alla prova la sua insofferenza per la confusione, il Cavaliere più pulito del reame è diventato papà. La faticosa e itinerante vita da paladino, tuttavia, lo ha tenuto a lungo fuori casa e lontano dal piccolo Max che nel suo ingenuo immaginario altro non è che un galantuomo in miniatura. Grande è, dunque, il suo sconcerto quando Lucy parte per il tradizionale Ballo delle dodici principesse e lui, rimasto da solo ad occuparsi del pargolo, scopre la vera natura del suo pupetto. Quel poppante non sa mangiare con le posate, pulirsi la bocca col tovagliolo, dire pardon quando gli scappa un ruttino né lavarsi con il sapone! Per non parlare dell’odore insopportabile che con frequenza lo avvolge: per il Cavaliere Saponetta è davvero troppo e così si convince a cercare l’aiuto di una strega. Scoperto, però, che questa intende recarsi al Ballo delle dodici principesse per avvelenarne almeno una e prenderne il posto, il Cavaliere rivede le sue priorità, si carica il puzzolente figliolo a cavallo e insieme al fido apprendista Elmo parte all’inseguimento della strega. Segue un’incalzante catena di tallonamenti, travestimenti e rivelazioni che fino all’ultima riga fa fare al lettore il pieno di risate.

Con questa nuova avventura dedicata al paladino della pulizia, intitolata Il Cavaliere Saponetta e la terribile strega, Mattia de Leeum si conferma abilissimo nel tessere trame tutto sommato semplici ma dal ritmo galoppante e dallo spirito irriverente. Stare al passo del Cavaliere Saponetta significa lasciarsi travolgere da imprevisti spassosi e situazioni buffe che rovesciano il côté più prevedibile delle fiabe pur conservandone ambientazioni, personaggi e motivi. Con un effetto divertente e spiazzante, l’autore riesce a mettere in discussione alcuni cliché di genere, ma più in generale sociali, tenendosi però alla larga dalla pesantezza delle storie a tema così come dal rischio di trasformare il rovesciamento di uno stereotipo in uno stereotipo nuovo, solo di segno opposto. E questo accade perché le sue sono prima di tutto buone storie con ottimi personaggi: tutto il resto viene dopo, di conseguenza. Anche per questa ragione il libro scorre così liscio e piacevole, solleticando anche chi della lettura proprio non vuole saperne.

Sinnos, che di solletico al lettore se ne intende eccome, lo colloca non a caso tra I narratori a colori, una collana che propone storie spigliate e ricche di immagini, oltre che stampate con font leggimi e con caratteristiche tipografiche di alta leggibilità. Il lettore a cui Il Cavaliere Saponetta e la terribile strega idealmente si rivolge, che potrebbe essere un bambino dagli 8 anni in su che con la lettura inizia a prendere dimestichezza ma che può ancora facilmente inciampare, viene così stuzzicato con una storia di un certo corpo ma al contempo rassicurato con un’impaginazione gradevolissima e incoraggiante. Perché diventare genitori è un’impresa epica (che si sia o meno Cavalieri Saponetta), ma crescere lettori può non essere da meno!

Tempesta

Instaurare un’amicizia può richiedere tempo. Molto tempo. E insieme al tempo può richiedere pazienza, perché per coltivare una sintonia occorre procedere con cautela, avanzando per tentativi e movimenti talvolta incerti, come in una danza a due improvvisata. E così i due protagonisti di Tempesta – un adorabile cagnolino dal pelo arruffato e una ragazza dai modi gentili – vedono passare più di un giorno prima di potersi avvicinare davvero. Dopo alcuni pomeriggi al parco, popolati di lunghi attese, sguardi e silenzi, sarà un evento inatteso come un forte temporale a dare una svolta al racconto, offrendo ai due protagonisti il pretesto perfetto per darsi finalmente fiducia.

Frutto del lavoro dell’artista cinese Guojing, Tempesta è un albo incantevole che sa rendere tangibili i sentimenti. Il suo gioco attentissimo di inquadrature e punti di vista, distanze e movimenti, rende infatti palpitante l’incontro tra la ragazza e il cagnolino, rendendo chi legge estremamente partecipe. Grazie a immagini dalla potenza silenziosa, quei tramonti malinconici prima e quella notte tempestosa poi, li si avverte sulla pelle, facendo proprio il ventaglio emotivo che muove di pagina in pagina  i protagonisti. Quella che potrebbe apparire come una storia minima, si rivela così oltremodo densa e dilatata, capace di nascondere tra le sue pieghe un autentico tesoro di dettagli e sfumature da cogliere e di cui godere.

Intensissimo e tenero, l’albo di Guojing si presenta come un fumetto senza parole. La sua, infatti, è una scansione in quadri di dimensione variabile che evidenziano minimi passaggi del racconto e rendono molto chiaro cosa accade tra una vignetta e quella successiva. Questa continuità narrativa, unita a uno stile molto realistico, agevola una possibilità di immersione piena e appagante anche da parte di bambini che faticano a compiere inferenze raffinate o a seguire acrobazie stilistiche. L’assenza di parole, dal canto suo, amplia le possibilità di accesso al libro a tutti coloro che trovano un ostacolo nel testo scritto per ragioni legate a disturbi o disabilità come la dislessia o la sordità. Oltre che perché estremamente bello ed emozionante, Tempesta merita dunque un’attenzione particolare per la capacità di abbracciare un pubblico davvero ampio, facendo risuonare corde comuni e profonde.

Un drago per amico

Piero è un raro drago che, lasciata la dimora dei genitori, decide di stabilirsi in una valle popolata dagli uomini. Questi lo accolgono con favore a patto che rinunci a sputare il fuoco. Tutto subito Piero accetta ma si rende ben presto conto che rinunciare alla propria natura non può che portargli tristezza. Sarà l’arrivo di un rigido inverno e la necessità di asciugare la legna del villaggio a restituire al drago il diritto di essere sé stesso e di sfruttare le sue peculiarità in favore della collettività.

Un drago per amico è un libro tattile che si colloca, per almeno due ragioni, al di fuori della più consueta produzione ad uso di giovani lettori con disabilità visiva. La prima è legata al rapporto tra testo e immagini: il testo è infatti molto più lungo del solito e nella stragrande maggioranza dei casi occupa l’intera pagina senza essere affiancato da alcuna figura. Questo fa sì che la storia possa essere un po’ più corposa rispetto agli albi tattili più diffusi e che il target di riferimento sia composto da bambini un po’ più grandi, indicativamente in età scolare. La seconda ragione concerne invece il tipo di illustrazione tattile proposta. Delle poche figure che popolano il libro – sei in tutto – circa la metà non sfruttano la tecnica del collage materica ma prediligono la messa in rilievo puntinata del contorno. Ne risultano illustrazioni dalla decifrabilità piuttosto complessa e talvolta criptica. Al contrario le illustrazioni che sfruttano il collage materico sono molto più basiche e risultano più immediate anche a chi esplori la pagina al tatto.

In definitiva testo e illustrazioni condividono un certo aspetto acerbo che rischia di comprometterne l’attrattiva nei confronti dei lettori. Resta invece interessante la scelta di percorrere una strada nuova, rivolgendosi a un pubblico di lettori spesso trascurati dall’editoria tattile come quelli che iniziano ad affrontare prime letture in autonomia.

Dieci piccole volpi

Le vite di Camillo e Beppino sono agli antipodi: benestante e figlio di un potente petroliere il primo, umile e figlio di una coppia venuta da lontano il secondo. Eppure i due, che frequentano la stessa scuola, sono amici per la pelle. Così, quando dei temibili pirati rapiscono Camillo, Beppino non ci pensa due volte e si mette subito a cercarlo, sfidando il pericolo di una ciurma senza scrupoli e la fatica di arrivare alla meta collezionando un indizio dietro l’altro. Ad accompagnarlo c’è un curioso branco di 12 volpi che si rivelano determinanti nel reperire notizie utili al rintracciamento del rapito e nell’aiutare Beppino a dare ai pirati la lezione che si meritano.

Il racconto scritto e illustrato da Cecco Mariniello è avventuroso e serrato quel tanto che basta per tenere desto e sulle spine il lettore, incentivandone l’avanzamento tra le pagine. La ricerca di Camillo procede infatti a ritmo sostenuto e scandito dall’incontro con animali sempre diversi. Questo, unito alla brevità del racconto, alle frequenti e colorate immagini e alle caratteristiche di alta leggibilità tipiche della collana leggimi di Sinnos, fa di Dieci piccole volpi un bocconcino gustoso per bambini alle prime armi con la lettura autonoma, con o senza difficoltà legate alla dislessia.  Cecco Mariniello aggiunge inoltre alla sua storia avvincente uno spunto di riflessione importante sull’amicizia e sulla scuola: la prima si fa infatti  occasione per superare le differenze sociali e la seconda spicca come luogo eletto proprio per coltivare quel superamento.

Non è colpa della pioggia

Cape cod è una tranquilla località di villeggiatura balneare, uno di quei luoghi che stagionalmente cambia volto, i cui residenti si riconoscono dal modo di parlare e dalle caffetterie frequentate. Dalsie, gambe veloci e grande passione per i temporali, è una di loro: vive qui da sempre, cresciuta dai nonni fin da quando, piccolissima, la madre l’ha abbandonata per motivi di dipendenze. In un quartiere in cui tutti si conoscono e le cui storie familiari si intrecciano, Dalsie abita con la nonna e la aiuta con le pulizie alberghiere: lavoro che consente loro di vivere dignitosamente ma non senza qualche preoccupazione. Ogni anno la ragazzina attende con trepidazione l’estate che porta con sé la sua amica storica Brenda con cui da tempo immemore condivide piccoli riti, passioni e giochi.

Un anno, però, Brenda arriva e a sorpresa appare diversa, comportandosi in modo strano: i loro segreti sembrano non interessarle più e alla compagnia di Delsie preferisce quella di una nuova ragazza di nome Tressa tanto sicura di sé quanto prepotente. Dopo qualche goffo e doloroso tentativo di ritrovare il feeling perduto, Delsie fa i conti col fatto che esistono amicizie solide ed altre meno affidabili ma questo scombussolamento emotivo porta a galla altri tormenti interiori, fino ad allora sopiti: quello per l’abbandono della madre, in primis. Sarà l’incontro con un ragazzo nuovo del posto – Ronan – e la rete di sicurezza tessuta negli anni dalla famiglia di Delsie ad accompagnarla nell’occhio di questo ciclone emotivo fino a farle ritrovare una nuova prospettiva da cui godere di un tempo finalmente sereno.

Capace di scavare nei sentimenti con precisione chirurgica ed empatia rara, Lynda Mullaly Hunt ci offre un nuovo romanzo in cui la vita vera scalpita. Dentro Non è colpa della pioggia ci sono infatti le tante sfumature dell’amicizia, la fatica di crescere, i legami di sangue e quelli elettivi: temi cari all’autrice che già vi aveva dedicato attenzione in Una per i Murphy. Ci sono le mancanze e i “cosa avrebbe potuto essere se…”, il coraggio di essere quello che si è e la consapevolezza che non sono gli errori a definirci ma ciò che decidiamo di fare di loro. Quello edito da Uovonero è, insomma, un libro denso e avvincente, con tante cose da dire. Qui si affollano molti interrogativi e qualche risposta in cui i giovani lettori possono trovare rispecchiamento e forse conforto. L’autrice prende infatti di petto questioni che li toccano da vicino, qualunque sia la loro storia, e sa parlare loro con una schiettezza pacata che fa leva su immagini e metafore di grandissima efficacia. Questo, unito alle caratteristiche di alta leggibilità con cui il libro è stampato, ne fa una proposta di grande valore e appeal anche per quei ragazzi che dalla lettura faticano maggiormente a lasciarsi coinvolgere.

Il grande Nate e la lista smarrita

Benvenuto Nate! Protagonista di una serie di smilze avventure investigative marchiate USA di gran successo fin dagli anni ‘70, il personaggio creato da Marjorie Weinman Sharmat è approdato in Italia per i tipi de Il Barbagianni editore. Instancabile divoratore di pancake e serissimo conduttore di indagini taglia mignon, Nate è un tipetto ostinato e acuto, il cui sguardo sagace accompagna piacevolmente il lettore nella raccolta di indizi e nella risoluzione di piccoli misteri di quartiere. A commissionare le indagini sono perlopiù amici e compagni: gli stessi che immancabilmente finiscono nella lista dei sospetti interrogati dall’arguto Nate e dal suo fido segugio Fango!

I libri che compongono la collana offrono occasioni di lettura davvero ghiotte per bambini alle prese con le prime esperienze di lettura autonoma. A renderli perfetti per sostenere lettori poco esperti o con difficoltà di decodifica legate alla dislessia, concorrono non solo le caratteristiche di alta leggibilità (spaziatura, sbandieratura e font Easyreading, nella fattispecie) ma anche una sintassi semplice e lineare, uno stile agile e ironico, illustrazioni praticamente a ogni pagina e uno sviluppo narrativo abbordabile sia nella lunghezza che nella struttura. Il bambino si trova cioè di fronte dei libri che sorridono nella forma e che lo fanno sorridere nel contenuto, libri che fin dallo spessore e dall’aspetto della pagina offrono una sfida di lettura che non pare persa in partenza. La speranza è dunque che i numerosi titoli della collana americana vengano man mano tradotti, così come ad oggi è accaduto per Il grande NateIl grande Nate e la lista smarrita e (a breve) Il grande Nate e la falsa pista.

Il grande Nate è il primo volume della collana. Qui facciamo la conoscenza del protagonista, delle sue passioni e del suo professionalissimo metodo di lavoro. Per la prima volta lo vediamo alle prese con un’indagine: quella volta a scoprire che fine abbia fatto il disegno in cui la sua amica Annie ha ritratto l’amato cane Zanna. Saranno necessari interrogatori, scavi, raccolta di indizi e applicazione della teoria dei colori per scoprire che, come nel celebre racconto di Edgar Allan Poe, la soluzione del mistero può essere più vicina di quel che si creda.

Ne Il grande Nate e la lista smarrita il caso è altrettanto complesso. Claude, che agli smarrimenti non è nuovo, chiede infatti a Nate di aiutarlo a ritrovare la lista della spesa che ha perso. Dove l’abbia perduta e cosa ci fosse scritto Claude non sa dirlo con esattezza e per questo a Nate toccano percorsi a ritrovo, il coinvolgimento di testimoni e deduzioni che richiedono un certo fiuto, in tutte le accezioni del termine. A sorpresa sarà la smodata passione di Nate per i pancake a rivelargli la soluzione del caso regalando al lettore un finale (più o meno) appetitoso!

 

Il grande Nate

Benvenuto Nate! Protagonista di una serie di smilze avventure investigative marchiate USA di gran successo fin dagli anni ‘70, il personaggio creato da Marjorie Weinman Sharmat è approdato in Italia per i tipi de Il Barbagianni editore. Instancabile divoratore di pancake e serissimo conduttore di indagini taglia mignon, Nate è un tipetto ostinato e acuto, il cui sguardo sagace accompagna piacevolmente il lettore nella raccolta di indizi e nella risoluzione di piccoli misteri di quartiere. A commissionare le indagini sono perlopiù amici e compagni: gli stessi che immancabilmente finiscono nella lista dei sospetti interrogati dall’arguto Nate e dal suo fido segugio Fango!

I libri che compongono la collana offrono occasioni di lettura davvero ghiotte per bambini alle prese con le prime esperienze di lettura autonoma. A renderli perfetti per sostenere lettori poco esperti o con difficoltà di decodifica legate alla dislessia, concorrono non solo le caratteristiche di alta leggibilità (spaziatura, sbandieratura e font Easyreading, nella fattispecie) ma anche una sintassi semplice e lineare, uno stile agile e ironico, illustrazioni praticamente a ogni pagina e uno sviluppo narrativo abbordabile sia nella lunghezza che nella struttura. Il bambino si trova cioè di fronte dei libri che sorridono nella forma e che lo fanno sorridere nel contenuto, libri che fin dallo spessore e dall’aspetto della pagina offrono una sfida di lettura che non pare persa in partenza. La speranza è dunque che i numerosi titoli della collana americana vengano man mano tradotti, così come ad oggi è accaduto per Il grande Nate, Il grande Nate e la lista smarrita e (a breve) Il grande Nate e la falsa pista.

Il grande Nate è il primo volume della collana. Qui facciamo la conoscenza del protagonista, delle sue passioni e del suo professionalissimo metodo di lavoro. Per la prima volta lo vediamo alle prese con un’indagine: quella volta a scoprire che fine abbia fatto il disegno in cui la sua amica Annie ha ritratto l’amato cane Zanna. Saranno necessari interrogatori, scavi, raccolta di indizi e applicazione della teoria dei colori per scoprire che, come nel celebre racconto di Edgar Allan Poe, la soluzione del mistero può essere più vicina di quel che si creda.

Ne Il grande Nate e la lista smarrita il caso è altrettanto complesso. Claude, che agli smarrimenti non è nuovo, chiede infatti a Nate di aiutarlo a ritrovare la lista della spesa che ha perso. Dove l’abbia perduta e cosa ci fosse scritto Claude non sa dirlo con esattezza e per questo a Nate toccano percorsi a ritrovo, il coinvolgimento di testimoni e deduzioni che richiedono un certo fiuto, in tutte le accezioni del termine. A sorpresa sarà la smodata passione di Nate per i pancake a rivelargli la soluzione del caso regalando al lettore un finale (più o meno) appetitoso!

 

Camping

Il bello del campeggio è che spesso si trasforma in una vacanza allargata. La vicinanza fisica, la condivisione degli spazi e il favore della vita all’aperto, facilitano l’incontro e la conoscenza tra sconosciuti. Così, dopo un giorno o poco più, i vicini di piazzola paiono amici di sempre e i volti che si incrociano tra le docce e la piscina assumono un tratto decisamente familiare. Allo stesso modo, i personaggi di Camping, che in un campeggio è per l’appunto ambientato, non sono stringono amicizie tra l’inizio e la fine del racconto (rigorosamente privo di parole) ma fin dalla seconda pagina risultano del tutto riconoscibili al lettore.

Dalla famiglia piratesca munita di bandana al nonno baffuto in vacanza col nipote, dal giovane in compagnia di un bel cagnone nero alla famiglia con minuscolo bebè al seguito, ogni figura ritratta da Eilika Mühlenberg è ben caratterizzata e facilmente identificabile nonostante i cambi d’abito che la vita di lago impone. Cercarli e ritrovarli ogni volta che una pagina viene voltata assume così i contorni di un divertimento ricco di soddisfazione. Il lettore è infatti implicitamente invitato a seguire le storie individuali che si sviluppano intorno alla storia principale: quella che vede una folata di vento portare via un grosso coccodrillo gonfiabile, rincorso in ogni angolo del campeggio dagli indefessi proprietari.

Il libro assume così i contorni di un wimmelbuch, anche se le figure che lo compongono appaiono in realtà più grandi del consueto con un effetto forse all’occhio meno brulicante. E come in ogni wimmelbuch che si rispetti, ogni quadro che corrisponde a una doppia pagina è godibile nella sua individualità prima ancora che nella nel suo far parte di una sequenza narrativa. Qui ci si può infatti soffermare a lungo per cogliere dettagli minimi, riconoscere attività note a chi ha già potuto assaporare il campeggio, e magari ipotizzare piccoli risvolti narrativi di singole situazioni dipinte: tutti indugi di cui possono beneficiare anche bambini con maggiori difficoltà – per età o abilità – a godere a pieno della narrazione nella sua complessità e da cui possono derivare incentivi interessanti alla verbalizzazione, anche laddove questa risulti lacunosa.

E come in ogni wimmelbuch che si rispetti, accade anche un’altra cosa speciale: il piccolo si fa grande, sia fuori sia dentro il libro. Da un lato, infatti, i lettori più giovani possono riconoscersi autonomi nella lettura di Camping e possono farsi condottieri in una lettura condivisa con l’adulto. E dall’altro, i particolari e i personaggi apparentemente più minuti e insignificanti del libro, divengono a conti fatti le vere superstar. È il caso degli animali che popolano le pagine – il castoro che vaga per il campeggio, la tartaruga che accompagna l’uomo in rosso o l’anatra che si atteggia a cliente abituale, per esempio – o del mitico nanetto da giardino che tutto pare fuorché inanimato. Sono loro, infatti, gli attori più curiosi del libro, quelli che vien subito voglia di cercare e che, anche grazie alle ridotte dimensioni, richiedono un occhio più attento che mai. Le loro storie mignon salgono così alla ribalta mostrando bene come il baricentro di lettura di un silent book come Camping sia mobile e si calibri sul singolo lettore, accogliendone con una certa flessibilità le specifiche esigenze.

Fiori di città

Il potere inclusivo di un silent book, la scansione ritmata di un fumetto, il dinamismo coinvolgente di un’animazione: Fiori di città è un albo ricco e bellissimo, capace di attraversare linguaggi diversi, coglierne le rispettive cifre e impastarle in una narrazione originale e dai molteplici livelli di lettura.

Protagonista del libro firmato da JonArno Lowson e Sydney Smith è una bambina ripresa tra le strade di città nel suo tragitto verso casa. Avvolta in un grazioso giacchetto rosso, la bambina spicca su uno sfondo perlopiù in bianco e nero con una vivacità cromatica che riflette una pari vivacità di sguardo. Mentre l’adulto – presumibilmente il papà – che la accompagna appare infatti un po’ distaccato e mosso da una certa fretta, la bambina presta minuziosa attenzione alle sorprese che il paesaggio urbano può offrire.

È un’esplorazione piacevolmente meravigliata la sua, disseminata di incontri che solleticano i diversi sensi, che richiedono minime pause e che non mancano di regalare un piccolo tesoro. Tra la curiosità per un tatuaggio vistoso, il dialogo muto con un gatto in vetrina, il fascino segreto per una statua orientale, la piccola coglie qua e là i fiori che spuntano dal marciapiede o dai muri, confezionando un delizioso mazzetto che man mano e con spontanea generosità distribuisce tra le diverse creature che incontra: piccioni defunti, signori addormentati sulla panchina, cani al guinzaglio e infine genitori e fratelli. I fiori che raccoglie diventano così minuscoli e potenti omaggi alla vita, in tutte le sue sfumature e componenti (morte compresa), e proprio man mano che essi vengono condivisi, il paesaggio riacquista colore restituendo alla quotidianità una bellezza semplice che merita di essere riconosciuta.

L’uso che l’illustratore fa del colore è in questo senso davvero straordinario. Il progetto cromatico che anima il libro evidenzia infatti il focus delle diverse scene, ciò che cattura l’attenzione della bambina e che fa muovere il racconto, suggerisce affinità di spirito tra i personaggi e dà voce a una dimensione emotiva in continua evoluzione. Supportato da un impiego altrettanto efficace di zoom, inquadrature, ombre e riflessi, rende la narrazione estremamente ricca e concorre a guidare con discrezione il lettore nella decodifica delle immagini. Dense di senso e sfumature che non necessitano di testo per affiorare, le illustrazioni di Fiori di città si prestano a offrire un’occasione di lettura piena e appagante anche a tanti lettori le cui difficoltà di decodifica della parola scritta – legate per esempio alla dislessia o alla sordità – non inficiano in alcun modo le abilità cognitive e immaginative. D’altro canto, i passaggi molto lineari da un quadro all’altro consentono anche a ragazzi che più facilmente si smarriscono di fronte alla necessità di compiere inferenze, di avventurarsi in questa speciale esplorazione urbana al fianco della bambina protagonista. Moderna Cappuccetto Rosso in un bosco di città,  questa ci svela che lo scostamento dalla via più dritta vero casa non porta solo pericoli ma anche doni di rara bellezza.

Passeggiata col cane

Metti che un bambino porti a spasso il cane: aggancia il pelosone al guinzaglio, saluta la nonna e si avvia per la viuzza di paese. Tutto nella norma, il giretto si prospetta ordinario. Ma poi… ma poi il bambino sale su un trenino che sbuffa denso fumo grigio e sale lungo binari verticali e lì ti accorgi che la sua Passeggiata col cane probabilmente sarà tutto tranne che nella norma e ordinaria.

A partire dalla seconda pagina del silent book firmato da quel visionario di Sven Nordqvist, infatti, il viaggio del bambino e del suo gigante di pelo bianco, prende direzioni inattese e insieme a loro ci si trova catapultati in mondi stupefacenti che mettono letteralmente in discussione ogni certezza sulla realtà e sulla sua rappresentazione. Tutto, tutto, ma proprio tutto ciò che i due protagonisti incontrano manifesta uno scarto rispetto al reale: nell’aspetto, nelle dimensioni, nelle proporzioni, nelle funzioni, nei ruoli, o nell’osservanza delle leggi fisiche. Ricci giganti al guinzaglio di anziani barbuti, jazziste mastodontiche che allietano cagnolini, caprette che trasportano cartonati di nobili settecenteschi, animali fantastici che sparano con le cerbottane, topi che colgono mirtilli in sella a libellule o ometti a bordo di baguette non sono che la centesima parte delle invenzioni messe su carta dall’autore svedese secondo una logica interna sottile, decisamente sfuggente, ma tutt’altro che assente.

Il lettore ha quindi il suo bellissimo da fare nel cogliere e nel godere di questo scarto, capace di generare una continua sorpresa. Ma come se questa carica inventiva non bastasse, l’autore ne moltiplica l’effetto distribuendo le sue figure stranianti e strabilianti all’interno di quadri affollatissimi che pullulano letteralmente di dettagli. Ogni pagina è piena e densissima ma non si trova nemmeno un centimetro che sia riempito a caso, con un mero scopo decorativo. E questo mette il lettore in una posizione impegnativa ma esaltante, sollecitato senza posa a notare, scoprire e mettere in relazione elementi, lasciandosi travolgere da tanta ingegnosa bellezza. E ancora: scene e personaggi sottendono decine di citazioni popolari e colte che spaziano dall’arte alla letteratura, dal cinema alla storia, il che amplifica quella sensazione di tensione continua tra familiare ed estraneo che avvolge il lettore a lo porta perdersi e ritrovarsi più e più volte.

Alla luce di questo, leggere Passeggiata col cane diventa un’esperienza da capogiro. La sfida costante al riconoscimento e al discostamento da una realtà nota, il brulicare di figure, la fitta trama di rimandi interni ed esterni al libro e la surrealtà poetica delle diverse situazioni dipinte chiedono a gran voce un tempo lento di esplorazione e un numero di letture che non può essere uguale a uno per dirsi pienamente soddisfatto. E questo concorre a rendere il libro un amico straordinario con il quale dialogare a fondo e a lungo, senza mai esaurire domande e ipotesi narrative.

L’assenza di testo, in questo senso, appare più che calzante e sostiene al meglio il personalissimo viaggio di ogni lettore. Difficile è, infatti, immaginare parole che non siano briglia per una tale ricchezza visiva e per l’inafferrabile mistero che la anima, la cui interpretazione è tacitamente rimessa e anzi incoraggiata alla fantasia di ciascuno. Ogni angolo di Passeggiata col cane suggerisce la latenza di microstorie autonome o connesse tra loro che possono prendere direzioni molto diverse in base alla sensibilità, al bagaglio culturale e all’immaginazione di chi vi si pone di fronte. Ecco allora che il volume, di per sé meraviglioso e irresistibile, appare ancor più prezioso per tutti quei lettori che vedono nel libro un potenziale nemico essenzialmente perché faticano di fronte allo scritto ma che nelle figure e nelle storie da esse veicolate, anche quelle più complesse e sovversive rispetto al reale, riconoscono una possibilità di immersione appagante. Anche e soprattutto per loro, Passeggiata con il cane, con la sua esplosione caleidoscopica di mini-narrazioni dipinte, dice microscopicamente bene che il piacere della lettura può anche essere molto silenzioso.

Io non sono sola

Giulia ha poco più di una manciata d’anni ma di una cosa è già più che certa: “Quando i grandi vi rispondono “Vediamo”, stanno solo prendendo tempo prima di rifilarvi un bel… NO”. La convinzione, maturata nel tempo a suon di cuccioli e maschere di carnevale richiesti e mai ottenuti, attende l’ennesima scontata conferma ora che Giulia ha appena avuto una sorellina – Anita – e che tutta in famiglia sembra ruotare intorno a lei. “Vediamo”, è infatti la risposta della mamma quando Giulia le chiede speranzosa se per Natale andranno comunque in montagna, come di consueto, insieme a Giulia, a Toni e alle loro famiglie. È un appuntamento che Giulia aspetta tutto l’anno ma… Vediamo, perché la mamma deve riposare, Anitina ha un mucchio di esigenze, in montagna fa troppo freddo per un neonato… insomma, la solfa è nota. E così Giulia, indispettita da questa prospettiva, inizia a vedere non troppo di buon occhio quella sorellina inattesa, complici anche tutti quegli adulti che non la piantano di ripeterle quanto debba essere contenta di non sentirsi più sola. Sarà un Vediamo dall’esito insospettabile ad aprire, per Giulia, una possibilità di considerare la piccola Anitina con sguardo più conciliante e di scoprire che per apprezzare la compagnia di qualcuno non si ci deve necessariamente prima sentire soli.

Io non sono sola è un racconto breve adatto a bambini che iniziano a mollare un po’ da soli gli ormeggi della lettura. Ironico e a tratti impertinente, il testo di Mila Venturini risulta godibile ben al di là della questione della nascita di un fratellino che più che un tema appare qui come un motore narrativo. Supportato da illustrazioni frequenti, sorridenti e capaci di restituire la disordinata complessità di pensiero e di azione dell’infanzia, Io non sono sola può contare inoltre su caratteristiche di alta leggibilità che lo rendono una lettura più amichevole anche in caso di dislessia.

La torre fantasma

Ci vuole fegato per avventurarsi nei dintorni della Torre Fantasma. E ancor di più ce ne vuole per farlo di notte. La torre è infatti un luogo spettrale e diroccato che da tempo immemore incombe, ben piantata in cima alla collina, sul villaggio in cui vivono Ryan e Meg. Ma ai due amici il fegato non manca – quantomeno a Meg, Ryan perlopiù si adegua per non sfigurare – e così una sera, al calar della notte, i due decidono di sgattaiolare fuori di casa e andare a caccia di fantasmi nei pressi della torre. Quello che nasce come un gioco si trasforma ben presto in qualcosa di serio e importante, che richiede ai due protagonisti un grande impegno civico in prima persona. Le esplorazioni notturne di Ryan e Meg saranno infatti determinanti per convincere il Comune a non abbattere la Torre, preservandone così il prezioso (ed enigmatico!) contenuto e con esso il suo elettrizzante alone di mistero.

Smilzo e intrigante, La torre fantasma propone un racconto breve e facilmente abbordabile anche da parte di lettori riluttanti o con maggiori difficoltà di lettura fluida. Serrato nel ritmo e nei dialoghi, il testo di Gillian Cross presenta caratteristiche di alta leggibilità che coinvolgono sia l’aspetto tipografico, con font biancoenero, spaziatura maggiore e sbandieratura a destra, sia quello sintattico, con frasi perlopiù brevi e brevissime, struttura prevalentemente lineare, dialoghi attribuiti esplicitamente e lessico quotidiano.

LeggiXme

LeggiXme può essere definito come un software compensativo per le difficoltà nella lettura, nella scrittura e nel calcolo adatto a ragazzi con disturbi dell’apprendimento. In realtà, è attualmente il più valido progetto di software con strumenti compensativi gratuito e sempre aggiornato, grazie all’instancabile lavoro del suo sviluppatore, Giuliano Serena. Non è assolutamente un fattore di poco conto, anzi. Usare LeggiXme permette di approcciarsi alla sintesi vocale e alla creazione di mappe concettuali con uno strumento semplice ed essenziale, ma valido, permettendo ai ragazzi di provare con un unico programma due strategie di metodo di studio diverse: una maggiormente verbale (l’ascolto del testo con la sintesi vocale) e una maggiormente visiva (la creazione di mappe concettuali).

E’ quindi un programma utile sia come editor di un testo, sia come strumento di sintesi vocale, sia come editor di mappe concettuali.

È possibile ascoltare il testo o parte del testo digitando i tasti “play” e “stop”. Inoltre l’utente può aumentare o diminuire la velocità di riproduzione delle frasi o del testo e cambiare voce. Alcune voci di riproduzione sono a pagamento, altre sono gratuite. Si può impostare la riproduzione per sillabe, oppure far fare lo spelling di una frase o di un testo.

E’ possibile modificare, inserire i disegni, cambiare il carattere di ciò che è stato scritto. L’utente può evidenziare delle frasi o delle parole con colori diversi. Nella parte destra della schermata sono elencati gli errori ortografici con una lista di suggerimenti per modificare le parole oppure con la possibilità di aggiungere le parole non riconosciute dal sistema, come se fossero dei neologismi.

Il software ha la capacità di leggere anche i numeri, è presente la funzione “sinonimi e contrar”. E’ presente la funzione per ingrandire.

Si può evidenziare una parola o una parte di un testo anche in base ai propri obiettivi. È un editor di testo per cui consente di far riassunti e mappe interattive.

Traduzione di parole dall’inglese all’italiano (funzione disponibile solo se è presente una connessione internet). Si possono anche raggruppare i concetti in dei gruppi e catalogarli con numeri e colori diversi. Si possono importare file pdf, jpeg o in altri formati.

La sintesi vocale può essere utilizzata anche per la lettura di testi direttamente su internet, dopo aver fatto una ricerca su internet per esempio.

Il software si presenta come un programma completo e intuitivo, adatto per gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento. I punti di forza sono rappresentati dal controllo ortografico, dalla possibilità di importare altri file (pdf, jpeg etc.) e dallo strumento di elaborazione di mappe concettuali interattive.

Cibo, ragazze e tutto quello che non posso avere

Se l’estate dei suoi 15 anni avessero detto a Andy che giusto qualche mese più tardi sarebbe diventato un campione popolare di football, circondato di amici e capace di chiedere a una ragazza di uscire, a stento avrebbe potuto crederci. Abituato a fare di tutto pur di non farsi notare – cosa piuttosto difficile visti i suoi 140 kg – e a mantenere un basso profilo per evitare prese in giro e bullismo, il protagonista del bel romanzo di Allen Zadoff si considera lontano anni luce dalla possibilità di cambiare il suo modo di guardarsi e di essere guardato. E invece qualcosa di inaspettato succede nella sua vita, scolastica e non. Complici il desiderio di far colpo su April e un posto vacante nel ruolo di centro nella squadra della scuola, Andy inizia ad allenarsi con O. e gli altri ragazzi del football, sperimentando la carica dello spirito di squadra, l’ebrezza della notorietà e il coraggio che può venire dalla loro combinazione E poco importa se una serie di incontri e opportunità apparentemente fuortuiti si rivelano essere precise mosse di un piano di cui Andy non è che una pedina. A lui spetterà comunque il guadagno più grande: la spinta necessaria a uscire dalla propria comfort zone, una maggiore capacità di ascoltarsi e una consapevolezza del tutto nuova di sé. Esattamente quello che gli serve per chiedersi chi davvero voglia essere e come possa diventarlo.

Straordinariamente vicino alle frequenze adolescenziali, Cibo, ragazze e tutto quello che non posso avere è un romanzo young adult che sa muoversi con grande naturalezza tra la leggerezza frivola di questa età e la pesantezza granitica dei cambiamenti che essa reca con sé.  Molto credibili nei pensieri e dei dialoghi, Andy e i personaggi che lo circondano – dai genitori in crisi, alla sorella con abitudini alimentari opposte alle sue, dall’amico storico con cui condivide le simulazioni ONU alla variegata gamma di compagni di scuola – danno vita a una storia tanto coinvolgente quanto capace di sedimentare. Scorrevole e ben ritmato, oltre che stampato con le caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono la produzione di Biancoenero, il romanzo di Allen Zadoff sembra cucito apposta per incentivare la lettura anche da parte dei ragazzi meno motivati o con difficoltà legate alla dislessia. Carta vincente, in questo senso, è l’invidiabile ironia che l’autore regala al suo protagonista, rendendolo immediatamente familiare e capace di restituire vissuti complessi senza cedere di un millimetro al vittimismo.

Il sogno di Martin

Ci sono figure storiche la cui forza, il cui carisma e la cui storia sono a dir poco ammalianti ed emblematici, e che in quanto tali meritano di arrivare alle orecchie e all’immaginario dei ragazzi. A loro dedica un’attenzione speciale una collana di biografie proposta da Coccole Books e curata da autori diversi: una collana che ha il pregio di mettere in luce il lato squisitamente umano di personaggi che potrebbero apparire distanti dai più giovani, anche solo per ragioni anagrafiche, e che invece approdano su carta con tutta la loro iconicità. Si va da Gianni Rodari a Wangari Maatha, da papa Francesco a Muhammad Alì: profili, esperienze e contesti molto variegati e di grande impatto.

Tutti i volumi che ne fanno parte presentano il font ad alta leggibilità Testme di più agevole lettura anche in caso di dislessia.

Uno di questi volumi – Il sogno di Martin – è dedicato alla figura di Martin Luther King. Il simbolo della lotta pacifica contro il razzismo e per l’uguaglianza dei diritti viene ritratto attraverso alcuni momenti particolarmente significativi della sua vita: da quando ancora ragazzo si ribella a un episodio di discriminazione razziale sul bus a quando vince il premio Nobel per la pace, da quando riesce a portare a Washington 250.000 persone e pronuncia il suo celebre discorso a quando viene ucciso a Memphis in una delle fasi più delicate della sua battaglia non-violenta.

Il libro di Dino Ticli non propone una fotografia dettagliata e puntigliosa dell’intera biografia di Martin Luther King ma preferisce concentrarsi su alcuni momenti, ben scelti e descritti, capaci di restituire ciò che più conta: la forza rivoluzionaria delle sue idee, il valore morale delle sue scelte, la capacità rara di contagiare positivamente le persone intorno a sé così da rendere la lotta indipendente dalla sua figura. E in questo senso appare efficace e apprezzabile la scelta fatta dall’autore di intervallare gli episodi narrati con altrettanti racconti che vedono dei protagonisti diversi dal pastore di Atlanta, distanti da lui sia temporalmente sia geograficamente, ma profondamente vicini ai suoi insegnamenti o capaci di farci cogliere l’estrema attualità e trasversalità di questi ultimi. C’è, per esempio, la storia di Sankar, che in India si mobilità per cambiare il suo destino e quello di tanti bambini del luogo, dalit come lui; c’è la storia di Aziz che sperimenta sulla sua pelle come l’odio tra israeliani e palestinesi vacilli se messo alla prova degli affetti personali; e c’è la storia di Azibo che dall’Africa riesce ad arrivare in Italia, dopo un viaggio terrificante in cui l’umanità appare soffocata e calpestata in molti modi.  Storie multiformi e diversissime con un comune denominatore: la consapevolezza che la battaglia per i diritti non si è interrotta a Memphis nel 1968, che tanta strada ancora e in tanti luoghi c’è da fare e che la forza di una figura come Martin Luther King sta proprio in un messaggio che ha germogliato ovunque e ancora continua a germogliare.

Se la scelta di Dino Ticli complica un poco, da un lato, il compito del lettore di seguire lo sviluppo narrativo, ha dall’altro il merito di rendere omaggio al protagonista del libro, nella maniera più fedele possibile al messaggio da questi lanciato e difeso a costo della vita.

Fiori!

Colori vivissimi, forme essenziali, tratto scarabocchiato: Fiori! Forme! dichiarano a gran voce la loro gioiosa tulletitudine! La cifra di Hervé Tullet è infatti inconfondibile tra le pagine a leporello di questi due cartonati sgargianti che invitano mani e occhi curiosi a un’esplorazione multiforme.

Il primo – Fiori! – presenta da un lato e dall’altro del leporello una sequenza di fiori variegati nelle forme e nei colori. A tutta pagina e su sfondo bianco, questi sono contraddistinti da forme minime e tratti diversi: punti, cerchi, linee sottili o contorni spessi. Al centro di ciascuno, fatto salvo per il fiore in chiusura che contiene uno specchio, si trova un foglio spesso di plastica colorata e semitrasparente che trasforma una piacevole carrellata floreale in un’occasione stupefacente di scoperta e sperimentazione tattile, cromatica e luminosa.

Con effetti analoghi con principi compositivi differenti, Forme! propone una sequenza di pagine con motivi a righe colorate su sfondo bianco da un lato e pagine a sfondo multicolore dall’altro. Giocate sui tre colori primari, le pagine presentano intagli geometrici sempre diversi per posizione, dimensione e forma – tondi, quadrati, rettangolari e romboidali – che offrono alle piccole dita pertugi perfetti per una perlustrazione curiosa, per inquadrature insolite di panorami, oggetti e persone, per giochi di combinazione e sovrapposizione e per creazioni suggestive di ombre.

Parola d’ordine: libertà. Fiori! e Forme!, più ancora di altri libri di Tullet che già favorivano una dinamica ludica, offrono al lettore un invito a interagire in maniera assolutamente svincolata, attiva e personale con gli stimoli offerti dai volumi. Non solo questi non prevedono né parole né tracce narrative vere e proprie, ma presentano una struttura fisica che li predispone a una lettura imprevedibile e giocosa, all’interno della quale sono l’intraprendenza, la curiosità e le scelte del lettore – dove il libro viene collocato, in che posizione ci si sistema per leggerlo, se la lettura avviene in solitaria o in compagnia e così via… –  a fare la differenza, a modificare il contenuto, a dare vita a possibilità diverse.

E questo li rende particolarmente preziosi anche per un pubblico con disabilità, cognitiva o comunicativa soprattutto, che può trovare nei libri tradizionali una rigidità di fruizione scoraggiante. Grazie anche alla solidità garantita dalle pagine cartonate e dalla struttura a leporello, che consentono ai libri di reggersi in piedi senza alcun supporto, Fiori! e Forme! restituiscono un valore speciale all’autonomia di lettura, facilitata anche in caso di difficoltà di sfogliatura, e alla possibilità di prendersi un tempo proprio in cui lasciarsi sorprendere dalle scoperte che l’incontro con le pagine può generare.

Cosa succede se le pagine di Fiori! incontrano la luce diretta del sole? E se due trasparenze colorate si sovrappongono? E cosa accade, invece, se si guarda un oggetto attraverso le fustellature di Forme!? E se si lascia che esse generino un’ombra? Ogni volume racchiude domande segrete e indefinite, non scritte e non poste, che sta al bambino decidere se indagare, in base a quel che l’esplorazione visiva e tattile gli suggerirà. Molto vicini nel concept a quella meraviglia progettuale che è Coucou di Lucie Félix,  edito  in Francia da Les grandes Personnes, Fiori! e Forme! imboccano un sentiero proprio, forse meno orientato ad attivare una relazione tra due lettori o tra un lettore e un mediatore e più propenso a solleticare l’interazione con le pagine stesse e con l’ambiente circostante.

Fori e trasparenze fanno leva sulla semplicità delle forme e dei colori, favorendo così un’indagine spontanea e poco condizionata, capace di rispondere a bisogni di complessità differenti. Non a caso i due libri, che certo nascono per soddisfare le esigenze di lettura di bambini piccolissimi – anche al di sotto dell’anno di età – risultano assolutamente irresistibili anche per bambini decisamente più grandi, per esempio di età prescolare.

Forme!

Colori vivissimi, forme essenziali, tratto scarabocchiato: Fiori! Forme! dichiarano a gran voce la loro gioiosa tulletitudine! La cifra di Hervé Tullet è infatti inconfondibile tra le pagine a leporello di questi due cartonati sgargianti che invitano mani e occhi curiosi a un’esplorazione multiforme.

Il primo – Fiori! – presenta da un lato e dall’altro del leporello una sequenza di fiori variegati nelle forme e nei colori. A tutta pagina e su sfondo bianco, questi sono contraddistinti da forme minime e tratti diversi: punti, cerchi, linee sottili o contorni spessi. Al centro di ciascuno, fatto salvo per il fiore in chiusura che contiene uno specchio, si trova un foglio spesso di plastica colorata e semitrasparente che trasforma una piacevole carrellata floreale in un’occasione stupefacente di scoperta e sperimentazione tattile, cromatica e luminosa.

Con effetti analoghi con principi compositivi differenti, Forme! propone una sequenza di pagine con motivi a righe colorate su sfondo bianco da un lato e pagine a sfondo multicolore dall’altro. Giocate sui tre colori primari, le pagine presentano intagli geometrici sempre diversi per posizione, dimensione e forma – tondi, quadrati, rettangolari e romboidali – che offrono alle piccole dita pertugi perfetti per una perlustrazione curiosa, per inquadrature insolite di panorami, oggetti e persone, per giochi di combinazione e sovrapposizione e per creazioni suggestive di ombre.

Parola d’ordine: libertà. Fiori! e Forme!, più ancora di altri libri di Tullet che già favorivano una dinamica ludica, offrono al lettore un invito a interagire in maniera assolutamente svincolata, attiva e personale con gli stimoli offerti dai volumi. Non solo questi non prevedono né parole né tracce narrative vere e proprie, ma presentano una struttura fisica che li predispone a una lettura imprevedibile e giocosa, all’interno della quale sono l’intraprendenza, la curiosità e le scelte del lettore – dove il libro viene collocato, in che posizione ci si sistema per leggerlo, se la lettura avviene in solitaria o in compagnia e così via… –  a fare la differenza, a modificare il contenuto, a dare vita a possibilità diverse.

E questo li rende particolarmente preziosi anche per un pubblico con disabilità, cognitiva o comunicativa soprattutto, che può trovare nei libri tradizionali una rigidità di fruizione scoraggiante. Grazie anche alla solidità garantita dalle pagine cartonate e dalla struttura a leporello, che consentono ai libri di reggersi in piedi senza alcun supporto, Fiori! e Forme! restituiscono un valore speciale all’autonomia di lettura, facilitata anche in caso di difficoltà di sfogliatura, e alla possibilità di prendersi un tempo proprio in cui lasciarsi sorprendere dalle scoperte che l’incontro con le pagine può generare.

Cosa succede se le pagine di Fiori! incontrano la luce diretta del sole? E se due trasparenze colorate si sovrappongono? E cosa accade, invece, se si guarda un oggetto attraverso le fustellature di Forme!? E se si lascia che esse generino un’ombra? Ogni volume racchiude domande segrete e indefinite, non scritte e non poste, che sta al bambino decidere se indagare, in base a quel che l’esplorazione visiva e tattile gli suggerirà. Molto vicini nel concept a quella meraviglia progettuale che è Coucou di Lucie Félix,  edito  in Francia da Les grandes Personnes, Fiori! e Forme! imboccano un sentiero proprio, forse meno orientato ad attivare una relazione tra due lettori o tra un lettore e un mediatore e più propenso a solleticare l’interazione con le pagine stesse e con l’ambiente circostante.

Fori e trasparenze fanno leva sulla semplicità delle forme e dei colori, favorendo così un’indagine spontanea e poco condizionata, capace di rispondere a bisogni di complessità differenti. Non a caso i due libri, che certo nascono per soddisfare le esigenze di lettura di bambini piccolissimi – anche al di sotto dell’anno di età – risultano assolutamente irresistibili anche per bambini decisamente più grandi, per esempio di età prescolare.

Coucou (Francia)

Quando si parla di libri accessibili, si pensa principalmente a libri che rendono il testo e/o le immagini fruibili anche in caso di disabilità: libri che presuppongono, cioè, la presenza di una storia – raccontata con parole e/o con illustrazioni – e la possibilità di allargarne l’accesso a un pubblico più ampio grazie all’adozione di diversi codici, adattamenti strutturali o accorgimenti di stampa. Questo lascerebbe pensare che laddove non ci sia una storia non abbia senso parlare di libro e tantomeno di lettura accessibile, ma i libri-gioco ci hanno da tempo insegnato che questa visione non è del tutto esaustiva. Esistono infatti libri che richiedono di essere agiti per essere soddisfatti, che richiedono di mettere in campo modalità di interazione con la pagina differenti, che mettono in discussione l’essenzialità del testo o delle immagini per dare vita a un qualche tipo di narrazione. Quest’ultima può nascere insomma su iniziativa del lettore, a partire da una serie di stimoli offerti dal libro, può dipanarsi e compiersi in una forma che risulta più fisica del consueto.

Esattamente in questo filone e nel centro di questa riflessione piomba nel 2018 un libro straordinario pubblicato dall’editore francese Éditions des Grandes Personnes. Il libro si intitola Coucou ed è frutto dell’intelligente e visionario lavoro della progettista Lucie Félix. Realizzato in forma di leporello in cartone abbastanza spesso da reggersi agevolmente in piedi da solo, il libro si compone di 6 pagine, da un lato su sfondo bianco e dall’altro su sfondo nero. Ciascuna è contraddistinta da poche e semplicissime forme geometriche intagliate e riempite di un foglio di plastica trasparente o colorata, a tinta unita o con motivi elementari (puntini o righe). Così realizzato, Coucou si presta a molteplici possibilità d’uso: possibilità all’interno delle quali il movimento e la posizione – del libro e/o del lettore – costituiscono delle variabili interessanti. Coucou può solleticare osservazioni e scoperte variegate che coinvolgono giochi di luce, sovrapposizioni di forme e colori, contorni da seguire col dito. Può farsi rifugio, percorso, cornice e filtro, in un gioco che può rinnovarsi senza posa da una volta all’altra.

Come evocato dal titolo stesso, Coucou è un invito a una sorpresa da condividere, una rivisitazione di un gioco intramontabile da cui scaturisce una minuscola magia, che qui si arricchisce di nuove e sorprendenti sfumature. Attraverso il libro di Lucie Félix è possibile e bello cercarsi, guardarsi, scoprirsi e riscoprirsi. È possibile fare tutto questo e farlo in molti modi, nessuno dei quali codificato. Coucou si presenta dunque, prima di tutto come un preziosissimo strumento di relazione: un mediatore versatile e gioioso grazie al quale tessere sottilissimi fili personali e instaurare un legame anche laddove sembrerebbe complicato. Pensiamo per esempio ai bambini con disabilità grave, comunicativa, intellettiva e/o motoria, rispetto ai quali l’editoria parrebbe perlopiù offrire opportunità inservibili. Anche in questi casi un libro progettato in maniera così fine, minimale ed eclettica come Coucou può aprire delle possibilità, schiudere degli spiragli. Chiave di questo delicato processo è senz’altro la scelta e l’uso accorto di figure essenziali: cerchi, quadrati, rettangoli e via dicendo. Forme e non oggetti, insomma, che possono più agevolmente essere riempite di contenuto e di significato, diventando vive proprio grazie alla dinamica ludica e relazionale che attivano.

Se Coucou è dunque un libro speciale per molte ragioni, questa capacità di offrire una base per costruire una comunicazione intima anche in situazioni di difficoltà più marcata lo rende particolarmente prezioso e ne fa un autentico esercizio di libertà. Per tutti.

Buh!

Tre maiali in fuga e un lupo affamato: fin dalla copertina, il richiamo di Buh! alla storia dei tre porcellini è chiaro, chiarissimo. Eppure chi pensa di trovare tra queste pagine cartonate l’ennesima versione della nota fiaba si sbaglia di grosso. I personaggi sono sì gli stessi ma ciò che li attende è davvero inatteso, soprattutto se si considera che l’autore di Buh!  – il francese François Soutif – interpreta con grande maestria la preziosa lezione di Susy Lee circa la possibilità di trasformare le componenti fisiche del libro in una parte integrante della storia.

Non a caso, infatti, l’autore distingue fin da subito cromaticamente la pagina in cui compare il lupo già munito di posate e bavaglio a quadri (a sfondo arancione) da quella giusto a fianco che ospita i porcellini intenti a scappare (a sfondo giallo). La distinzione, apparentemente poco significativa, rivela tutta la sua forza narrativa poco più avanti, quando il lupo, quasi arrivato ad agguantare le sue prede, si schianta inaspettatamente contro la linea che separa le due pagine. Quello schianto è un colpo di scena è 360°: lo è per il lupo, che si ritrova dolorante e senza qualche dente; lo è per i porcellini, che si voltano indietro increduli e stupiti; e lo è per il lettore, abituato al fatto che una doppia pagina di questo tipo costituisca un continuum senza interruzioni (come ci insegna, per l’appunto, Suzy Lee in quel saggio meraviglioso che è La Trilogia del limite).

Giusto il tempo di riprendersi dalla sorpresa e il racconto avanza: il lupo cerca disperatamente di capire come funzioni quel muro invisibile e peraltro invalicabile solo per lui, mentre i porcellini si dilettano a schernire lui e i suoi fallimentari tentativi di oltrepassamento.  Il lettore, dal canto suo, condivide per diverse pagine gli interrogativi col primo e il divertimento con i secondi. Ma poi il lupo sembra avere un’intuizione: se il confine di pagina è un muro, forse la pagina stessa può avere le stesse proprietà. E così, scala alla mano, mette in atto un piano ingegnoso e inatteso, capace di regalare nuova carica narrativa all’inseguimento e all’albo che lo contiene!

Dinamicissimo, ironico e sorprendente, Buh! … Forte di personaggi ben riconoscibili, di illustrazioni senza fronzoli che ad essi esclusivamente si dedicano e di una felice capacità dell’autore di rendere evidenti sentimenti e pensieri dei protagonisti, il libro si presta a letture molto godibili anche da parte di lettori piuttosto piccoli, dai tre anni in poi. L’assenza di testo, dal canto suo, oltre ad ampliare la platea dei possibili fruitori – sia per età che per abilità di decodifica – amplifica l’effetto piacevolmente spiazzante di una narrazione che gioca con la fisicità del volume.

Il regalo magico

Chi non ha mai desiderato di far scomparire dalla propria vista – temporaneamente, si intende! – una persona antipatica, furiosa o sgradevole? La prospettiva è in effetti allettante, tant’è che, invitata da uno zio un po’ inventore e un po’ mago a scegliere un regalo speciale per il suo compleanno, Costanza chiede in dono una pila a buioni, particelle appena scoperte che trasformano la luce in buio. Detto fatto: proprio il giorno della sua festa la bambina riceve dallo zio Vanni l’oggetto desiderato, capace di rabbuiare fino al successivo click la persona o la cosa verso cui viene puntata. Incredula e felicissima, la bambina si gode grazie alla pila ambìti momenti di pace e tranquillità. Fino al giorno in cui qualcosa va storto e la pila finisce in mille pezzi, non prima però di aver fatto prendere un discreto spavento a Costanza che l’aveva appena puntata contro il fratellino urlante!

Perfetto per lettori fantasiosi che hanno da poco imparato a destreggiarsi autonomamente nella lettura, Il regalo magico offre un racconto dal bel ritmo e con il giusto sprint fantastico. Stampato con font specifico per dislessia (Testme) e con caratteristiche di impaginazione che affaticano meno la vista, il libro rientra tra le proposte ad alta leggibilità che uniscono attenzione all’accessibilità e godibilità della lettura.

Bilù, l’inventa sorrisi

Quando sia accaduto che Buonvicino, paese noto per la cordialità e il buonumore dei suoi abitanti, sia diventato luogo di diffidenza e incomprensione nessuno lo sa. Così come nessuno sa da dove sia spuntato fuori Bilù, bambino dal sorriso contagioso che un giorno arriva a Buonvicino e inizia a interagire con gli abitanti con una gentilezza e una cortesia ormai a loro sconosciute. Un grazie dove serve, una risposta garbata, un saluto all’ingresso e all’uscita dai negozi bastano a innescare nell’imburberito paese una positiva inversione di tendenza che – manco a dirlo – trae lo sprint decisivo proprio dai bambini che vi abitano. E così, senza quasi accorgersene, i cittadini di Buonvicino tornano a parlarsi e a capirsi, a tutto vantaggio dell’intera collettività.

Breve, sorridente (proprio come Bilù) e agevole da seguire, la storia scritta da Daniela Palumbo e illustrata da Elisa Enedino si rivolge a lettori alle prese con prime letture autonome. Stampata con alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font Testme minuscolo, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe e la sbandieratura a destra, Bilù l’inventa sorrisi intende dedicare un’attenzione particolare anche a quei bambini che si cimentano con le prime esperienze di lettura fronteggiando le difficoltà imposte dalla dislessia.

Madelief. I grandi, buoni giusto per farci il minestrone

Avevamo lasciato la vulcanica Madelief, al termine del volume Madelief. Lanciare le bambole, in procinto di salutare la sua casa e i suoi amici e di traslocare in un’altra città con la mamma. E proprio in questa nuova città la ritroviamo ora, all’inizio del secondo volume che la vede protagonista, intitolato Madelief. I grandi, buoni giusto per farci il minestrone.

Senza i suoi compagni storici di giochi – Roos e Jan-Willem – e nel pieno della chiusura della scuola, Madelief rimugina sull’ingiustizia di quel trasferimento e si guarda intorno alla ricerca di qualche appiglio che restituisca alle sue giornate vuote una parvenza di normalità. Impegnata più del solito nel suo lavoro, la mamma di Madelief è particolarmente assente e, nonostante sia affidata per alcune ore al giorno a una giovane tata di nome Mieke, la bambina lamenta con insistenza questa assenza ai suoi occhi ingiustificata.   Animata da un sentimento di incomprensione e di insofferenza verso il mondo degli adulti, così ottusi e noiosi, Madelief allarga il raggio delle sue esplorazioni e si spinge fino a una casa abbandonata: un rifugio misterioso, un luogo perfetto per starsene in pace e coltivare una nuova amicizia con un bambino da poco conosciuto di nome Robbie. Con lui Madelief condivide segreti, scorribande e sentimenti contrastanti: piccoli avvenimenti ordinari che, grazie al talento inestimabile di Guus Kujer, dipanano un fluire narrativo che sembra di poter toccare e vivere da dentro.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità, proprio come l’episodio precedente, Madelief.  I grandi, buoni giusto per farci il minestrone si caratterizza però per una struttura leggermente differente. Mentre nel primo volume, infatti, ogni capitolo proponeva un’avventura quasi a sé stante, qui i capitoli risultano più legati tra loro a formare un’unica vicenda. Rimane invariata, tuttavia, la loro brevità che ne agevola l’approccio anche da parte di bambini che percepiscono il testo scritto come un possibile ostacolo con cui cimentarsi.

 

 

 

 

 

 

Gli inventatutto

Paura e amicizia sono ospiti abituali delle pagine rivolte all’infanzia. Libri per bambini sulla paura, sull’amicizia o sulla paura di perdere un’amicizia sono, infatti, più che numerosi. Non è impresa semplice, dunque, inserirsi in questo prolifico filone con un titolo che racconti davvero qualcosa di nuovo. E ciononostante Rasmus Bregnhoi ci prova e ci riesce con una storia dal finale decisamente sorprendente e fuori da ogni schema e retorica.

Protagonisti sono il gatto Mis e il topo Mus, già noti agli affezionati lettori di Sinnos grazie al volume Gli Acchiappacattivi. Amici per la pelle, i due coabitano in una casa da loro stessi fabbricata in cima alla collina e danno vita a mirabolanti invenzioni nel loro laboratorio supersegreto. Qui il loro legame si consolida giorno dopo giorno a suon di idee condivise e progetti costruiti a quattro mani. L’arrivo del tutto imprevisto di una papera sconosciuta di nome Pap, dal primo istante in grande sintonia con Mis e mal tollerata da Mus, incrina tuttavia quella che pareva un’amicizia inscalfibile e porta Mus a sperimentare una forma di paura forse nuova. Perché si può provare una paura concretissima e ben riconoscibile, come quella di non disporre di un rifugio sicuro o di cibo a sufficienza come ben descritto da Pap, ma si può anche provare una paura più nascosta e inafferrabile, che tocca in maniera sottile gli affetti e le sicurezze in cui ciascuno di noi si culla.  E così Mus si ritrova da un giorno all’altro a covare un certo astio verso la papera che minaccia di portargli via la sua speciale amicizia con Mis, al punto da allontanare malamente l’intrusa con la prodigiosa scacciacani (che oltre a funzionare bene con i gattacci funziona evidentemente benissimo anche con i pennuti). Ed è a questo punto che ci aspetterebbe una chiusura politically correct fatta di scuse reciproche e chiarimenti, legami nuovi e legami rinsaldati, amicizie a due che diventano serenamente amicizie a tre. E invece no. È proprio qui, invece, che la storia ci semina con un guizzo inatteso, dando spazio a sentimenti negativi e azioni disonorevoli – la disillusione, l’inganno, la delusione – da cui, tuttavia, non è detto che qualcosa di buono non si possa comunque inventare. Parola di Inventatutto!

Contraddistinto da una storia ben ritmata e dalla fotografia di sentimenti molto vicini all’esperienza dei lettori, Gli inventatutto ripropone la forma grafica vincente del primo episodio dedicato a Mis e Mus. Anche qui, infatti, le più classiche caratteristiche di alta leggibilità – font, spaziatura, sbandieratura, frequenza di illustrazioni – si accompagnano alla scelta di mescolare racconto e fumetto (pur senza balloons visibili) e di prediligere illustrazioni ricche di dettagli in cui sostare con gusto, così da offrire un’occasione di lettura davvero accessibile a accattivante anche per bambini con difficoltà legate ai disturbi specifici dell’apprendimento.

Susi taglia tutto

Susi, Susi, inarrestabile Susi! Dopo aver sbaragliato la concorrenza nella piscina dei grandi (Susi in piscina) e dato prova della sua vena artistica con tele d’autore (Susi disegna), la bambina dal caschetto color carota creata da Jaap Robben e Benjamin Leroy torna alla carica con un’altra avventura al profumo di guai. Evidentemente a corto di idee di svago, dopo aver usato e strapazzato tutti i giocattoli della stanza, Susi sente una vocina chiamarla dal cassetto: è una forbicina desiderosa di uscire e saziare il suo appetito. Pronti, via: Susi non aspettava altro per scatenarsi in una caccia alle cose da tagliuzzare. E non c’è tenda, capello o cactus che tenga: tutto cade sotto le grinfie di Susi e le lame della forbicina, in un crescendo di ciac ciac ciac che non risparmiano nemmeno i pantaloni del signor Fosco o, infine, il dito della stessa Susi. A quel punto il gioco giunge a una repentina fine. Poco male, l’indomani il cassetto fornirà senz’altro qualche nuovo strumento con cui sollazzarsi…

Le scorribande della piccola Susi fanno parte della collana leggimi di Sinnos e come tale si avvalgono di caratteristiche di stampa ad alta leggibilità che concernono il font (leggimiprima), la spaziatura (maggiore tra lettere, parole e righe), la sillabazione e la giustificazione (assenti): caratteristiche che agevolano la lettura anche in caso di dislessia. Il carattere maiuscolo, le poche righe per pagina, le illustrazioni ampie e ricche di dettagli spassosi e la storia leggera costituiscono dal canto loro un ulteriore e fondamentale incentivo nei confronti di lettori alle prime armi e con difficoltà di approccio al testo.

A fare la differenza poi, nel creare una dinamica narrativa solleticante, è la sintonia perfetta che si crea tra le parole di Jaap Robben e le figure di Benjamin Leroy. Poche e ironiche, le prime diventano infatti esilaranti proprio quando messe in relazione alle seconde che tanto svelano del non detto, arricchendolo di sfumature divertenti. Come quando il lettore scorge in un angolo un pupazzo infilzato con una spada giocattolo e coglie il pieno senso di quell’ ”Orsetto ha mal di pancia e non vuole più giocare”. Il risultato è una lettura che fa leva forse più sulle immagini che sul testo, chiedendo di soffermarsi sui dettagli illustrati a lungo e mettendo così a proprio agio anche quei lettori che, pur inciampando nelle parole, di storie e narrazione hanno grande fame e desiderio.

Le disavventure del Barone Von Trutt

Il Barone Von Trutt è un tipo raffinato e a tratti irresistibilmente snob. Abituato a lussi inauditi e accudito da una schiera di servitori inconsapevoli, il Barone coltiva una passione straordinaria per la poesia e vanta un lessico a dir poco forbito, soprattutto se si considera che è un bassotto!

Nato dalla penna di Alice Keller e dalla matita di Veronica Truttero, il Barone Von Trutt esordisce nel 2018 sul giornale per bambini Lo Spunk. Da qui grazie a Sinnos, che delle due autrici aveva già pubblicato Hai preso tutto? e Contro corrente, l’elegante bassotto approda alla sua prima avventura libresca che sa mantenere ed esaltare a pieno il suo surreale aplomb nobiliare. Sarà bello, dunque, per i suoi fan, ritrovarlo protagonista di un lungo racconto illustrato, ma sarà altrettanto piacevole, per chi ancora non l’ha incontrato, farne la conoscenza tra queste pagine di grandissima ironia.

Le disavventure del Barone Von Trutt vedono il bassotto, suo malgrado, al centro di una vacanza di famiglia in direzione mare. Compagni di viaggio dell’insofferente Barone sono i componenti della famiglia Sigismondi: papà e mamma, l’adolescente Giovanni detto John Lennon, la giovane Antonia che più di tutti è affezionata al cane e i due piccoli gemelli Duccio I e II. Il viaggio parte con le peggiori premesse: il Barone viene catapultato in macchina senza preavviso, chiuso in un misero trasportino. Come se non bastasse, il traffico intenso, il meteo instabile, le lamentele infantili e gli smarrimenti di rotta rendono il percorso particolarmente difficile. Per non parlare della scadenza del concorso di poesia cui Von Trutt tanto tiene: decisamente vicina, lo costringe a optare per partecipare in extremis nella sezione Viaggi. Peccato che la vacanza si riveli infine più breve del previsto, costringendo tutti – famigliari a due e a quattro zampe – a una ritirata a tratti fantozziana.

Moderno e blasonato Snoopy dalle analoghe sorti letterarie, il Barone Von Trutt regala al lettore un originale punto di vista sulla realtà che rende divertenti e appassionanti anche gli eventi più ordinari. Ad accentuarne l’eccentricità sopraggiunge, poi, la frequente citazione da parte sua di poesie auliche opportunamente distorte che offrono una scherzosa riscoperta di grandi voci del passato, da Petrarca in poi. Così, a leggere Le disavventure del Barone Von Trutt ci si lascia solleticare dall’idea di parlare ai più giovani di poesia a partire da spunti tanto inaspettati quanto stuzzicanti. Un motivo in più per apprezzare un volume tutt’altro che prevedibile, la cui forma grafica difficilmente trova soddisfazione in un’etichetta tradizionale. Il libro mescola infatti racconto illustrato e fumetto, rendendo così la lettura estremamente dinamica e piacevole: aspetto questo che gioca un ruolo non marginale nella costruzione di una proposta accessibile e accattivante anche per quei lettori che per ragioni diverse – dislessia in primis, ma non solo – vedono il libro come un possibile nemico.

Il vestito dei sogni di Rose

Che siate bambine degli anni ’80, armate di fogli, pastelli e ruote da girare, o che siate figli di un millennio più giovane, a cui il gioco Gira la moda non dice proprio nulla, poco importa: Il vestito dei sogni di Rose saprà trasmettervi il fascino di un mondo fantastico in cui forme, textures, tessuti e colori possono dare vita a meraviglie da indossare.

Qui si viene catapultati grazie a Rose, ragazza di fine settecento appassionata d’abiti e desiderosa fin dalla più tenera età di creare vestiti sorprendenti. Tenace e visionaria, Rose non si fa condizionare dalla sfiducia dei familiari e un giorno parte per la capitale francese, decisa a coronare il suo sogno. Qui inizia a lavorare presso la boutique di Mademoiselle Pagelle ma è la fortuna – quella che in effetti aiuta gli audaci – a offrirle l’occasione giusta per fare il salto di qualità. L’incontro sotto mentite spoglie con la principessa de Conti farà infatti di lei la prima vera stilista della storia.

Ispirato alla storia vera di Marie-Jeanne Rose Bertin, di cui si riporta alla fine del volume una breve biografia, Il vestito dei sogni di Rose è un libro piacevole e di agevole lettura, sia per la vicenda narrata sia per le caratteristiche compositive e di stampa. Il libro fa parte infatti della collana leggimi di Sinnos e si contraddistingue, oltre che per font ad alta leggibilità e spaziatura particolari, anche per la frequenza e il brio delle illustrazioni. Dominate dai toni di rosa, queste strizzano chiaramente l’occhio a lettori e lettrici amanti della moda. La storia che supportano va però ben oltre la passione per modelli e bozzetti: Rose è infatti un personaggio femminile forte ed emancipato, capace di seguire un sogno e di coltivarlo nonostante gli ostacoli posti dalla cultura dominante. In sintonia con la fitta schiera di donne esemplari – dalle Cattive ragazze ad Annie Kopchovsky di Annie e il vento – raccontate con intensità e impegno da Sinnos, Rose dà vita a un racconto da cui lasciarsi ispirare e avvolgere.

La porta

Dopo averci incantato con La piscina, l’autrice coreana Ji Hyeon Lee torna a deliziarci con un libro di grande impatto: La Porta, sempre edito da Orecchio Acerbo.

Protagonista di questa nuova avventura per sole immagini è un bambino che un giorno incappa casualmente in una grossa chiave. Il mondo in cui si muove è un mondo in bianco e nero e le persone che lo circondano hanno tutte un’espressione torva, diffidente. Ma il bambino no. Lui si guarda intorno, mosso piuttosto da un misto di curiosità e stupore: quelli che probabilmente gli consentono di scorgere una porta a cui nessun’altro ha badato. È una porta misteriosa, apparentemente abbandonata da anni, coperta di ragnatele e a ben vedere, nella sua toppa, la chiave trovata gira. Aperta la porta, quello che si schiude davanti agli occhi del bambino è un mondo straordinario. È un mondo a colori, tanto per cominciare, in cui si muovono creature fantastiche che parlano lingue ignote. Incuriosito, il bambino entra in relazione con queste figure, dapprima in maniera un po’ spaventata, poi circospetta, e infine sempre più coinvolta e sorridente. Queste lo accompagnano alla scoperta di una realtà per lui nuovissima in cui quasi tutto ha un che di sorprendente, fatto salvo per le relazioni che si attivano e che si manifestano nelle piccole azioni quotidiane. Così, anche in un paese in cui gli skateboard si realizzano con le foglie, i cocomeri più succulenti sono verdi dentro e gialli fuori e soprattutto le porte disseminate un po’ dappertutto non conducono in casa ma in luoghi e tempi surreali e inattesi, l’amicizia e l’affetto appaiono del tutto riconoscibili e autenticamente possibili anche tra creature dissimili, per aspetto o per lingua parlata. Tra un picnic al parco, una passeggiata nel verde e una sbirciata al villaggio, il bambino fa dunque esperienza di una diversità multiforme – cromatica, estetica e linguistica, per esempio – in cui si cala e da cui si lascia positivamente accogliere, fino a prender parte a quella che appare come una festa: una festa di matrimonio, nello specifico, ma più in generale una vera e propria festa dell’immaginazione. Da questa, infine, il bambino si congeda, rientrando nel suo mondo originario, non prima però di essersi premurato di lasciare aperta la porta misteriosa. In questo modo, si lascia intendere, potrà tornare in quel mondo fantastico, ma allo stesso tempo – perchè no? – anche quel mondo fantastico potrà venire da lui. Perché l’incontro è un movimento che segue sempre due direzioni, e prima della quarta di copertina qualcuno pare confermarcelo…

Stratificato nelle possibilità di senso e disseminato di dettagli che difficilmente si esauriscono in una, due o tre letture, La porta è un libro che sospende il tempo e fa librare l’immaginazione. Lo stile sussurrato di Ji Hyeon Lee si presta perfettamente a una narrazione che fa a meno delle parole e che come tale predispone un terreno accogliente e ricco di soddisfazione anche per giovani lettori normalmente ostacolati dalla presenza vincolante di un testo scritto ma del tutto a loro agio nel leggere immagini e compiere attraverso di esse viaggi fantastici anche di una certa complessità. In quest’ottica, i balloons che spesso accompagnano i personaggi, riempiti di scritte del tutto illeggibili e facenti capo a una lingua immaginaria,  non risultano esclusivi nei confronti di nessun lettore ma arricchiscono piuttosto la narrazione e ne delineano alcuni possibili percorsi, invitando chi legge a immaginare i dialoghi che contengono.

È un libro illuminante, La porta, sopratutto per chi crede nel potere dei libri come ponti. E non solo perché vi si legge della possibilità di costruire legami oltre le differenze, ma anche perché dà spazio alla curiosità come motore imprescindibile di scoperta; perché pone l’accento sulla varietà di modalità comunicative che possono esistere e sulla necessità di trovare tra di esse una convergenza; e perché interpreta con forza la pagina come soglia che divide da mondi altri ma che al contempo può spalancarli, se solo si possiede la chiave giusta da girare nella toppa (o se qualcuno ha la sensibilità di lasciare la serratura aperta): riflessioni che, ben al di là probabilmente delle intenzioni dell’autrice, rivelano una puntualità e una pertinenza particolarmente sorprendenti soprattutto se messe in relazione alla questione del diritto alla lettura e della sua concretizzazione in caso di disabilità. Quest’ultima invita infatti a chiedersi come si possa far partecipare tutti a quella straordinaria festa dell’immaginazione che è la lettura e quali chiavi consentano a lettori con esigenze diverse di superare davvero l’uscio oltre il quale la festa si svolge: perché la lettura è o dovrebbe essere partecipazione piena, immersione travolgente, esperienza di ricchezza.

Pasticci fra le nuvole

Dimenticate gli angeli pacati e serafici di tradizionale memoria: il protagonista di Pasticci fra le nuvole è sì un angelo, ma decisamente di altro stampo. Irrequieto e impertinente, con una certa propensione a escogitare scherzi e dispetti, Gabriel è un giovane cherubino che frequenta il collegio Castel Nuvola. Nelle sue giornate si alternano a identico ritmo lezioni angeliche – si va dal canto al volo, dall’invisibilità alla lettura – e punizioni di varia entità. A ogni marachella combinata da Gabriel segue infatti, puntualmente, il castigo inflitto dalla rigida Madame Longbec, preside dell’istituto. Un giorno Gabriel la combina particolarmente grossa, rovinando il concerto scolastico, e Madame Longbec gli impedisce di andare in gita con i compagni. Non tutti i mali vengono per nuocere, però: la sua reclusione diviene infatti l’occasione di mettersi alla prova come angelo custode di un giudizioso bambino rimasto sprovvisto del suo protettore e di dimostrare a tutti il suo talento.

Ironico e leggero, Pasticci fra le nuvole si fa apprezzare per le gustose invenzioni narrative che trasformano in ottica celestiale attività e oggetti tipicamente umani e per un ritmo scanzonato e dinamico che allontana il pericolo di una lettura noiosa. Questo, unito alle caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono il libro – font leggimi, spaziatura maggiore tra lettere, righe e paragrafi, sbandieratura a destra e carta color crema -, ne favorisce l’approccio anche da parte di bambini con difficoltà di lettura legate per esempio alla dislessia.

Piu Caganita (Portogallo)

Piu Caganita è un libro multiformato portoghese che propone il medesimo racconto illustrato in versione tradizionale, semplificata in simboli PCS, in Braille, audio e video in Lingua Gestual Portuguesa (LGP).

Protagonista del racconto è un uccellino un po’ ingenuo e sprovveduto che svolazzando su campi e tetti non si accorge di colpire con i suoi escrementi chi gli passa sotto. Umani, lumache, conigli, mucche e maiali sono tutti egualmente vittime dei suoi involontari bombardamenti e comprensibilmente finiscono per indispettirsi. Solo immaginando un rovesciamento della situazione l’uccellino si rende conto dei guai causati e trova una semplice ma funzionale soluzione. Amicizia e decoro sono salvi. Anche se in fondo in fondo, qualcuno finisce per rimetterci…

Pubblicato da Briza Editora, Piu Gaganita nasce come progetto di lettura accessibile intenzionato ad accogliere una ampia platea di bambini con e senza disabilità sensoriale, cognitiva e comunicativa. Insieme al testo tradizionale e alle illustrazioni sgargianti, entrambi curati dall’autrice Tania Bailao Lopes, le pagine del volume offrono una versione più semplice corredata da simboli PCS: accoppiata che risulta piacevole alla vista e funzionale. Ugualmente efficaci risultano, dal canto loro, la versione in Lingua dei Segni e quella audio, rese disponibili tramite QR code. Ad apparire invece più sacrificata è senz’altro la versione accessibile in caso di disabilità visiva: quest’ultima si compone infatti di una serie di pagine totalmente bianche su cui viene riportato il testo in Braille affiancate ad alcune illustrazioni in rilievo di difficile riconoscibilità. Resta interessante e apprezzabile, tuttavia, il tentativo qui perseguito strenuamente di costruire un libro che risulti davvero per tutti e che raccolga al suo interno quanti più modi possibile di raccontare la medesima storia.

Un ultimo dettaglio utile, la presenza di due legende: quella relativo all’alfabeto LGP e quello relativo all’alfabeto Braille, che costituiscono un semplice ma significativo strumento per avvicinare i lettori normodotati a codici a loro probabilmente sconosciuti.

Pikotek chce byc odkryty (Polonia)

Delizioso almeno quanto difficile da pronunciare, Pikotek chce byc odkryty è un gioiellino polacco pubblicato dalla casa editrice Widnokrag. Costruito in forma di leporello (ma disponibile, in alcune versioni successive anche in formato tradizionale), il libro ha per protagonista una buffa creatura rosso fuoco – Pikotek, per l’appunto (o perlomeno così presumiamo) – con musetto e coda da topino e orecchie che paiono ali. L’inconsueto animaletto si aggira nel mezzo del bosco con fare curioso e socievole, interpellando chiunque gli capiti a tiro: nell’ordine, due gufi, un cinghiale, un orso, una lontra, una volpe, due ricci, una lince, un tasso, uno sciame di api, un lupo e una coppia di uccellini. A ogni incontro una presentazione: di fronte a Pikotek ogni bestiola è infatti perplessa e non è facile, per lui, far capire che razza di animale sia. Fino a un ultimo inatteso incontro, diverso da tutti gli altri, che renderà del tutto superflua ogni descrizione!

Tenera e semplice, l’avventura di Pikotek traccia un sentiero narrativo a cui se ne affiancano e intrecciano tanti altri che vedono a loro volta protagonisti gli animali che Pikotek incontra sul suo cammino più qualche guest star. Quello di mamma coniglietta, per esempio, costantemente intenta a radunare la sua numerosissima prole; quello della talpa che pare parlare da sola ogni volta che sbuca dalla terra e che invece ha in mente un piano artistico ben preciso; quello dei ricci che sperimentano arditi sistemi di trasporto merci; o quella del picchio sempre in cerca di qualcosa da picchiettare. Ognuno di questi sentieri racchiude una piccola succulentissima storia, ricca di colpi di scena spassosi e di particolari sfiziosissimi da cercare. Così la lettura può moltiplicarsi ancora e ancora, dando vita a un dinamicissimo avanti e indietro tra le pagine per cogliere dettagli, recuperare passaggi, cogliere sfumature, ricostruire elementi di senso. E in questo senz’altro, il formato a leporello costituisce un bel vantaggio, soprattutto se si ha la possibilità di stenderlo in tutta la sua lunghezza (parliamo di qualche metro!) e goderne in posizione comoda e non strutturata.

Ciò che rende davvero speciale e irresistibile questo volume è, tuttavia, ancora altro e più precisamente è l’efficace maniera in cui esso mescola tratti propri del silent book, fondamenti dei libri in simboli e peculiarità del fumetto. Il volume procede infatti per sole immagini che divengono anche il contenuto di silenziosissimi ma eloquenti balloons. Ogni dialogo che vede protagonista Pikotek, così come tutti quelli che a ogni pagina gli si svolgono intorno, si sviluppa attraverso semplicissime icone che condensano conversazioni anche molto elaborate (che starà al lettore ricostruire e alimentare) e che rendono immediatamente intellegibile e chiaro ciò che sta accadendo nel bosco. Il libro sperimenta cioè una forma narrativa nuova, senz’altro ibrida, che sfrutta il potere comunicativo universale delle immagini e restituisce indirettamente tutto il valore di racconti  – come per esempio quelli in Comunicazione Aumentativa e Alternativa– che sfruttano codici più vicini al visivo che al verbale.

Grimms Marchen ohne worte (Germania)

Parola d’ordine: rimescolare le carte e rompere gli schemi. Questo, in soldoni, lo spirito di Grimms Marchen ohne worte, divertentissimo libro di origine tedesca. Dedicato alle fiabe popolari più note (letteralmente il titolo significa Le fiabe dei Grimm senza parole), il volume raccoglie 16 fiabe di ampia diffusione – da Cappuccetto Rosso a Biancaneve, dai Musicanti di Brema a Raperonzolo – raccontate in una maniera a dir poco originale.

Scandita da vignette riquadrate, dallo stile minimale e collegate tra loro da frecce che evidenziano il percorso di lettura, ogni fiaba sfrutta una tecnica narrativa ibrida che mescola racconto per immagini e racconto in simboli, rivestendo i pittogrammi di un ruolo comunicativo differente rispetto a quello che siamo abituati ad attribuirgli all’interno dei libri ispirati alla Comunicazione Aumentativa e Alternativa. In luogo di fungere da rafforzamento del testo alfabetico, i pittogrammi diventano qui il contenuto di efficacissimi balloons non verbali. Così, laddove presenti, le nuvolette tipiche dei fumetti vengono riempiti da icone singole o da combinazione di icone che danno vita a una vera e propria lingua per immagini ampiamente condivisibile, incisiva e dall’alta qualità sintetica.

La lettura, forte soprattutto di una pregressa conoscenza delle fiabe, acquisisce così gusto e sfizio poiché assume i contorni di una continua sfida a interpretare un codice nuovo: un codice che permea la nostra quotidianità (dalla segnaletica stradale agli emoji del cellulare), ma che esula dalle nostre consuetudini letterarie; un codice la cui immediatezza diventa la chiave per stimolare una forma di lettura nuova che superi barriere linguistiche e comunicative, malgrado il volume non nasca con questa precisa intenzione. Alla luce di questo, il libro apre riflessioni interessanti in merito alle possibilità narrative generate e generabili dall’incontro e dalla contaminazione tra codici e generi differenti.

Ma la sperimentazione e il sovvertimento delle regole sono cosa cara a Frank Flothmann anche da un punto di vista contenutistico. E così, oltre a stuzzicare il lettore con una lettura (o una rilettura) insolita di storie sedimentate, l’autore lo sorprende con irresistibili dettagli umoristici o gustosi cambi di trama. Così, per esempio, la matrigna di Hansel e Gretel esce di scena a causa di un accidentale colpo d’ascia del marito boscaiolo o il lupo di Cappuccetto rosso, graziato dal cacciatore, si ritrova a far da cameriere alla gaia tavolata di famiglia della bimba incappucciata.

L’unione di questi elementi fa sì che un libro come Grimms Marchen ohne worte si presti a una lettura stimolante da parte di pubblici anche molto diversi tra loro per età (adulti tutt’altro che esclusi!), abilità e abitudini comunicative. Il libro offre inoltre un terreno fertilissimo per avviare attività, didattiche e non, su codici, fiabe e narrazione che non prescindano da un certo divertimento.

 

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Dwa trzy cztery cyfry i numery (Polonia)

Widnokrag è il  nome di una casa editrice polacca che propone a catalogo un’interessante collana di volumi cartonati e privi di parole che ben si prestano a incentivare la verbalizzazione e il dialogo oltre che la familiarizzazione dei bambini, soprattutto con difficoltà di astrazione,  con concetti non immediati come i numeri.

A questi ultimi, in particolare, è dedicato il volume intitolato Dwa trzy cztery cyfry i numery, letteralmente  “Due tre quattro cifre e numeri”. Qui troviamo una sequenza di pagine illustrate contraddistinte da uno stile dinamico, da colori vivaci e da figure essenziali che fotografano situazioni variegate – dalla passeggiata per strada alla festa di compleanno, dal rifornimento di benzina alla visita dal dottore – all’interno di ciascuna delle quali vengono contestualizzati alcuni elementi numerici. Così, per esempio, ritroviamo le cifre in forma di numeri civici, targhe automobilistiche, cartelli stradali, prezzi, pulsanti d’ascensore, addobbi festivi, linee di autobus o strumenti medici, perfettamente inseriti dentro scene indipendenti le une dalle altre ma capaci di condensare e far immaginare microstorie.

Oltre a risultare particolarmente accessibile per l’assenza di parole e per la struttura a quadri sciolti che non implica una narrazione complessa, Dwa trzy cztery cyfry i numery appare interessante per l’ingegnosa scelta di trasformare, attraverso le immagini, dei concetti potenzialmente distanti e inafferrabili in elementi dotati di concretezza, in quanto calati in una precisa e nota quotidianità. In questo senso il volume di Joanna Bartosik riesce a unire con leggerezza e appeal grafico il piacere di lettura e invenzione a una possibilità di apprendimento particolarmente significativa anche per bambini e ragazzi a sviluppo atipico.

Como eu vou (Brasile)

È un libro molto semplice, Como eu vou, ma è nel suo piccolo un libro rivoluzionario. Progettato da un’équipe multidisciplinare facente capo all’Universidade Federal do Rio Grande do Sul (Brasile), il volume mette infatti in campo un tentativo di ampliamento di pubblico difficilmente reperibile altrove. Tra le sue pagine convivono in particolare codici diversi, capaci di rispondere ai bisogni di bambini con disabilità visiva, uditiva e comunicativa, oltre che bambini privi di difficoltà specifiche di lettura.

Così, nel proporre una carrellata di mezzi di trasporto, ciascuno particolarmente adatto a muoversi in un determinato ambiente, il libro unisce testo a grandi caratteri, illustrazioni tattili in compensato e simboli ARASAAC. Esso aggiunge inoltre, su separato supporto, la possibilità di fruire dell’audiodescrizione, del testo in Braille o di quello in LSP (lengua de señas portugues).

Libri come questo sono senz’altro complessi da realizzare (e per questo più unici che rari) per molteplici ragioni, non ultime quelle pratiche legate ai costi delle differenti competenze implicate e alla necessità di condensare in una sola pagina più testi e illustrazioni che rispondono a esigenze di lettura anche molto diverse tra loro. Ma proprio questa loro complessità invita a riflessioni non trascurabili poiché rende evidente da un lato quanto siamo ancora distanti dall’idea di un libro davvero “per tutti” e sottolinea dall’altro quanto l’apertura nei confronti della diversità, nelle sue molteplici forme, possa manifestarsi innanzitutto nella disponibilità a stare con essa, a condividere, cioè, uno spazio fisico e simbolico come può essere quello di una pagina.

Maggiori informazioni sul libro e sul progetto che gli ha dato vita si possono trovare sul sito: https://www.ufrgs.br/multi/.

Pile-poil! (Francia)

Benjamins media è un editore francese specializzato nella produzione di libri sonori (libro + CD) di cui fornisce sistematicamente anche la versione in Braille e a grandi caratteri. L’attenzione all’accessibilità, soprattutto ma non solo rispetto alla disabilità visiva, è dunque ben radicata nel suo ampio e variegato catalogo rispetto al quale Pile-poil! si pone come un’autentica novità, inaugurando non a caso una collana nuova di zecca intitolata Carrégaufré. Composta da libri a fisarmonica dal raffinato formato quadrato, questa prevede una storia priva di parole che procede per sole immagini in rilievo realizzate con la tecnica del gauffrage (grazie alla quale la carta viene come gonfiata delineando forme e figure specifiche) e accompagnate da una traccia sonora scaricabile che definisce il contesto, favorisce il riconoscimento degli elementi e aiuta la narrazione ad avanzare.

Nel caso di Pile-poil! – il cui titolo rimanda a un’espressione familiare francese che indica un’azione riuscita perfettamente o una cosa che casca proprio a fagiolo – il racconto per immagini vede protagonista un elegante signore che a bordo della sua vettura decapottabile si mette in moto e attraversa strade a curve, salta in barca per affrontare mari e onde, percorre infine a piedi sentieri cittadini e immersi nella natura dove raccoglie un tulipano con cui omaggerà la persona che lo attende alla fine del viaggio: un’adorabile parrucchiera! Il viaggio è così lungo e tortuoso che la barba dell’uomo cresce infatti a dismisura tra la prima e l’ultima pagina, offrendo un’ironica chiave di lettura per le peripezie che si svolgono nel mezzo.

Le illustrazioni, totalmente bianche, messe a punto da Gwen Keraval, sono raffinate e minuziose, al punto che un loro riconoscimento in caso di piccoli lettori ciechi può risultare complesso, anche se supportato da una guida adulta e dall’accompagnamento sonoro. Così composto, tuttavia, il libro invita a sperimentare una forma di lettura diversa in cui dita e orecchie sono protagoniste e in cui la narrazione si nutre di suoni più che di parole. L’assenza di testo e la compattezza narrativa offrono inoltre stimoli interessanti e occasioni di lettura accessibile per chi sperimenta difficoltà di decodifica del testo legate per esempio ai disturbi specifici dell’apprendimento.

Boucle d’or – collana Raconte à ta façon (Francia)

La collezione Raconte à ta façon è, già nel titolo, un piccolo manifesto di lettura che condensa bene la filosofia dei silent book. Raccontare la storia alla propria maniera, a piacimento insomma, è infatti una delle caratteristiche che rendono i libri senza parole così intriganti e così accessibili poiché ciascuno può trovarvi la sua personalissima strada per dare forma al racconto. Ma la collezione di Flammarion va forse anche un poco oltre perché i silent book di cui si compone, tutti dedicati a fiabe tradizionali, asciugano a tal punto la storia di base, grazie a una rappresentazione simbolica  ed essenziale di personaggi, oggetti e ambienti, che restituiscono davvero al lettore la massima libertà narrativa.

Nel caso di Boucle d’or, per esempio, Riccioli d’oro diventa un triangolo dorato, i tre orsi tre cerchi marroni di dimensione crescente e tutti gli elementi chiave della storia – dalla foresta alla casa, dalla tavola al letto – trovano rappresentazione in forme stilizzatissime. Questo fa sì che anche una fiaba arcinota come Riccioli d’oro (o come Cappuccetto Rosso, I tre porcellini e Il gatto con gli stivali per citare alcuni altri titoli della collana) possa ritrovare una veste nuova e un’interpretazione originale capace di gettare nuovi semi e nuovi stimoli nell’immaginario del lettore. Inoltre, l’accessibilità dettata dall’assenza di parole si rafforza qui in virtù di una rappresentazione minimal e del tutto priva di fronzoli che aiuta il lettore a non perdersi: caratteristica, questa, che predisporrebbe infine il volume anche a un’agevole trasposizione tattile così come dimostrato in passato dal magistrale lavoro di Les Doigts Qui Rêvent sul Cappuccetto Rosso di Warja Lavater.

Graines de montagne (Francia)

In un paese piatto e interamente ricoperto di sassi, vivono due tribù: quella degli uomini piccoli piccolissimi e quella degli uomini grandi grandissimi. La convivenza tra le due non è proprio felice: i grandi approfittano infatti della loro superiorità fisica per appropriarsi delle risorse migliori e lasciare ai piccoli solo gli scarti. Ma i piccoli non ci stanno e iniziano a inventare soluzioni via via più ardite per ribaltare il rapporto di forza che li lega ai grandi. L’idea che risulta vincente pare essere, dopo alcuni tentativi, quella di piantare dei semi di sasso e farli crescere fino a potervi salire su ed ergersi così al di sopra dei grandi. Ma questo dà vita a un’escalation nella coltivazione delle pietre che porterà le due tribù a confrontarsi per trovare infine una soluzione condivisa.

La peculiarità di questo albo illustrato dal racconto lineare e dalle illustrazioni originali sta nella maniera in cui il testo viene stampato: una semplice alternanza di colori evidenzia infatti la  sillabazione delle diverse parole mentre un sistema di sottolineature e archi indica, rispettivamente, lettere mute e liaison. Si tratta di un accorgimento tipografico che rende più semplice la distinzione tra i diversi caratteri e il riconoscimento del loro ruolo dal punto di vista orale, agevolando la lettura silenziosa o ad alta voce da parte di lettori alle prime armi o con difficoltà legate alla dislessia

Favole di pace

Qualche decina di anni sulle spalle ma uno spirito bambino inscalfibile: così le Favole di pace scritte dal maestro Mario Lodi continuano a mantenere una freschezza che le fa gustare con autentico piacere. Ispirate dagli stessi bambini che di Mario Lodi erano allievi e insieme a loro composte, così come accaduto per il forse più celebre Cipì, le Favole di pace sono 14 racconti brevi, perlopiù in prosa ma qualcuno anche in versi, che gettano uno sguardo fantastico ma anche molto lucido sulle storture del mondo che l’uomo crede a torto di possedere e sugli esiti luminosi che una cultura della solidarietà, del rispetto e della pace potrebbe invece portare con sé.

Macchine che permettono lo scambio dei pensieri, intere classi di bambini in volo al motto di “basta volerlo”, prati che custodiscono segreti musicali, isole sospese in cui ritrovare i propri cari perduti, bambini capaci di entrare nel televisore: i personaggi e le cornici messe in scena da Mario Lodi sono i più variegati e dinamici. Ad accomunarli, il ruolo decisivo che bambini e animali hanno nel rimettere in sesto un mondo  sottosopra. E così, intorno alla penna lievissima ma pungente dell’autore crescono foreste rigogliose e invenzioni straordinarie, scoperte sensazionali e ribellioni salvifiche che trasformano uno sguardo disinteressato e curioso come quello infantile in un’occasione di riscatto per il pianeta intero.

Pubblicate in precedenza da la meridiana, le Favole di pace vengono ora riproposte dalle Edizioni Terra Santa in una deliziosa versione illustrata da Desideria Guicciardini. Impreziosita e irrobustita da una copertina rigida così come gli altri titoli della bella collana Gli Aquiloni, il volume presenta un’impaginazione tutt’altro che claustrofobica che grazie a una spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, alla sbandieratura a destra del testo e all’adozione di un font ad alta leggibilità (Easyreading) si presenta amichevole e invitante anche agli occhi di lettori riluttanti o meno a loro agio di fronte a un libro, per ragioni di abitudine o di difficoltà di lettura. L’invito d’altro canto non è ingannevole: i testi di Mario Lodi sono infatti godibilissimi, con guizzi fantastici che accendono l’immaginazione e tocchi ironici che schiudono sorrisi. Le figure di Desideria Guicciardini  che li affiancano passo passo, minuti nei centimetri occupati e nei dettagli colti, spargono dal canto loro una vivace allegria sulla pagina, cogliendo con finezza la leggerezza pensosa del maestro di Vho.

Il volo di Nura

Con Il volo di Nura, racconto illustrato dal sapore antico, le Edizioni Terra Santa inaugurano una collana interessante, intitolata Gli Aquiloni e contraddistinta da veste grafica molto curata e da caratteristiche di stampa ad alta leggibilità. Insieme al libro di Paola Caridi e Maria Teresa de Palma, vi si trovano da gennaio 2020 anche le Favole di pace di Mario Lodi e figureranno a breve due titoli dalle firme significative quali quelle di Daniela Palumbo e Roberto Piumini.

Il volo di Nura, dal canto suo, anticipa bene le qualità della collana, presentandosi come un volume raffinato dalla copertina rigida, dall’impaginazione ariosa e dalle illustrazioni suggestive. La storia che contiene è quella della giovane Nura, amante del racconto orale e animata da un sentimento misto di incanto e timore nei confronti dello zio Abu-Elias da tutti apprezzato come cantastorie. Anche Nura vorrebbe seguire le sue orme ma la tradizione non prevede una simile carriera per le donne. A trasformare il sogno della bambina in una realtà adatta a tempi moderni, sarà l’incontro onirico con un personaggio misterioso e un po’ inquietante: un baffo parlante di Abu Elias. In sua compagnia, Nura compie un viaggio notturno sulla città di Gerusalemme scoprendone da una prospettiva insolita bellezze e ferite e trovando nella cultura profonda che la città custodisce l’ispirazione necessaria per seguire il suo destino.

Suggestivo ma non immediatissimo, per via di una narrazione riflessiva più che votata all’avventura e di una profonda ricchezza di riferimenti alla storia e alla cultura araba, il racconto di Paola Caridi propone una lettura sospesa tra dimensione reale e dimensione onirica, la cui commistione viene amplificata dalle affascinanti e armoniche illustrazioni di Maria Teresa de Palma. Se può risultare un po’ ostico, soprattutto se proposto a lettori che vedono nel libro un potenziale scoglio, Il volo di Nura si presta però bene a offrire uno spunto intrigante per approfondire insieme ai giovani lettori  la complessità della cultura racchiusa in una città straordinaria come Gerusalemme.

Pomodori da scartare

Il signor Ennio è grande e grosso, i suoi capelli sono un po’ brizzolati, ma il suo sguardo assomiglia piuttosto a quello di un bambino. È uno sguardo curioso e attento il suo – capace di riconoscere in un istante i pomodori buoni da quelli da scartare – che si accompagna a movenze istintive, talvolta ingenue, così come a parole semplici e circoscritte. Il suo apparire e comportarsi in maniera non ordinaria non sfugge alla piccola narratrice, figlia del proprietario dell’azienda agricola per cui Ennio lavora, che con lui instaura una conversazione profonda che parla di libertà e dignità, possibilità e riscatto. Tra le righe ma non troppo scopriamo infatti che il signor Ennio è stato rinchiuso per anni dentro un ospedale psichiatrico e che l’opportunità di lavorare tra pomodori e ortaggi è per lui l’occasione preziosissima di ritrovare un po’ di respiro in mezzo la nebbia calata in tanti anni di reclusione sui suoi pensieri.

Scritto in punta di piedi da Valentina De Pasca e illustrato con altrettanto sospeso garbo da Brunella Baldi, Pomodori da scartare è un libro forte e delicato al contempo, in cui si percepiscono una grandissima e rispettosa attenzione nei confronti di quel complesso processo che ha portato alla chiusura degli istituti psichiatrici a seguito della legge Basaglia e dell’impatto che quel tipo di esperienza può aver avuto sulle persone come Ennio. Il ricercato equilibrio tra il detto e il non detto, tra la schiettezza e la metafora, che autrice e narratrice coltivano in sincrono predispone il volume a una lettura di grande suggestione e stimolo per lettori di età anche moto diverse tra loro. A concorrere a una lettura il più possibile ampia concorre inoltre la scelta delle Edizioni Gruppo Abele di stampare il volume con caratteristiche di alta leggibilità che ne agevolano la fruizione anche in caso di dislessia. Pomodori da scartare si fa così notare per una generale sensibilità nei confronti delle fragilità, tanto nel contenuto quanto nella forma.

Il piccolo principe – ed. Biancoenero

Di versioni de Il Piccolo principe, soprattutto a partire dal 2015, quando il titolo si è svincolato dal diritto d’autore, il mercato editoriale ne ha prodotte moltissime. Integrali, ridotte, a fumetti, ad albo illustrato, con nuove parole e con nuove illustrazioni, alcune valide, tante altre del tutto trascurabili. Quella da poco proposta da Biancoenero fa parte della prima categoria e merita attenzione poiché riesce a unire, con grande cura, rispetto per l’opera originale e attenzione alle esigenze specifiche di una grande fetta di lettori.

Il volume presenta infatti le illustrazioni originali che tutti noi associamo automaticamente alla storia del principe dai capelli color del grano, così come il testo integrale di Saint-Exupéry. Ciò che fa la differenza rispetto ad altre versioni sono la traduzione e la stampa: due elementi che concorrono a garantire caratteristiche di alta leggibilità al libro. Oltre all’uso della font biancoenero che riduce fenomeni come la sovrapposizione e la confusione di lettere tipici della dislessia, alla spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, alla spezzatura delle righe secondo il ritmo narrativo e alla scelta di una carta color crema che affatica meno la vista, Il piccolo principe targato Biancoenero si contraddistingue per una versione del testo molto fedele all’originale – niente tagli, dunque, o rimaneggiamenti massicci – ma al contempo capace di risultare più lineare e amichevole anche a lettori la cui lettura è meno fluida. Così, per esempio, laddove è possibile senza discostarsi troppo dal ritmo originale, le frasi risultano più brevi o con una struttura sintattica meno contorta, la forma privilegiata è quella attiva, il lessico è scelto in modo da risultare più vicino al quotidiano.

Il risultato è un libro che festeggia i suoi quasi ottant’anni cercando di parlare a lettori spesso trascurati, grazie a un lavoro editoriale di grande qualità. Ciliegina sulla torta: facendo parte della collana Raccontami di Biancoenero, il libro è corredato da un CD MP3 che consente di godere della lettura del testo attraverso la voce affabile di Giulio Scarpati e di modulare la lettura secondo le proprie esigenze avendo a disposizione quanti più formati e supporti possibili.

Il segreto di Isabella

Ambientato nel secondo dopoguerra, quando nuove possibilità di svago e incontro hanno iniziato a farsi largo per i bambini italiani, Il segreto di Isabella vede protagoniste tre ragazzine e la loro stretta amicizia cresciuta in seno allo scoutismo. Da poco ricostituitosi ufficialmente dopo la chiusura forzata imposta dal fascismo, il movimento scout accoglie, infatti, Serena e Cecilia, vicine di casa e amiche per la pelle. Le due bambine sono a dir poco elettrizzate all’idea di vivere nuove esperienze di gioco, amicizia e avventura nei boschi: l’appartenenza al gruppo scout è un modo, per loro, di consolidare il  legame che le unisce e di viverlo al di fuori della cornice domestica dove le apprensioni dei genitori e la presenza assillante dei fratelli più piccoli limita il piacere di condividere battute e segreti. Quando arriva però il momento di dormire per la prima volta con il gruppo scout, Serena e Cecilia si ritrovano una tenda da tre e un’ospite in più del previsto: la solitaria ed enigmatica Isabella. Sarà proprio il mistero che circonda quest’ultima e la cartella marrone che porta sempre con sé, a spingere le due bambine ad avvicinarsi a lei, riuscendo a conquistarne la fiducia e l’amicizia: condizione fondamentale perché Isabella possa metterle a parte del suo ricordo, al contempo affascinante e doloroso, della guerra appena conclusa. Si tratta di un ricordo confidenziale e intimo in cui giocano un ruolo centrale la musica e il suono del clarinetto, di cui il libro non manca di dare un gustoso assaggio nella versione audio di cui è corredato.

Il volume de Il segreto di Isabella è arricchito infatti dal relativo audiolibro, scaricabile dal sito dell’editore Curci grazie a un codice stampato sul retro di copertina. Questa aggiunta, oltre a favorire l’incontro del lettore con uno strumento poco comune come il clarinetto, rende il testo più fruibile anche in caso di disabilità visiva o disturbi specifici dell’apprendimento.

Tipi

Il 2020, anno rodariano per eccellenza, è appena iniziato ma le proposte editoriali che celebrano lo scrittore di Omegna hanno già iniziato a moltiplicarsi, in un tripudio di bollini e fascette che ne marcano gli intenti. E tuttavia è nel 2019 e senza tanto frastuono che ha visto la luce un libro delizioso che tra i suoi tanti meriti ha quello di apparire, nell’essenza più che nell’aspetto, un bellissimo e ficcante omaggio a Rodari e alla sua poetica. Si tratta di Tipi scritto da Cristina Bellemo e illustrato da Gioia Marchegiani: un libro-catalogo che, nutrito di feconde invenzioni linguistiche e narrative, trasforma la descrizione di diverse tipologie di individui in occasioni per dar forma a micro-storie gustose e profonde.

Qui, in una sorta di mappa catastale human edition, ci muoviamo tra i piani del Condominio Giardini, periferia sud di un’indefinita città, alla scoperta dei diversi tipi che lo popolano. A guidarci è Luce, giovane inquilina del quarto piano che brilla (nomen omen!) per curiosità e acutezza di sguardo. Di ogni tipo che abita sopra o sotto di lei, la bambina riporta infatti le caratteristiche, le abitudini, gli aneddoti più insoliti: tratti che concorrono a dare vita a piccoli racconti sospesi tra il reale (difficile non riconoscere sé stessi o i propri conoscenti in alcuni dei ritratti offerti) e il surreale. Grazie alle accurate annotazioni che Luce riporta sui suoi taccuini, incontriamo, o per meglio dire sbirciamo dall’uscio, tipi di ogni genere: sicuri di sé come il tipo che ha tutte le risposte e pieni di interrogativi come quello che ha tutte le domande, sfuggenti come il tipo sempre assente o brontoloni come il tipo delle proteste, premurosi come il tipo che aggiusta le cose non ancora rotte o ricchi sfondati come il tipo che  compra tutto.

Nel censimento narrativo del Condominio Giardini si trova insomma uno straordinario catalogo di personaggi da cui scaturiscono racconti che paion fatti per far germogliare nuove idee narrative. Come non inventare un ipotetico dialogo con la signora Celestina, che capisce una cosa per un’altra e per questo finisce per perdersi un marito? O come non prolungare l’elenco di cose da cui la signora Savia, che ha paura di ciò che cade, si tiene alla larga? O, ancora, come non immaginare nuove storie a partire dai campanelli di un condominio qualunque, sulla scia della signora Lucia? Dal tipo che collezione barattoli di vento a quello che coltiva parole aromatiche, dal tipo che ha tantissime scarpe ma non va nessuna parte a quello con quattro pensieri, Cristina Bellemo dà vita a una carrellata di personaggi che stuzzica, diverte e fa riflettere. Lo fa con un gusto sapiente per i giochi di parole, per le liste, per le ipotesi fantastiche e per gli errori creativi, che pare proprio un bellissimo e silenzioso omaggio a quell’arte di inventare storie a cui tutti siamo debitori.

Ad arricchire poi il racconto, sottolineando quanto i dettagli possano dirci sul tutto, intervengono le illustrazioni di Gioia Marchegiani, tutte giocate sui toni del salvia e del beige e intrecciate strettamente ai testi, proprio come figurassero su autentici taccuini. L’effetto d’insieme è efficacissimo e intrigante: autrice e illustratrice paiono una coppia fatta per danzare insieme. Una pacatezza gentile, infatti, e una quieta predisposizione a guardare le cose quotidiane con occhio accorto accomuna parole e figure, dando forma a una chicca editoriale da rileggere più volte senza il rischio di stufarsi, da prendere e riprendere in mano, da cui lasciarsi avvolgere e ispirare.

Tipi costituisce in definitiva un placido invito a riconsiderare con una certa relatività l’idea di stramberia e unicità, poiché ciascuno a suo modo non vi sfugge, a cogliere il potere narrativo sopito nell’ordinario e a riconoscere il valore delle etichette solo quando non mirano a incasellare e definire le persone a cui si applicano ma, al contrario, a incentivarne la conoscenza. Tipi ci aiuta, insomma, a ricordare che le persone sono prima di tutto storie e che foss’anche solo per questo meritano di essere scoperte e ascoltate.

Curioso, infine, è il fatto che proprio un volume dedicato ai tipi umani, si caratterizzi per un altro genere di tipo: quello inerente alla stampa. Tipi è infatti pubblicato con caratteristiche di alta leggibilità, ossia con font EasyReading, spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra. Al rendere il volume più fruibile anche in caso di dislessia concorrono inoltre la costruzione stessa del libro, che risulta come composto da tante micro-storie godibili non solo nell’insieme ma anche nella loro individualità e come tali capaci di soddisfare anche una lettura più dilatata o frammentata nel tempo, e la scelta di una carta color crema, che oltre ad affaticare meno la vista, predispone una cornice dal sapore antico a testi e immagini dalla preziosa cura artigianale.

Il pupazzo di neve

È uno dei silent book più conosciuti e longevi, Il pupazzo di neve: un libro firmato da Raymond Briggs che ha attraversato più di quattro decenni e che viene ora riproposto in una bella e ampia versione da Rizzoli.

Protagonisti sono un bambino e il pupazzo di neve da lui costruito con cura e attenzione. Opportunamente dotato di occhi e bottoni di carbone, naso di mandarino, nonché di sciarpa e cappello autentici, il pupazzo fa bella mostra di sé nel bel mezzo del cortile. Il bambino ci gioca tutto il giorno ma quando scende la sera non può che osservarlo nostalgico da dietro la finestra di casa e continuare a pensarci anche sotto le coperte. Quando però il desiderio di riaverlo accanto e condividervi momenti gioiosi si fa troppo forte il bambino sgattaiola di soppiatto fuori dall’uscio e porta il pupazzo dentro casa.  Nel silenzio e nel segreto della notte, i due si divertono a giocare con gli interruttori, la colla e la carta, a correre sullo skateboard, a imbandire una tavola di delizie e fingere di guidare un’auto: tutte cose sconosciute per il buffo omino di neve e che in questa nuova e proibita scoperta acquistano interesse anche per il bambino. Tra un gioco e l’altro, bambino e pupazzo non mancano di rinfrescarsi davanti al frigo o al freezer, con gesti che richiamano in un ludico rovesciamento la convivialità e l’intimità tipica del focolare. Ma il rovesciamento prosegue poi nei ruoli: da guida e padrone di casa, il bambino diventa passeggero e compagno, in un viaggio condotto dal pupazzo  sopra la città e la campagna imbiancate. Il loro è dunque uno scambio di segreti, conoscenze e gesti affettuosi e che si protrae fino al sorgere del sole, quando il bambino deve rientrare nel suo letto prima che la famiglia e la città si svegliano. Gli resta qualche ora di sonno prima di alzarsi e correre di nuovo dal suo amico, di cui non resta però che qualche traccia, proprio come accade per i sogni.

Delicatissimo nei temi toccati come nel tratto, che il pastello rende un po’ indefinito e come tale perfetto per un racconto sospeso tra dimensione reale e dimensione onirica, Il pupazzo di neve procede per sole immagini racchiuse all’interno di vignette, in una sorta di fumetto privo di parole e di baloons. Così composto, il libro riesce a fotografare in maniera dettagliata singoli passaggi narrativi, rendendo chiarissimo al lettore, nonostante l’assenza totale di testo,  come si sviluppi la storia. In questo senso, Il pupazzo di neve si presta bene a una lettura – individuale o condivisa con l’adulto (meno, probabilmente, in gruppo) – che risulti fruibile anche da parte di bambini che fatichino un po’ di più a compiere inferenze e dedurre da sé ciò che testo e immagini non rivelano esplicitamente.

Guarda, c’è un porcello che vola

La storia dei tre porcellini la conosciamo più o meno tutti ma la versione che ci propone Guido Quarzo ha qualcosa di speciale. Certo, anche qui ci sono tre fratelli maialini, un lupo dal grande fiato, una casa di paglia, una di legno e una di mattoni, ma il modo in cui intorno ad essi si delinea il racconto, rende la fiaba piacevolmente sorprendente. E così finisce che in quel bosco a noi tutti noto un lupo si ritrovi all’ospedale per indigestione di sciroppo per la tosse e un porcellino sognatore voli via nella sua casa color del grano, immerso in una lettura appassionante. Modificando di poco, insomma, l’ordine degli avvenimenti, il risultato cambia eccome!

Brevissima, di facile approccio e divertente, Guarda c’è un porcello che vola costituisce una proposta di lettura ghiotta per lettori alle prime armi. La presenza di illustrazioni ampie e ad ogni pagina, unita a scelte tipografiche ispirate all’alta leggibilità – come il font leggimi mutuato da Sinnos, la spaziatura maggiore, la sbandieratura a destra e la carta opaca caratteristica della collana Il Battello a Vapore – rendono inoltre il libro particolarmente amichevole e abbordabile anche in caso di maggiori difficoltà di lettura legate alla dislessia. Il libro è disponibile anche in formato ebook (2.99 €)

Niente da fare

Giubilo, gaudio e gioia smisurata: è tornato! Con il suo taglio a scodella e la sua maglietta a righe, è tornato sulla scena proprio lui: l’inconfondibile personaggio che nel 2013 ha inaugurato la brillante produzione di Minibombo. Perseverante e curioso, proprio come lo abbiamo conosciuto ne Il libro bianco, il protagonista di Niente da fare non ha mantenuto invariati solo il look e l’attitudine: anche il suo rapporto con gli animali sembrerebbe rimasto piuttosto critico.

A ogni pagina del nuovo silent book firmato da Silvia Borando, infatti, il bambino incappa in un oggetto – un sasso, un albero, un fiore e così via… – con il quale prova ad interagire – arrampicandovisi, appendendocisi, arraffandolo… – ma che presto si rivela essere qualcosa di inatteso – il guscio di una tartaruga, le corna di un alce, la coda di un coniglio… – e tutt’altro che felice di venire importunato. Ogni incontro è dunque prima motivo di gioia e curiosità, poi occasione di divertimento e soddisfazione e infine ragione di sconforto o stupore: sentimenti variegati (e qui si potrebbe aprire una lunga parentesi su come una storia ben fatta tracci piste sulle emozioni più di qualunque libro a tema!) ed efficacemente espressi dall’autrice con minime variazioni della linea della bocca. La ricerca di un passatempo pare dunque disperata: per l’appunto non c’è niente fare, ossia non ci sono apparentemente svaghi con cui tenersi impegnanto ma neppure speranze di successo per l’intrepido esploratore. Mai dire mai, però. Quando delle porte si chiudono – si dice – si apre un portone: un portone tutto nero, magari, sotto cui si può nascondere una sorpresa deliziosa!

Forte di un meccanismo iterato e di un ritmo in tre tempi (incontro – approccio – sorpresa) collaudatissimi, Niente da fare offre una ghiotta successione di imprevisti di fronte ai quali è impossibile resistere alla tentazione di fare ipotesi e soprattutto di sorridere. Fino alla quarta di copertina compresa (vietato pensare di fermarsi prima!), niente è come sembra e questa piccola certezza accompagna il lettore tra le pagine, guidandone e motivandone la lettura. Perfettamente calato in un’ottica bambina, nella quale la noia scatena l’immaginazione e il contesto chiede silenziosamente (ma in maniera molto distinta!) di essere colto, scalato, sperimentato e fatto proprio senza indugi, Niente da fare appare estremamente in sintonia con il piccolo lettore anche per nella forma.

Senza timore degli spazi vuoti, Silvia Borando costruisce, infatti, un racconto per immagini in bianco e nero, in cui le figure sono semplici contorni privi di sfumature e in cui il colore è riservato ai soli oggetti incontrati dal protagonista, messi così in evidenza. Le illustrazioni sono quindi nette ed essenziali, i sentimenti del bambino sono evidenti e riconoscibili e i passaggi narrativi sono chiari e univoci. E questo è un valore aggiunto interessante per un libro che già di per sé è una chicca, poiché lo rende particolarmente fruibile anche in caso di difficoltà a compiere delle inferenze o mantenere desti interesse e attenzione. L’assenza di parole, a sua volta, può giocare a favore anche dei lettori più difficili da raggiungere, poiché svincola il godimento dalla capacità di decodificare il testo e poiché avalla un approccio al libro più personale, sia in autonomia sia con la mediazione dall’adulto.

Insomma, non c’è Niente da fare, amerete questo libro tanto quanto Il libro bianco!

Ci vorrebbe

Ci vorrebbe una bacchetta magica per trasformare cose e situazioni che ingrigiscono il presente dei bambini in cose e situazioni che invece ne alimentano la gioia. Manuela Mapelli, autrice e illustratrice di Ci vorrebbe, la bacchetta magica non ce l’ha ma in compenso ha delle matite. E forse un po’ magiche lo sono pure loro se con un tocco di colore, le ciminiere si fanno alberi, il filo spinato fiorisce, e le bombe divengono cieli stellati. Non solo. Magica è la possibilità di riportare in piccola scala criticità grandissime e aprire ai bambini la possibilità di immaginare un futuro migliore. L’autrice questo prova e forse riesce a farlo, dando vita a un volumetto piccino picciò che dà voce al potere trasformativo dell’immaginazione.

Delicato come un tocco di bacchetta magica, Ci vorrebbe si compone di illustrazioni e testi minimi. Le prime giocano con intelligenza sul cambio di senso e prospettiva che colori e dettagli possono portare su ogni oggetto. I secondi, invece, sono stampati in OpenDyslexic: un font open source ad alta leggibilità che privilegia forme rotondeggianti nella parte inferiore delle lettere per evitarne la confusione. Data la semplicità del volume, che ben lo predispone a una lettura ad alta voce, è chiaramente difficile che un bambino con dislessia vi si approcci in autonomia, ciononostante la scelta di un font accessibile e inclusivo non è indifferente o superflua perché crescere, fin da ascoltatori, tra parole a stampa dall’aria amichevole concorre a viverle con positiva curiosità.

Incubi al formaggio

Che il formaggio mangiato la sera sia causa di incubi notturni è convinzione comune. Ben più che una convinzione, tuttavia, è per Hal: per lui, infatti, la correlazione tra latticini e brutti sogni è una vera e propria ossessione! Da quella sera in cui la cena a base di formaggio francese ha scatenato nel suo sonno vampiri vestiti da cowboy, il bambino non si dà infatti pace e intende risolvere una volta per tutte il famigerato mistero degli incubi al formaggio. Partendo dal venditore locale, Hal risale l’intera filiera degli alimenti incriminati. La scoperta che fa però a questo punto è a dir poco sorprendente: all’interno della Casa del formaggio della Contessa (per-niente-malvagia) Von Udderstein le mucche non solo producono il latte, ma lo rendono deliberatamente perfetto per causare i peggiori incubi ai bambini. Stufi di vedersi rubare la materia prima in nome delle scorpacciate di mascarpone e brie, i bovini hanno deciso, infatti, di vendicarsi in segreto. La fuga di Hal dalle grinfie – o per meglio dire dagli zoccoli – della contessa Von Udderstein, contribuirà a mettere fuori gioco la fabbrica dei sogni puzzolenti (non senza causare, tuttavia, qualche remora del bambino a continuare a divorare pennette ai formaggi!).

Scritto e illustrato da Ross Collins, Incubi al formaggio mescola in maniera insolita e a tratti perturbante (il che non è sempre cosa negativa) avventura, ironia e pensiero critico sullo sfruttamento degli animali. Incisivo e interessante, in questo senso il ruolo delle illustrazioni  che affiancano e talvolta sostituiscono completamente il testo, contribuendo a rendere l’approccio al libro meno ostico. La stampa ad alta leggibilità – apprezzabile consuetudine della casa editrice Biancoenero – completa infine il quadro di una lettura (letteralmente) appetibile per un pubblico di bambini anche alle prese con difficoltà legate alla dislessia.

I gatti dell’Hermitage

Le pericolose missioni segrete dell’Agente Sharp non sono nuove ai lettori della casa editrice Biancoenero. Il gatto soriano in servizio per l’agenzia felina Gattaka ha dato prova, infatti, della sua astuzia e del suo coraggio in occasione dell’offensiva contro l’evaso Karlos Gnam e delle indagini parigine sul dottor Robotec. Ma per un agente segreto l’allerta è sempre massima e così, proprio mentre Sharp si gode la quiete di casa Martini, arriva via citofono la parola d’ordine: “C’è un pacco per Mario”. Pochi minuti per dedificare il messaggio cifrato contenuto nel pacco ed ecco che Sharp è sulla via di San Pietroburgo. Direzione: Hermitage! Qualcosa di losco sta infatti accadendo al famoso museo: vari reperti e opere d’arte sono stati spostati senza apparente motivo. Per capire cosa si nasconda sotto quegli strani movimenti, la squadra di Gattaka inizia a collaborare con i colleghi russi, dando vita a una missione internazionale che sgominerà una banda e riporterà al suo posto un quadro di inestimabile valore.

Ispirato dagli insoliti guardiani felini, che da anni proteggono dai topi il museo simbolo di San Pietroburgo, Agente Sharp. I gatti dell’Hermitage propone una nuova avventura ad alta leggibilità. Stampato con tutte le caratteristiche più utili a rendere il testo amichevole anche a lettori con dislessia, il racconto di Alessandro Cini appare gustoso e non troppo impegnativo, ideale in particolare per piccoli amanti di indagini e misteri.

Processo al lupo

Assoldato in qualità di cattivo dalla maggior parte delle fiabe, il lupo non scampa infine a un solenne processo per le sue malefatte. Questo, perlomeno, è ciò che accade nel racconto immaginato da Stéphane Henrich. Di fronte a una corte di tutto rispetto presieduta da un giudice suino con tanto di pelliccia di ermellino, il malcapitato risponde alla grave accusa di aver ucciso un agnello. E di averlo divorato crudo, per giunta. Nell’aula gremita di erbivori che ogni tre per due vengono richiamati all’ordine per le esclamazioni di sconcerto che si lasciano sfuggire, si susseguono testimonianze più o meno attendibili (“Io ho visto tutto, signor Giudice!”, dichiara non creduto Leo talpa, tra il sostegno del signor Cinghiale e le accuse dei tre porcellini), perizie di investigatori e psichiatri e arringhe finali pro o contro la condanna. La sentenza è tutt’altro che scontata e in questo restituisce al lettore tutta la complessità etica sottesa a un giudizio. Lo fa però all’interno di una cornice – quella appunto del tribunale degli animali – che mescola citazioni fiabesche e ammicchi al reale che, dalla prima allultima pagina, sorprendendo e divertono il lettore.

Proposta insolita per il catalogo di Biancoenero, Processo al lupo è incluso non a caso tra i Fuori collana. Albo illustrato che fonde efficacemente testo (ad alta leggibilità) e immagini, il libro di Stéphane Henrich ricorda per certi versi anche un fumetto poiché procede quasi esclusivamente per dialoghi (solo privi di nuvoletta) che si affiancano a specifiche illustrazioni. Queste ultime, dal tratto ironicamente nervoso e capace di rendere con poche linee dettagli e sentimenti di cui volutamente il testo tace, risultano davvero efficaci nel restituire le espressioni dei personaggi e nel proporre inquadrature insolite che danno al lettore la sensazione di trovarsi nel bel mezzo dell’aula di tribunale. L’effetto è senz’altro spiazzante come spiazzante, peraltro, è il racconto di Henrich che schiude più domande che risposte ed invita, con un sorriso un po’ dolce e un po’ amaro, a interrogarsi sul senso della giustizia e sul filo sottilissimo lungo il quale si confrontano il giusto e lo sbagliato.

La tredicesima fata

Che alla Bella Addormentata sia toccato un sortilegio soporifero bello lungo, causato da una strega cattiva, è storia nota. Meno noto, invece, è il dietro le quinte di quel gesto dalle conseguenze eclatanti. Chi è davvero la strega che lo ha compiuto? E perché lo avrebbe fatto? Ecco, La tredicesima fata di Kaye Umansky nasce da questi interrogativi bislacchi a cui risponde con un racconto a dir poco irriverente.

Protagonista è Grimbleshanks, una fata fuori dal comune che agli abiti pizzi e merletti, alle festicciole fru fru e alle tazze di tè tra i pettegolezzi, preferisce un look total black, la compagnia di un corvo e una quotidianità più spartana. Per questo le altre dodici fate del regno tendono a isolarla e a parlarle alle spalle, senza perdere occasione di punzecchiarla e farla ingelosire. Proprio come quella volta in cui le fanno sapere di non essere stata invitata al battesimo della principessina, a causa dei suoi modi rudi e poco eleganti. La rabbia di Grimbleshanks è tanta che la fata si reca a palazzo intenzionata mettere in atto una vendetta spettacolare ma innocua. Qualcosa però va storto, un qui pro quo prende la scena e trasforma la piccola rivincita in un grande, grandissimo malinteso della durata di 100 anni!

Ironico, sfacciato e per nulla politically correct, La tredicesima fata va perfettamente incontro alle ritrosie di bambini poco avvezzi alla lettura. Il racconto si legge infatti con gusto e si esaurisce in un tempo ragionevole. Inoltre, la stampa ad alta leggibilità – con font biancoenero, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, illustrazioni frequenti e carta color crema – contribuisce a rendere le condizioni di lettura più amichevoli e meno ostiche per tutti, soprattutto per chi si confronta con le difficoltò imposta della dislessia.

Cole Tiger e l’esercito fantasma

Da quando la famiglia di Cole Tiger si è trasferita a Everseen, lui ed Aquima sono diventati grandi amici. Molto diversi nell’aspetto – carnagione chiara e vistosi capelli rossi lui, carnagione scura ed evidenti lineamenti indiani lei –  i due condividono una certa solitudine legata al pregiudizio e alla diffidenza che la cittadina riserva a chi viene percepito come diverso. Lo stesso trattamento – scopriranno – ha toccato due ragazzi come loro di nome Aylen e Samuel, vissuti molti anni prima. Le loro storie non sono solo simili bensì destinate a intrecciarsi strettamente. Vittime di una maledizione, Aylen e Samuel necessitano, infatti, dell’aiuto dei due ragazzi per romperla e liberarsene per sempre. Questo, però, non si scopre che alla fine. In mezzo è tutto un tumulto di misteri, inseguimenti, tracce e rivelazioni che coinvolgono non solo i famigliari (anche quelli più insospettabili!) di Cole Tiger e Aquima ma anche personaggi straordinari dai caratteri sovrannaturali. La vicenda accelera quindi progressivamente il ritmo fino a culminare in uno scontro accesissimo, in cui le vere qualità di ciascun personaggio non mancano di venire a galla.

Il racconto scritto da Federica D’ascani è avvincente e coinvolgente. L’intreccio tra presente e passato, in particolare, richiede un po’ di abitudine a destreggiarsi all’interno di narrazioni complesse, ma offre al lettore una sfida di lettura intrigante. A rendere quest’ultima più fruibile anche a bambini con dislessia, interviene la consueta attenzione di Sinnos a proporre caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, quali la font specifica leggimi, l’uso accorto di colori, grassetti e maiuscolo, la spaziatura maggiore, la carta color crema e la sbandieratura a destra.

La conferenza degli animali

In giorni come questi in cui la parola memoria riecheggia con frequenza, risvegliando la necessità di ricordare l’orrore che è avvenuto e che, anche in forme diverse, può continuare a ripetersi, un libro come La conferenza degli animali non passa inosservato. Scritto nel 1949 da Erich Kästner, oppositore del regime nazista e fervente pacifista, il libro nasce su sollecitazione di Jella Lepman, visionaria fondatrice di Ibby, con l’intento di denunciare le grandi sofferenze imposte ai bambini dalle guerre e dai deliri di potere dei grandi. Nutrito dunque di un pensiero strenuamente antibellico oltre che profondamente convinto del potere della buona parola scritta, il libro di Erich Kästner lancia forte e chiaro ai suoi lettori un messaggio di pace, che a tutt’oggi risuona attuale e necessario.

Protagonisti del racconto sono alcuni animali che, stufi di vedere i capi di stato riunirsi in inutili conferenze prive di concreti accordi ed effetti, decidono di organizzarne una loro per rimettere al centro dell’attenzione il bene dei bambini. Così, grazie a un tam tam di grande efficienza, le delegazioni bestiali di tutto il mondo si ritrovano al Grattacielo degli animali per il loro primo incontro ufficiale, proprio in concomitanza con l’ottantasettesima conferenza dei capi di stato umani. Tra i due consessi si innesca a suon di telegrammi un braccio di ferro durissimo: gli animali chiedono infatti di trovare un accordo che garantisca ai bambini un futuro di pace mentre i governanti non si smuovono di un centimetro dalla pretesa di badare ognuno solo ai propri affari. Con grande ingegno, allora, gli animali passano dalle parole ai fatti costringendo gli umani ad accettare le loro condizioni grazie a un’escalation di azioni dimostrative che vedono documenti distrutti dai topi, divise polverizzate dalle tarme e bambini messi in salvo dall’intera combriccola di bestiole. Sarà una dura lotta, la loro, ma l’accordo che ne uscirà è un manifesto di straordinaria lucidità che non solo regala un lieto fine ai protagonisti ma che andrebbe anche appeso e appreso in ogni scuola, comune e palazzo di governo.

È dunque una splendida notizia che l’editore Piemme, che detiene i diritti dell’opera, abbia deciso di pubblicarla nella collana Il Battello a Vapore con caratteristiche di alta leggibilità. Il testo, certo datato per alcuni riferimenti ai costumi e alla cultura dell’epoca, rimane godibilissimo per il suo messaggio di fondo, per le invenzioni narrative che l’autore sfodera e per la sua grande capacità di trasformare le qualità di ogni animale in ghiotti spunti per episodi e digressioni di intermezzo. L’accessibilità del testo anche in caso di dislessia – data dall’uso del font leggimi mutuato da Sinnos, dalla spaziatura maggiore, dalla sbandieratura a destra e dalla carta color crema – viene ulteriormente supportata dalle frequenti e deliziose immagini di Walter Trier che, pur proposte in bianco e nero come consuetudine della collana in questione, mantengono intatte una certa freschezza.

La conferenza degli animali – audiolibro Locomoctavia

Quanta attualità scalpita tra le righe di quel capolavoro di Erich Kästner che è La conferenza degli animali. Scritto ormai più di settant’anni fa, quando le ferite della guerra erano frequenti come oggi ma certo più fresche e vicine ai bambini europei, il racconto che vede gli animali di tutto il mondo attivi in prima linea nel tentativo di far ragionare i capi di stato in nome del bene dei più piccoli, potrebbe tranquillamente svolgersi in questo preciso momento storico. Il suo fortissimo ed esplicito messaggio di pace, non a caso fortemente voluto e sollecitato dalla straordinaria Jella Lepman, non è affatto tramontato ma anzi, supportato da un delizioso gusto narrativo che trova una chiave di continua sorpresa nell’enumerazione e nell’interpretazione antropica delle caratteristiche dei diversi animali, parla ancora in maniera molto schietta la lingua dei bambini.

Per questo, la scelta di Locomoctavia di inserire La conferenza degli animali tra i suoi titoli in formato audiolibro (come sempre sia su cd sia scaricabile direttamente dal sito, a seconda delle preferenze) è non solo felice ma anche preziosa. Con la cura che la contraddistingue, la casa editrice triestina rende infatti nuova vita e nuova linfa al racconto di Kästner, compensando l’assenza delle storiche (e bellissime!) illustrazioni di Walter Trier con una sinfonia sonora che risulta molto coinvolgente alle orecchie dell’ascoltatore. Rispetto ai titoli precedenti, La conferenza degli animali si distingue infatti per la partecipazione di un numero maggiore di attori, utile a restituire con vivacità e sfumature il ricchissimo ventaglio di personaggi, umani e animali, che popola il racconto di Kästner. Anche questo titolo, dal canto suo, è sostenuto, accompagnato e interpretato musicalmente: in questo caso è il sapiente gioco di percussioni di Dody B a calarci in un mondo che si rivela surreale almeno quanto la politica dei grandi che l’autore denuncia.

 

La conferenza degli animali, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è fruibile anche tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Il giornalino di Gianburrasca

Continua l’affascinante viaggio di Locomoctavia attraverso i classici della letteratura per ragazzi, riproposti in una versione estremamente curata che al rispetto dei testi – sempre offerti in versione integrale e/o in traduzione di pregio – sposa una ricerca musicale mai scontata e sempre calzante.

Così è stato per i primi titoli come Alice nel Paese delle Meraviglie e Pinocchio, e così non manca di essere anche per  il più recente Il Giornalino di Gianburrasca. Fedelissimo nello spirito all’indole indomita di Giannino Stoppani, novenne votato alla monelleria come pochi altri, l’audiolibro restituisce con gusto e perizia i guizzi, le imprese, i guai e i pensieri scarmigliati del protagonista. Lo fa soprattutto attraverso un’interpretazione movimentata, quale quella offerta da Daniele Fior, e da un accompagnamento incalzante quale quello di Tommaso Rolando al contrabbasso. Entrambe sottolineano, infatti, l’irrequietezza del racconto, la gioia delle marachelle, il loro effetto a sorpresa e l’immancabile senso di ingiustizia della sopraggiunta punizione.

Il rispetto del testo originale, oltre a garantire l’incontro del lettore con una straordinaria varietà di personaggi e invenzioni narrative, gustose pur nei loro 110 anni e più, offre un vantaggio interessante anche in un’ottica di accessibilità, peraltro già notevole dato il tipo di supporto scelto. La funzionale divisione in capitoli corrispondenti ai giorni del diario, così come previsto dal testo a stampa di Vamba, mette infatti il lettore di fronte a un numero cospicuo di tracce audio dalla durata circoscritta, cosa che ne agevola la fruizione e il godimento, anche laddove l’attenzione fatichi a essere mantenuta a lungo sul racconto.

 

Il Giornalino di Gianburrasca , così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è fruibile anche tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Costruttori di stelle

Gli sviluppi della tecnologia ci hanno abituati a pensare che praticamente qualunque cosa si possa costruire. E se questo valesse anche per cose lontanissime e affascinanti come le stelle? Soojin Kwak si è probabilmente posta quest’interrogativo e dalla sua suggestione curiosa è nato un silent book in cui ordinario e straordinario si incontrano, illuminando un mondo che parrebbe altrimenti dominato dal grigiore.

Con un’ambientazione e un filo conduttore che richiamano lo splendido cortometraggio Pixar intitolato La luna (2011), Costruttori di stelle interpreta in maniera suggestiva lo stupefacente e misterioso fenomeno delle stelle che brillano. Mescolando con originalità dimensione fantastica e spirito scientifico, l’albo della giovane artista coreana costruisce un intero mondo intorno a un mestiere immaginario, quello per l’appunto dei costruttori di stelle, e delinea un percorso narrativo che si fa pregustare fin dalle prime pagine per poi svelarsi in tutto il suo splendore solo in chiusura.

Vincitore del Silent Book Contest 2019, Costruttori di stelle procede per sole immagini, che appaiono ampie (l’intero albo ha un formato quadrato importante), chiare e prive di dettagli superflui che possono distrarre dal cuore dell’invenzione narrativa, ossia i diversi passaggi che portano alla messa in funzione delle stelle. La narrazione procede così in maniera molto fluida e lineare, offrendo al lettore gli spunti e gli indizi necessari per seguire la catena di montaggio stellare, e con essa il racconto. Ideale per solleticare palati esigenti di lettori che mal sopportano il testo scritto ma che al contempo non trovano ostacoli nel riunire tasselli e compiere inferenze, Costruttori di stelle invita a leggere con sguardo nuovo anche fenomeni, lavori e strumenti apparentemente privi di scintille creative.

Filippo Maria il terribile

Giuseppe Caliceti è maestro elementare di lunghissima esperienza e le centinaia di bambini che ha incontrato nel suo percorso professionale si sentono davvero tutte tra le pagine del libro Filippo Maria, il terribile, scritto per l’editore Raffaello. Protagonista del volume, come indicato anche dal titolo, è un bambino vivace di nome Filippo Maria, intorno al quale ruotano le situazioni scolastiche quotidiane narrate dall’autore. Ma protagonisti insieme a lui sono anche il maestro, figura seria ma capace di parlare al cuore dei suoi alunni, e l’intero gruppo classe: una collezione ben assortita di indoli e storie che rende ogni giorno tra i banchi una sorpresa.

Il libro si compone di 33 brevissimi capitoli, ciascuno dedicato a un episodio significativo della vita in classe. Vi rientrano bugie e piccoli scherzi, litigi e punizioni, invenzioni e giochi, compiti e rapporti tra pari: occasioni in cui facilmente il lettore potrà riconoscersi e in cui spesso l’autore rivela la sua indole pedagogica. Stampato ad alta leggibilità, il libro non prevede solo un font specifico per dislessia, una spaziatura maggiore e una sbandieratura a destra ma si premura anche di evidenziare le parole più complesse con un colore che ne identifica la funzione nel testo e di esplicitarne il significato con un glossario posto a lato della pagina: caratteristica, questa, che agevola senz’altro la lettura anche tra i lettori meno forti pur ricordando forse un po’ troppo l’impianto caratteristico dei libri scolastici.

Dentro fuori

Ci avevano stupito e conquistato con Prima dopo, Anne-Margot Ramstein e Matthias Aregui che ora tornano per un gradito bis con un nuovo albo senza parole intitolato Dentro fuori. Costruito in maniera analoga al volume precedente sul dialogo tra due categorie contrapposte – in questo caso di tipo spaziale – il libro si sviluppa su doppie pagine, mostrando la medesima situazione dall’interno e dall’esterno. Quello che si crea è dunque un confronto tra due punti di vista che non è mai piatto e asettico ma anzi lascia spazio a sorprese sempre gustose, a colpi di scena inattesi, a echi lontani e a risvolti emotivi.

Così, per esempio, quella che da fuori parrebbe una grotta desolata, da dentro rivela uno spettacolo prezioso fatto di gemme; quello che da dentro sembrerebbe un anonimo naufragio, da fuori omaggia silenziosamente Pinocchio; o quello che da dentro appare come una semplice fuga dalla finestra, da fuori si arricchisce di intriganti particolari narrativi. Perché proprio in questo sta la bravura dei due autori francesi: nel fare leva su quello scarto tra interno ed esterno per costruire dei micro-racconti e suggerire la molteplicità di punti di vista da cui è possibile guardare la medesima situazione.

Il volume è ricco di richiami e rimandi anche interni che rendono la lettura e la rilettura particolarmente affascinanti ma si sviluppa perlopiù per quadri minimi che facilitano la fruizione anche laddove ci siano difficoltà a seguire e costruire fili narrativi piuttosto lunghi. L’assenza di parole consente dal canto suo di rendere il volume particolarmente accogliente nei confronti di lettori che decodificano con fatica il testo ma non manifestano difficoltà cognitive. Rispetto a chi invece sperimenta maggiori difficoltà, il volume può risultare più ostico ma può comunque offrire spunti efficaci per appropriarsi in maniera stimolante e tutt’altro che scolastica dei concetti spaziali su cui il libro si regge.

Annie. Il vento in tasca

Che forza, Annie! Classe 1970, Annie Cohen Kopchovsky compì più di 120 anni fa un’impresa memorabile: percorrere il giro del mondo in sella alla sua bicicletta. Nata per scommessa, la sfida di Annie diventa cosa serissima: perché decine di migliaia di chilometri su un sellino (peraltro d’altri tempi) non è propriamente una passeggiata; perché lungo il viaggio non sono pochi gli intoppi – dalle cadute alle reclusioni in prigione; e, non ultimo, perché Annie è una donna e questo porta con sé una fitta serie di complicazioni. Non certo fisiche, come dimostrerà il successo della sua impresa, ma di tutt’altro genere: Annie deve infatti fare i conti con giudizi e pregiudizi che la vorrebbero a casa a occuparsi di marito e figli piuttosto che in calzoni e abiti maschili a scorrazzare per il mondo. Ma già più di un secolo fa, per fortuna, l’opinione comune non era unica e così, dall’America all’India, Annie incontra personaggi moderni, attenti e rispettosi, che sposano la sua battaglia e le offrono appoggio: chi la scorta dopo una rapina, chi la accompagna nei tratti di mare, chi le offre abiti e mezzi più funzionali, chi le dona voce attraverso le pagine di un noto giornale. E così Annie, può finalmente fare ritorno in patria con nelle tasche un vento di libertà che ancora oggi è di grande ispirazione.

Intelligente e vigorosa è la scelta di Sinnos di dedicare ad Annie un volume della sua collana di graphic novel. Perché senza bisogno che lo si sottolineai e ci si giri intorno, la sua vicenda condensa una grandissima ricchezza di spunti e prospettive sulla delicata questione della parità di genere. E lo fa con lo sprint asciutto di un racconto avventuroso che attraversa settimane e continenti in poco meno di cento pagine, supportato da illustrazioni eloquenti, tutte giocate sul marrone e sul blu, che tanta parte hanno nell’aiutare il lettore a restare sulla scia di Annie. Frequentissime, talvolta frammentate al punto da immortalare con minuzia episodi particolari, le figure di Luogo Comune danno una spinta alla lettura, rendendola molto fresca e dinamica.

Campo Bravo

Presto, fate largo: torna in pista l’irresistibile duo composto da Boonen e Melvin! Noti ai lettori italiani per i divertenti Weekend con la nonna e Mammut!, entrambi editi da Sinnos, i due autori fiamminghi ripescano il personaggio di Teo per catapultarlo in una nuova e tutto fuorchè desiderata avventura.  La minaccia in vista è questa volta rappresentata dal campeggio: un’esperienza che il giudizioso Teo eviterebbe con piacere, tanto più che Campo Bravo sbandiera a destra e a manca la sua specialità in avventure grandiose e pericolose.

Ogni protesta del bambino, chiaramente, risulta vana: tutti – dai genitori alla Tata Pelosa – sono convinti che sarà per Teo un’occasione di grande divertimento. E così, caricata la valigia da 100 kg sullo scoppiettante sidecar della Tata, Teo parte alla volta di Campo Bravo. Qui le avventure in effetti non mancano, e con loro neppure la grandiosità e il pericolo promessi: arrampicate e tuffi mozzafiato sono all’ordine del giorno e Teo finisce in infermeria (dove – sorpresa! – lavora l’immancabile Tata Pelosa) più di una volta. Eppure a Campo Bravo Teo non trova solo questo. La compagnia dell’amico Jack, con cui divide la tenda e la malinconia di casa, e i test improbabili del capo Osvaldo al motto di “Immaginate che…” gli offriranno un’opportunità preziosa e inattesa: quella di vivere l’errore e le paure come una strada per il coraggio.

Strutturato, così come Mammut!, intrecciando vignette, fumetti senza balloons e didascalie, Campo Bravo si contraddistingue per un uso ironicissimo dei dialoghi e delle figure e per un gioco cromatico, che coinvolge sia il testo sia le illustrazioni, tutto basato sul salmone e sul blu. Rispetto alla precedente avventura che vede protagonista Teo, Campo Bravo ha però un ritmo più irregolare e imprevedibile che si riflette anche dal punto di vista grafico in una distribuzione meno regolare di testo e vignette. Ciononostante la pagina resta pulita e le parole non si affollano, lasciando così intatto il piacere della lettura. La stampa ad alta leggibilità, in cui giocano un ruolo prezioso gli spazi, l’uso del colore e l’impiego della speciale font leggimigraphic messa a punto da Sinnos, contribuisce dal canto suo a spianare la strada alla lettura anche a bambini la cui dislessia complica la decodifica del testo.

Gli acchiappacattivi

Un gatto dall’inventiva fuori dal comune e un topo specialista dei lavori a maglia: già così ce ne se sarebbe a sufficienza per tuffarsi senza esitazioni tra le pagine a colori di Rasmus Bregnhoi. Ma non è tutto, perché a confermare il lato originale e stuzzicante de Gli acchiappacattivi, concorrono anche un racconto gustoso, delle illustrazioni che brulicano di dettagli sfiziosi e un’impaginazione amichevole che rende molto ben bilanciato il rapporto tra testo e immagini.

Ma andiamo con ordine. Gli acchiappacattivi sono Mus e Mis, rispettivamente un topo e un gatto. Le loro strade si incontrano in un vicoletto, quando Mus sta per finire tra le grinfie del perfido gatto Kat e Mis lo salva mettendo in azione la sua scacciacani: invenzione evidentemente funzionale anche per scacciare i gatti. Tra i due nasce un’amicizia sincera, alimentata dal desiderio di costruire un rifugio comune che possa ospitare nuove mirabolanti invenzioni. E così, a bordo di un ingegnoso sidecar, Mus e Mis iniziano la loro avventura insieme che li porterà a realizzare una casa strabiliante in  cui costruire la mirabolante macchina Acchiappacattivi. Inutile dire che a testarla sarà, suo malgrado, proprio il perfido Kat, sancendo definitivamente il soldalizio tra gatto e topo in nome dei bulloni e dei cappelli fatti a maglia.

Ironico e accattivante (mai aggettivo fu più azzeccato!), Gli acchiappacattivi celebra il valore dell’amicizia in tutte le sue forme, soprattutto quelle più inattese e strampalate. Contraddistinto da un formato snello, da illustrazioni frequenti e da caratteristiche tipografiche di alta leggibilità, il lavoro di Rasmus Bregnhoi si presta benissimo a una lettura senza fretta, in cui gustarsi particolari divertenti disseminati qua e là, lasciarsi ispirare dalle invenzioni al centro del racconto (e dal bellissimo rifugio che Mus e Mis si costruiscono) e sentirsi supportati da una narrazione che fa dell’incontro tra parole (sia in maiuscolo che in minuscolo) e figure un’ancora preziosa anche per bambini che sperimentano maggiori difficoltà nella decodifica del testo scritto.

Ruggiti

Ci sono un leone, una bambina e un meccanico: non è l’inizio di una barzelletta ma il cuore di Ruggiti, un’avventura straordinaria scritta da Daniela Carucci e targata Sinnos. Il leone, in particolare, si chiama Leo e fa compagnia al meccanico Mario da quando la sua proprietaria – donna cannone di un famoso circo – si è trasferita oltreoceano senza poter portare l’animale con sé. Malgrado l’apparenza Leo non è pericoloso e infatti fa presto amicizia con la piccola Mia, compagna di giochi e abituale visitatrice dell’officina di Mario. Un giorno però dei loschi tizi di blu vestiti e denominati, per l’appunto, I Blu, portano via con la forza il povero Leo, innescando una girandola di eventi ad alto tasso di coraggio e divertimento.

Ispirato a una storia vera (!), ripescata dalle memorie d’infanzia dell’autrice, Ruggiti trascina il lettore in un inseguimento a rotta di colla, tra le grinfie di malviventi senza scrupoli, in sella a un’ape con le ali e nel folto di un bosco, il tutto senza scordare di trovare il lato buffo di ogni situazione e aggiungere un sorriso a ogni capitolo.

Complici anche le illustrazioni frizzanti di Giulia Tonelli e la stampa ad alta leggibilità che rende la lettura meno ostica, il libro si presta a far vivere più di un’emozione anche a bambini poco propensi alla lettura.

La tana nell’albero

Il 2019 è ufficialmente l’anno dei leoni addomesticati ad alta leggibilità! Dopo Ruggiti di Daniele Carucci, edito da Sinnos, esce ora per Biancoenero La tana nell’albero: un racconto lungo firmato da Cary Fagan che ci trasporta dritti dritti nella Toronto di inizio novecento. Qui un circo in trasferta perde due vagoni del treno su cui si sta muovendo: su uno di essi viaggiano un domatore e il suo affezionato leone Sunny. Scaraventati giù dal mezzo, i due si perdono di vista e l’attempato Sunny si rifugia in un albero cavo nel bel mezzo di High Park. Ma come può sopravvivere tra passeggiate ombrose e divertimenti per famiglie una creatura del suo genere? Per un po’ il leone si arrabatta cacciando di nascosto quel che può ma pavoni e visitatori a quattro zampe non sono sufficienti per la sua dieta. Come se non bastasse, le irrisolte sparizioni di animali nel parco e le misteriose apparizioni di creature mostruose che ad esse si accompagnano mettono sull’attenti polizia e opinione pubblica. Sarà allora provvidenziale l’incontro di Sunny con Sadie, la figlia del pasticcere Menke, noto in città per le sue prelibate crostate. Tra i due si instaura un rapporto di fiducia, solidamente basato su uno scambio di scarti di macelleria e coccole. Ma trovare abbastanza carne da saziare un leone non è semplice, soprattutto se in famiglia i soldi non scorrono a fiumi. Così, Sadie si convince a confidare il suo segreto felino a Theo Junior, un vicino di casa dell’alta società, dagli abiti buffi e i modi ossequiosi. La loro è un’amicizia nata per necessità, cresciuta con naturalezza e messa alla prova da un repentino precipitare dei fatti. Una soffiata costringe infatti i due ragazzini a trovare in fretta e furia una soluzione per Sunny che costringerà tutti quanti a fare i conti con ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ma anche con la perdita che può diventare conquista. Di libertà, per esempio.

Scorrevole, avvincente e ricco di questioni importanti, mai tuttavia sbandierate o men che meno sezionate con intenti didascalici, La tana nell’albero è un racconto che accarezza e scuote, proprio come avrebbe fatto il vecchio Sunny. Stampato come di consueto con caratteristiche di alta leggibilità, agevola inoltre la lettura anche a ragazzi con difficoltà legate alla dislessia.

Io sono Bellaq

La penna di Vincent Cuvellier sa essere versatilissima: leggera e poetica come in La prima volta che sono nata, asciutta e cruda come in La zuppa dell’orco, spassosa e irriverente come in Giancretino ed io. E proprio perché è versatilissima, all’occorrenza questi tratti sa anche mescolarli. È quel che accade in Io sono Bellaq, l’ultimo lavoro dell’autore francese pubblicato da Biancoenero.

Spiazzante, audace e provocatorio, Io sono Bellaq racconta la disavventura di  Bellaq Mostaganem, bambino di origini algerine che una mattina viene prelevato dalla sua classe da una squadra di poliziotti in tenuta antisommossa, portato in luoghi segreti, interrogato, trasferito e messo alle strette con l’accusa di aver compiuto un attacco terroristico in un ristorante: evento del giorno di cui tutti parlano ma di cui lui pare non sapere nulla (la mamma infatti non gli permette di guardare la tv la mattina!). Passerà una giornata intera, tra insinuazioni minacciose e incontri degni di un film poliziesco, prima che Bellaq possa essere restituito alla sua famiglia e tornare, scagionato da ogni accusa, alla sua vita di bambino, dopo un’avventura ben oltre l’ordinario e senz’altro non priva di strascichi quotidiani.

Verrà fuori che a scatenare panico e azioni militari era stata una banale omonimia tra il protagonista e il reale autore dell’attacco: aspetto che accentua ulteriormente la surrealità del racconto, mettendo bene in evidenza la cecità di una giustizia a tutti i costi, disposta ad autentiche follie in nome della sicurezza nazionale. Senza rinunciare a quell’ironia che lo rende inconfondibile, Vince Cuvellier prende così di petto una questione scottantissima, soprattutto per un paese come la Francia all’indomani di diversi attacchi di matrice terroristica e più in generale di numerose manifestazioni di fallita integrazione. La storia di Bellaq, per quanto incredibile, diventa cioè un grido di attenzione, un richiamo a quell’umanità che emergenza e paura rischiano di mettere pericolosamente in secondo piano.

L’attualità del tema, unita allo stile accattivante dell’autore, offrono un buon aggancio a lettori desiderosi di confrontarsi con storie dense e tutt’altro che banali: storie da grandi, insomma. La stampa ad alta leggibilità, caratteristica della casa editrice romana, concorre inoltre, a sua volta, a rendere la fruizione più a misura anche di lettori con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Non parlo più!

Aurora è una bambina timida e piuttosto solitaria: non ama granché i giochi che fanno le sue compagne e fatica a trovare con loro una possibilità di interazione. Un giorno, messa in imbarazzo davanti alla classe intera a causa di un brutto tiro giocatole da un compagno, Aurora si chiude in sé stessa, rinunciando totalmente a esprimersi a parole, al di fuori dell’ambito familiare. Sarà una maestra paziente e sensibile, con la sua disponibilità ad accogliere i tempi e i modi della bambina, ad aiutarla a sconfiggere quella che lei chiama la timistrezza: un mix di timidezza e tristezza difficilissimo da scacciare. Ma sarà anche l’aiuto di Chiara, nuova compagna di classe, a giocare un ruolo decisivo nel percorso di superamento delle proprie difficoltà da parte di Aurora, delineando così con forza, l’idea che empatia e condivisione tra pari possono fare la differenza nel far sentire ogni bambino accolto e rispettato.

Quella scritta da Sabrina Mengoni è una storia che nasce da un’esperienza reale e che non nasconde un esplicito intento pedagogico: quello di dare voce ai bambini colpiti da mutismo selettivo, mettendo in evidenza le difficoltà e le emozioni che questo tipo di evento porta frequentemente con sé.

Il libro, pubblicato da Eli La Spiga, presenta alcune caratteristiche di alta leggibilità quali il ricorso al font leggimi, la maggiore spaziatura e la sbandieratura a destra del testo che ne rendono più agevole la lettura anche in caso di dislessia. La carta scelta, dal canto suo, si presenta lucida (quindi con qualche criticità legata al riflesso) ma color crema.

La collana L’albero delle storie di cui Non parlo più! fa parte comprende alcuni altri titoli ad alta leggibilità, reperibili qui: https://www.alberodeilibri.com/catalogo/?filter_leggibilita=carattere-ad-alta-leggibilita&query_type_leggibilita=or.

Matilde (Kalandraka)

Imbattersi nel nome di Matilde, gironzolando tra pagine per l’infanzia, fa sempre drizzare orecchie: da Rolad Dahl in avanti – nomen omen – dove c’è qualche Matilde è facile che si trovi un’avventura straordinaria o un personaggio che sa il fatto suo. Non fa eccezione la protagonista di un silent book piccolo piccolo ma colmo di immaginazione, nato di recente in casa Kalandraka.

La Matilde che lo abita è una bambina che a star ferma e buona ci pensa poco. I due codini che porta sulla testa sembrano ali e così, a guardarla di sfuggita, ci pare quasi una fatina: una fatina determinata e furba, creativa e coraggiosa, che tanto desidera uno dei pennelli del pittore, osservato in silenzio dal davanzale della finestra. Trovato il modo di arraffare il pennello, Matilde si lancia impaziente verso un muro tutto bianco per dipingervi un bel drago, con tanto di ali e squame. Il drago presto prende vita e inizia a passeggiare per la città, ma qualcosa non va come previsto e il drago, dapprima mansueto e tranquillo, inizia a scatenarsi rosicchiando tutto ciò che gli capita a tiro. Non è facile per Matilde tenere il passo e tenere a bada la sua creatura, nemmeno quando, con il suo pennello magico, disegna un guinzaglio da mettergli al collo. Provvidenziale sarà l’intervento dello stesso pittore, grazie al cui trucco da maestro il drago rosso fuoco potrà trovare una nuova casa e il pennello prodigioso potrà forse stupire un nuovo bambino.

Sulla scia di capolavori quali Harold e la matita viola di Crockett Johnson o i più recenti Viaggio, Scoperta e Ritorno di Aaron Becker, Matilde riprende la prolifica idea secondo cui un semplice strumento da disegno, messo nelle mani giuste, possa dare vita ad autentiche magie. Si rinnova così il grido a gran voce (ma in questo caso senza alcuna parola!) che l’immaginazione coltivata e ben condotta sia potentissimo strumento di riscatto, soprattutto in un mondo dominato dal grigiore. Molto efficace, in questo senso, l’uso che l’autrice fa del colore: il suo gioco sui toni del bianco, del nero, del grigio e del rosso, sottolinea infatti in maniera incisiva l’interazione tra dimensione reale e dimensione fantastica che anima il volume.

Popolato di creature bizzarre e affascinanti e contraddistinto da dettagli significativi sparsi qua e là, il mondo dipinto da Sozapato chiede interpretazioni non sempre immediate e tiene costantemente vigile l’attenzione del lettore, offrendogli un’opportunità narrativa intrigante e suggestiva che non si esaurisce in un tempo fugace.

Questo posto è mio!

Lotte e litigi furibondi a suon di “È mio!” “No, è mio!” sono il pane quotidiano di genitori ed educatori alle prese con bambini piccoli. Piuttosto simile deve essere la vita delle papere, o almeno questo presumiamo tuffandoci nello stagno di Claire Garralon. Qui infatti gli interessati all’acqua fresca e azzurrina sono via via più numerosi e ogni arrivo è tutto un difendere e delineare settori di competenza, finché non compare l’ennesimo pennuto che invita i compagni a rivedere il senso dello stagno, rimettendo in discussione il valore di proprietà e condivisione. Tutto è bene quel che finisce bene. Se non che, proprio sul più bello, compare un ippopotamo e poi un altro… e, insomma, la faccenda dei confini (che straordinaria attualità!) può dirsi tutto fuorché risolta!

Divertente pur senza rinunciare a un tocco di saggezza, Questo posto è mio! è un albo fruibilissimo in tutti i suoi aspetti. La storia è infatti lineare, con un andamento iterato e attenta a un problema ben noto anche ai piccolissimi. Immagini e testo, dal canto loro, tengono sempre bene in considerazione il pubblico di riferimento: se le prime, infatti, si stagliano nette e ben contrastate sulla pagina, con sagome essenziali e colori pieni, il secondo procede ritmato e asciutto, prestandosi bene a una lettura condivisa. Da non sottovalutare, infine, anche il fatto che la stampa risponda a caratteristiche di alta leggibilità. Il fatto che il libro non sia rivolto a un pubblico di giovani lettori autonomi, infatti, non significa che non valga la pena offrire loro fin da subito una scrittura più amichevole con cui iniziare a familiarizzare, sguazzandoci con naturalezza e piacere a mo’ di paperella.

La mia casa è uno zoo

Che La mia casa è uno zoo sia un libro insolito lo si intuisce dalla copertina: non solo per via del fatto che vi spiccano un leone con occhiali a stella e una banda musicale a penne e zampe, ma anche perché i crediti vengono riportati al contrario rispetto alla consuetudine. Pieter Gaudesaboos, illustratore, figura come autore principale, mentre si specifica che il testo è di Sylvia Vanden Heede. Il perché di questa scelta diviene chiaro una volta aperto il volume: il racconto che segue la giornata di Carlotta, una bambina frizzante che vive proprio al centro dello zoo, passa in qualche modo in secondo piano rispetto alle figure caleidoscopiche dell’artista olandese, autentico catalizzatore di attenzione sulla pagina.

Ogni illustrazione vede interagire, così come in effetti confermato e dettagliato dal racconto a parole, la piccola Carlotta e alcuni abitanti dello zoo, all’interno di istantanee strabordanti di dettagli narrativi stuzzicanti tra i quali letteralmente perdersi. L’invito ad aggirarsi con occhio stupito e spalancato tra particolari curiosi e suggestivi, viene poi rafforzato dalle domande intriganti – 3 per ogni pagina – che trasformano la lettura in un vero e proprio gioco. Così il racconto dell’originale giornata di Carlotta tra colazioni insieme alla giraffa, pittura nell’atelier dei pinguini, gelati di messer Orso e letture serali con la più variegata compagnia – diventa lo spunto per un cerca-trova raffinatissimo che prende spesso le mosse da indovinelli misteriosi.

Il libro non si limita infatti a sfidare a trovare un certo oggetto o personaggio, ma lascia al lettore il gusto di intuire che cosa vada cercato. Quesiti come Chi è il più vanitoso?, per esempio, o Qualcuno ha paura che possa piovere oggi… invitano, infatti, ad affinare l’ingegno, facendo ipotesi tutte da verificare al confronto con la pagina illustrata.

Il risultato è un libro in cui immergersi a lungo, nel quale la lettura è sostenuta non solo da una stampa del racconto ad alta leggibilità ma anche da una dinamica ludica sfiziosa e capace di valorizzare al meglio la ricchezza narrativa sottesa alle tavole.

Solo una storia e poi a letto!

Mettetevi comodi e datevi un contegno: la lettura, in solitaria o condivisa, di Solo una storia e poi a letto! richiede infatti grande aplomb e rodato autocontrollo. Perché il libro scritto da Marion Gandon e illustrato da Laurent Simon non è solo piacevole o divertente, ma fa proprio ridere. Ridere a crepapelle.

Protagoniste sono quattro bambine scatenate, presumibilmente cugine, che mettono alle strette la malcapitata adulta, tale Marianna, che della loro messa a letto è incaricata. Di fronte alle loro insistenti richieste di ascoltare una storia, Marianna cede una, due, tre volte, dando forma a tre mini-storie gustosissime, prima di crollare addormentata prima delle piccole (quanto realismo in questo dettaglio!).

E proprio le piccole – la bionda Flavia, la mora Noemi, la rossa Carlotta e la rosa fluo Bianca – sono al centro delle micro-storie raccontate da Marianna: un concentrato di invenzioni surreali, imprevisti e trovate comiche che vede passeggiate in bicicletta divenire improbabili carovane di animali da fattoria; pantofole rosa causare disastri al profumo di fango e forti tempeste dare avvio a pigiama party fuori dagli schemi.

A rendere il tutto ancor più irresistibile, una scrittura minimale che presenta anche i fatti più assurdi come fossero normalissimi senza lasciar spazio a se e a ma, e illustrazioni buffe e frequenti che trasformano pochi tratti in un’autentica chiamata al sorriso.  Parole e illustrazioni fanno qui un gioco di squadra efficacissimo, andando a comporre ogni pagina di una o due vignette al massimo, ciascuna accompagnata da una frase breve e incisiva, stampata ad alta leggibilità con carattere maiuscolo leggimiprima. Tutto questo supporta con grande forza e grande intelligenza la lettura autonoma, anche da parte di bambini che presentano maggiori difficoltà di decodifica, senza dover necessariamente ricorrere a una proposta sciatta o semplificata. Anzi!

Ricapitolando: se siete bambini alle prese con le prime letture autonome troverete una pista in discesa verso grandi soddisfazioni; se siete bambini desiderosi di condividere un momento di lettura spassoso troverete un motivo incontestabile per rimandare la nanna. E se siete adulti dediti alle suddette letture serali, preparatevi a destreggiarvi tra una profonda vicinanza emotiva con la stremata Marianna e l’inconfessabile desiderio di unirvi al coro di “Ancora  una, un’altra, l’ultima, l’ultimissima, ti prego…”!

AFK

AFK, titolo dell’ultimo romanzo di Alice Keller uscito per Camelozampa, è una sigla probabilmente familiare solo ai ragazzi pratici di videogiochi online. Sta per Away From Keyboard e significa quindi impossibilitato a giocare (perché, per l’appunto, lontano dalla tastiera). Lontano dalla tastiera si ritrova infatti il protagonista della storia, Gio, quando sua sorella Emilia decide di trascinarlo con sé nella sua fuga da casa, dopo aver scoperto di essere incinta. E non è affar di poco conto, quella lontananza, perché Gio da due anni non esce di casa, vive attaccato e letteralmente immerso nei videogiochi online e non intrattiene pressoché relazioni sociali, nemmeno con i genitori. Dopo anni di (in)sofferenza e prese in giro, Gio ha infatti deciso di chiudersi in un mondo tutto suo in cui i 130 chili che ormai appesantiscono il suo corpo non possano essere motivo di scherno, in cui i tratti autistici che lui stesso spesso cita non devono riguardare nessun altro all’infuori di lui e dove le minacce e le reazioni fuori controllo che in passato lo hanno visto protagonista gli consentono finalmente di essere lasciato in pace. È una pace quasi catatonica, la sua: uno stato di simil-incoscienza in cui il giorno e la notte sono intercambiabili e nulla conta di più che portare a termine battaglie virtuali. Per questo la fuga quasi imposta da Emilia, che per una volta e di colpo esce dal suo ruolo di sorella perfetta mostrando fragilità e debolezze, scuote Gio come un terremoto, costringendolo a prove e decisioni complesse che non districano senz’altro la matassa emotiva che lo lega (anzi!) ma che forse schiudono in lui qualche prospettiva nuova.

Spiazzante, fuori dagli schemi e diretto come un pugno, AFK mette il lettore davanti a una bella sfida. Snello nell’aspetto, ma densissimo nella sostanza, il romanzo trascina letteralmente il lettore in quel mondo virtuale – pressoché sconosciuto agli adulti, a dirla tutta – che plasma visioni e abitudini. Alice Keller, che indiscutibilmente ha un dono raro per la scrittura, riesce a costruire un racconto che ha il ritmo di un videogioco, la stessa fulminea e rimbombante cadenza. E così par davvero di entrare nella testa di Gio, in quei meandri intricati e impastati di disagio, da cui il lettore si sente avvinghiato e quasi soffocato. La lettura diventa così una corsa a perdifiato in cerca di una via d’uscita, per il protagonista così come per chi lo segue tra le pagine. Ciliegina sulla torta: la stampa del volume ad alta leggibilità – abitudine ormai consolidata, peraltro, in casa Camelozampa – che lo rende ancora più prezioso nell’ottica di promuovere ad ampio raggio letture davvero vicine e a misura di ragazzi.

Ma una bella notte

Di fronte allo straordinario albo Ma una bella notte non c’è tempo da perdere: il racconto, pur privo di parole, incalza e comincia a svelarsi fin dai risguardi. Qui incontriamo la protagonista della storia che con aria mesta saluta alcune coetanee dal sedile posteriore di un’auto in partenza. L’auto è stracolma, con persino una poltrona legata in cima, ed è seguita da un camion che lascia poco spazio agli interrogativi. Di mezzo ci deve essere un trasloco: ipotesi confermata prima ancora di arrivare alla pagina del titolo, dove ritroviamo la ragazza circondata da scatoloni, in quella che si presume essere la sua nuova casa. Da qui si parte: scuola nuova, insegnanti nuovi, compagni nuovi. Le misure sono tutte da prendere e le amicizie tutte da costruire: cosa tutt’altro che facile nonostante la buona volontà. Così, dopo qualche vano tentativo di approccio e un nostalgico accumularsi di sconforto, la ragazza inizia a rimuginare davanti all’affascinante paesaggio notturno che si staglia fuori dalla sua finestra. Quell’isola misteriosamente illuminata che dall’altro lato della baia scintilla, attira la sua attenzione e la spinge a compiere un viaggio avventuroso e sorprendente. L’isola – scoprirà infatti – è popolata da conigli luminosi, che si fanno avvicinare e coccolare, lenendo un poco la tristezza della solitudine. Uno di essi, portato a casa e poi a scuola, diventa più che un amico: grazie a lui molti compagni sdegnosi iniziano ad avvicinare la ragazza, interessandosi a lei e al suo insolito animale. Ma proprio perché di un amico si tratta, viene il momento di restituirgli la libertà: un cambiamento, questo, che nonostante la prima impressione, regalerà alla protagonista l’opportunità di scovare tra tante attenzioni superficiali un sorriso autentico e duraturo.

Menzione speciale al Bologna Ragazzi Award 2017, Ma una bella notte è un libro potente, che anche grazie allo stile particolarmente espressivo dell’autrice, si presta bene a coinvolgere (e finanche travolgere!) bambini, ragazzini e ragazzi di età anche molto diverse. Il senso di solitudine, la nostalgia degli affetti lasciati, il desiderio di poter contare su un amico vero sono infatti sentimenti trasversali che facilmente toccano quando si è piccoli così come quando si cresce. La totale assenza di parole, d’altro canto, rende il volume fruibile per un pubblico variegato e ampio anche rispetto alle diverse esigenze di lettura. La necessità di elaborare inferenze non banali richiesta dal volume non lo rende particolarmente adatto a lettori che presentino difficoltà cognitive o scarsa abitudine alla decodifica delle immagini. Grande soddisfazione può attendere invece coloro che, pur con difficoltà di decifrazione alfabetica, si muovano con agio nel mondo dei racconti per immagini, anche complessi, e che abbiano voglia di immergersi fino ai capelli in una storia densa e capace di risuonare a lungo.

I cuscini magici

C’è un re odioso che più odioso non si può che si chiama Arraffone I. Sovrano dispotico del regno di Uranopoli, Arraffone I si diletta a scrivere con la sua penna di corvo spaventose leggi: domeniche che diventano prelunedì, parchi giochi sempre chiusi, candeline di compleanno bandite e multe per grattate di naso o starnuti, solo per citarne alcune. Se si aggiunge poi che Arraffone I non esita ad appropriarsi di qualunque cosa veda col suo telescopio e gli piaccia, si capisce bene perché i suoi sudditi a dir poco lo detestino. Ma ad Arraffone quest’odio proprio non va giù: come ogni sovrano che si rispetti, vuole, infatti essere amato, adorato e perché no osannato dai suoi sottoposti. E così, quando uno dei suoi consiglieri suggerisce che il malumore sia dovuto al fatto che i sudditi la notte sognano, Arraffone I si adopera per impedir loro questa pratica e lo fa a suon di leggi, guardie, pedaggi e invenzioni malvagie. Per mezzo di speciali cuscini diabolici il re riesce per un po’ a tenere a bada il popolo indisponente, fino a quando un maestro intraprendente e i suoi solerti allievi non tiran fuori da fili di fiabe, tulle di bonboniere, piume di cigno e anelli di aquilone un’autentica magia che restituisce agli abitanti di Uranopoli la capacità e il diritto di sognare in pace.

È una fiaba lieve e ironica, quella scritta da Evghenios Trivizas: una fiaba che, sì, racconta del potere liberatorio dei sogni con un’attualità peraltro grandissima, ma che lo fa senza perdere il prezioso gusto del fantastico. Così il racconto scorre piacevole, con un bel ritmo e tante invenzioni divertenti, sia linguistiche sia narrative, che lo rendono particolarmente gustoso per una lettura ad alta voce ma anche molto invitante per una lettura autonoma. Lo stile snello dell’autore greco, la trama compatta e le caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono il volume lo rendono infatti amichevole anche nei confronti di lettori poco esperti e/o con difficoltà legate alla dislessia. Da non sottovalutare, poi, sempre in un’ottica di supporto alla lettura, le illustrazioni deliziose firmate da Noemi Vola che echeggiano alla perfezione le atmosfera fantastiche delineate dal racconto.

Pezzettino

Pezzettino è senz’altro uno degli albi più noti del maestro Leo Lionni. Inno incontrastato a un sentire bambino che non teme la complessità ma anzi si nutre di essa, Pezzettino racconta la storia di un quadrato arancione che crede di essere il tassello mancante di qualcuno e che si mette in viaggio per capire di chi si tratti, scoprendo in realtà un’identità inattesa e capace di dare un senso nuovo alla sua esistenza. Storia di straordinaria bellezza e di inesauribile eco, Pezzettino racchiude in sé crescita e ricerca, identità e differenza, errore e conquista in una narrazione che fa del dialogo affiatato tra parole e figure, la chiave per gettare semi e interrogativi fecondissimi nel pensiero del lettore senza accontentarsi di suggerirgli risposte facili e preconfezionate.

Così come accaduto per Piccolo blu e piccolo giallo nel 2015, anche Pezzettino viene ora offerto da Babalibri in una versione che unisce all’albo cartaceo un cd audio. Quest’ultimo non solo propone la lettura del testo fatta dal bravissimo Giuseppe Cederna, che fa davvero vibrare con grande rispetto tutte le corde emotive sottese al racconto, ma anche il suo puntualissimo accostamento alla Sonata per pianoforte in la maggiore D. 959 di Schubert, eseguita con grande passione e perizia da Riccardo Schwartz. In questo modo il capolavoro di Lionni, adatto ad essere letto e riletto anche ben dopo l’età prescolare, si offre in tutta la sua ricchezza anche a lettori che prediligono l’ascolto del testo alla sua lettura a stampa e scopre nuove possibilità di scoperta, intreccio e sedimentazione grazie all’incontro con una musica dal sentimento affine. L’incontro che si crea tra le parole e le figure di Lionni, la voce di Cederna, gli spartiti di Schubert e le note di Schwartz è infatti una piccola magia: un dialogo sottile tra linguaggi diversissimi che battono però sentieri vicini e celebrano ciascuno a suo modo il valore e la potenza della libertà.

Un compleanno fantastrofico

Teresa vuole, fortissimamente vuole, una festa di compleanno per i suoi imminenti 9 anni. A casa sua le feste non sono però ben viste: troppo impegnative, troppo caotiche, troppo fuori moda, per la sua inconsueta famiglia. Ma Teresa quest’anno è disposta a tutto pur di avere una festa come Dio comanda e per ottenerla si chiude a chiave nella legnaia. Ottenuto con scarso entusiasmo il sì dei famigliari, per Teresa iniziano i preparativi: ha una settimana davanti per rendere tutto perfetto. Le aspettative della bambina sono infatti altissime poiché da quella festa dipende la possibilità per lei di farsi conoscere meglio e apprezzare dai suoi compagni. Considerata un po’ strana per il suo modo di vestire e per i suoi interessi, Teresa ha infatti un solo vero amico mentre viene tenuta in disparte da tutti gli altri bambini. Inaspettatamente, saranno proprio imprevisti e stramberie di famiglia, nel giorno speciale della sua festa, a rimettere le carte in gioco e dare nuove chances ad amicizie apparentemente impossibili.

Scritto con piglio vivace, con grande empatia e con il coraggio di non zuccherare in eccesso la storia narrata, Un compleanno fantastrofico è un libro piacevole e capace di mescolare sentimenti realissimi con un pizzico di eccentricità. Pubblicato all’interno della serie azzurra de Il Battello a vapore, il racconto di  Annalisa Strada presenta caratteristiche di alta leggibilità che lo rendono più facilmente fruibile anche in caso di dislessia.

 

Susi in piscina

Pista, spazio, fate largo: è in arrivo l’uragano Susi! Irrefrenabile e travolgente, quando Susi si mette in testa qualcosa è meglio non intralciarla. Come quando, in un giorno davvero speciale, può finalmente nuotare nella piscina dei grandi. L’emozione è incontenibile e Susi proprio non può aspettare. Vestiti e stivaletti lanciati per aria, cuffia, maschera e costume indossati al volo, doccia d’ordinanza fatta: non resta che… bombaaaaaaaaaa! Tra corse a bordo vasca, schizzi e invasioni di corsia, l’avventura di Susi nella piscina dei grandi dura ben poco: il bagnino pancione non esita infatti ad acciuffarla con il suo retino e spedirla nella piscina dei piccoli. Che delusione, che smacco! A Susi non resta che mettere in atto un piano di emergenza davvero estremo ma perfettamente commisurato al suo desiderio di sentirsi grande.

Esuberante come pochi, Susi è un personaggio portentoso che sa come portare il buonumore. Il merito è della collaudata coppia Jaap Robben e Benjamin Leroy (già nota ai lettori di casa Sinnos per un altro personaggio indimenticabile: il supereroe dalla straordinaria pipì, Super P), che sa cogliere l’infanzia nei suoi tratti più liberi da briglie e condizionamenti e restituirla attraverso micro-avventure davvero gustose. Il testo snello snello, scritto in stampatello maiuscolo e contraddistinto da stampa ad alta leggibilità si accompagna ad illustrazioni ad altissimo tasso di spasso in cui si muovono personaggi di contorno tanto buffi quanto in fondo realistici. Dalle nonne dell’aquagym che borbottano per gli spruzzi al fusto tutto muscoli che digita sullo smartphone anche sotto la doccia, dal bagnino che si atteggia a generale al cane che non si sa come sia finito tra i poppanti: il giorno in piscina della piccola Susi diventa in realtà un giorno fuori dall’ordinario per una fitta e animata schiera di personaggi. E con loro, per il fortunato lettore!

Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio

Vampiri, streghe, scheletri e mummie: tutti costumi triti e ritriti per una festa di Halloween. Niente a che vedere con un costume da tavola imbandita alla maniera di un ristorante italiano: proprio quello che Hank intende indossare per la sfilata del 31 ottobre a scuola. E a nulla valgono i tentativi di dissuaderlo degli amici Frankie e Ashley: determinato, Hank porta in classe un costume decisamente originale ma soprattutto ingombrante che finisce per causargli inciampi e incastri. Per non parlare delle prese in giro, soprattutto da parte di Nick McKelty che non perde occasione per dar pessimo fiato alla bocca. E così, infuriato come di rado è stato prima, Hank si lascia ispirare dal saggio Papà Pete e costruisce una casa degli orrori da far venire la pelle d’oca a chiunque. L’obiettivo è dare una bella lezione a quel bullo di Nick. Oltre a questa soddisfazione, però, ciò che Hank guadagna dal suo spaventoso progetto è la consapevolezza che essere sé stessi può risultare davvero molto divertente e che si può essere un bambino fantastico indipendentemente da come si legge.

Con Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio, l’ingegnoso personaggio creato da Lin Oliver ed Henry Winkler raggiunge la sua avventura numero nove: un traguardo non da poco, soprattutto se si considera che la coppia di autori americani ha saputo mantenere lungo il tragitto una verve stilistica, una vena inventiva e una capacità di raccontare le difficoltà e le risorse dei bambini, soprattutto (ma non solo) legate alla dislessia, con apprezzabilissima levità. Anche qui, per esempio, non si nasconde l’ostico rapporto di Hank con la parola scritta, con le cose da ricordare o con l’immobilità nei momenti di stress, ma il suo amalgamarsi a una trama spassosa e coinvolgente ne restituisce l’importanza senza caricarlo di inutile (e dannosa) pesantezza.

La bambina di ghiaccio e altre fiabe

Nani, folletti, fate e sirene: nel suggestivo mondo dipinto da Mila Pavićević c’è posto per un ventaglio variegatissimo di figure leggendarie che, leggere e impalpabili, si muovono in bilico sul filo del fantastico. Le loro sono storie di doni e vendette, di incantesimi e desideri, di tristi sorti e di magici riscatti: ingredienti sopraffini per racconti che spolverano e lavorano con sapienza un impasto fiabesco come tradizione comanda.

C’è tutto quel che ci si può aspettare da una raccolta d’altri tempi, infatti, ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe, comprese illustrazioni dal sapore misterioso e antico. Difficile immaginare un tratto più azzeccato di quello della bravissima Daniela Iride Murgia per dipingere protagonisti e cornici di vicende straordinarie e surreali quali quelle narrate dalla drammaturga serba: le sue illustrazioni in bianco e nero dal tratto finissimo, mescolano infatti realismo e dettagli fantastici, atmosfere oscure e personalità stravaganti, avvenimenti sovrannaturali e richiami al quotidiano, con un gusto e una minuzia rari da trovare.

Perfetti per amanti di atmosfere incantate, i testi raccolti da Camelozampa ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe si fanno apprezzare anche per la loro brevità e per la stampa ad alta leggibilità: caratteristiche che ne agevolano la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà di lettura legate alla dislessia. La disponibilità del racconto anche in versione audiolibro (6,90 €), inoltre, ne amplia ulteriormente le possibilità di accesso anche da parte di bambini con disabilità visiva.

Tortartè. Ma la torta di che artista è?

Avevamo conosciuto la signora Scodinzoli tra le pagine di Tortintavola (e poi di Tortinfuga). Vittima di un famigerato furto di torte, la signora deve essere rimasta profondamente colpita dal fattaccio: di furti e inseguimenti si popolano, infatti, in questo nuovo albo firmato dal geniale Thé Tjong-Khing, persino i suoi sogni. Assopitasi in poltrona dopo aver consultato un discreto numero di libri d’arte, la signora Scodinzoli inizia a ronfare catapultando il lettore in un’animata scena museale tra quadri che vengono sistemati e quadri che vengono invece trafugati. E via, neanche il tempo di fermarsi a pensare che subito scatta un rocambolesco inseguimento.

Alle calcagna di quello che scopriremo essere un cane mariuolo, si lancia un folto e variegato gruppo di personaggi, tutti ben noti ai fan dell’artista indonesiano: cani, gatti, maiali, pecore ma anche conigli, rane e tassi, tutti egualmente infuriati. La fuga è precipitosa, il tallonamento senza posa e come sempre accade negli albi di Thé Tjong-Khing nella cornice di un unico grande avvenimento – la caccia al ladro per l’appunto – si dipana una moltitudine di avvenimenti più piccoli tutti da gustare: una mamma coniglio assai vendicativa, un figlioletto alle prese con piante pungenti, una pecora che non perde attimo per ricamare e un’infermiera senza un attimo di tregua, per esempio, contribuiscono a rendere la corsa ancora più saporita e dinamica. Fino all’agognata cattura che segna la fine del sogno e riporta la signora Scodinzoli a un inatteso e partecipatissimo vernissage casalingo.

Ciò che rende Tortarté del tutto nuovo rispetto agli albi precedenti, nonostante i personaggi in comune e la simile struttura narrativa, è il fatto che l’inseguimento procede in un paesaggio che ad ogni pagina si rinnova, ispirandosi a una gran varietà di quadri moderni: da Picasso a Braque, da Hokusai a Mondrian le  citazioni più o meno famose di opere d’arte sono più di cinquanta e rendono la lettura una vera e propria caccia al tesoro. Felice  e originale interpretazione della teoria di Květa Pacovská secondo cui “L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che il bambino visita”, Tortartè offre così non solo una ghiotta occasione di lettura accessibile per molti bambini che si scontrano con il testo scritto pur senza avere difficoltà cognitiva, ma anche un pretesto preziosissimo per avvicinare i bambini (ma anche i ragazzi!) all’arte e per farlo in un modo assolutamente convincente.

Bill il cattivo (ora buonissimo)

Tra le pagine dei libri per bambini di cattivi ce ne sono tanti, ma solo alcuni di loro sono dei cattivi davvero cattivi, per non dire cattivissimi. Ecco, Bill è proprio uno di quelli. Temuto da grandi e piccini, Bill è un tipo che ruba la merce al fruttivendolo, fa scherzi da far accapponare la pelle e si diverte a terrorizzare i bambini requisendo a piacere i loro palloni o annodando le loro corde per saltare. Insomma, da uno come Bill è meglio tenersi alla larga, lo sanno tutti. Eppure, quando un giorno un pallone finisce per sbaglio sul suo balcone, i bambini del quartiere si fanno coraggio e vanno a recuperarlo, scoprendo così un inatteso segreto sulla vita del prepotente concittadino e trovando un modo ingegnoso per fargli assaporare il potere della gentilezza.

Nel dare vita a personaggi dalle sembianze animali che agiscono però in tutto e per tutto come gli umani, Ole Könnecke racconta una storia semplice e schietta di prepotenze che non si dimenticano e di attenzioni che invece fioriscono. Le sue figure dalle linee sottili, dalle espressioni ben riconoscibili e dai dettagli mai superflui portano sulla pagina un’atmosfera sorridente che il testo garbato e ironico conferma ed esalta a ogni passo. Bill il cattivo (ora buonissimo) solletica così il lettore con una grazia inconfondibile, che è peraltro cifra innegabile dell’autore tedesco.

A rendere ancor più ghiotta questa novità firmata Beisler, c’è poi il suo inserimento all’interno della collana leggo già (di cui già fanno parte, per esempio le irresistibili avventure di Lester e bob) che presenta caratteristiche di alta leggibilità quali font Testme maiuscolo (particolarmente adatto alla prime letture autonome), spaziatura maggiore, sbandieratura a destra e carta opaca. Decisamente apprezzabile, inoltre, soprattutto nell’ottica di sostenere bambini poco esperti o con maggiori difficoltà di lettura, la scelta dell’editore di distribuire gli a capo mantenendo sempre sulla stessa riga le unità minime di senso.

Il drago di K e altre fiabe polacche

Si potrebbe stare ore ad ascoltare Daniele Fior che legge fiabe. È un’interpretazione intensa e pulita, infatti, la sua, capace di delineare con la sola voce atmosfere lontane e misteriose e di calarvi l’ascoltatore con la facilità di un sortilegio. Lo si può scoprire con particolare piacere ascoltando Il drago di K e altre fiabe polacche: una delle più recenti pubblicazioni di Locomoctavia che raccoglie quattro fiabe tradizionali che arrivano dalla Polonia, paese puntualmente evocato nella cornice degli avvenimenti narrati.

Protagonisti, come nella più classica tradizione fiabesca, sono umani dalle sorti variegate – re, ciabattini, pescatori e principesse – e creature fantastiche come draghi o sirene. Dal loro incontro e confronto scaturiscono racconti in cui ingegno, compassione, onestà e coraggio delineano percorsi di grande suggestione. Così accade, per esempio, che il ciabattino di Cracovia sconfigga il terribile drago che assedia la città, ingannandolo con una finta pecora riempita di zolfo, o che quello di Varsavia trovi la leggendaria anatra d’oro nascosta nel castello ma getti al vento tutte le ricchezze da lei promesse per non rinunciare ai suoi ideali di condivisione e solidarietà. Ma così succede anche nella struggente vicenda che vede una sirena incantare i pescatori della capitale e venire da essi imprigionata prima di poter insegnare loro il valore del dono disinteressato o nella storia del duca avido e burlone che finisce per essere a sua volta turlupinato.

Cullate e accompagnate dalle musiche originali dei Gueppecartò (già felici interpreti anche dell’Alice nel Paese delle Meraviglie edito da Locomoctavia) che sottolineano con forza e discrezione i passaggi salienti del racconto,  le narrazioni curate da Francesco Groggia spargono tracce di realtà in impasti fantastici che sanno parlare con grande fascino a orecchie più e meno giovani.

L’audiolibro de Il drago di K e altre fiabe polacche è proposto al lettore sia in forma di cd audio (13 €) sia in forma di file mp3 (7,99 €) direttamente scaricabile dal sito della casa editrice.

 

Il drago di K e altre fiabe polacche, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è inoltre fruibile tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Io sto con Vanessa

Vanessa si è da poco trasferita in città (ce lo anticipa di soppiatto la pagina del titolo) e questo significa, per lei, iniziare a frequentare la scuola in una classe nuova. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, soprattutto per un tipo come Vanessa che – forse perché timida, forse perché in difficoltà con la lingua, chissà? – affronta il primo giorno in solitudine, senza il coraggio di farsi notare dall’insegnante e dagli altri bambini. L’unico che sembra fare caso a lei, ahimè, è un bulletto dai capelli biondi e impomatati che le si avvicina all’uscita di scuola e la prende di mira con gesti e parole poco carini. La reazione triste e spaventata di Vanessa non sfugge però a una compagna attenta che si dispiace sinceramente per l’accaduto e per l’impressione di non poter far nulla a riguardo. Fino a quando non si rende conto che qualcosa in realtà può farlo e che quel qualcosa può davvero fare la differenza. Così il giorno seguente la bambina compie un gesto tanto semplice quanto potente, capace di contagiare all’istante i suoi amici e di rendere inoffensiva la prepotenza. Perché è verissimo che la gentilezza può fare la rivoluzione (cosa che forse si poteva evitare di sottolineare nel sottotitolo e nei consigli pratici che chiudono il libro, per preservarne un po’ di più la magia già di per sé efficacissima) e che gesti piccolissimi possono dare frutti che nemmeno ci aspettiamo.

Garbato e profondo, questo silent book mette in scena personaggi minimali, quasi tratteggiati, che si muovono su sfondi neutri e puliti. Eppure l’attenzione che gli autori (Sébastien Cosset e Marie Pommepuy, in arte Kerascoet) riservano a dettagli come le espressioni del viso (a ben guardare, per esempio, la coraggiosa bambina del libro pare accorgersi del disagio di Vanessa fin dalla prima vignetta, e questo lo intuiamo dalla posizione delle sue pupille!), le posizioni e le distanze tra i personaggi o i gesti che essi compiono li rendono straordinariamente espressivi e decifrabili. Anche in virtù di questa valorizzazione dei particolari significativi, il racconto di Io sto con Vanessa può facilmente essere interpretato dal lettore senza che gli siano richieste inferenze complesse. Ecco allora che l’accessibilità del volume, ampiamente garantita dall’assenza di testo, viene ulteriormente rafforzata da una narrazione per immagini che pare letteralmente parlare.

Agente 008. Missione vacanze

È lungo solo 48 pagine, Agente oo8. Missione vacanze, ma dentro ci sono, solo per fare qualche esempio, una paperella sommergibile, un covo segreto nascosto tra le rocce, un computer che sa le risposte ma non le domande, un lunghissimo scivolo di vetro, 2 braccioli carichi di dinamite, trabocchetti luminosi, infradito boomerang e un orso polare. Non sarà difficile immaginare, dunque, quanto possa essere serrato il ritmo del racconto che tiene insieme tutti questi elementi in un’avventura al contempo divertente e vorticosa. A viverla in prima persona è appunto l’agente 008 che, in procinto di godersi una meritata vacanza, si trova suo malgrado a svolgere l’ennesima missione. Perché quando una missione chiama, l’agente 008 risponde, soprattutto se la missione ha un nome in codice e quel nome è: lasagne!

Surreale, scanzonato e avventuroso al punto giusto, Agente oo8. Missione vacanze si presta bene a stuzzicare anche quei lettori alle prime armi che faticano ad appassionarsi alla lettura. Questa procede qui, infatti, spedita a suon di colpi di scena via via più improbabili e di trovate spassose, portando il lettore a chiedersi di continuo “Che cosa sarà capace di inventarsi ora, l’autore?”. Le caratteristiche di alta leggibilità tipiche del catalogo di Biancoenero e in particolare della collana Minizoom di cui il volume fa parte, rafforzano dal canto loro l’invito a godersi la lettura, rendendola più agevole anche in caso di dislessia.