Ditino

Ditino è un tipo intraprendente: passa senza timore in alto, in basso, sopra e sotto le cose. Provare per credere! Il volume per piccolissimi ideato e realizzato da Martina Dorascenzi è infatti un invito per dita curiose a muoversi sulle pagine seguendo semplici istruzioni (“Ditino passa in alto”, per esempio), seguendo un bordo ricamato di facile reperimento. Collocato di volta in volta in una posizione diversa, il bordo delinea un sentiero, una sorta di traccia che il bambino può seguire per sperimentare in prima persona i concetti spaziali più elementari. Punto di riferimento rispetto a cui questi concetti acquistano senso, è un cuscinetto morbido posto al centro della pagina che il lettore può trovare e riconoscere con una certa immediatezza. Semplice me davvero molto ben fatto, Ditino risponde così allo specifico bisogno di allenare l’orientamento spaziale: abilità tutt’altro che scontata soprattutto (ma non solo) per i bambini non vedenti.

Ditino può essere letto e goduto a pieno da solo ma fa idealmente parte di un percorso tattile dedicato a concetti molto semplici (forme, contrasti, textures, elementi topologici…) insieme a due altri volumi: Nastrino e Quello che tocco. Tutti ideati da Martina Dorascenzi e pubblicati dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, i tre libri appaiono coerenti nell’aspetto poiché condividono la forma quadrata, la scelta di pagine in stoffa dai colori vivaci e una struttura che prevede pochissimo testo e forme essenziali, che invitano all’esplorazione più che al riconoscimento di figure. Il tipo di lettura che ne deriva è estremamente interattivo, piacevole, giocoso e stimolante: caratteristiche, queste, particolarmente importanti nell’ottica di coinvolgere piccoli lettori con poca esperienza del mondo e dei libri.

Per le stesse ragioni Nastrino, Ditino e Quello che tocco si prestano bene a essere condivisi all’interno di piccoli gruppi di bambini piccoli, in famiglia o al nido, per esempio. La qualità e l’appeal di questi volumi li rende infatti molto accattivanti per qualunque bambino di pochi anni, con e senza una disabilità visiva. La loro semplicità e il coinvolgimento motorio che essi implicano, inoltre, ne fa uno strumento estremamente efficace e spendibile anche con bambini con difficoltà diverse, legate per esempio alla comprensione di concetti astratti. La forza dell’esperienza concreta, ossia del corpo che impara facendo, è infatti chiave preziosa e forse insostituibile per sostenere una reale appropriazione dei libri e dei contenuti che essi custodiscono.

Moby Dick

Ampio formato, pagine corpose, tavole potenti: è un libro maestoso il Moby Dick di Alessandro Sanna. Omaggio e interpretazione del capolavoro di Melville, il libro ad acquerelli edito da Rizzoli evoca con la sola forza delle immagini tutta la ferocia e l’intensità dello scontro tra uomo e natura, cuore del celebre romanzo americano.

Il  racconto a figure di Alessandro Sanna compie in particolare un preciso lavoro di selezione, concentrandosi su alcuni episodi salienti della celebre caccia alla balena bianca – su tutti, l’allestimento della nave, la composizione dell’equipaggio e, chiaramente, la lotta con la creatura del mare – che condensano ed echeggiano in maniera intensissima i temi e le suggestioni più forti del libro a cui si ispira. Le dettagliate descrizioni che caratterizzano il romanzo lasciano qui posto a tavole ad acquerello in cui sfumature, silhouettes e ombre sono cosa viva e in cui il confine tra umanità e ferinità, tra persone e ambiente, si fa fluido e mai stabile, in un gioco di trasformazioni e prospettive di grande impatto e fascino. Così, tra quadri di diverse dimensioni che si succedono creando un ritmo ora placido ora incalzante, un branco di lupi minacciosi prende pian piano la forma di un equipaggio, il capobranco assume i tratti inconfondibili del capitano Achab sotto una luna che ricorda una balena e il Pequod si fa gigante che straccia i lacci che lo immobilizzano e cavalca le onde. Allo stesso modo, arrivati al culmine della narrazione, in una doppia pagina nera che si apre come una sorta di teatro, prende avvio la lotta spietata, in cui imbarcazione e balena dai tratti significativamente simili, si inseguono e si affrontano nelle profondità dell’oceano, fino quasi a fondersi in una cosa sola.

Raffinato e prezioso, questo silenziosissimo Moby Dick si fa roboante negli occhi e nella testa del lettore, sia che peschi in un immaginario consolidato sia che vada a costruirlo da zero. Il libro offre infatti una reinterpretazione del classico di Melville che riempie, arricchisce e attiva suggestioni impetuose in chi abbia già avuto modo di immergersi tra le pagine del romanzo ma allo stesso tempo offre una possibilità di accesso diversa a chi non ne abbia mai fatto esperienza. In tal senso, questo libro senza parole che fa del silenzio una chiave per portare in superficie una narrazione che resiste al tempo si presta benissimo a dare avvio, anche in ambito scolastico, a percorsi di lettura e rilettura dei classici che risultino accessibili, appassionanti e appaganti anche per quei lettori che di fronte alla parola scritta faticano di più e finiscono per gettare l’ancora.

Odissea. I classici facili

Curata da Carlo Scataglini e illustrata da Flavia Sorrentino, la versione de l’Odissea proposta da Erickson all’interno della collana I classici facili rappresenta un compromesso interessante tra accessibilità e apertura a generi e testi complessi. Proposto senza sacrificare alcun episodio saliente del capolavoro di Omero, quest’Odissea opta per un testo in prosa di agevole approccio. Le illustrazioni, frequentissime e importanti per sostenere la lettura, richiamano nelle linee il gusto artistico ellenico, contribuendo a far immergere il lettore nell’atmosfera unica del capolavoro di Omero.

 

I classici facili

Quella dei Classici facili, curata da Carlo Scataglini, è una delle collane editoriali che più considera l’accessibilità una questione prioritaria. Lo fa mettendo in campo strumenti e accorgimenti diversi, che concernono il testo, le illustrazioni, il loro rapporto e le loro modalità di fruizione.

La peculiarità principale dei titoli che ne fanno parte consiste in una semplificazione sintattica e lessicale del testo. Ispirate ai principi della scrittura Easy-to-Read, le frasi risultano infatti brevi, dalla struttura preferibilmente lineare, e perlopiù composte da coordinate o al massimo da una subordinata. Le parole che le compongono sono selezionate in modo da essere facilmente comprensibili e, laddove risultino più ostiche o comunque meno comuni, vengono evidenziate e spiegate alla fine del capitolo. In questo modo l’autore aggira in maniera piuttosto efficace il pericolo di un appiattimento lessicale che limiterebbe fortemente il diritto all’arricchimento e alla complessità di cui anche i bambini con maggiori difficoltà sono detentori. In questa stessa direzione va inoltre la scelta, nel caso di classici dell’epica come per l’appunto l’Odissea, di selezionare alcuni versi particolarmente significativi e restituirli al lettore nella loro integrità, accompagnati da una puntuale perifrasi e spiegazione. In questo modo non solo si mantiene un legame diretto con il testo originale ma se ne incentiva la scoperta, supportandola solidamente con un preliminare approccio alle vicende in una forma più abbordabile.

A seconda delle reali possibilità del bambino, I classici facili possono così rappresentare un punto di arrivo ma anche un punto di partenza nella scoperta di grandi capolavori letterari. In entrambi i casi, a sostegno della lettura e del suo apprezzamento, vengono tre ulteriori elementi di spicco: in primo luogo la scelta di presentare capitoli brevi e puntualmente accompagnati dalle illustrazioni; in secondo luogo la presenza di un’anticipazione illustrata dei personaggi che il lettore incontrerà, posta in apertura di libro e di due righe di riassunto di ogni capitolo, poste all’inizio di quest’ultimo; e infine la disponibilità a rendere fruibile il testo anche tramite audiolibro. Ogni capitolo può essere infatti ascoltato in formato audio, grazie alla scansione del QRcode o all’inserimento di un codice fornito in apertura sul sito della casa editrice.

Dove c’era un prato

Una porzione di campagna – un laghetto, un pugno di case, prati e coltivazioni, alberi antichi e sentieri sterrati – può nascondere molto più di quel che si vede e di quel che ci si aspetta. Nello spazio di uno sguardo c’è il lavoro dei campi, lo svago all’aria aperta, la natura che esplode in tutta la sua bellezza. Ci sono i tempi lenti, la dimensione umana e le giornate lunghe. Jörg Müller parte proprio da qui, da questo brulicare di attività, movimenti e relazioni, per raccontare la sua storia. Lo fa con un’istantanea a campo largo, che immortala un luogo e un tempo precisissimi: siamo nella primavera degli anni ‘50 e il verde puntinato di fiori la fa da padrone. Lo stesso scenario compare anche nelle pagine seguenti ma via via che il libro avanza il paesaggio si trasforma. Non sono solo le stagioni a mutare le vesti del territorio. È l’impatto dell’uomo a fare davvero la differenza. Di pagina in pagina, infatti, i prati e i boschi iniziano a sparire, le case assumono nuove forme, la presenza umana è relegata all’interno degli edifici e il grigio si fa dominante. Così, in una carrellata tristemente verosimile, l’autore racconta vent’anni di cambiamenti ambientali, interrogando silenziosamente il lettore sui vantaggi e sugli svantaggi che questi portano con sé. Del tutto privo di parole, Dove c’era un prato mette, insomma, il lettore di fronte a una successione di fatti, senza aggiungervi commenti di sorta, ma lasciando piuttosto che siano le immagini a fare leva, con la loro potenza, sullo spirito critico di chi le osserva e mette in successione.

Dove c’era un prato fa la sua prima comparsa in Italia con la Emme di Rosellina Archinto, praticamente negli stessi anni in cui Adriano Celentano cantava che là dove c’era l’erba ora c’è una città. Contemporanei e attenti alle medesime trasformazioni paesaggistiche, Il ragazzo della via Gluck e Dove c’era un prato condividono uno sguardo malinconico e inquieto su un’urbanizzazione selvaggia che metro dopo metro finisce per mangiarsi non solo il verde ma tutto ciò che questo rappresenta: attività lavorative e ricreative, relazioni, orizzonti. Libro dalle tante vite, Dove c’era un prato torna ora sugli scaffali per iniziativa di Lazy dog. Nei quasi cinquant’anni che separano quest’edizione dalla prima, l’esperienza del paesaggio e delle sue trasformazioni fatta dal lettore è senz’altro cambiata. Difficile è, infatti, che oggi un bambino assista a un cambiamento radicale come quello raccontato nel libro ma questo non ne riduce il fascino e la portata attuale. Il libro diventa anzi l’occasione per guardarsi intorno, con uno sguardo al passato e uno al futuro, offrendo spunti interessanti anche per costruire percorsi didattici stimolanti e fuori dal comune, oltre che ampiamente accessibili a tutte quelle categorie di lettori che tendono a fare a pugni con il testo scritto.

La mia giornata

Tana Hoban ha fatto scuola e a partire dai suoi libri per piccolissimi, basati su semplici figure e forti contrasti, si è diffusa anche in Italia una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza di proporre volumi di qualità già ai neonati e ai bambini di pochi mesi. In questa cornice, favorevole allo sviluppo di libri resistenti, belli da vedere e modellati sulle reali esigenze dei piccoli lettori, arrivano ora due proposte molto interessanti di Lapis, che già in passato aveva lavorato su questo fronte con la collana de I libri del Tato. Si tratta, nello specifico, de La natura e La mia giornata, curati da Raffaella Castagna.

I volumi si presentano come due quadrotti cartonati, dalla dimensione maneggevole e dalle pagine spesse e leggere. Ognuna di queste ultime propone un solo soggetto, rappresentato in maniera estremamente essenziale e ben distinguibile, grazie alla scelta di sfruttare un solo vivace colore – giallo o rosso – oltre al bianco e al nero. Ogni figura è accompagnata da due-tre parole al massimo: una sorta di micro-didascalia senza fronzoli. In ogni doppia pagina, una figura è bianca su sfondo nero e una è nera su sfondo bianco. Grazie a un sistema di scorrimento, sotto ogni figura se ne svela un’altra con le medesime caratteristiche stilistiche e cromatiche e collegata a quella sovrastante da nessi di vario tipo, principalmente spaziali (la balena e il mare, per esempio) o d’uso (le stoviglie e l’azione di mangiare).

In La natura, che tra i due volumi è forse il più semplice, ogni pagina è dedicata in particolare a oggetti, paesaggi ed elementi atmosferici. Qui le didascalie sono omogenee e volte a nominare gli oggetti (la farfalla e il fiore, per esempio). Il colore che si aggiunge al bianco e nero, inoltre, compare solo nelle figure che si scoprono a scorrimento.

In La mia giornata, invece, ogni pagina è dedicata a un’azione quotidiana, dal risveglio all’addormentamento. Sulle pagine si succedono quindi oggetti comuni, familiari al bambino: dalla t-shirt alla palla, dalla vasca da bagno al libro della buonanotte. Sotto ad essi, il sistema di scorrimento rivela personaggi dalle fattezze animali che compiono le azioni collegate ai diversi oggetti, mentre le didascalie danno spazio a frasi che indicano l’azione stessa (Faccio il bagno, per esempio) o che la accompagnano (Buongiorno). I nessi tra le figure, il tipo di testo e la presenza di tre colori sia sopra sia sotto la linguetta a scorrimento rende la lettura di questo volume minimamente più elaborata rispetto al precedente.

In entrambi i casi, la semplicità dei contenuti, il numero limitatissimo di soggetti per pagina e il forte contrasto cromatico delle figure fanno sì che il volume racchiuda delle importanti possibilità di esposizione alla lettura anche da parte di bambini con disabilità. È il caso dei piccolissimi con disabilità cognitiva o comunicativa ma anche di coloro che presentano un deficit visivo. La presenza poi di un semplice ma efficace dispositivo ludico come le pagine a scorrimento, amplifica l’interattività e la sorpresa: elementi di grande importanza e appeal anche e soprattutto per bambini con  maggiori difficoltà di approccio all’oggetto-libro. Per come sono costruiti i volumi, il sistema di scorrimento apre a una sorta di secondo livelli di lettura, leggermente più complesso, che mette in gioco la capacità di associazione tra figure oltre al loro riconoscimento: un livello che, volendo, si può aggiungere anche solo in un secondo momento, senza per questo condizionare il godimento del libro nella sua forma base.

La natura

Tana Hoban ha fatto scuola e a partire dai suoi libri per piccolissimi, basati su semplici figure e forti contrasti, si è diffusa anche in Italia una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza di proporre volumi di qualità già ai neonati e ai bambini di pochi mesi. In questa cornice, favorevole allo sviluppo di libri resistenti, belli da vedere e modellati sulle reali esigenze dei piccoli lettori, arrivano ora due proposte molto interessanti di Lapis, che già in passato aveva lavorato su questo fronte con la collana de I libri del Tato. Si tratta, nello specifico, de La natura e La mia giornata, curati da Raffaella Castagna.

I volumi si presentano come due quadrotti cartonati, dalla dimensione maneggevole e dalle pagine spesse e leggere. Ognuna di queste ultime propone un solo soggetto, rappresentato in maniera estremamente essenziale e ben distinguibile, grazie alla scelta di sfruttare un solo vivace colore – giallo o rosso – oltre al bianco e al nero. Ogni figura è accompagnata da due-tre parole al massimo: una sorta di micro-didascalia senza fronzoli. In ogni doppia pagina, una figura è bianca su sfondo nero e una è nera su sfondo bianco. Grazie a un sistema di scorrimento, sotto ogni figura se ne svela un’altra con le medesime caratteristiche stilistiche e cromatiche e collegata a quella sovrastante da nessi di vario tipo, principalmente spaziali (la balena e il mare, per esempio) o d’uso (le stoviglie e l’azione di mangiare).

In La natura, che tra i due volumi è forse il più semplice, ogni pagina è dedicata in particolare a oggetti, paesaggi ed elementi atmosferici. Qui le didascalie sono omogenee e volte a nominare gli oggetti (la farfalla e il fiore, per esempio). Il colore che si aggiunge al bianco e nero, inoltre, compare solo nelle figure che si scoprono a scorrimento.

In La mia giornata, invece, ogni pagina è dedicata a un’azione quotidiana, dal risveglio all’addormentamento. Sulle pagine si succedono quindi oggetti comuni, familiari al bambino: dalla t-shirt alla palla, dalla vasca da bagno al libro della buonanotte. Sotto ad essi, il sistema di scorrimento rivela personaggi dalle fattezze animali che compiono le azioni collegate ai diversi oggetti, mentre le didascalie danno spazio a frasi che indicano l’azione stessa (Faccio il bagno, per esempio) o che la accompagnano (Buongiorno). I nessi tra le figure, il tipo di testo e la presenza di tre colori sia sopra sia sotto la linguetta a scorrimento rende la lettura di questo volume minimamente più elaborata rispetto al precedente.

In entrambi i casi, la semplicità dei contenuti, il numero limitatissimo di soggetti per pagina e il forte contrasto cromatico delle figure fanno sì che il volume racchiuda delle importanti possibilità di esposizione alla lettura anche da parte di bambini con disabilità. È il caso dei piccolissimi con disabilità cognitiva o comunicativa ma anche di coloro che presentano un deficit visivo. La presenza poi di un semplice ma efficace dispositivo ludico come le pagine a scorrimento, amplifica l’interattività e la sorpresa: elementi di grande importanza e appeal anche e soprattutto per bambini con  maggiori difficoltà di approccio all’oggetto-libro. Per come sono costruiti i volumi, il sistema di scorrimento apre a una sorta di secondo livelli di lettura, leggermente più complesso, che mette in gioco la capacità di associazione tra figure oltre al loro riconoscimento: un livello che, volendo, si può aggiungere anche solo in un secondo momento, senza per questo condizionare il godimento del libro nella sua forma base.

Il coraggio nel vento di montagna

È piccolo piccolo il protagonista de Il coraggio nel vento di montagna ma ha intraprendenza e fegato da vendere. Tra le pagine del silent book di Li Yao lo incontriamo senza preamboli, mentre corre riparandosi gli occhi in mezzo alla polvere sollevata da un forte vento. Ritrovatosi solo nel cuore di una brutta tempesta, il bambino sfida le intemperie con risolutezza crescente. Se all’inizio, infatti, si limita a resistere e aspettare paziente di fronte a tuoni, fulmini e una pioggia battente, a un certo punto decide di passare all’attacco. Man mano che il cielo si popola di vortici e nuvole dalle sembianze di draghi, guerrieri e mostri, il bambino fa di una piccola maschera che porta con sé la chiave per superare pericolo e paura.

Tutto giocato sulla sospensione tra dimensione reale e dimensione fantastica, con gli elementi naturali che diventano creature minacciose agli occhi del bambino, Il coraggio nel vento di montagna cattura il lettore con un stile concitato che richiama alla mente tradizioni, fumetti e disegni orientali.

Rispetto ad altri volumi nati dall’esperienza del Silent Book Contest, come per esempio Il tesoro di Nina o La serraIl coraggio nel vento di montagna presenta passaggi narrativi un po’ più oscuri e lascia molto più spazio all’interpretazione del lettore. Per questa ragione si presta ad essere affrontato con particolare soddisfazione da bambini un pochino più grandi o comunque che si sentano a loro agio di fronte a storie complesse e dal contenuto meno immediato. Se l’assenza di parole, da un lato, amplifica questo aspetto, spingendo il lettore a interrogarsi sul significato di ogni pagina, dall’altro accoglie una libertà di movimento narrativo piacevolissima  di ci possono finalmente godere anche bambini e ragazzi che di fronte al testo scritto potrebbero invece sentirsi costretti.

La serra

Se c’è un aggettivo che descrive il tratto ben riconoscibile di Giovanni Colaneri è probabilmente rigoglioso. Quasi sempre, dal pennello dell’autore escono, infatti, figure sgargianti che fioriscono sulla pagina e paiono popolare foreste umane e naturali. Accadeva in Che cos’è una sindrome? e accade ora in La serra, libro che fin dal titolo sembra sposarsi a meraviglia con uno stile così florido.

La sua protagonista è una bambina visionaria e intraprendente che vive suo malgrado in una città tutto fumo e grigiume. Non ci sono alberi né animali a rendere vivo il paesaggio e così, quando un uccello dalle sfumature turchesi spunta alla finestra, la bambina non può fare a meno di notarlo. L’uccellino, d’altronde, veste i suoi stessi brillanti colori e tra i due si instaura una complicità immediata. Di fronte all’invito a seguirlo, la bambina non perde tempo e, inforcata la sua bicicletta, percorre desolate e desolanti distese di foreste ormai abbattute fino a che giunge in luogo straordinario. Si tratta di una serra lussureggiante, luogo di per sé meraviglioso se si considera la triste cornice in cui si colloca, ma reso ancor più straordinario dal personale che lo cura. Al di là delle ampie e luminose vetrate la bambina, e con lei il lettore, incontra infatti una schiera di animali deditissimi al giardinaggio: chi innaffia vasi e aiuole, chi trasporta carrelli zeppi di piante e chi ne controlla puntiglioso qualità e stato. C’è un piano preciso dietro tutto questo lavoro, ma gli animali hanno bisogno di una zampa. Ecco allora che la bambina si trova a guidare una spedizione ad alto impatto green a tutto vantaggio dell’intera comunità.

Finalista del Silent Book Contest 2020, La serra racconta di sogni all’apparenza impossibili e di collaborazioni che creano bellezza. Qui, il rispetto per la natura appare chiaramente come qualcosa che ripaga a pieno, restituendo a chi lo pratica un’esistenza a colori. Sospesa tra reale e fantastico, la storia per immagini confezionata da Giovanni Colaneri è ricca di fascino e scandita in modo lineare e chiaro nonostante l’assenza di parole. Quest’ultima, dal canto suo, ne spalanca la fruizione anche da parte di bambini e ragazzi con difficoltà di decodifica e comprensione del testo, legate per esempio alla dislessia o alla disabilità uditiva.

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Cruciverba

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

 

Cruciverba

Quando il tempo a disposizione non manca, il cruciverba è sempre una buona idea. Per divertire e soddisfare lettori con età, abilità e interessi diversi, questo quaderno di #intantofaccioqualcosa presenta 25 quiz e cruciverba dedicati a tematiche differenti e di complessità crescente. Si va dallo sport alla gastronomia, dalla geografia al cinema: in questo modo anche giovani lettori molto ferrati in un unico campo possono trovare pane per i loro denti.

Le definizioni sono tutte scritte in maniera molto lineare così da favorirne la comprensione e la soluzione. Di tutti i quiz e i cruciverba sono infine fornite le soluzioni in un’apposita appendice del volume.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Ricette

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

 

Ricette

Il quaderno di #intantofaccioqualcosa dedicato alle ricette omaggia quella che è probabilmente stata l’occupazione più diffusa tra gli italiani durante il lockdown. Il ruolo che manicaretti e impasti hanno avuto nell’intrattenere, rilassare e far dialogare tutti noi è stato in qualche modo straordinario e in questi mesi di strana reclusione anche i più piccoli, trascorrendo molto più tempo a casa, hanno avuto modo di cimentarsi spesso con pietanze e fornelli.

Le ricette contenute nel quaderno sono pensate proprio per loro, con l’idea che possano essere replicate quasi totalmente in autonomia o con la semplice supervisione di un adulto. Tutte le proposte sono infatti piuttosto semplici e abbordabili e non richiedono l’uso di strumenti particolarmente sofisticati o pericolosi (eccezion fatta per i coltelli). A ogni ricetta è dedicato un capitolo che comprende l’elenco degli ingredienti necessari e le istruzioni passo passo per preparare il piatto, il tutto presentato tramite fotografie e relative didascalie.

Le fotografie scelte, seppur realizzate in maniera artigianale data la situazione dettata dalla pandemia, sono molto chiare ed eloquenti, al punto che nella maggior parte dei casi le didascalie fungono da supporto non indispensabile. Redatte in maniera lineare e chiara, queste ultime sono dal canto loro molto dirette e non trascurano alcun passaggio, rendendo le proposte culinarie davvero alla portata di bambini molto poco esperti.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Giochi

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

 

Giochi

Dal classico trova le differenze al memory, dalle figure da ricomporre al sudoku dei colori: il quaderno di #intantofaccioqualcosa dedicato ai giochi raccoglie una serie variegata di proposte che ben si adattano a stimolare il giovane lettore senza risultare ripetitive.

Ogni gioco è presentato all’interno di una pagina con semplici istruzioni, descritte passo passo con testi alfabetici molto lineari e il supporto di immagini per quanto riguarda l’indicazione dei materiali utili. Laddove, nei giochi, siano previste risposte giuste o errate, il quaderno presenta una sezione di soluzioni mentre per quelle attività che invitano a ritagliare alcune parti sono previste pagine staccabili.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

La notte

Bentornati a Wimmlingen, il paese più silenzioso e brulicante che ci sia! Già protagonista degli irresistibili Libri delle stagioni (Topipittori, 2018-2019), la città creata da Rotraut Susanne Berner torna al centro di un nuovo wimmelbuch di grandi dimensioni. Luoghi, abitanti e inquadrature sono immutati rispetto si titoli precedenti: un piacere in più per il lettore che già li ha frequentati e che può così sperimentare la gioia del riconoscimento e il sapore della familiarità. La ripresa, in questo caso, è esclusivamente notturna, il che offre la possibilità di scoprire gli spazi cittadini in una veste insolita, vedendo animarsi luoghi perlopiù deserti di giorno e, al contrario, svuotarsi luoghi di giorno animatissimi. A ruota, anche i personaggi cambiano ruolo, ripresi nel loro tempo libero o in servizio.

E così, a vagare per le strade della vivace cittadina si assiste a comunissime routine quotidiane come a eventi straordinari, a lavori spesso invisibili come a incontri inattesi. Nella Wimmlingen notturna c’è chi si fa la doccia e chi vorrebbe dormire in giardino, chi sventa furti e chi guarda le stelle cadenti, chi fa un pigiama party in biblioteca e chi imbratta i muri per amore. Anche gli animali, come sempre accade nei quadri di Susanne Rotraut Berner, non stanno a guardare e tra gatti ben svegli, procioni a zonzo e cani ladruncoli anche le notti a quattro zampe si fanno piuttosto animate. Ad attraversare la città, partendo dal quartiere residenziale che si accinge a riposare e arrivando al laghetto dove pullulano le attività notturne, il lettore si immerge in una dimensione insolita e avvolgente, in cui al silenzio delle parole assenti si aggiunge quello dell’ora tarda (le 22.15, per la precisione, dice l’orologio della stazione). Tra serrande abbassate e luci accese c’è tanto da osservare, scovare e raccontare: l’autrice ha in questo senso un tocco davvero magico, capace com’è di disseminare tra le pagine dettagli sfiziosi, microstorie che si fanno grandi, citazioni imperdibili e vicende che si intrecciano.

Nei suoi racconti per immagini tutto si tiene con una coerenza e una fittezza di rimandi che sono fonte inesauribile di stupore e ragione di riletture mai uguali. Anche grazie a questa abilità i libri come La notte svelano una molteplicità di strati di lettura che agevola il coinvolgimento e la piena partecipazione da parte di bambini con abilità diverse.  Da un lato, infatti, l’assenza di parole favorisce la positiva appropriazione del libro anche da parte di piccoli lettori con difficoltà di comprensione del testo. Dall’altro, la presenza di storie godibili sia nella loro individualità sia nel loro complesso permette una libertà di movimento pienamente appagante a chi necessita di narrazioni poco articolate al pari di chi si districa con disinvoltura tra vicende disegnate più o meno complesse. Che sia giorno o che sia notte, insomma, la città di Wimmlingen accoglie il lettore con un caloroso e amichevole benvenuto!

A mezzanotte

Mezzanotte è un’ora magica, un tempo speciale che segna un preciso confine oltre il quale qualcosa di straordinario spesso accade. Lo sanno gli umani, immancabili festeggiatori di capodanni, ma lo sanno anche gli animali del bosco. Mezzanotte è infatti l’ora in cui i cancelli del luna park chiudono, lasciando deserti giostre e chioschi di delizie. È proprio a quell’ora che volpi, alci e animali selvatici di ogni sorta varcano il limitare del bosco, da dove pazienti hanno assistito al montaggio del parco di divertimenti preparandosi a goderne. Un buco sotto la rete, un’acrobazia da procioni per accendere l’interruttore generale e si va: il luna park si accende in tutto il suo splendore. Da lì in avanti, per gli animali abituati al silenzio ombroso del bosco è tutto un sorprendersi e sperimentare: ci sono dolciumi da assaporare, giochi di abilità in cui cimentarsi, giostre da cui salire e scendere in una nottata scintillante che è tutto fuorché usuale. Ma ogni cosa ha il suo prezzo e così sui banconi delle attrazioni si accumulano man mano preziose monete del bosco: foglie, pigne, funghi e bacche. Un ultimo giro sugli autoscontri e già albeggia, sembra avvisare il saggio gufo. Mentre il custode del parco si prepara a una nuova giornata di lavoro, gli animali rassettano tutto, recuperano i loro bottini e furtivi tornano a casa, dove la festa continua. Quando la stanchezza prende il sopravvento, ognuno si ritira nella sua tana. Solo il lupo, abile vincitore del gioco delle paperelle, ha ancora qualcosa da fare per rendere la nottata davvero speciale, non solo per sé stesso ma anche per qualcun altro…

Incantevole e coinvolgente, A mezzanotte è un libro senza parole con la S e la P maiuscole, tale per cui eventuali parole scritte sarebbero proprio di troppo. Non solo infatti Gideon Sterer e Mariachiara Di Giorgio allestiscono un’ossatura narrativa solidissima e precisa, che conduce per mano il lettore nell’avventura notturna, ma la meditata assenza di testo offre a quest’ultimo la possibilità di godere delle attrazioni scintillanti proprio come fosse sul posto, prendendosi i suoi tempi e scegliendo con ritmi personali dove e come muovere lo sguardo. Chiarezza narrativa e libertà di movimento trovano qui un misurato equilibrio, permettendo di fare propria la bellezza di questo volume anche a chi si troverebbe imbrigliato dalla presenza di un testo, per motivi per esempio di dislessia o disabilità uditiva, e a chi faticherebbe a districarsi tra storie che richiedono troppe inferenze. La sceneggiatura è infatti meticolosa, scandita senza salti, e le illustrazioni sono disseminate di dettagli apparentemente minimi ma in realtà decisivi ai fini della lettura della vicenda. Si pensi, per esempio, alla precisione degli sguardi dipinti da Mariachiara Di Giorgio, ai gesti eloquenti anche dei personaggi posti sullo sfondo, alla cura di particolari come la luce che aumenta man mano che l’alba avanza o ai rimandi puntualissimi tra le pagine, come quella  iniziale che vede l’orso raccogliere bacche, fiori e funghi e quelle seguenti in cui i preziosi frutti del bosco sono impiegati a mo’ di moneta. Tutto torna, tutto ha e dà senso. In più, non solo le tavole sono di una bellezza emozionante ma le inquadrature mai banali che le contraddistinguono rendono la lettura un atto dinamicissimo che catapulta il lettore tra popcorn scoppiettanti e luci sfavillanti.

Nascondino

Anche il più feroce degli animali può nascondere uno spirito burlone, parola di tigre!

Protagonista del silent book di David Hearn, il pericoloso felino si muove quatto quatto tra l’erba alta sulle tracce di una placida antilope. Il suo sguardo è intenso e concentrato e in un efficace gioco di primissimi piani e campi larghi, capiamo che l’attacco sta per essere sferrato. Ma… colpo di scena! Proprio quando pochi centimetri separano la belva dalla preda, questa spunta trulla dall’erba con indosso occhiali, nasone e baffi finti alla Groucho Marx: uno spasso! Da lì in avanti e a più riprese, l’antilope sfodera la sua riserva di mascheramenti, rendendo la caccia una continua e divertente sorpresa. Ma la tigre non è tipo da arrendersi facilmente e così, scovato il mucchio di costumi, mette in atto la sua insospettabile rivincita. E il gioco, manco a dirlo, è pronto a ricominciare…

Nascondino è il vincitore del Silent Book Contest Junior 2020, il premio attribuito dalla giuria dei giovanissimi, all’interno del concorso organizzato da Carthusia. E il motivo della vittoria non è affatto difficile da capire. Spiazzante e divertentissimo, il libro di David Hearn sa cogliere il lettore di sorpresa e rinnovare quest’ultima fino alla fine, sa mescolare con perizia realismo e invenzione e sa fare delle diverse inquadrature – ampie, ristrette e ristrettissime – un elemento narrativo di grande efficacia. Di fronte a quelle riprese larghe che vedono la tigre muoversi felpata e a quegli zoom improvvisi sulle espressioni del suo volto o sui look improbabili dell’antilope, il lettore è coinvolto a pieno e il continuo cambio di punto di vista – dietro, davanti, sopra e di fianco alla tigre – lo colloca esattamente tra i fili d’erba, in posizione privilegiata per godersi gli esilaranti imprevisti.

Del tutto privo di parole e animato da due soli protagonisti, Nascondino si presta a essere goduto in maniera appagante anche da parte di bambini (e adulti!) con difficoltà legate alla decodifica del testo o alla comprensione di storie complesse, che non disdegnino vicende profondamente surreali.

Guarda!

Progetto che vince non si cambia… ma per fortuna si arricchisce! E così, dopo gli splendidi Fiori! e Forme!, Franco Cosimo Panini porta in Italia due nuovi e bellissimi libri-gioco a misura di mani mignon firmati da Hervé Tullet.

Il primo – Guarda! – si fa particolarmente notare per la sua composizione ipnotica, tutta giocata su cerchi concentrici all’interno dei quali si collocano aperture o specchi. Qui, il gioco dello sguardo si alimenta e si rinnova senza posa grazie alla creazione di riflessi e buchi che si rincorrono creando insolite prospettive e percorsi da indagare.

In maniera analoga, Balla! sfrutta intagli geometrici e specchi per dare vita a pagine dinamiche che invitano al movimento. Pallini e linee colorati creno quadri astratti in cui si possono però riconoscere stilizzatissime figure umane che ricordano per certi versi gli omini di Keith Haring. L’effetto complessivo è solleticante e chiama il lettore a cogliere e riprodurre mosse diverse che cambiano continuamente a seconda del verso e della prospettiva da cui si guardano le pagine.

Come i due titoli precedenti, Guarda! e Balla! presentano pagine double-face unite in una solida struttura a leporello, capace di tenersi in piedi da sola con angolature diverse. Che siano dunque aperti in linea retta, chiusi a recinto, sfogliati tradizionalmente o – che so – allestiti a mo’ di ponte, i libri si prestato a resistere ed assecondare le esplorazioni condotte da occhi e mani non solo curiosi ma magari anche un po’ irruenti per via di una motricità fine ancora acerba o ridotta.

Anche qui, l’assoluta libertà d’uso che solletica l’immaginazione e la sperimentazione personali, è incoraggiata nel lettore dalla scelta di proporre esclusivamente figure astratte o estremamente stilizzate, composte di colori basici – i tre primari più i soli bianco e nero – e di forme minime – cerchi, linee e superfici uniformi di colore o a specchio. La curiosità e l’invenzione vengono così accolte senza vincoli e restrizioni, a tutto vantaggio anche di quei lettori che faticano a sfogliare pagine troppo sottili o a confrontarsi con contenuti più o meno complessi.

Allo stesso modo l’essenzialità e la vivacità della composizione, che generano con immediatezza interesse e coinvolgimento, favoriscono l’interazione tra pari o tra cari, anche laddove la disabilità sembri imbrigliare o impedire pesantemente le possibilità di incontro e condivisione. Cerchi, specchi, linee e colori, così come combinati dal maestro Tullet, diventano in questo modo preziosi strumenti a sostegno non solo del gioco ma anche della relazione.

Balla!

Progetto che vince non si cambia… ma per fortuna si arricchisce! E così, dopo gli splendidi Fiori! e Forme!, Franco Cosimo Panini porta in Italia due nuovi e bellissimi libri-gioco a misura di mani mignon firmati da Hervé Tullet.

Il primo – Guarda! si fa particolarmente notare per la sua composizione ipnotica, tutta giocata su cerchi concentrici all’interno dei quali si collocano aperture o specchi. Qui, il gioco dello sguardo si alimenta e si rinnova senza posa grazie alla creazione di riflessi e buchi che si rincorrono creando insolite prospettive e percorsi da indagare.

In maniera analoga, Balla! sfrutta intagli geometrici e specchi per dare vita a pagine dinamiche che invitano al movimento. Pallini e linee colorati creno quadri astratti in cui si possono però riconoscere stilizzatissime figure umane che ricordano per certi versi gli omini di Keith Haring. L’effetto complessivo è solleticante e chiama il lettore a cogliere e riprodurre mosse diverse che cambiano continuamente a seconda del verso e della prospettiva da cui si guardano le pagine.

Come i due titoli precedenti, Guarda! e Balla! presentano pagine double-face unite in una solida struttura a leporello, capace di tenersi in piedi da sola con angolature diverse. Che siano dunque aperti in linea retta, chiusi a recinto, sfogliati tradizionalmente o – che so – allestiti a mo’ di ponte, i libri si prestato a resistere ed assecondare le esplorazioni condotte da occhi e mani non solo curiosi ma magari anche un po’ irruenti per via di una motricità fine ancora acerba o ridotta.

Anche qui, l’assoluta libertà d’uso che solletica l’immaginazione e la sperimentazione personali, è incoraggiata nel lettore dalla scelta di proporre esclusivamente figure astratte o estremamente stilizzate, composte di colori basici – i tre primari più i soli bianco e nero – e di forme minime – cerchi, linee e superfici uniformi di colore o a specchio. La curiosità e l’invenzione vengono così accolte senza vincoli e restrizioni, a tutto vantaggio anche di quei lettori che faticano a sfogliare pagine troppo sottili o a confrontarsi con contenuti più o meno complessi.

Allo stesso modo l’essenzialità e la vivacità della composizione, che generano con immediatezza interesse e coinvolgimento, favoriscono l’interazione tra pari o tra cari, anche laddove la disabilità sembri imbrigliare o impedire pesantemente le possibilità di incontro e condivisione. Cerchi, specchi, linee e colori, così come combinati dal maestro Tullet, diventano in questo modo preziosi strumenti a sostegno non solo del gioco ma anche della relazione.

Lupo nero

Due occhi bianchi, insidiosi e penetranti si stagliano in copertina su uno sfondo nero intenso: è così che il Lupo nero di Antoine de Guilloppé inchioda subito il lettore. C’è qualcosa di ipnotico in quello sguardo netto: un fascino magnetico che sfida ad addentrarsi nel libro, tra le sue tavole in bianco e nero e del tutto prive di parole.

Qui compare un giovane che, nel fare rientro a casa in una notte invernale, si trova ad attraversare un fitto e intricato bosco. Nevica, fa freddo e avanzare nella coltre non è agevole ma soprattutto il percorso ha un che di inquietante: tra gli alberi si nascondono presenze misteriose, minacciose persino. Il giovane sembra accorgersene a poco a poco mentre il lettore riconosce e segue fin dall’inizio la sagoma del lupo tra i tronchi. La tensione è via via crescente e tangibile: ci si aspetta da un momento all’altro un assalto che, in effetti, non manca ma che, grazie a un sorprendente colpo di scena, cambia di segno e assume contorni del tutto inattesi.

Così, in un finale rapidissimo che chiude una sceneggiatura dal sapore cinematografico, la prospettiva si ribalta, la tensione si scioglie, le emozioni si capovolgono. All’estremità di una parabola emotiva ampissima, che parte dal sospetto, affronta la paura e approda alla rassicurazione, il lettore trova il sollievo di essersi sbagliato nell’attribuire ruoli e intenzioni ai personaggi, condizionato dalla forte valenza simbolica dei due colori usati e degli elementi fiabeschi richiamati.

L’apparenza inganna e queste pagine, con il loro abile gioco di inquadrature e illusioni percettive, consentono di sperimentarlo a fondo. Bianco e nero, vuoto e pieno, buono e cattivo: Lupo nero fa dei contrasti più essenziali e della loro capacità di rovesciarsi la sua chiave narrativa più potente che non solo mette a nudo pregiudizi e stimola interrogativi, ma amplifica la capacità di coinvolgere intimamente chi legge, facendolo sentire davvero immerso tra quei silenziosi tronchi innevati. Quello intagliato con perizia da Antoine Guilloppé – maestro indiscusso della tecnica del papercutting – diviene così un bosco da attraversare tanto fisicamente quanto simbolicamente, con spiazzante soddisfazione per lettori di età anche molto diverse.

Su e giù per le montagne

Il tempo trascorso in montagna ha una scansione tutta sua. E così un anno tra cime e vallate può misurarsi in lamponi colti direttamente dai cespugli, dighe di sassi costruite sui torrenti, notti trascorse in tenda sotto le stelle, alberi abbracciati o scalati, temporali improvvisi scampati e creature dei boschi incontrate.

Questi e molti altri tempi preziosi, popolano lo splendido silent book di Irene Penazzi – Su e giù per le montagne –, seguito ideale del precedente Nel mio giardino il mondo, di cui conserva l’impianto, lo spirito e la freschezza. I tre ragazzini protagonisti, accompagnati da un fedele cagnone bianco, si muovono tra queste pagine proprio come lungo un sentiero che li conduce a godere di panorami sempre diversi e a cogliere possibilità di azione e ricreazione che non si ripetono mai. Come in una sorta di viaggio perenne senza soluzione di continuità, i tre attraversano, nell’ordine, la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno montani, con tutta la ricchezza di meraviglie e attività che ciascuna di queste stagioni sa regalare agli esploratori avventurieri di qualunque età.

La matita di Irene Penazzi restituisce questa ricchezza con grande brio e dinamismo, solleticando senza posa nel lettore l’immaginazione o la memoria di un tempo felice. La cura dei dettagli e la tangibilità delle atmosfere dipinte lasciano trasparire una conoscenza autentica della montagna, un sentimento appassionato in cui il lettore può riconoscersi e ritrovarsi. Il tratto inconfondibile dell’autrice sa cioè tirare fuori dalle immagini, che  si susseguono senza alcuna parola, i suoni, i silenzi, gli odori e le sensazioni con cui un’immersione piena nella natura investe il visitatore. In questo modo il lettore si trova calato dritto dritto tra boschi e masi, ruscelli e fontane, rocce e rifugi.

Anche in questo libro, il fluire del tempo che delinea il racconto non impedisce di godersi ogni scena come una fotografia a sé stante, in cui sostare e di cui gustare ogni particolare. Irene Penazzi dissemina infatti con perizia leggere una moltitudine di dettagli che raccontano molto senza strepitare: l’abbigliamento che cambia in funzione della stagione, la fauna curiosa che fa capolino qua e là, gli oggetti che ricompaiono a distanza di pagine creando un fil rouge tra momenti apparentemente indipendenti.

Così come ogni escursionista vive la montagna alla propria maniera e con i suoi tempi, soffermandosi su quegli aspetti che per lui e lui soltanto sono più significativi, allo stesso modo ogni lettore può qui muoversi tra i sentieri disegnati dall’autrice rivendicando una certa libertà e godendo delle singole tavole come quadri autonomi oltre che come parte di un percorso. Questo, unito all’assenza di parole e alla forte riconoscibilità delle situazioni e delle attività ritratte, fa di Su e giù per le montagne un libro estremamente versatile e accessibile.

Tanti intrecci

Finalista al Silent Book Contest 2019, Tanti intrecci è un albo senza parole dal segno incisivo e dall’indole spiazzante. Fin dalla copertina, dove spicca una squadra di lavavetri sospesi a mezz’aria, il tratto espressionistico e indefinito di Yan Xinyuan cattura l’occhio e smuove l’interesse. Il forte contrasto tra il minimalismo della pennellata e la sua ricchezza narrativa e semantica si ritrova in ogni pagina del libro ed è forse ciò che più di tutto lo rende intrigante.

L’autore cinese non racconta una vera e propria storia ma inanella piuttosto una serie di quadri legati tra loro da fili sottilissimi, fisici e metaforici. Ogni pagina dipinge in particolare una scena in cui, come suggerisce il titolo, trova spazio qualche tipo di intreccio: fili che sorreggono altalene o portano in alto palloncini, che traggono in salvo persone o calano secchi, che costruiscono yurte o trainano merci, che uniscono fascine o sollevano vele. Ma accanto ai fili più visibili trovano posto anche quelli più impalpabili: quelli che uniscono le persone in legami di amicizia, amore o solidarietà e quelli che uniscono situazioni apparentemente distanti in virtù di un dettaglio, un’atmosfera, un sentimento o una sensazione.

Così, se è vero che un racconto lineare non trova posto tra queste pagine, lo è altrettanto il fatto che un intreccio narrativo viene comunque offerto al lettore. Sta a lui, però, scorgerlo, dipanarlo e riallacciarlo secondo combinazioni differenti a seconda della sua sensibilità, della finezza del suo bagaglio culturale, del suo lasciarsi trasportare da immagini non semplici ma d’impatto.

Tutt’altro che banale e immediato, Tanti intrecci è un albo fuori dagli schemi che ben si presta ad essere letto, condiviso e – perché no? – sviluppato da lettori non proprio inesperti, magari delle scuole medie o superiori. L’assenza di parole, che agevola dal canto suo il moltiplicarsi di interpretazioni e significati, ha inoltre il grande valore aggiunto di rendere queste pagine fertilissime e accoglienti anche per lettori che, a causa di disabilità o disturbi diversi, faticano a relazionarsi serenamente con il testo scritto ma non trovano ostacoli nella lettura di immagini anche complesse.

Il tesoro di Nina

A varcare la copertina de Il tesoro di Nina si ha l’impressione di rispolverare una vecchia cinepresa e godersi un filmino d’altri tempi, una ripresa lenta per la precisione. Protagonista è una bambina piccola – gote rosse, capelli ramati, pelle candida in un delizioso e comodo vestitino blu – immersa in un placido e luminoso paesaggio marino. Ogni tavola ci invita a seguirla con partecipe discrezione in una delle sue piccole e meravigliose attività di esplorazione e scoperta: far scorrere la sabbia tra le dita, scalpicciare sulla battigia, giocare con la schiuma delle onde, scovare conchiglie tra le dune e indagarne il misterioso potere…

Nei suoi movimenti un po’ goffi e insieme liberi così come nelle sue espressioni di concentrato stupore si riconosce un’infanzia vera e palpitante, che pare emergere in carne ed ossa dalla pagina. Sonia Marialuce Possentini, attenta osservatrice, sa rendere con grazia e rispetto il rapporto poliedrico che lega i bambini a un elemento ricco ed enigmatico come il mare. In questo, la sua sensibilità ricorda non poco quella dell’autrice coreana Suzy Lee, nel cui capolavoro L’onda si ritrovano non a caso analoghe pose, gestualità, azioni e reazioni.

Finalista del Silent Book Contest 2019, Il tesoro di Nina procede per sole illustrazioni senza far uso di parole. Questo, unito alla storia minima, alla chiarezza delle immagini, alla pulizia delle pagine e al fatto che ciascuna di esse appaia godibile e assaporabile in sé oltre che nel continuum narrativo, rende il libro estremamente accessibile e affascinante anche per bambini piccoli, in età prescolare per esempio, o con difficoltà a decodificare il testo alfabetico o a seguire racconti troppo complessi. Ciononostante il libro costituisce un autentico gioiellino soprattutto per gli adulti che possono scorgervi tutta la libertà da condizionamenti e sollecitazioni superflui, la curiosità di fronte alla ricchezza di un paesaggio multiforme, la gioia della scoperta, lo stupore del gioco: un’occasione preziosa, insomma, per guardare davvero i bambini, attraverso una specchio di carta.

 

Il giardino dei sogni

Formato ampio, atmosfere avvolgenti, sfumature zen: di fronte a Il giardino dei sogni, finalista del Silent Book Contest 2019, il tempo si dilata e il respiro rallenta. Il libro è infatti un tacito invito a sostare tra pagine dominate dai toni di verde, attardandosi a godersi silenzio e bellezza.

Al centro dell’albo di sole immagini di Maine Neuendorff c’è un giardino straordinario – un giardino dei sogni, per l’appunto – in cui le misure del tempo e dello spazio assumono nuovi contorni. Qui veniamo condotti da due bambini, fratelli si presume, a loro volta intenti a seguire un curioso gatto nero comparso per strada. Una volta varcato il cancello di questo che è a suo modo un giardino segreto, i bambini, il gatto e con loro il lettore, assaporano e sperimentano una natura fantastica, tra rami abitati da uccelli di ogni specie, ninfee che sostengono i pisolini, steli d’erba su cui ci si può sedere e cactus dalle forme feline. Sagome e dimensioni inattese, particolari ammiccanti, animali nascosti tra le foglie richiedono un occhio attento e un’immaginazione aperta, per dar fondo a un’esplorazione in cui i confini tra reale e onirico si fanno labilissimi.

Maine Neuendorff è davvero abile nel costruire illustrazioni dalla suggestiva qualità immersiva, che dà vita a una sorta di realtà aumentata in punta di matita. Tra le sue tavole lussureggianti si dipana una storia minima ma densa di sorprese che si sviluppa a filo di pagina ma che offre grande appagamento anche nel singolo quadro. Lineare e chiara, nonostante la fascinosa sovrapposizione tra piano reale e fantastico, la narrazione risulta agevole da seguire senza che le parole si rendano necessarie e anzi l’assenza di queste ultime spalanca il cancello de Il giardino dei sogni anche a giovani esploratori avvezzi a viaggiare con la fantasia ma poco a loro agio di fronte al testo scritto.

Dal 1880

La storia si può raccontare in tanti modi e non tutti, a guardar bene, prevedono le parole. L’albo di Pietro Gottuso intitolato Dal 1880 e pubblicato da Kalandraka, è un bellissimo esempio di come si possano attraversare le epoche, con le loro peculiarità e i loro eventi più salienti, grazie alla potenza e all’incisività di una particolare sequenza di immagini.

L’autore sceglie infatti di accompagnare il lettore in uno speciale viaggio nel tempo che ha come fulcro una libreria. L’inquadratura immutata e frontale da cui viene ritratto questo luogo emblematico mette bene in evidenza cosa cambia dentro ma soprattutto attorno ad esso, anno dopo anno. Punto di riferimento, fisico e simbolico, la libreria diventa una sorta di luogo di osservazione privilegiato di fronte al quale scorrono mezzi, abiti, personaggi che scandiscono il passare dei decenni e disseminano indizi sui singoli periodi dipinti. Si modifica così il contorno della libreria e si succedono le generazioni in essa, ma la sua posizione, la sua insegna e il suo “esserci” sono sempre saldi, rassicuranti.

Si coglie cioè tra le pagine una continua tensione tra cambiamento e resistenza: una tensione che tocca nel profondo chi conosce e riconosce lo strenuo impegno e valore di questi preziosi presidi culturali. Fino all’ultima pagina, che porta con sé un’amara sorpresa e che, rimettendo in scena l’ottocentesco protagonista iniziale, crea un movimento riflessivo circolare che tante domande fa porre al lettore.

Omaggio raffinato e intenso alle librerie, a chi le anima e al loro indefesso lavoro per la comunità che le circonda e che, in definitiva, le rende vive, Dal 1880 è un libro senza parole che parla senz’altro ai grandi ma che offre spunti estremamente interessanti per costruire originali percorsi storici e culturali con i ragazzi, dalle medie in su.

Che febbre!

Un oggetto banale e inanimato come un letto può, contro ogni aspettativa, condurre verso incredibili avventure: Pomi d’ottone e manici di scopa docet! Difficile credere che lo stesso non si possa dire di un divano, che del letto, in effetti, è parente stretto. Detto fatto, la conferma arriva dritta e comoda su cuscini e braccioli tra le pagine di Che febbre!, l’albo firmato da Rina Allek e di fresco nominato vincitore del Silent Book Contest 2020.

Protagonista del racconto senza parole ideato dall’illustratrice russa è una bambina malata – il termometro segna un buon 38° – che si addormenta rannicchiata proprio sul divano di casa. Ma la febbre può giocare brutti scherzi e all’improvviso la bambina si trova minacciata da un gigantesco millepiedi: ci pensa il rosso divano, presto trasformatosi in una volpe scattante, a trarla in salvo e a condurla in un viaggio incantato tra cieli stellati, foreste lunari e oceani sottosopra. Non privo di pericoli e insidie, che prendono di volta in volta la forma di creature bizzarre, il viaggio si conclude là dove è iniziato, nel salotto di casa, in cui (quasi) tutto sembra tornato come prima.

Capace di valorizzare il silenzio per dondolare il lettore in una dimensione a mezz’aria, finemente sospesa tra sogno e realtà, Che febbre! si dimostra un wordless book degno di questo nome e non semplicemente una storia qualunque a cui sono state tolte le parole. L’autrice è poi bravissima a tendere fili sottili tra le pagine, popolando le sue tavole di figure minime dai tratti vagamente espressionistici, i cui dettagli si richiamano tra loro man mano che la narrazione avanza. Così, la forma allungata e inconfondibile degli occhi della protagonista ritorna tra le cortecce degli alberi, come segno del tempo o, chissà, del loro essere sentinelle naturali; il tondo luminoso della luna si deforma nel volto del millepiedi e poi torna rassicurante nel viso della protagonista e via dicendo… A rendere possibile questo gioco di andate e ritorni che, per certi versi, culla e rassicura il lettore, e che, per altri, evoca l’andamento contorto dei sogni più agitati, è il segno netto e serigrafico dell’autrice, la sua scelta accorta e scremata degli elementi grafici e il suo efficace giostrare tre soli colori: il blu, il rosso e il bianco.

In risultato è un albo affascinante che merita più di una lettura, rifuggendo del tutto il pericolo di stancare. Perfetto per lettori attenti, sognatori e intrepidi, poco importa se abili o meno con la parola scritta (che qui, per l’appunto, proprio non c’è), ma a proprio agio di fronte a storie sfuggenti e che volteggiano sganciate dalla più schietta realtà.

Gita sotto l’oceano

Altro giro, altra corsa: dopo la passeggiata nello spazio di Gita sulla Luna, John Hare ci accompagna in una nuova emozionante escursione, questa volta subacquea. A bordo di un sottomarino ultraequipaggiato, che nelle linee e nel giallo brillante ricorda immediatamente il pullmino-astronave della prima avventura, l’autore ci porta a immergerci tra le profondità oceaniche più misteriose e affascinanti. In Gita sotto l’oceano la classe di bambini e bambine segue il maestro, attratta da calamari bioluminescenti, sorgenti idrotermali e lava cuscino popolata da vongole. Un bambino in particolare appare così rapito dalle bellezze marine e così dedito a immortalarle con la sua macchina fotografica che a un certo punto si allontana dai compagni per curiosare dentro il relitto di una nave e viene lasciato indietro. Proprio come in Gita sulla Luna, la classe finisce per risalire a bordo del sottomarino senza di lui e, prima che il maestro possa correre in suo soccorso, il bambino diventa protagonista di un’esplorazione fotografica che gli fa compiere straordinarie scoperte archeologiche e stringere amicizia con buffe creature dei fondali.

Abilissimo nel giocare sui meccanismi di ripetizione e variazione, John Hare ci regala un nuovo albo senza parole coinvolgente e movimentato.  All’interno di una struttura narrativa che puntualmente e volutamente ricorda quella di Gita sulla Luna, l’autore sa dare vita a un’avventura tutta nuova. I richiami al primo viaggio non solo non annoiano ma creano una fitta rete di corrispondenze divertenti da scovare e amplificano l’effetto sorpresa quando il protagonista si toglie lo scafandro. Attento come il primo titolo a rendere molto credibili le movenze, i comportamenti e le fantasie del protagonista (e dei suoi compagni), Gita sotto l’oceano rafforza l’idea di fondo che ogni bambino abbia un talento che, se coltivato e accolto, alimenta la curiosità e genera una ricchezza condivisibile.

Anche qui tavole e figure hanno un fascino ammaliante e i passaggi narrativi che legano l’una all’altra sono molto chiari, nonostante l’assenza di parole. Il silenzio, che quasi si tocca tra queste pagine e che non a caso è caratteristica significativa degli abissi come dello spazio, invita il lettore a guardarsi intorno a caccia di meraviglie, muovendosi con un ritmo e con uno sguardo del tutto personali. Così balzano all’occhio dettagli e minuzie che incantano, svelano e guidano la lettura, in un’immersione che può felicemente vedere protagonisti anche giovani lettori con difficoltà di decodifica del testo, legate per esempio alla dislessia o alla sordità.

Gita sulla Luna

Quando c’è di mezzo una gita scolastica non c’è tempo da perdere: ecco allora che John Hare non spreca neanche un minuto (e una pagina!) e inizia il suo racconto per immagini fin dalla copertina di Gita sulla Luna. È qui, infatti, che incontriamo la classe che si prepara all’escursione, che ci immergiamo senza preavviso in un’insolita ambientazione spaziale e che intercettiamo il protagonista della storia che balza all’occhio per il passo lento e lo sguardo poco entusiasta che lo distingue dai compagni. Perché se le gite sono perlopiù ragione di euforia, non tutti i bambini reagiscono allo stesso modo. E in effetti, ad addentrarsi nella lettura, si scopre un giovane astronauta un po’ timoroso – forse per nostalgia di casa, forse per timidezza, forse per lontananza di interessi, chissà – che segue la classe da distante e si tiene sempre un po’ in disparte, fino ad isolarsi del tutto per ritrarre al meglio coi suoi pastelli colorati quel pianeta verde e azzurro che tanto risalta rispetto ai crateri e ai rilievi grigi della luna. Purtroppo però, nessuno si accorge della sua assenza e così il bambino viene scordato sulla luna quando l’astronave-pullmino riparte alla volta della stazione spaziale. A nulla valgono i suoi tentativi di farsi notare dal mezzo ormai in moto e così si ritrova a cercare consolazione nel disegno, tracciando sul suo taccuino uno sgargiante arcobaleno con due nuvole al fondo (un’immagine che riletta alla luce dei tanti teli apparsi sui balconi in questo nefasto 2020 assume un significato di speranza e buon auspicio ancora più forte). Ma evidentemente il giovane protagonista non è l’unico a subire il fascino dei colori: cinque bizzarre creature lunari, di sfumatura grigiastra e forma aliena, si avvicinano infatti, prima guardinghi e poi strabiliati, trasformando l’attesa del salvataggio in una spassosa sessione di disegno.

Curato e sfizioso, Gita sulla Luna, con cui John Hare ha esordito nel mondo della letteratura illustrata per l’infanzia, è un libro che fa dell’assenza di parole non solo una preziosa possibilità di accesso alla storia anche per quei giovani lettori che faticano di fronte al testo alfabetico, ma anche una forma narrativa in cui lo sguardo viene continuamente sollecitato a scovare particolari significativi, valorizzando quella capacità di lettura visiva troppo spesso snobbata anche in ambito scolastico. Proprio perché non ci sono le parole occorre qui fare caso a ciò che comunicano i dettagli – la direzione delle orme sulla superficie lunare o l’espressività dei gesti e delle distanze tenute dai personaggi, per esempio – perché attraverso di essi si dipana il filo del racconto.

L’autore è davvero molto bravo in questo, così come nell’attribuire fascino e senso all’uso del colore. Il giallo del pullmino-astronave, il verde e il blu della Terra distante o le tinte accese dei pastelli che spiccano sul nero dello spazio e sul grigio della luna calamitano l’occhio del lettore (con buona pace di chi aborre i libri per bambini con pagine scure), rendendo vivide le scene presentate e aiutando a focalizzare l’attenzione sui particolari che denotano l’avanzamento della storia. Il lettore si trova così a muoversi senza gravità tra tavole che calano a puntino in una cornice e in un’atmosfera distantissime in cui tutto sembra rovesciato – i bambini sono astronauti, la terra è un corpo celeste lontano, gli alieni hanno paura degli umani – ma in cui l’infanzia, nei suoi movimenti e nei suoi sentimenti più propri, appare ciononostante del tutto riconoscibile. Perché le emozioni, forse, sono davvero qualcosa di universale.

A un anno di distanza dalla pubblicazione di Gita sulla Luna, Babalibri porta in Italia anche il secondo libro senza parole realizzato da John Hare e intitolato Gita sotto l’oceano.

Questo (non) è un leone

Dal toro Ferdinando in avanti, più di un animale della letteratura per l’infanzia si è ribellato a ruoli ed etichette precostituiti. Il leone Leonard non fa eccezione: animo gentile e indole poetica, il protagonista di Questo (non) è un leone fatica a farsi riconoscere dai suoi simili come un leone a tutti gli effetti. I leoni – dicono questi – sono feroci, non possono essere gentili e soprattutto, senza dubbio alcuno, se si trovano una papera di fronte se la mangiano. Ma Leonard no. Lui con la papera Marianna non solo fa amicizia ma scrive pure poesie bellissime. E proprio la poesia, capace di “cambiare il mondo” perché “le parole fanno pensare”, diventa la sua personalissima e potentissima maniera di dire che non c’è un solo modo per essere un leone.

Dichiarazione spassionata e appassionata in favore del diritto a essere sé stessi, Questo (non) è un leone presenta un testo molto diretto e dal piglio filosofico, unito a illustrazioni dal tratto marcato e dalle tinte decise. Sono queste ultime, in particolare, a dire con chiarezza i sentimenti taciuti dalle parole e a restituire in certi dettagli (la papera e il leone che schizzano su monopattino e skateboard, per esempio, o il leone dall’attenzione labile che insegue farfalle mentre Leonard parla…) una leggerezza scherzosa che solletica il lettore.

A rendere particolarmente intrigante il libro di Ed Vere dal punto di vista dell’accessibilità è il fatto che si tratta di uno dei titoli resi disponibili in LIS dall’app Storysign: un’app straordinaria lanciata nel 2018 da Huawei e sviluppata in collaborazione con numerosi partner tra cui l’Unione Europea dei Sordi e la British Deaf Association.

L’applicazione, scaricabile gratuitamente e disponibile sia per Android sia per iOS, consente di arricchire alcuni libri cartacei di una simultanea traduzione in Lingua dei Segni condotta da un avatar di nome Star. Avviando l’applicazione sullo smartphone e inquadrandovi la pagina di uno dei libri a catalogo, si avvia infatti un video in cui Star interpreta il testo in Lingua dei Segni.

Ciò che rende davvero nuova questa proposta è il fatto che il video si attiva solo nel momento in cui lo smartphone inquadra la pagina corrispondente. Esso inoltre non solo restituisce la traduzione in Lingua dei Segni ma ne sottolinea anche la puntuale correlazione con il testo originale grazie a un efficace sistema di evidenziazione cromatica.

Quella che si innesca così tra libro cartaceo e tecnologia digitale è una necessaria e funzionale sinergia che, valorizzando e intersecando le specificità di ciascun mezzo, migliora concretamente le possibilità di lettura dei bambini con disabilità (uditiva in questo caso).

Sssh

Le storie si possono narrare in tanti modi, lo diciamo spesso. Anche con i rumori? Certo che sì! Sssh fa, infatti, esattamente questo: racconta la giornata di un piccolo protagonista attraverso i suoni che di situazione in situazione lo circondano.

Ogni doppia pagina fotografa un preciso momento della giornata in una particolare cornice – in casa, in classe, in piscina, per strada – dando spazio alle figure umane e agli oggetti più disparati che di volta in volta spiccano, emettendo un suono. Dal tostapane ai denti strofinati, dalle forbici al martello pneumatico: ogni cosa si fa sentire e partecipa alla sinfonia dell’ambiente. All’interno di quadri molto colorati e attenti alla vita vera dei bambini, come nello stile inconfondibile di Mariana Ruiz Johnson, risaltano dunque una serie di dettagli che si accompagnano ad eloquenti e riconoscibilissime onomatopee. Lì cade l’occhio e si attiva l’attenzione del lettore.

Ecco allora che il reperimento sulla pagina di una serie di elementi rumorosi non solo innesca un divertente e interessante meccanismo di associazione tra oggetto, azione e rumore, ma permette a un piccolo percorso narrativo di snodarsi attraverso i suoni evidenziati.  Soffermandosi su di essi e cogliendo i fili sottili che non di rado li collegano – il gatto che miagola sembra fuggire dall’aspirapolvere rombante, per esempio, o la risata che si sente nello spogliatoio della piscina si presume sia scatenata da una puzzetta – accade infatti che l’istantanea dipinta in ogni pagina si dilati e si animi secondo una logica tutt’altro che casuale.

C’è infatti una coerenza interna di base grazie alla quale il lettore non solo riconosce uno sviluppo temporale che si dipana attraverso le pagine ma può anche cogliere una serie di richiami tra di esse che danno sostanza alla narrazione. Elemento chiave, in questo senso, è la presenza fissa e ricorrente di un libro rappresentato accanto al protagonista. Dopo una giornata immerso nei suoni più variegati, infatti, questi trova nel finale un rifugio quieto tra le pagine del suo volume preferito: un luogo in cui il silenzio assume un ruolo del tutto ineffabile.

Vietato dunque ridurre Sssh a un comune libro di suoni che procede per semplice giustapposizione. Il volume rivela infatti un’orditura trasparente che lo rende molto più ricco e ne moltiplica le possibilità di lettura.  Nato da un progetto editoriale di Camelozampa, Sssh mette insieme due firme internazionali importanti: quella di Fred Paronuzzi e quella di Mariana Ruiz Johnson, dando vita a una proposta assolutamente originale e stuzzicante, oltre che dalle straordinarie potenzialità inclusive.

Sssh si presta infatti a una lettura ad alta voce irresistibile ed estremamente coinvolgente, anche nei confronti di quei bambini che per deficit cognitivi, comunicativi o di attenzione faticano a seguire un racconto complesso. Lo sviluppo di una narrazione basata su di una forma comunicativa basica ed efficacissima come quella onomatopeica, inoltre, permette di agganciare e stimolare, sia sul piano della comprensione che su quello della verbalizzazione, anche bambini con difficoltà più marcate. Da ultimo, la presenza di un numero di parole molto circoscritto e facilmente intuibile fa sì che anche una lettura individuale possa essere condotta con soddisfazione da chi non coltiva una relazione facile con il testo (o ancora non sa leggere). Una volta colto che le parole scritte rispondono a un preciso meccanismo – quello di restituire il suono emesso dalle figure ad esse associate – esse possono essere facilmente ricostruite e, anche laddove vengano sostituite da sinonimi o affini, l’effetto non cambia.

Il lavoro originale e difficilmente incasellabile di Fred Paronuzzi e Mariana Ruiz Johnson contiene dunque un vero e proprio tesoro di opportunità che difficilmente ci si aspetterebbe da un libro di onomatopee e che invece rivela tutta la sua ricchezza a chi gli presti occhio (e orecchio) attento. Parafrasando i Negrita, alla domanda che rumore fa la felicità? Probabilmente potremmo rispondere Sssh!

Questo posso farlo

Il protagonista di Questo posso farlo è un pulcino anonimo, identificato con un generico “lui”, che nell’aspetto è identico ai suoi fratelli ma che nel fare se ne discosta parecchio. Fin dal momento dell’uscita dal guscio, il pulcino manifesta maggiori difficoltà: le stesse che lo affanneranno nel prendere le bacche, nuotare, arrampicarsi, cantare e via dicendo. Ma il pulcino è tutto fuorché arrendevole, così prova a trovare nuove soluzioni e nuovi strumenti che gli consentano di mettersi in pari. Anche questi però finiscono per rivelarsi poco utili e la caparbietà del pulcino inizia a vacillare. “Non riesco a fare niente…”, pensa. Ma è a quel punto che qualcosa di inaspettato accade. Di fronte a alcuni fiori smarriti e privi di un posto dove stare, il pulcino non esita e si offre di ospitarli tra le sue piume arruffate. In un attimo il rassegnato “Non riesco a fare niente” si trasforma in un orgoglioso e consapevole “Questo posso farlo”: un cambio di rotta e di prospettiva che non ha nulla a che vedere con un ripiego o con l’accontentarsi di un compito più facile. L’impegno assunto richiederà al pulcino molti sforzi e sacrifici decisamente fuori dal comune: proprio quelli che consentiranno al suo talento, finalmente scovato e venuto alla luce, di fiorire come merita.

Delicatissimo nello stile ma capace di lasciare un segno forte nel lettore, Questo posso farlo è dotato di quella grazia caratteristica dell’immaginario e della poetica di Satoe Tone. Le figure che paion di cotone, le trame minuziosissime in punta di pennello, i dettagli inattesi e non privi di ironia e l’incontro tra dimensione reale e onirica dotano il libro di una leggerezza ariosa: la stessa che nasce dalla capacità dell’autrice di intrecciare e insieme rendere impalpabili temi di spessore. Questo posso farlo parla infatti di diversità, di tenacia, di resilienza, di morte, di trasformazione e di valorizzazione dei talenti ed eppure di nessuno di questi temi si può dire che esaurisca il libro. Ricchissimo e aperto a letture diverse, Questo posso farlo non si impone al lettore con un suo significato preconfezionato, preferendo piuttosto intonarsi alle sue corde  e alla sua sensibilità del momento. E per fare questo, è indubbio, serve da parte dell’autrice un orecchio assoluto!

Questo posso farlo di Satoe Tone è uscito per la prima volta in Italia nel 2011 per Kite, pochi anni prima che l’autrice giapponese ricevesse il prestigioso Premio Internazionale d’Illustrazione Fundaciòn SM alla Bologna Children’s Book Fair. Oggi, a poco meno di dieci anni di distanza dalla prima pubblicazione, il libro rifiorisce in una nuova forma, proprio come il pulcino che vede protagonista. Inserito all’interno della collana de I libri di Camilla, Questo posso farlo viene infatti, riproposto arricchito dai simboli WLS, a beneficio di quei lettori che trovano difficoltà nella decodifica del testo alfabetico. Come da sempre accade per i libri di questa preziosa collana, l’aggiunta dei simboli va di pari passo con il massimo rispetto per gli equilibri, la disposizione grafica e i contenuti originali, così che la nuova edizione, marchiata Uovonero e realizzata in collaborazione con la stessa Kite, risulta in tutto e per tutto accostabile alla prima, ma fruibile da un pubblico più ampio.

La versione simbolizzata di Questo posso farlo presenta i simboli riquadrati (con testo esterno) ma sperimenta un interessante uso di riquadri meno marcati e dunque meno invasivi per quanto presenti. I qualificatori di tempo e del plurale non sono indicati e due o più elementi lessicali (articolo e sostantivo o verbo e preposizione, per esempio) sono sovente riuniti al di sopra dello stesso riquadro. Ne risulta un testo in simboli che al dettaglio privilegia  l’immediatezza: scelta, questa, che appare attenta e coerente con una delle peculiarità del libro originale, basato su un efficace e raffinato gioco tra testo conciso e asciutto, e figure minuziose e di ampio respiro. Anche alla luce di questo particolare aspetto, il libro mostra bene come il proporre ai bambini storie lineari e con precisi agganci alla realtà non significhi necessariamente rinunciare a offrire loro un’opportunità poetica e di lettura su molteplici piani.

Tempesta

Instaurare un’amicizia può richiedere tempo. Molto tempo. E insieme al tempo può richiedere pazienza, perché per coltivare una sintonia occorre procedere con cautela, avanzando per tentativi e movimenti talvolta incerti, come in una danza a due improvvisata. E così i due protagonisti di Tempesta – un adorabile cagnolino dal pelo arruffato e una ragazza dai modi gentili – vedono passare più di un giorno prima di potersi avvicinare davvero. Dopo alcuni pomeriggi al parco, popolati di lunghi attese, sguardi e silenzi, sarà un evento inatteso come un forte temporale a dare una svolta al racconto, offrendo ai due protagonisti il pretesto perfetto per darsi finalmente fiducia.

Frutto del lavoro dell’artista cinese Guojing, Tempesta è un albo incantevole che sa rendere tangibili i sentimenti. Il suo gioco attentissimo di inquadrature e punti di vista, distanze e movimenti, rende infatti palpitante l’incontro tra la ragazza e il cagnolino, rendendo chi legge estremamente partecipe. Grazie a immagini dalla potenza silenziosa, quei tramonti malinconici prima e quella notte tempestosa poi, li si avverte sulla pelle, facendo proprio il ventaglio emotivo che muove di pagina in pagina  i protagonisti. Quella che potrebbe apparire come una storia minima, si rivela così oltremodo densa e dilatata, capace di nascondere tra le sue pieghe un autentico tesoro di dettagli e sfumature da cogliere e di cui godere.

Intensissimo e tenero, l’albo di Guojing si presenta come un fumetto senza parole. La sua, infatti, è una scansione in quadri di dimensione variabile che evidenziano minimi passaggi del racconto e rendono molto chiaro cosa accade tra una vignetta e quella successiva. Questa continuità narrativa, unita a uno stile molto realistico, agevola una possibilità di immersione piena e appagante anche da parte di bambini che faticano a compiere inferenze raffinate o a seguire acrobazie stilistiche. L’assenza di parole, dal canto suo, amplia le possibilità di accesso al libro a tutti coloro che trovano un ostacolo nel testo scritto per ragioni legate a disturbi o disabilità come la dislessia o la sordità. Oltre che perché estremamente bello ed emozionante, Tempesta merita dunque un’attenzione particolare per la capacità di abbracciare un pubblico davvero ampio, facendo risuonare corde comuni e profonde.

Il grande libro delle navi

Appassionati di navi di ogni genere, forma e funzione, unitevi: si salpa! Fresco di carpenteria tipografica, Il grande libro delle navi ideato e realizzato da Luogo Comune ed edito da Sinnos propone un minuzioso viaggio tra i diversi tipi di imbarcazioni che nelle diverse epoche, zone geografiche e culture hanno solcato i mari.

A mezza via tra il manuale tecnico, l’enciclopedia e la raccolta di curiosità, Il grande libro delle navi unisce la precisione del primo, la ricchezza della seconda e lo sguardo solleticante del terzo. Le sue pagine presentano brevi testi che raccontano in pochissime e semplici parole le caratteristiche di determinate imbarcazioni e che si accompagnano ad accuratissime immagini dal tratto a pennarello – vere protagoniste dello spazio compositivo – che ne illustrano i dettagli. Opportunamente numerate, queste rimandano a didascalie minime a bordo pagina che riportano il nome preciso, il luogo e il periodo di azione delle diverse navi.

C’è dunque di che perdersi tra navi da carico, pescherecci, case galleggianti e navi pirata. Il punto di forza e di originalità di questo libro sta proprio nel tessere collegamenti non solo tra navi e barche apparentemente molto diverse tra loro ma anche nel creare un ponte galleggiante tra ambiti diversi: dalla storia alla letteratura, dalla geografia all’antropologia. La lettura de Il grande libro delle navi si presta così ad assumere forme, modalità e scopi anche molto differenti tra loro, a seconda di ciò che potrebbe maggiormente catturare l’attenzione del lettore. Come in un viaggio avventuroso a tutti gli effetti, questi può seguire rotte diverse, lasciandosi trasportare dalla corrente o zigzagando qua e là a sentimento.

Supportato da immagini affascinanti e minuziose e da un’impostazione grafica ad alta leggibilità, con font specifico leggimi, sbandieratura a destra e testo poco esteso, il libro di Luogo Comune attira e accoglie il lettore anche con dislessia, attraverso pagine amichevoli che non spaventano ma al contrario chiamano all’immersione.

La nuvola Martina si è persa

Pepe è un cane furbo e vivace e ha uno zaino magico che porta sempre con sé. Nel suo zaino c’è un libro di storie da cui trae piccoli racconti, uno per ogni volume che lo vede protagonista.

In La nuvola Martina si è persa, per esempio, leggiamo di Pepe che aiuta la nuvola Martina e ritrovare le sue amiche grazie a una tromba speciale, capace proiettare un raggio di luce mentre suona.

La storia della nuvola Martina, così come le altre che compongono la collana dedicata al cane Pepe, è evidentemente molto breve, lineare e piacevole, seppur priva di veri e propri guizzi narrativi: caratteristiche che in parte rispondono a un preciso intento, quello di offrire racconti il più possibile fruibili anche da parte di bambini con disabilità uditiva.

Le storie di Pepe sono state confezionate, infatti, con un’attenzione particolare alle difficoltà di lettura dei bambini sordi: difficoltà legate soprattutto al riconoscimento e all’attribuzione di significato a componenti del testo come preposizioni, pronomi, congiunzioni e articoli. La nuvola Martina si è persa, per esempio, si concentra sulla presa di confidenza con i pronomi personali. Difficili da percepire a livello labiale ma anche da riempire di senso poiché prive di un referente concreto, queste particelle del testo tendono infatti a essere trascurate dal giovane lettore sordo, compromettendone l’effettiva comprensione del testo oltre che il piacere della lettura. Alla luce di queste constatazioni, l’autrice ha modellato i testi in modo da dare ampio spazio a tali componenti, ulteriormente valorizzate da una particolare attenzione grafica. Messi in evidenza grazie a caratteri più grandi e colorati, gli elementi testuali critici vengono portati all’attenzione del lettore, invitandolo implicitamente a non trascurarli. In questa cornice, l’aggiunta di giochi-esercizi didattici posta al fondo dei volumi e normalmente discutibile nell’ambito della produzione per l’infanzia che voglia essere veramente libera da una certa pesantezza didattica, risultano funzionali a favorire una reale appropriazione del testo.

Sempre nella medesima ottica, i volumi valorizzano il più possibile la messa in evidenza di correlazioni causa-effetto e l’esplicitazione di frasi idiomatiche – altre criticità in caso di sordità -, privilegiano illustrazioni che dedicano grande attenzione alle espressioni del viso, e rendono evidente l’attribuzione dei dialoghi attraverso un semplice ma ingegnoso espediente. A fianco di ogni battuta compare, infatti, l’icona del personaggio che in quel momento sta parlando: in questo modo il testo non viene gravato e la fluidità di lettura e comprensione ne guadagna. Si tratta in generale di accorgimenti minimi ma significativi, che predispongono un terreno di lettura amichevole e abbordabile non solo per i bambini sordi per cui sono specificamente progettati ma anche per tanti altri bambini che ne condividono le difficoltà pur manifestando altri disturbi o disabilità.

La collana de Le storie di pepe e del suo zaino magico è nata per intuizione dell’autrice Paola Secchi, particolarmente sensibile rispetto alla questione del diritto alla lettura di bambini con disabilità uditiva, ed è cresciuta grazie al coraggio della casa editrice Astragalo, decisa a rispondere a un bisogno poco noto ma molto delicato e importante, e al confronto con Francesca Volpato e Carmela Bertone dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, specializzate nello studio del rapporto tra apprendimento linguistico e sordità. La collana lavora concretamente in un’ottica inclusiva anche grazie alle illustrazioni accattivanti dal tratto fumettistico firmate da Simona Capovilla, con la supervisione grafica di Bruno Testa.

 

La talpa Arturo non trova gli occhiali

Pepe è un cane furbo e vivace e ha uno zaino magico che porta sempre con sé. Nel suo zaino c’è un libro di storie da cui trae piccoli racconti, uno per ogni volume che lo vede protagonista.

In La talpa Arturo non trova gli occhiali, per esempio, Pepe incontra la talpa Arturo, di pessimo umore perché, avendo perso gli occhiali, continua a inciampare. Per fortuna Pepe sa come aiutarla, tirando fuori dal suo magico zaino proprio quello che fa al caso di Arturo.

La storia della talpa Arturo, così come le altre che compongono la collana dedicata al cane Pepe, è evidentemente molto breve, lineare e piacevole, seppur priva di veri e propri guizzi narrativi: caratteristiche che in parte rispondono a un preciso intento, quello di offrire racconti il più possibile fruibili anche da parte di bambini con disabilità uditiva.

Le storie di Pepe sono state confezionate, infatti, con un’attenzione particolare alle difficoltà di lettura dei bambini sordi: difficoltà legate soprattutto al riconoscimento e all’attribuzione di significato a componenti del testo come preposizioni, pronomi, congiunzioni e articoli. La talpa Arturo non trova gli occhiali, per esempio, si concentra sulla presa di confidenza con le preposizioni. Difficili da percepire a livello labiale ma anche da riempire di senso poiché prive di un referente concreto, queste particelle del testo tendono infatti a essere trascurate dal giovane lettore sordo, compromettendone l’effettiva comprensione del testo oltre che il piacere della lettura. Alla luce di queste constatazioni, l’autrice ha modellato i testi in modo da dare ampio spazio a tali componenti, ulteriormente valorizzate da una particolare attenzione grafica. Messi in evidenza grazie a caratteri più grandi e colorati, gli elementi testuali critici vengono portati all’attenzione del lettore, invitandolo implicitamente a non trascurarli. In questa cornice, l’aggiunta di giochi-esercizi didattici posta al fondo dei volumi e normalmente discutibile nell’ambito della produzione per l’infanzia che voglia essere veramente libera da una certa pesantezza didattica, risultano funzionali a favorire una reale appropriazione del testo.

Sempre nella medesima ottica, i volumi valorizzano il più possibile la messa in evidenza di correlazioni causa-effetto e l’esplicitazione di frasi idiomatiche – altre criticità in caso di sordità -, privilegiano illustrazioni che dedicano grande attenzione alle espressioni del viso, e rendono evidente l’attribuzione dei dialoghi attraverso un semplice ma ingegnoso espediente. A fianco di ogni battuta compare, infatti, l’icona del personaggio che in quel momento sta parlando: in questo modo il testo non viene gravato e la fluidità di lettura e comprensione ne guadagna. Si tratta in generale di accorgimenti minimi ma significativi, che predispongono un terreno di lettura amichevole e abbordabile non solo per i bambini sordi per cui sono specificamente progettati ma anche per tanti altri bambini che ne condividono le difficoltà pur manifestando altri disturbi o disabilità.

La collana de Le storie di pepe e del suo zaino magico è nata per intuizione dell’autrice Paola Secchi, particolarmente sensibile rispetto alla questione del diritto alla lettura di bambini con disabilità uditiva, ed è cresciuta grazie al coraggio della casa editrice Astragalo, decisa a rispondere a un bisogno poco noto ma molto delicato e importante, e al confronto con Francesca Volpato e Carmela Bertone dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, specializzate nello studio del rapporto tra apprendimento linguistico e sordità. La collana lavora concretamente in un’ottica inclusiva anche grazie alle illustrazioni accattivanti dal tratto fumettistico firmate da Simona Capovilla, con la supervisione grafica di Bruno Testa.

Il leprotto Gustavo ha paura del buio

Pepe è un cane furbo e vivace e ha uno zaino magico che porta sempre con sé. Nel suo zaino c’è un libro di storie da cui trae piccoli racconti, uno per ogni volume che lo vede protagonista.

Ne Il leprotto Gustavo ha paura del buio, per esempio, leggiamo di Pepe che aiuta il suo amico e vicino di casa Gustavo a superare la paura dell’oscurità con un piccolo trucco 100% naturale! Con una lucciola nella stanza, Gustavo inizierà infatti a dormire sonni tranquilli e rilassati.

La storia del Leprotto Gustavo, così come le altre che compongono la collana dedicata al cane Pepe, è evidentemente molto breve, lineare e piacevole, seppur priva di veri e propri guizzi narrativi: caratteristiche che in parte rispondono a un preciso intento, quello di offrire racconti il più possibile fruibili anche da parte di bambini con disabilità uditiva.

Le storie di Pepe sono state confezionate, infatti, con un’attenzione particolare alle difficoltà di lettura dei bambini sordi: difficoltà legate soprattutto al riconoscimento e all’attribuzione di significato a componenti del testo come preposizioni, pronomi, congiunzioni e articoli. Il leprotto Gustavo ha paura del buio, per esempio, si concentra sulla presa di confidenza con le congiunzioni. Difficili da percepire a livello labiale ma anche da riempire di senso poiché prive di un referente concreto, queste particelle del testo tendono infatti a essere trascurate dal giovane lettore sordo, compromettendone l’effettiva comprensione del testo oltre che il piacere della lettura. Alla luce di queste constatazioni, l’autrice ha modellato i testi in modo da dare ampio spazio a tali componenti, ulteriormente valorizzate da una particolare attenzione grafica. Messi in evidenza grazie a caratteri più grandi e colorati, gli elementi testuali critici vengono portati all’attenzione del lettore, invitandolo implicitamente a non trascurarli. In questa cornice, l’aggiunta di giochi-esercizi didattici posta al fondo dei volumi e normalmente discutibile nell’ambito della produzione per l’infanzia che voglia essere veramente libera da una certa pesantezza didattica, risultano funzionali a favorire una reale appropriazione del testo.

Sempre nella medesima ottica, i volumi valorizzano il più possibile la messa in evidenza di correlazioni causa-effetto e l’esplicitazione di frasi idiomatiche – altre criticità in caso di sordità -, privilegiano illustrazioni che dedicano grande attenzione alle espressioni del viso, e rendono evidente l’attribuzione dei dialoghi attraverso un semplice ma ingegnoso espediente. A fianco di ogni battuta compare, infatti, l’icona del personaggio che in quel momento sta parlando: in questo modo il testo non viene gravato e la fluidità di lettura e comprensione ne guadagna. Si tratta in generale di accorgimenti minimi ma significativi, che predispongono un terreno di lettura amichevole e abbordabile non solo per i bambini sordi per cui sono specificamente progettati ma anche per tanti altri bambini che ne condividono le difficoltà pur manifestando altri disturbi o disabilità.

La collana de Le storie di pepe e del suo zaino magico è nata per intuizione dell’autrice Paola Secchi, particolarmente sensibile rispetto alla questione del diritto alla lettura di bambini con disabilità uditiva, ed è cresciuta grazie al coraggio della casa editrice Astragalo, decisa a rispondere a un bisogno poco noto ma molto delicato e importante, e al confronto con Francesca Volpato e Carmela Bertone dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, specializzate nello studio del rapporto tra apprendimento linguistico e sordità. La collana lavora concretamente in un’ottica inclusiva anche grazie alle illustrazioni accattivanti dal tratto fumettistico firmate da Simona Capovilla, con la supervisione grafica di Bruno Testa.

 

Camping

Il bello del campeggio è che spesso si trasforma in una vacanza allargata. La vicinanza fisica, la condivisione degli spazi e il favore della vita all’aperto, facilitano l’incontro e la conoscenza tra sconosciuti. Così, dopo un giorno o poco più, i vicini di piazzola paiono amici di sempre e i volti che si incrociano tra le docce e la piscina assumono un tratto decisamente familiare. Allo stesso modo, i personaggi di Camping, che in un campeggio è per l’appunto ambientato, non sono stringono amicizie tra l’inizio e la fine del racconto (rigorosamente privo di parole) ma fin dalla seconda pagina risultano del tutto riconoscibili al lettore.

Dalla famiglia piratesca munita di bandana al nonno baffuto in vacanza col nipote, dal giovane in compagnia di un bel cagnone nero alla famiglia con minuscolo bebè al seguito, ogni figura ritratta da Eilika Mühlenberg è ben caratterizzata e facilmente identificabile nonostante i cambi d’abito che la vita di lago impone. Cercarli e ritrovarli ogni volta che una pagina viene voltata assume così i contorni di un divertimento ricco di soddisfazione. Il lettore è infatti implicitamente invitato a seguire le storie individuali che si sviluppano intorno alla storia principale: quella che vede una folata di vento portare via un grosso coccodrillo gonfiabile, rincorso in ogni angolo del campeggio dagli indefessi proprietari.

Il libro assume così i contorni di un wimmelbuch, anche se le figure che lo compongono appaiono in realtà più grandi del consueto con un effetto forse all’occhio meno brulicante. E come in ogni wimmelbuch che si rispetti, ogni quadro che corrisponde a una doppia pagina è godibile nella sua individualità prima ancora che nella nel suo far parte di una sequenza narrativa. Qui ci si può infatti soffermare a lungo per cogliere dettagli minimi, riconoscere attività note a chi ha già potuto assaporare il campeggio, e magari ipotizzare piccoli risvolti narrativi di singole situazioni dipinte: tutti indugi di cui possono beneficiare anche bambini con maggiori difficoltà – per età o abilità – a godere a pieno della narrazione nella sua complessità e da cui possono derivare incentivi interessanti alla verbalizzazione, anche laddove questa risulti lacunosa.

E come in ogni wimmelbuch che si rispetti, accade anche un’altra cosa speciale: il piccolo si fa grande, sia fuori sia dentro il libro. Da un lato, infatti, i lettori più giovani possono riconoscersi autonomi nella lettura di Camping e possono farsi condottieri in una lettura condivisa con l’adulto. E dall’altro, i particolari e i personaggi apparentemente più minuti e insignificanti del libro, divengono a conti fatti le vere superstar. È il caso degli animali che popolano le pagine – il castoro che vaga per il campeggio, la tartaruga che accompagna l’uomo in rosso o l’anatra che si atteggia a cliente abituale, per esempio – o del mitico nanetto da giardino che tutto pare fuorché inanimato. Sono loro, infatti, gli attori più curiosi del libro, quelli che vien subito voglia di cercare e che, anche grazie alle ridotte dimensioni, richiedono un occhio più attento che mai. Le loro storie mignon salgono così alla ribalta mostrando bene come il baricentro di lettura di un silent book come Camping sia mobile e si calibri sul singolo lettore, accogliendone con una certa flessibilità le specifiche esigenze.

Fiori di città

Il potere inclusivo di un silent book, la scansione ritmata di un fumetto, il dinamismo coinvolgente di un’animazione: Fiori di città è un albo ricco e bellissimo, capace di attraversare linguaggi diversi, coglierne le rispettive cifre e impastarle in una narrazione originale e dai molteplici livelli di lettura.

Protagonista del libro firmato da JonArno Lowson e Sydney Smith è una bambina ripresa tra le strade di città nel suo tragitto verso casa. Avvolta in un grazioso giacchetto rosso, la bambina spicca su uno sfondo perlopiù in bianco e nero con una vivacità cromatica che riflette una pari vivacità di sguardo. Mentre l’adulto – presumibilmente il papà – che la accompagna appare infatti un po’ distaccato e mosso da una certa fretta, la bambina presta minuziosa attenzione alle sorprese che il paesaggio urbano può offrire.

È un’esplorazione piacevolmente meravigliata la sua, disseminata di incontri che solleticano i diversi sensi, che richiedono minime pause e che non mancano di regalare un piccolo tesoro. Tra la curiosità per un tatuaggio vistoso, il dialogo muto con un gatto in vetrina, il fascino segreto per una statua orientale, la piccola coglie qua e là i fiori che spuntano dal marciapiede o dai muri, confezionando un delizioso mazzetto che man mano e con spontanea generosità distribuisce tra le diverse creature che incontra: piccioni defunti, signori addormentati sulla panchina, cani al guinzaglio e infine genitori e fratelli. I fiori che raccoglie diventano così minuscoli e potenti omaggi alla vita, in tutte le sue sfumature e componenti (morte compresa), e proprio man mano che essi vengono condivisi, il paesaggio riacquista colore restituendo alla quotidianità una bellezza semplice che merita di essere riconosciuta.

L’uso che l’illustratore fa del colore è in questo senso davvero straordinario. Il progetto cromatico che anima il libro evidenzia infatti il focus delle diverse scene, ciò che cattura l’attenzione della bambina e che fa muovere il racconto, suggerisce affinità di spirito tra i personaggi e dà voce a una dimensione emotiva in continua evoluzione. Supportato da un impiego altrettanto efficace di zoom, inquadrature, ombre e riflessi, rende la narrazione estremamente ricca e concorre a guidare con discrezione il lettore nella decodifica delle immagini. Dense di senso e sfumature che non necessitano di testo per affiorare, le illustrazioni di Fiori di città si prestano a offrire un’occasione di lettura piena e appagante anche a tanti lettori le cui difficoltà di decodifica della parola scritta – legate per esempio alla dislessia o alla sordità – non inficiano in alcun modo le abilità cognitive e immaginative. D’altro canto, i passaggi molto lineari da un quadro all’altro consentono anche a ragazzi che più facilmente si smarriscono di fronte alla necessità di compiere inferenze, di avventurarsi in questa speciale esplorazione urbana al fianco della bambina protagonista. Moderna Cappuccetto Rosso in un bosco di città,  questa ci svela che lo scostamento dalla via più dritta vero casa non porta solo pericoli ma anche doni di rara bellezza.

Passeggiata col cane

Metti che un bambino porti a spasso il cane: aggancia il pelosone al guinzaglio, saluta la nonna e si avvia per la viuzza di paese. Tutto nella norma, il giretto si prospetta ordinario. Ma poi… ma poi il bambino sale su un trenino che sbuffa denso fumo grigio e sale lungo binari verticali e lì ti accorgi che la sua Passeggiata col cane probabilmente sarà tutto tranne che nella norma e ordinaria.

A partire dalla seconda pagina del silent book firmato da quel visionario di Sven Nordqvist, infatti, il viaggio del bambino e del suo gigante di pelo bianco, prende direzioni inattese e insieme a loro ci si trova catapultati in mondi stupefacenti che mettono letteralmente in discussione ogni certezza sulla realtà e sulla sua rappresentazione. Tutto, tutto, ma proprio tutto ciò che i due protagonisti incontrano manifesta uno scarto rispetto al reale: nell’aspetto, nelle dimensioni, nelle proporzioni, nelle funzioni, nei ruoli, o nell’osservanza delle leggi fisiche. Ricci giganti al guinzaglio di anziani barbuti, jazziste mastodontiche che allietano cagnolini, caprette che trasportano cartonati di nobili settecenteschi, animali fantastici che sparano con le cerbottane, topi che colgono mirtilli in sella a libellule o ometti a bordo di baguette non sono che la centesima parte delle invenzioni messe su carta dall’autore svedese secondo una logica interna sottile, decisamente sfuggente, ma tutt’altro che assente.

Il lettore ha quindi il suo bellissimo da fare nel cogliere e nel godere di questo scarto, capace di generare una continua sorpresa. Ma come se questa carica inventiva non bastasse, l’autore ne moltiplica l’effetto distribuendo le sue figure stranianti e strabilianti all’interno di quadri affollatissimi che pullulano letteralmente di dettagli. Ogni pagina è piena e densissima ma non si trova nemmeno un centimetro che sia riempito a caso, con un mero scopo decorativo. E questo mette il lettore in una posizione impegnativa ma esaltante, sollecitato senza posa a notare, scoprire e mettere in relazione elementi, lasciandosi travolgere da tanta ingegnosa bellezza. E ancora: scene e personaggi sottendono decine di citazioni popolari e colte che spaziano dall’arte alla letteratura, dal cinema alla storia, il che amplifica quella sensazione di tensione continua tra familiare ed estraneo che avvolge il lettore a lo porta perdersi e ritrovarsi più e più volte.

Alla luce di questo, leggere Passeggiata col cane diventa un’esperienza da capogiro. La sfida costante al riconoscimento e al discostamento da una realtà nota, il brulicare di figure, la fitta trama di rimandi interni ed esterni al libro e la surrealtà poetica delle diverse situazioni dipinte chiedono a gran voce un tempo lento di esplorazione e un numero di letture che non può essere uguale a uno per dirsi pienamente soddisfatto. E questo concorre a rendere il libro un amico straordinario con il quale dialogare a fondo e a lungo, senza mai esaurire domande e ipotesi narrative.

L’assenza di testo, in questo senso, appare più che calzante e sostiene al meglio il personalissimo viaggio di ogni lettore. Difficile è, infatti, immaginare parole che non siano briglia per una tale ricchezza visiva e per l’inafferrabile mistero che la anima, la cui interpretazione è tacitamente rimessa e anzi incoraggiata alla fantasia di ciascuno. Ogni angolo di Passeggiata col cane suggerisce la latenza di microstorie autonome o connesse tra loro che possono prendere direzioni molto diverse in base alla sensibilità, al bagaglio culturale e all’immaginazione di chi vi si pone di fronte. Ecco allora che il volume, di per sé meraviglioso e irresistibile, appare ancor più prezioso per tutti quei lettori che vedono nel libro un potenziale nemico essenzialmente perché faticano di fronte allo scritto ma che nelle figure e nelle storie da esse veicolate, anche quelle più complesse e sovversive rispetto al reale, riconoscono una possibilità di immersione appagante. Anche e soprattutto per loro, Passeggiata con il cane, con la sua esplosione caleidoscopica di mini-narrazioni dipinte, dice microscopicamente bene che il piacere della lettura può anche essere molto silenzioso.

Fiori!

Colori vivissimi, forme essenziali, tratto scarabocchiato: Fiori! Forme! dichiarano a gran voce la loro gioiosa tulletitudine! La cifra di Hervé Tullet è infatti inconfondibile tra le pagine a leporello di questi due cartonati sgargianti che invitano mani e occhi curiosi a un’esplorazione multiforme.

Il primo – Fiori! – presenta da un lato e dall’altro del leporello una sequenza di fiori variegati nelle forme e nei colori. A tutta pagina e su sfondo bianco, questi sono contraddistinti da forme minime e tratti diversi: punti, cerchi, linee sottili o contorni spessi. Al centro di ciascuno, fatto salvo per il fiore in chiusura che contiene uno specchio, si trova un foglio spesso di plastica colorata e semitrasparente che trasforma una piacevole carrellata floreale in un’occasione stupefacente di scoperta e sperimentazione tattile, cromatica e luminosa.

Con effetti analoghi con principi compositivi differenti, Forme! propone una sequenza di pagine con motivi a righe colorate su sfondo bianco da un lato e pagine a sfondo multicolore dall’altro. Giocate sui tre colori primari, le pagine presentano intagli geometrici sempre diversi per posizione, dimensione e forma – tondi, quadrati, rettangolari e romboidali – che offrono alle piccole dita pertugi perfetti per una perlustrazione curiosa, per inquadrature insolite di panorami, oggetti e persone, per giochi di combinazione e sovrapposizione e per creazioni suggestive di ombre.

Parola d’ordine: libertà. Fiori! e Forme!, più ancora di altri libri di Tullet che già favorivano una dinamica ludica, offrono al lettore un invito a interagire in maniera assolutamente svincolata, attiva e personale con gli stimoli offerti dai volumi. Non solo questi non prevedono né parole né tracce narrative vere e proprie, ma presentano una struttura fisica che li predispone a una lettura imprevedibile e giocosa, all’interno della quale sono l’intraprendenza, la curiosità e le scelte del lettore – dove il libro viene collocato, in che posizione ci si sistema per leggerlo, se la lettura avviene in solitaria o in compagnia e così via… –  a fare la differenza, a modificare il contenuto, a dare vita a possibilità diverse.

E questo li rende particolarmente preziosi anche per un pubblico con disabilità, cognitiva o comunicativa soprattutto, che può trovare nei libri tradizionali una rigidità di fruizione scoraggiante. Grazie anche alla solidità garantita dalle pagine cartonate e dalla struttura a leporello, che consentono ai libri di reggersi in piedi senza alcun supporto, Fiori! e Forme! restituiscono un valore speciale all’autonomia di lettura, facilitata anche in caso di difficoltà di sfogliatura, e alla possibilità di prendersi un tempo proprio in cui lasciarsi sorprendere dalle scoperte che l’incontro con le pagine può generare.

Cosa succede se le pagine di Fiori! incontrano la luce diretta del sole? E se due trasparenze colorate si sovrappongono? E cosa accade, invece, se si guarda un oggetto attraverso le fustellature di Forme!? E se si lascia che esse generino un’ombra? Ogni volume racchiude domande segrete e indefinite, non scritte e non poste, che sta al bambino decidere se indagare, in base a quel che l’esplorazione visiva e tattile gli suggerirà. Molto vicini nel concept a quella meraviglia progettuale che è Coucou di Lucie Félix,  edito  in Francia da Les grandes Personnes, Fiori! e Forme! imboccano un sentiero proprio, forse meno orientato ad attivare una relazione tra due lettori o tra un lettore e un mediatore e più propenso a solleticare l’interazione con le pagine stesse e con l’ambiente circostante.

Fori e trasparenze fanno leva sulla semplicità delle forme e dei colori, favorendo così un’indagine spontanea e poco condizionata, capace di rispondere a bisogni di complessità differenti. Non a caso i due libri, che certo nascono per soddisfare le esigenze di lettura di bambini piccolissimi – anche al di sotto dell’anno di età – risultano assolutamente irresistibili anche per bambini decisamente più grandi, per esempio di età prescolare.

Forme!

Colori vivissimi, forme essenziali, tratto scarabocchiato: Fiori! Forme! dichiarano a gran voce la loro gioiosa tulletitudine! La cifra di Hervé Tullet è infatti inconfondibile tra le pagine a leporello di questi due cartonati sgargianti che invitano mani e occhi curiosi a un’esplorazione multiforme.

Il primo – Fiori! – presenta da un lato e dall’altro del leporello una sequenza di fiori variegati nelle forme e nei colori. A tutta pagina e su sfondo bianco, questi sono contraddistinti da forme minime e tratti diversi: punti, cerchi, linee sottili o contorni spessi. Al centro di ciascuno, fatto salvo per il fiore in chiusura che contiene uno specchio, si trova un foglio spesso di plastica colorata e semitrasparente che trasforma una piacevole carrellata floreale in un’occasione stupefacente di scoperta e sperimentazione tattile, cromatica e luminosa.

Con effetti analoghi con principi compositivi differenti, Forme! propone una sequenza di pagine con motivi a righe colorate su sfondo bianco da un lato e pagine a sfondo multicolore dall’altro. Giocate sui tre colori primari, le pagine presentano intagli geometrici sempre diversi per posizione, dimensione e forma – tondi, quadrati, rettangolari e romboidali – che offrono alle piccole dita pertugi perfetti per una perlustrazione curiosa, per inquadrature insolite di panorami, oggetti e persone, per giochi di combinazione e sovrapposizione e per creazioni suggestive di ombre.

Parola d’ordine: libertà. Fiori! e Forme!, più ancora di altri libri di Tullet che già favorivano una dinamica ludica, offrono al lettore un invito a interagire in maniera assolutamente svincolata, attiva e personale con gli stimoli offerti dai volumi. Non solo questi non prevedono né parole né tracce narrative vere e proprie, ma presentano una struttura fisica che li predispone a una lettura imprevedibile e giocosa, all’interno della quale sono l’intraprendenza, la curiosità e le scelte del lettore – dove il libro viene collocato, in che posizione ci si sistema per leggerlo, se la lettura avviene in solitaria o in compagnia e così via… –  a fare la differenza, a modificare il contenuto, a dare vita a possibilità diverse.

E questo li rende particolarmente preziosi anche per un pubblico con disabilità, cognitiva o comunicativa soprattutto, che può trovare nei libri tradizionali una rigidità di fruizione scoraggiante. Grazie anche alla solidità garantita dalle pagine cartonate e dalla struttura a leporello, che consentono ai libri di reggersi in piedi senza alcun supporto, Fiori! e Forme! restituiscono un valore speciale all’autonomia di lettura, facilitata anche in caso di difficoltà di sfogliatura, e alla possibilità di prendersi un tempo proprio in cui lasciarsi sorprendere dalle scoperte che l’incontro con le pagine può generare.

Cosa succede se le pagine di Fiori! incontrano la luce diretta del sole? E se due trasparenze colorate si sovrappongono? E cosa accade, invece, se si guarda un oggetto attraverso le fustellature di Forme!? E se si lascia che esse generino un’ombra? Ogni volume racchiude domande segrete e indefinite, non scritte e non poste, che sta al bambino decidere se indagare, in base a quel che l’esplorazione visiva e tattile gli suggerirà. Molto vicini nel concept a quella meraviglia progettuale che è Coucou di Lucie Félix,  edito  in Francia da Les grandes Personnes, Fiori! e Forme! imboccano un sentiero proprio, forse meno orientato ad attivare una relazione tra due lettori o tra un lettore e un mediatore e più propenso a solleticare l’interazione con le pagine stesse e con l’ambiente circostante.

Fori e trasparenze fanno leva sulla semplicità delle forme e dei colori, favorendo così un’indagine spontanea e poco condizionata, capace di rispondere a bisogni di complessità differenti. Non a caso i due libri, che certo nascono per soddisfare le esigenze di lettura di bambini piccolissimi – anche al di sotto dell’anno di età – risultano assolutamente irresistibili anche per bambini decisamente più grandi, per esempio di età prescolare.

Coucou (Francia)

Quando si parla di libri accessibili, si pensa principalmente a libri che rendono il testo e/o le immagini fruibili anche in caso di disabilità: libri che presuppongono, cioè, la presenza di una storia – raccontata con parole e/o con illustrazioni – e la possibilità di allargarne l’accesso a un pubblico più ampio grazie all’adozione di diversi codici, adattamenti strutturali o accorgimenti di stampa. Questo lascerebbe pensare che laddove non ci sia una storia non abbia senso parlare di libro e tantomeno di lettura accessibile, ma i libri-gioco ci hanno da tempo insegnato che questa visione non è del tutto esaustiva. Esistono infatti libri che richiedono di essere agiti per essere soddisfatti, che richiedono di mettere in campo modalità di interazione con la pagina differenti, che mettono in discussione l’essenzialità del testo o delle immagini per dare vita a un qualche tipo di narrazione. Quest’ultima può nascere insomma su iniziativa del lettore, a partire da una serie di stimoli offerti dal libro, può dipanarsi e compiersi in una forma che risulta più fisica del consueto.

Esattamente in questo filone e nel centro di questa riflessione piomba nel 2018 un libro straordinario pubblicato dall’editore francese Éditions des Grandes Personnes. Il libro si intitola Coucou ed è frutto dell’intelligente e visionario lavoro della progettista Lucie Félix. Realizzato in forma di leporello in cartone abbastanza spesso da reggersi agevolmente in piedi da solo, il libro si compone di 6 pagine, da un lato su sfondo bianco e dall’altro su sfondo nero. Ciascuna è contraddistinta da poche e semplicissime forme geometriche intagliate e riempite di un foglio di plastica trasparente o colorata, a tinta unita o con motivi elementari (puntini o righe). Così realizzato, Coucou si presta a molteplici possibilità d’uso: possibilità all’interno delle quali il movimento e la posizione – del libro e/o del lettore – costituiscono delle variabili interessanti. Coucou può solleticare osservazioni e scoperte variegate che coinvolgono giochi di luce, sovrapposizioni di forme e colori, contorni da seguire col dito. Può farsi rifugio, percorso, cornice e filtro, in un gioco che può rinnovarsi senza posa da una volta all’altra.

Come evocato dal titolo stesso, Coucou è un invito a una sorpresa da condividere, una rivisitazione di un gioco intramontabile da cui scaturisce una minuscola magia, che qui si arricchisce di nuove e sorprendenti sfumature. Attraverso il libro di Lucie Félix è possibile e bello cercarsi, guardarsi, scoprirsi e riscoprirsi. È possibile fare tutto questo e farlo in molti modi, nessuno dei quali codificato. Coucou si presenta dunque, prima di tutto come un preziosissimo strumento di relazione: un mediatore versatile e gioioso grazie al quale tessere sottilissimi fili personali e instaurare un legame anche laddove sembrerebbe complicato. Pensiamo per esempio ai bambini con disabilità grave, comunicativa, intellettiva e/o motoria, rispetto ai quali l’editoria parrebbe perlopiù offrire opportunità inservibili. Anche in questi casi un libro progettato in maniera così fine, minimale ed eclettica come Coucou può aprire delle possibilità, schiudere degli spiragli. Chiave di questo delicato processo è senz’altro la scelta e l’uso accorto di figure essenziali: cerchi, quadrati, rettangoli e via dicendo. Forme e non oggetti, insomma, che possono più agevolmente essere riempite di contenuto e di significato, diventando vive proprio grazie alla dinamica ludica e relazionale che attivano.

Se Coucou è dunque un libro speciale per molte ragioni, questa capacità di offrire una base per costruire una comunicazione intima anche in situazioni di difficoltà più marcata lo rende particolarmente prezioso e ne fa un autentico esercizio di libertà. Per tutti.

Buh!

Tre maiali in fuga e un lupo affamato: fin dalla copertina, il richiamo di Buh! alla storia dei tre porcellini è chiaro, chiarissimo. Eppure chi pensa di trovare tra queste pagine cartonate l’ennesima versione della nota fiaba si sbaglia di grosso. I personaggi sono sì gli stessi ma ciò che li attende è davvero inatteso, soprattutto se si considera che l’autore di Buh!  – il francese François Soutif – interpreta con grande maestria la preziosa lezione di Susy Lee circa la possibilità di trasformare le componenti fisiche del libro in una parte integrante della storia.

Non a caso, infatti, l’autore distingue fin da subito cromaticamente la pagina in cui compare il lupo già munito di posate e bavaglio a quadri (a sfondo arancione) da quella giusto a fianco che ospita i porcellini intenti a scappare (a sfondo giallo). La distinzione, apparentemente poco significativa, rivela tutta la sua forza narrativa poco più avanti, quando il lupo, quasi arrivato ad agguantare le sue prede, si schianta inaspettatamente contro la linea che separa le due pagine. Quello schianto è un colpo di scena è 360°: lo è per il lupo, che si ritrova dolorante e senza qualche dente; lo è per i porcellini, che si voltano indietro increduli e stupiti; e lo è per il lettore, abituato al fatto che una doppia pagina di questo tipo costituisca un continuum senza interruzioni (come ci insegna, per l’appunto, Suzy Lee in quel saggio meraviglioso che è La Trilogia del limite).

Giusto il tempo di riprendersi dalla sorpresa e il racconto avanza: il lupo cerca disperatamente di capire come funzioni quel muro invisibile e peraltro invalicabile solo per lui, mentre i porcellini si dilettano a schernire lui e i suoi fallimentari tentativi di oltrepassamento.  Il lettore, dal canto suo, condivide per diverse pagine gli interrogativi col primo e il divertimento con i secondi. Ma poi il lupo sembra avere un’intuizione: se il confine di pagina è un muro, forse la pagina stessa può avere le stesse proprietà. E così, scala alla mano, mette in atto un piano ingegnoso e inatteso, capace di regalare nuova carica narrativa all’inseguimento e all’albo che lo contiene!

Dinamicissimo, ironico e sorprendente, Buh! … Forte di personaggi ben riconoscibili, di illustrazioni senza fronzoli che ad essi esclusivamente si dedicano e di una felice capacità dell’autore di rendere evidenti sentimenti e pensieri dei protagonisti, il libro si presta a letture molto godibili anche da parte di lettori piuttosto piccoli, dai tre anni in poi. L’assenza di testo, dal canto suo, oltre ad ampliare la platea dei possibili fruitori – sia per età che per abilità di decodifica – amplifica l’effetto piacevolmente spiazzante di una narrazione che gioca con la fisicità del volume.

La porta

Dopo averci incantato con La piscina, l’autrice coreana Ji Hyeon Lee torna a deliziarci con un libro di grande impatto: La Porta, sempre edito da Orecchio Acerbo.

Protagonista di questa nuova avventura per sole immagini è un bambino che un giorno incappa casualmente in una grossa chiave. Il mondo in cui si muove è un mondo in bianco e nero e le persone che lo circondano hanno tutte un’espressione torva, diffidente. Ma il bambino no. Lui si guarda intorno, mosso piuttosto da un misto di curiosità e stupore: quelli che probabilmente gli consentono di scorgere una porta a cui nessun’altro ha badato. È una porta misteriosa, apparentemente abbandonata da anni, coperta di ragnatele e a ben vedere, nella sua toppa, la chiave trovata gira. Aperta la porta, quello che si schiude davanti agli occhi del bambino è un mondo straordinario. È un mondo a colori, tanto per cominciare, in cui si muovono creature fantastiche che parlano lingue ignote. Incuriosito, il bambino entra in relazione con queste figure, dapprima in maniera un po’ spaventata, poi circospetta, e infine sempre più coinvolta e sorridente. Queste lo accompagnano alla scoperta di una realtà per lui nuovissima in cui quasi tutto ha un che di sorprendente, fatto salvo per le relazioni che si attivano e che si manifestano nelle piccole azioni quotidiane. Così, anche in un paese in cui gli skateboard si realizzano con le foglie, i cocomeri più succulenti sono verdi dentro e gialli fuori e soprattutto le porte disseminate un po’ dappertutto non conducono in casa ma in luoghi e tempi surreali e inattesi, l’amicizia e l’affetto appaiono del tutto riconoscibili e autenticamente possibili anche tra creature dissimili, per aspetto o per lingua parlata. Tra un picnic al parco, una passeggiata nel verde e una sbirciata al villaggio, il bambino fa dunque esperienza di una diversità multiforme – cromatica, estetica e linguistica, per esempio – in cui si cala e da cui si lascia positivamente accogliere, fino a prender parte a quella che appare come una festa: una festa di matrimonio, nello specifico, ma più in generale una vera e propria festa dell’immaginazione. Da questa, infine, il bambino si congeda, rientrando nel suo mondo originario, non prima però di essersi premurato di lasciare aperta la porta misteriosa. In questo modo, si lascia intendere, potrà tornare in quel mondo fantastico, ma allo stesso tempo – perchè no? – anche quel mondo fantastico potrà venire da lui. Perché l’incontro è un movimento che segue sempre due direzioni, e prima della quarta di copertina qualcuno pare confermarcelo…

Stratificato nelle possibilità di senso e disseminato di dettagli che difficilmente si esauriscono in una, due o tre letture, La porta è un libro che sospende il tempo e fa librare l’immaginazione. Lo stile sussurrato di Ji Hyeon Lee si presta perfettamente a una narrazione che fa a meno delle parole e che come tale predispone un terreno accogliente e ricco di soddisfazione anche per giovani lettori normalmente ostacolati dalla presenza vincolante di un testo scritto ma del tutto a loro agio nel leggere immagini e compiere attraverso di esse viaggi fantastici anche di una certa complessità. In quest’ottica, i balloons che spesso accompagnano i personaggi, riempiti di scritte del tutto illeggibili e facenti capo a una lingua immaginaria,  non risultano esclusivi nei confronti di nessun lettore ma arricchiscono piuttosto la narrazione e ne delineano alcuni possibili percorsi, invitando chi legge a immaginare i dialoghi che contengono.

È un libro illuminante, La porta, sopratutto per chi crede nel potere dei libri come ponti. E non solo perché vi si legge della possibilità di costruire legami oltre le differenze, ma anche perché dà spazio alla curiosità come motore imprescindibile di scoperta; perché pone l’accento sulla varietà di modalità comunicative che possono esistere e sulla necessità di trovare tra di esse una convergenza; e perché interpreta con forza la pagina come soglia che divide da mondi altri ma che al contempo può spalancarli, se solo si possiede la chiave giusta da girare nella toppa (o se qualcuno ha la sensibilità di lasciare la serratura aperta): riflessioni che, ben al di là probabilmente delle intenzioni dell’autrice, rivelano una puntualità e una pertinenza particolarmente sorprendenti soprattutto se messe in relazione alla questione del diritto alla lettura e della sua concretizzazione in caso di disabilità. Quest’ultima invita infatti a chiedersi come si possa far partecipare tutti a quella straordinaria festa dell’immaginazione che è la lettura e quali chiavi consentano a lettori con esigenze diverse di superare davvero l’uscio oltre il quale la festa si svolge: perché la lettura è o dovrebbe essere partecipazione piena, immersione travolgente, esperienza di ricchezza.

Piu Caganita (Portogallo)

Piu Caganita è un libro multiformato portoghese che propone il medesimo racconto illustrato in versione tradizionale, semplificata in simboli PCS, in Braille, audio e video in Lingua Gestual Portuguesa (LGP).

Protagonista del racconto è un uccellino un po’ ingenuo e sprovveduto che svolazzando su campi e tetti non si accorge di colpire con i suoi escrementi chi gli passa sotto. Umani, lumache, conigli, mucche e maiali sono tutti egualmente vittime dei suoi involontari bombardamenti e comprensibilmente finiscono per indispettirsi. Solo immaginando un rovesciamento della situazione l’uccellino si rende conto dei guai causati e trova una semplice ma funzionale soluzione. Amicizia e decoro sono salvi. Anche se in fondo in fondo, qualcuno finisce per rimetterci…

Pubblicato da Briza Editora, Piu Gaganita nasce come progetto di lettura accessibile intenzionato ad accogliere una ampia platea di bambini con e senza disabilità sensoriale, cognitiva e comunicativa. Insieme al testo tradizionale e alle illustrazioni sgargianti, entrambi curati dall’autrice Tania Bailao Lopes, le pagine del volume offrono una versione più semplice corredata da simboli PCS: accoppiata che risulta piacevole alla vista e funzionale. Ugualmente efficaci risultano, dal canto loro, la versione in Lingua dei Segni e quella audio, rese disponibili tramite QR code. Ad apparire invece più sacrificata è senz’altro la versione accessibile in caso di disabilità visiva: quest’ultima si compone infatti di una serie di pagine totalmente bianche su cui viene riportato il testo in Braille affiancate ad alcune illustrazioni in rilievo di difficile riconoscibilità. Resta interessante e apprezzabile, tuttavia, il tentativo qui perseguito strenuamente di costruire un libro che risulti davvero per tutti e che raccolga al suo interno quanti più modi possibile di raccontare la medesima storia.

Un ultimo dettaglio utile, la presenza di due legende: quella relativo all’alfabeto LGP e quello relativo all’alfabeto Braille, che costituiscono un semplice ma significativo strumento per avvicinare i lettori normodotati a codici a loro probabilmente sconosciuti.

Pikotek chce byc odkryty (Polonia)

Delizioso almeno quanto difficile da pronunciare, Pikotek chce byc odkryty è un gioiellino polacco pubblicato dalla casa editrice Widnokrag. Costruito in forma di leporello (ma disponibile, in alcune versioni successive anche in formato tradizionale), il libro ha per protagonista una buffa creatura rosso fuoco – Pikotek, per l’appunto (o perlomeno così presumiamo) – con musetto e coda da topino e orecchie che paiono ali. L’inconsueto animaletto si aggira nel mezzo del bosco con fare curioso e socievole, interpellando chiunque gli capiti a tiro: nell’ordine, due gufi, un cinghiale, un orso, una lontra, una volpe, due ricci, una lince, un tasso, uno sciame di api, un lupo e una coppia di uccellini. A ogni incontro una presentazione: di fronte a Pikotek ogni bestiola è infatti perplessa e non è facile, per lui, far capire che razza di animale sia. Fino a un ultimo inatteso incontro, diverso da tutti gli altri, che renderà del tutto superflua ogni descrizione!

Tenera e semplice, l’avventura di Pikotek traccia un sentiero narrativo a cui se ne affiancano e intrecciano tanti altri che vedono a loro volta protagonisti gli animali che Pikotek incontra sul suo cammino più qualche guest star. Quello di mamma coniglietta, per esempio, costantemente intenta a radunare la sua numerosissima prole; quello della talpa che pare parlare da sola ogni volta che sbuca dalla terra e che invece ha in mente un piano artistico ben preciso; quello dei ricci che sperimentano arditi sistemi di trasporto merci; o quella del picchio sempre in cerca di qualcosa da picchiettare. Ognuno di questi sentieri racchiude una piccola succulentissima storia, ricca di colpi di scena spassosi e di particolari sfiziosissimi da cercare. Così la lettura può moltiplicarsi ancora e ancora, dando vita a un dinamicissimo avanti e indietro tra le pagine per cogliere dettagli, recuperare passaggi, cogliere sfumature, ricostruire elementi di senso. E in questo senz’altro, il formato a leporello costituisce un bel vantaggio, soprattutto se si ha la possibilità di stenderlo in tutta la sua lunghezza (parliamo di qualche metro!) e goderne in posizione comoda e non strutturata.

Ciò che rende davvero speciale e irresistibile questo volume è, tuttavia, ancora altro e più precisamente è l’efficace maniera in cui esso mescola tratti propri del silent book, fondamenti dei libri in simboli e peculiarità del fumetto. Il volume procede infatti per sole immagini che divengono anche il contenuto di silenziosissimi ma eloquenti balloons. Ogni dialogo che vede protagonista Pikotek, così come tutti quelli che a ogni pagina gli si svolgono intorno, si sviluppa attraverso semplicissime icone che condensano conversazioni anche molto elaborate (che starà al lettore ricostruire e alimentare) e che rendono immediatamente intellegibile e chiaro ciò che sta accadendo nel bosco. Il libro sperimenta cioè una forma narrativa nuova, senz’altro ibrida, che sfrutta il potere comunicativo universale delle immagini e restituisce indirettamente tutto il valore di racconti  – come per esempio quelli in Comunicazione Aumentativa e Alternativa– che sfruttano codici più vicini al visivo che al verbale.

Grimms Marchen ohne worte (Germania)

Parola d’ordine: rimescolare le carte e rompere gli schemi. Questo, in soldoni, lo spirito di Grimms Marchen ohne worte, divertentissimo libro di origine tedesca. Dedicato alle fiabe popolari più note (letteralmente il titolo significa Le fiabe dei Grimm senza parole), il volume raccoglie 16 fiabe di ampia diffusione – da Cappuccetto Rosso a Biancaneve, dai Musicanti di Brema a Raperonzolo – raccontate in una maniera a dir poco originale.

Scandita da vignette riquadrate, dallo stile minimale e collegate tra loro da frecce che evidenziano il percorso di lettura, ogni fiaba sfrutta una tecnica narrativa ibrida che mescola racconto per immagini e racconto in simboli, rivestendo i pittogrammi di un ruolo comunicativo differente rispetto a quello che siamo abituati ad attribuirgli all’interno dei libri ispirati alla Comunicazione Aumentativa e Alternativa. In luogo di fungere da rafforzamento del testo alfabetico, i pittogrammi diventano qui il contenuto di efficacissimi balloons non verbali. Così, laddove presenti, le nuvolette tipiche dei fumetti vengono riempiti da icone singole o da combinazione di icone che danno vita a una vera e propria lingua per immagini ampiamente condivisibile, incisiva e dall’alta qualità sintetica.

La lettura, forte soprattutto di una pregressa conoscenza delle fiabe, acquisisce così gusto e sfizio poiché assume i contorni di una continua sfida a interpretare un codice nuovo: un codice che permea la nostra quotidianità (dalla segnaletica stradale agli emoji del cellulare), ma che esula dalle nostre consuetudini letterarie; un codice la cui immediatezza diventa la chiave per stimolare una forma di lettura nuova che superi barriere linguistiche e comunicative, malgrado il volume non nasca con questa precisa intenzione. Alla luce di questo, il libro apre riflessioni interessanti in merito alle possibilità narrative generate e generabili dall’incontro e dalla contaminazione tra codici e generi differenti.

Ma la sperimentazione e il sovvertimento delle regole sono cosa cara a Frank Flothmann anche da un punto di vista contenutistico. E così, oltre a stuzzicare il lettore con una lettura (o una rilettura) insolita di storie sedimentate, l’autore lo sorprende con irresistibili dettagli umoristici o gustosi cambi di trama. Così, per esempio, la matrigna di Hansel e Gretel esce di scena a causa di un accidentale colpo d’ascia del marito boscaiolo o il lupo di Cappuccetto rosso, graziato dal cacciatore, si ritrova a far da cameriere alla gaia tavolata di famiglia della bimba incappucciata.

L’unione di questi elementi fa sì che un libro come Grimms Marchen ohne worte si presti a una lettura stimolante da parte di pubblici anche molto diversi tra loro per età (adulti tutt’altro che esclusi!), abilità e abitudini comunicative. Il libro offre inoltre un terreno fertilissimo per avviare attività, didattiche e non, su codici, fiabe e narrazione che non prescindano da un certo divertimento.

 

F. Flöthmann, Grimms Märchen ohne Worte_2

F. Flöthmann, Grimms Märchen ohne Worte_3

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Dwa trzy cztery cyfry i numery (Polonia)

Widnokrag è il  nome di una casa editrice polacca che propone a catalogo un’interessante collana di volumi cartonati e privi di parole che ben si prestano a incentivare la verbalizzazione e il dialogo oltre che la familiarizzazione dei bambini, soprattutto con difficoltà di astrazione,  con concetti non immediati come i numeri.

A questi ultimi, in particolare, è dedicato il volume intitolato Dwa trzy cztery cyfry i numery, letteralmente  “Due tre quattro cifre e numeri”. Qui troviamo una sequenza di pagine illustrate contraddistinte da uno stile dinamico, da colori vivaci e da figure essenziali che fotografano situazioni variegate – dalla passeggiata per strada alla festa di compleanno, dal rifornimento di benzina alla visita dal dottore – all’interno di ciascuna delle quali vengono contestualizzati alcuni elementi numerici. Così, per esempio, ritroviamo le cifre in forma di numeri civici, targhe automobilistiche, cartelli stradali, prezzi, pulsanti d’ascensore, addobbi festivi, linee di autobus o strumenti medici, perfettamente inseriti dentro scene indipendenti le une dalle altre ma capaci di condensare e far immaginare microstorie.

Oltre a risultare particolarmente accessibile per l’assenza di parole e per la struttura a quadri sciolti che non implica una narrazione complessa, Dwa trzy cztery cyfry i numery appare interessante per l’ingegnosa scelta di trasformare, attraverso le immagini, dei concetti potenzialmente distanti e inafferrabili in elementi dotati di concretezza, in quanto calati in una precisa e nota quotidianità. In questo senso il volume di Joanna Bartosik riesce a unire con leggerezza e appeal grafico il piacere di lettura e invenzione a una possibilità di apprendimento particolarmente significativa anche per bambini e ragazzi a sviluppo atipico.

Como eu vou (Brasile)

È un libro molto semplice, Como eu vou, ma è nel suo piccolo un libro rivoluzionario. Progettato da un’équipe multidisciplinare facente capo all’Universidade Federal do Rio Grande do Sul (Brasile), il volume mette infatti in campo un tentativo di ampliamento di pubblico difficilmente reperibile altrove. Tra le sue pagine convivono in particolare codici diversi, capaci di rispondere ai bisogni di bambini con disabilità visiva, uditiva e comunicativa, oltre che bambini privi di difficoltà specifiche di lettura.

Così, nel proporre una carrellata di mezzi di trasporto, ciascuno particolarmente adatto a muoversi in un determinato ambiente, il libro unisce testo a grandi caratteri, illustrazioni tattili in compensato e simboli ARASAAC. Esso aggiunge inoltre, su separato supporto, la possibilità di fruire dell’audiodescrizione, del testo in Braille o di quello in LSP (lengua de señas portugues).

Libri come questo sono senz’altro complessi da realizzare (e per questo più unici che rari) per molteplici ragioni, non ultime quelle pratiche legate ai costi delle differenti competenze implicate e alla necessità di condensare in una sola pagina più testi e illustrazioni che rispondono a esigenze di lettura anche molto diverse tra loro. Ma proprio questa loro complessità invita a riflessioni non trascurabili poiché rende evidente da un lato quanto siamo ancora distanti dall’idea di un libro davvero “per tutti” e sottolinea dall’altro quanto l’apertura nei confronti della diversità, nelle sue molteplici forme, possa manifestarsi innanzitutto nella disponibilità a stare con essa, a condividere, cioè, uno spazio fisico e simbolico come può essere quello di una pagina.

Maggiori informazioni sul libro e sul progetto che gli ha dato vita si possono trovare sul sito: https://www.ufrgs.br/multi/.

Pile-poil! (Francia)

Benjamins media è un editore francese specializzato nella produzione di libri sonori (libro + CD) di cui fornisce sistematicamente anche la versione in Braille e a grandi caratteri. L’attenzione all’accessibilità, soprattutto ma non solo rispetto alla disabilità visiva, è dunque ben radicata nel suo ampio e variegato catalogo rispetto al quale Pile-poil! si pone come un’autentica novità, inaugurando non a caso una collana nuova di zecca intitolata Carrégaufré. Composta da libri a fisarmonica dal raffinato formato quadrato, questa prevede una storia priva di parole che procede per sole immagini in rilievo realizzate con la tecnica del gauffrage (grazie alla quale la carta viene come gonfiata delineando forme e figure specifiche) e accompagnate da una traccia sonora scaricabile che definisce il contesto, favorisce il riconoscimento degli elementi e aiuta la narrazione ad avanzare.

Nel caso di Pile-poil! – il cui titolo rimanda a un’espressione familiare francese che indica un’azione riuscita perfettamente o una cosa che casca proprio a fagiolo – il racconto per immagini vede protagonista un elegante signore che a bordo della sua vettura decapottabile si mette in moto e attraversa strade a curve, salta in barca per affrontare mari e onde, percorre infine a piedi sentieri cittadini e immersi nella natura dove raccoglie un tulipano con cui omaggerà la persona che lo attende alla fine del viaggio: un’adorabile parrucchiera! Il viaggio è così lungo e tortuoso che la barba dell’uomo cresce infatti a dismisura tra la prima e l’ultima pagina, offrendo un’ironica chiave di lettura per le peripezie che si svolgono nel mezzo.

Le illustrazioni, totalmente bianche, messe a punto da Gwen Keraval, sono raffinate e minuziose, al punto che un loro riconoscimento in caso di piccoli lettori ciechi può risultare complesso, anche se supportato da una guida adulta e dall’accompagnamento sonoro. Così composto, tuttavia, il libro invita a sperimentare una forma di lettura diversa in cui dita e orecchie sono protagoniste e in cui la narrazione si nutre di suoni più che di parole. L’assenza di testo e la compattezza narrativa offrono inoltre stimoli interessanti e occasioni di lettura accessibile per chi sperimenta difficoltà di decodifica del testo legate per esempio ai disturbi specifici dell’apprendimento.

Petit Penguin est dans la lune (Francia)

Routine e incombenze di ogni giorno portano via una sacco di tempo prezioso alla quotidianità più piacevole e affettuosa di una famiglia e così mamme e papà – umani o pinguini che siano – si trovano frequentemente a sollecitare i loro cuccioli affinché si sbrighino ad alzarsi, far colazione, lavarsi o correre a scuola, dando luogo a un carico emotivo che può essere difficile gestire per i piccoli. Così accade a Petit Pengouin che, strigliato e rincorso, si ritrova spesso in lacrime e finisce per pensare che i suoi genitori non gli vogliano più bene. Ma è davvero così? La rivelazione di mamma e papà porterà una nuova inattesa luce sui frequenti rimbrotti.

Contraddistinto da illustrazioni tenere in cui il piccolo lettore può facilmente immedesimarsi e da un racconto lineare e piacevolmente ricorsivo, Petit Pingouin est dans la lune racconta una storia di emozioni quotidiane attraverso il testo alfabetico e una sua particolare conversione in LSF (Langue des Signes Française), chiamata Français signé (francese segnato) in cui i segni si modulano sulla sintassi del francese scritto. Quella proposta dal volume non è dunque una vera e propria traduzione in Lingua dei Segni, rispettosa delle peculiarità sintattiche e compositive di quest’ultima, quanto piuttosto un adattamento che favorisce un primo avvicinamento (tanto per i bambini sordi quanto per i loro compagni) alla comunicazione propria di una parte della comunità non udente.

Se la conversione non è dunque (consapevolmente) rigorosa, la rappresentazione grafica dei segni è davvero molto precisa e capace di indicare in maniera piuttosto chiara i movimenti che occorre riprodurre, anche quando è prevista una sequenza complessa. L‘invito a cimentarsi con una narrazione gestuale  – per chi la conosce, così come per chi ne è totalmente digiuno – si fa così particolarmente irresistibile e accessibile. Il libro si presenta in definitiva come un supporto prezioso non tanto per consentire di godere direttamente della storia in LFS quanto per familiarizzare con quest’ultima modalità comunicativa, grazie anche alla chiara descrizione dei diversi segni che si trova in chiusura del volume.

Veo veo adivinanzas (Spagna)

24 indovinelli in rima e altrettante traduzioni in Lengua de Signos Española, sia in formato grafico sia in formato video: così si presenta  Veo veo. Adivinanzas, il volume proposto da Carambuco Ediciones all’interno della foltissima collana Cuentos LSE (che conta ad oggi quasi venti titoli, tutti con doppio testo in caratteri alfabetici e in lingua dei segni!). 24 indovinelli dedicati a elementi naturali, animali e oggetti capaci di far incontrare esperienza quotidiana (e quindi riconoscibilità da parte del lettore) e interpretazione poetica.

Dal sole al vento, dal faro al polpo, ogni soggetto è piacevolmente suggerito dalle illustrazioni di Mercè Galì che, con il loro tratto irresistibilmente ironico, rendono divertente provare ad anticipare la soluzione prima ancora di leggere il testo e goderne la cadenza. Essenziale ma tutt’altro che criptico, questo non mira tanto a mantenere il mistero sui protagonisti dei singoli indovinelli quanto piuttosto a fare dell’aspetto ludico insito nell’enigma un pretesto per far incontrare il lettore con una composizione curata e gradevole. Questa, dal canto suo, si presta nello stesso tempo ad essere ascoltata, letta e – perché no? – replicata, grazie alla puntuale indicazione dei segni della LSE che la riproducono.

Il volume si ispira infatti alla cosiddetta comunicazione bimodale, una forma di incontro simultaneo tra lingua orale e segni. Declinata qui in forma scritta, grazie a una trasposizione in forma grafica della lingua dei segni, tale comunicazione privilegia la struttura sintattica della lingua orale a cui accompagna rigorosamente i segni associati alle singole parole. Si tratta cioè una forma comunicativa che si presta bene soprattutto ad avvicinare alla conoscenza della lingua dei segni e a favorire, nei bambini sordi segnanti, la comprensione delle diverse parti del testo.  Per una più efficace e precisa narrazione in Lingua dei Segni, il lettore può affidarsi invece al DVD unito al volume che propone gli stessi indovinelli in formato video animato.

Teddy bear, teddy bear – collana Sign&Singalong (Gran Bretagna)

Teddy Bear, Teddy Bear è un cartonato maneggevole ed economico (reperibile online dall’Italia a meno di 5€, cosa piuttosto rara!) che fa parte di un’interessante collana pubblicata da Child’s Play e intitolata Sign&Singalong. Ciò che la contraddistingue è l’integrazione fluidissima tra lingua dei segni (in questo caso inglese – British Sign Language) e canzoni mimate, proprio quelle più conosciute e amate dai bambini piccolissimi. Lo scopo è duplice: da un lato stimolare la comunicazione gestuale nei bambini, come preziosa opportunità espressiva che precede o affianca la comparsa del linguaggio verbale, dall’altro favorire una familiarizzazione da parte soprattutto (ma non solo) dei bambini sordi con la lingua dei segni. Inserita all’interno di un contesto piacevole, intimo e giocoso come quello delle rime in movimento, questa non può infatti che risultare percepita, conosciuta e assimilata con maggiore disinvoltura.

Il libro riporta quindi il testo della nursery rhyme Teddy Bear, Teddy Bear, piuttosto nota in Gran Bretagna, accompagnandolo alla curate e piacevolissime illustrazioni di Annie Kubler. A misura di piccolissimo lettore, nel tratto e nel contenuto, queste presentano bambini diversissimi tra loro e intenti a compiere i semplici gesti che si associano alla canzone: toccarsi il naso o i piedi, girare su sé stessi, raggiungere il cielo o spegnere la luce per la notte. Là dove è possibile senza forzature (nel caso di cielo, luce e orsetto, per esempio), il gesto indicato coincide con quello corrispondente nella lingua dei segni e tale corrispondenza viene discretamente segnalata da una scritta in corsivo.

Il risultato è dunque un libro molto spendibile con bambini piccoli piccoli (asilo nido e scuola materna) e capace di introdurre la lingua dei segni con una naturalezza apprezzabilissima. Altrettanto meritevole è l’attenzione che Annie Kubler dedica alla questione dell’inclusione attraverso i dettagli delle sue illustrazioni. La presenza di un bimbo sordo, riconoscibile dalla protesi colorata che spunta dall’orecchio, in mezzo a tutti gli altri e senza alcuna sottolineatura di sorta, è infatti una dichiarazione di intenti tanto semplice quanto potente.

 

Farm (Gran Bretagna)

Compatto e maneggevole, Farm è il terzo titolo di una serie di libri tattili inglesi piuttosto diffusi. Come i due volumi precedenti – Shapes e Counting – anche questo propone su ogni pagina il testo a grande carattere accompagnato dalla trascrizione in Braille e da illustrazioni ben contrastate dai contorni in rilievo.

Il testo di Farm è semplice e piacevole, non solo per la struttura rimata che lo contraddistingue  ma anche per il richiamo dei versi degli animali che lo rende particolarmente adatto a una lettura ad alta voce. La trascrizione in Braille è inoltre molto netta sia al tatto sia alla vista il che agevola la lettura da parte dei bambini non vedenti e attrae l’attenzione dei bambini vedenti.

Ciò che caratterizza, però, e rende particolarmente interessante questo volume, anche rispetto ai precedenti titoli della collana, è la scelta di utilizzare come immagini di base le fotografie dei pezzi di Lego Duplo che riproducono gli animali di cui il libro parla. La filastrocca su cui esso si basa vede infatti protagonisti, uno per pagina, i più comuni abitanti della fattoria: tutti personaggi che, facilmente, il lettore può avere a disposizione in casa in forma di giocattolo. La forma scelta per rappresentare maiali, mucche, trattori e anatre nello stagno risulta quindi più familiare al bambino anche con disabilità visiva, che può riconoscere gli animali non solo a partire dal solo contorno ma anche e soprattutto con una manipolazione a 360° del corrispettivo pezzo di Duplo di cui eventualmente dispone. Quest’ultimo, dunque, può agevolare l’esplorazione e la decodifica  senza tuttavia dover essere necessariamente attaccato alla pagina: soluzione, questa,  interessante, nell’ottica di integrare lettura e gioco e di garantire l’accessibilità, anche economica, dei libri tattili.

La creazione di immagini percepibili al tatto grazie ai contorni in rilievo invece che al collage di materiali consente infatti alla casa editrice di mantenere i costi decisamente più bassi e di beneficiare di un sistema di distribuzione più consueto rispetto agli standard dell’editoria tattile. Non a caso il libro risulta reperibile  nel paese di pubblicazione anche nelle più comuni librerie (o addirittura nelle edicole), mentre dall’Italia può essere facilmente ordinato online.

Boucle d’or – collana Raconte à ta façon (Francia)

La collezione Raconte à ta façon è, già nel titolo, un piccolo manifesto di lettura che condensa bene la filosofia dei silent book. Raccontare la storia alla propria maniera, a piacimento insomma, è infatti una delle caratteristiche che rendono i libri senza parole così intriganti e così accessibili poiché ciascuno può trovarvi la sua personalissima strada per dare forma al racconto. Ma la collezione di Flammarion va forse anche un poco oltre perché i silent book di cui si compone, tutti dedicati a fiabe tradizionali, asciugano a tal punto la storia di base, grazie a una rappresentazione simbolica  ed essenziale di personaggi, oggetti e ambienti, che restituiscono davvero al lettore la massima libertà narrativa.

Nel caso di Boucle d’or, per esempio, Riccioli d’oro diventa un triangolo dorato, i tre orsi tre cerchi marroni di dimensione crescente e tutti gli elementi chiave della storia – dalla foresta alla casa, dalla tavola al letto – trovano rappresentazione in forme stilizzatissime. Questo fa sì che anche una fiaba arcinota come Riccioli d’oro (o come Cappuccetto Rosso, I tre porcellini e Il gatto con gli stivali per citare alcuni altri titoli della collana) possa ritrovare una veste nuova e un’interpretazione originale capace di gettare nuovi semi e nuovi stimoli nell’immaginario del lettore. Inoltre, l’accessibilità dettata dall’assenza di parole si rafforza qui in virtù di una rappresentazione minimal e del tutto priva di fronzoli che aiuta il lettore a non perdersi: caratteristica, questa, che predisporrebbe infine il volume anche a un’agevole trasposizione tattile così come dimostrato in passato dal magistrale lavoro di Les Doigts Qui Rêvent sul Cappuccetto Rosso di Warja Lavater.

Graines de montagne (Francia)

In un paese piatto e interamente ricoperto di sassi, vivono due tribù: quella degli uomini piccoli piccolissimi e quella degli uomini grandi grandissimi. La convivenza tra le due non è proprio felice: i grandi approfittano infatti della loro superiorità fisica per appropriarsi delle risorse migliori e lasciare ai piccoli solo gli scarti. Ma i piccoli non ci stanno e iniziano a inventare soluzioni via via più ardite per ribaltare il rapporto di forza che li lega ai grandi. L’idea che risulta vincente pare essere, dopo alcuni tentativi, quella di piantare dei semi di sasso e farli crescere fino a potervi salire su ed ergersi così al di sopra dei grandi. Ma questo dà vita a un’escalation nella coltivazione delle pietre che porterà le due tribù a confrontarsi per trovare infine una soluzione condivisa.

La peculiarità di questo albo illustrato dal racconto lineare e dalle illustrazioni originali sta nella maniera in cui il testo viene stampato: una semplice alternanza di colori evidenzia infatti la  sillabazione delle diverse parole mentre un sistema di sottolineature e archi indica, rispettivamente, lettere mute e liaison. Si tratta di un accorgimento tipografico che rende più semplice la distinzione tra i diversi caratteri e il riconoscimento del loro ruolo dal punto di vista orale, agevolando la lettura silenziosa o ad alta voce da parte di lettori alle prime armi o con difficoltà legate alla dislessia

L’uovo azzurro

Ohibò, un uovo azzurro a Boscoscuro è un’autentica novità. Di chi può essere? Cosa ne uscirà? Sarà pericoloso? Questi e altri interrogativi impellenti si diffondono tra alberi e tane, dopo che LeprotTina e ZamPaolo incappano per caso nell’insolito uovo e lo portano alla conoscenza della comunità del bosco. A nulla servono i consigli della saggia TalpAnna: a Boscoscuro si crea un gran scompiglio mentre confusione e timore spianano la strada a pregiudizi e ostilità nei confronti del diverso. E così, la generosa disponibilità di Zampacorta, che si offre di covare l’insolito uovo, viene accolta dagli altri abitanti con disprezzo e ostilità, costringendo il tosto coniglietto a mettere in campo affetto incondizionato e determinazione per portare a termine il suo impegno. Ed eppure, alla fine, sarà la sua tenacia gentile ad averla vinta e a dare tutto Boscoscuro una preziosa lezione di accoglienza.

L’intenzione di lanciare un messaggio forte al lettore in favore dell’apertura e del rispetto della diversità – sia essa fisica, legata alla provenienza o di qualunque altro tipo – traspare in maniera piuttosto esplicita all’interno del testo che in certi punti risulta, per questa ragione, un po’ appesantito. Per il resto il racconto si popola di numerosi personaggi del bosco che incarnano qualità positive o negative del tutto ravvicinabili a quelle umane. L’uovo azzurro si presenta infine con caratteristiche di stampa ad alta leggibilità quali il font Easyreading, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe (ma non tra paragrafi) e la sbandieratura a destra, intendendo così rivolgersi a un pubblico che non escluda i giovani lettori con dislessia.

Il pupazzo di neve

È uno dei silent book più conosciuti e longevi, Il pupazzo di neve: un libro firmato da Raymond Briggs che ha attraversato più di quattro decenni e che viene ora riproposto in una bella e ampia versione da Rizzoli.

Protagonisti sono un bambino e il pupazzo di neve da lui costruito con cura e attenzione. Opportunamente dotato di occhi e bottoni di carbone, naso di mandarino, nonché di sciarpa e cappello autentici, il pupazzo fa bella mostra di sé nel bel mezzo del cortile. Il bambino ci gioca tutto il giorno ma quando scende la sera non può che osservarlo nostalgico da dietro la finestra di casa e continuare a pensarci anche sotto le coperte. Quando però il desiderio di riaverlo accanto e condividervi momenti gioiosi si fa troppo forte il bambino sgattaiola di soppiatto fuori dall’uscio e porta il pupazzo dentro casa.  Nel silenzio e nel segreto della notte, i due si divertono a giocare con gli interruttori, la colla e la carta, a correre sullo skateboard, a imbandire una tavola di delizie e fingere di guidare un’auto: tutte cose sconosciute per il buffo omino di neve e che in questa nuova e proibita scoperta acquistano interesse anche per il bambino. Tra un gioco e l’altro, bambino e pupazzo non mancano di rinfrescarsi davanti al frigo o al freezer, con gesti che richiamano in un ludico rovesciamento la convivialità e l’intimità tipica del focolare. Ma il rovesciamento prosegue poi nei ruoli: da guida e padrone di casa, il bambino diventa passeggero e compagno, in un viaggio condotto dal pupazzo  sopra la città e la campagna imbiancate. Il loro è dunque uno scambio di segreti, conoscenze e gesti affettuosi e che si protrae fino al sorgere del sole, quando il bambino deve rientrare nel suo letto prima che la famiglia e la città si svegliano. Gli resta qualche ora di sonno prima di alzarsi e correre di nuovo dal suo amico, di cui non resta però che qualche traccia, proprio come accade per i sogni.

Delicatissimo nei temi toccati come nel tratto, che il pastello rende un po’ indefinito e come tale perfetto per un racconto sospeso tra dimensione reale e dimensione onirica, Il pupazzo di neve procede per sole immagini racchiuse all’interno di vignette, in una sorta di fumetto privo di parole e di baloons. Così composto, il libro riesce a fotografare in maniera dettagliata singoli passaggi narrativi, rendendo chiarissimo al lettore, nonostante l’assenza totale di testo,  come si sviluppi la storia. In questo senso, Il pupazzo di neve si presta bene a una lettura – individuale o condivisa con l’adulto (meno, probabilmente, in gruppo) – che risulti fruibile anche da parte di bambini che fatichino un po’ di più a compiere inferenze e dedurre da sé ciò che testo e immagini non rivelano esplicitamente.

Buon compleanno!

Storysign è un’app straordinaria lanciata nel 2018 da Huawei e sviluppata in collaborazione con numerosi partner tra cui l’Unione Europea dei Sordi e la British Deaf Association. L’applicazione, scaricabile gratuitamente e disponibile sia per Android sia per iOS, consente di arricchire alcuni libri cartacei di una simultanea traduzione in Lingua dei Segni condotta da un avatar di nome Star. Avviando l’applicazione sullo smartphone e inquadrandovi la pagina di uno dei libri a catalogo, si avvia infatti un video in cui Star interpreta il testo in Lingua dei Segni.

Ciò che rende davvero nuova questa proposta è il fatto che il video si attiva solo nel momento in cui lo smartphone inquadra la pagina corrispondente. Esso inoltre non solo restituisce la traduzione in Lingua dei Segni ma ne sottolinea anche la puntuale correlazione con il testo originale grazie a un efficace sistema di evidenziazione cromatica. Quella che si innesca così tra libro cartaceo e tecnologia digitale è una necessaria e funzionale sinergia che, valorizzando e intersecando le specificità di ciascun mezzo, migliora concretamente le possibilità di lettura dei bambini con disabilità (uditiva in questo caso).

Tra i primi titoli resi disponibili in LIS dall’app Storysign c’è Buon compleanno!, ispirato a una delle storie originali di Beatrix Potter. Protagonista è il più noto dei personaggi creati dall’autrice britannica: Peter Coniglio. Indispettito dal fatto che nessuno sembra prestargli attenzione proprio nel giorno del suo compleanno, questi non ha alcuna voglia di festeggiare. Le sue sorelline – Mopsy, Flopsy e Cottontail – declinano l’invito a giocare con lui, dichiarandosi molto molto indaffarate. Il cugino Benjamin, intento a trafficare con un arnese e un pezzo di legno, salta via prima ancora che Peter possa rivolgergli la parola. E la mamma, solitamente molto disponibile, è tutta presa in cucina tra utensili e fornelli. A Peter pare proprio che quello possa essere il peggior compleanno della sua vita ma, attirato in giardino da voci e rumori imprevisti, sarà travolto da un’inattesa sorpresa che vede coinvolti tutti i suoi cari.

Niente da fare

Giubilo, gaudio e gioia smisurata: è tornato! Con il suo taglio a scodella e la sua maglietta a righe, è tornato sulla scena proprio lui: l’inconfondibile personaggio che nel 2013 ha inaugurato la brillante produzione di Minibombo. Perseverante e curioso, proprio come lo abbiamo conosciuto ne Il libro bianco, il protagonista di Niente da fare non ha mantenuto invariati solo il look e l’attitudine: anche il suo rapporto con gli animali sembrerebbe rimasto piuttosto critico.

A ogni pagina del nuovo silent book firmato da Silvia Borando, infatti, il bambino incappa in un oggetto – un sasso, un albero, un fiore e così via… – con il quale prova ad interagire – arrampicandovisi, appendendocisi, arraffandolo… – ma che presto si rivela essere qualcosa di inatteso – il guscio di una tartaruga, le corna di un alce, la coda di un coniglio… – e tutt’altro che felice di venire importunato. Ogni incontro è dunque prima motivo di gioia e curiosità, poi occasione di divertimento e soddisfazione e infine ragione di sconforto o stupore: sentimenti variegati (e qui si potrebbe aprire una lunga parentesi su come una storia ben fatta tracci piste sulle emozioni più di qualunque libro a tema!) ed efficacemente espressi dall’autrice con minime variazioni della linea della bocca. La ricerca di un passatempo pare dunque disperata: per l’appunto non c’è niente fare, ossia non ci sono apparentemente svaghi con cui tenersi impegnanto ma neppure speranze di successo per l’intrepido esploratore. Mai dire mai, però. Quando delle porte si chiudono – si dice – si apre un portone: un portone tutto nero, magari, sotto cui si può nascondere una sorpresa deliziosa!

Forte di un meccanismo iterato e di un ritmo in tre tempi (incontro – approccio – sorpresa) collaudatissimi, Niente da fare offre una ghiotta successione di imprevisti di fronte ai quali è impossibile resistere alla tentazione di fare ipotesi e soprattutto di sorridere. Fino alla quarta di copertina compresa (vietato pensare di fermarsi prima!), niente è come sembra e questa piccola certezza accompagna il lettore tra le pagine, guidandone e motivandone la lettura. Perfettamente calato in un’ottica bambina, nella quale la noia scatena l’immaginazione e il contesto chiede silenziosamente (ma in maniera molto distinta!) di essere colto, scalato, sperimentato e fatto proprio senza indugi, Niente da fare appare estremamente in sintonia con il piccolo lettore anche per nella forma.

Senza timore degli spazi vuoti, Silvia Borando costruisce, infatti, un racconto per immagini in bianco e nero, in cui le figure sono semplici contorni privi di sfumature e in cui il colore è riservato ai soli oggetti incontrati dal protagonista, messi così in evidenza. Le illustrazioni sono quindi nette ed essenziali, i sentimenti del bambino sono evidenti e riconoscibili e i passaggi narrativi sono chiari e univoci. E questo è un valore aggiunto interessante per un libro che già di per sé è una chicca, poiché lo rende particolarmente fruibile anche in caso di difficoltà a compiere delle inferenze o mantenere desti interesse e attenzione. L’assenza di parole, a sua volta, può giocare a favore anche dei lettori più difficili da raggiungere, poiché svincola il godimento dalla capacità di decodificare il testo e poiché avalla un approccio al libro più personale, sia in autonomia sia con la mediazione dall’adulto.

Insomma, non c’è Niente da fare, amerete questo libro tanto quanto Il libro bianco!

Il viaggio di Bobo e Campi

Nel panorama dei libri per bambini con traduzione in LIS, Stella, edito dalla Mason Perkins Deafness Fund nel 2015, è tuttora uno dei lavori più curati e apprezzabili. Per questo abbiamo a lungo sperato che un nuovo titolo con caratteristiche analoghe venisse pubblicato e siamo ora felici che questo sia accaduto.

Il 2019 ha visto, infatti, la pubblicazione de Il viaggio di Bobo e Campi, una rielaborazione della favola di Esopo Il topo di campagna e il topo di città, studiata in modo da risultare più familiare e accessibile anche da parte di bambini sordi segnanti. Al raggiungimento di questo scopo concorre in particolare il lavoro svolto dalla squadra di autori, traduttori e  linguisti della Fondazione su un duplice fronte: da un lato quello dell’introduzione all’interno della favola di piccoli dettagli che richiamino da vicino la cultura e l’esperienza della sordità (così, per esempio, gli stessi topini protagonisti sono sordi e comunicano, come esplicitato sia nel testo sia nelle immagini, proprio utilizzando i segni); dall’altro quello dell’affiancamento al testo alfabetico a stampa del testo in LIS su supporto video.

All’albo in formato tradizionale in cui la fiaba si svela attraverso le parole di Stefania Berti e le illustrazioni di Elanor Burgyan, si affianca infatti il racconto in LIS interpretato da Valeria Giura (purtroppo privo di sottotitoli o di audio che ne avrebbero consentito un più agevole uso condiviso, anche senza avere il libro sottomano) con le illustrazioni dell’albo che scorrono sullo sfondo. Tale racconto, visionabile su smartphone attraverso la scansione di un QR code posto in seconda di copertina, è caricato in particolare sulla piattaforma bilingue educativa  tellyourstories che mira a moltiplicare le possibilità di fruizione in LIS di opere letterarie da parte di bambini e ragazzi sordi.

Come già accaduto con Stella, il libro è frutto di una doppia traduzione che lo rende estremamente interessante e particolare. La fiaba di Esopo è stata infatti dapprima adattata e tradotta in LIS per poi essere ritradotta in italiano per la versione a stampa. È dunque quest’ultima a doversi in qualche modo prestare a rendere sfumature di significato ed espressioni particolari che sono caratteristiche della LIS, e non viceversa, in un ribaltamento della consuetudine che invita a un ribaltamento delle prospettive e dei rapporti tra le lingue.

Il viaggio di Bobo e Campi è acquistabile con una donazione minima di 18 alla Mason Perkins Deafness Fund.

collana Baby signs

Baby Signs è il nome di un programma, nato in America e ora coltivato anche in Italia, che si basa sull’utilizzo di segni per agevolare la comunicazione con e da parte di bambini che non padroneggiano ancora il linguaggio. L’idea che vi sta alla base è semplice ma significativa: la comunicazione può avvenire in molti modi e soprattutto può avvenire anche in assenza di parole, condizione questa che accomuna i bambini molto piccoli e le persone con disabilità comunicativa. Non a caso la stessa CAA muove da un principio analogo.

Il programma Baby Signs, in particolare, guarda alle esigenze dei bambini di pochi mesi e fa leva sulla loro predisposizione a esprimersi attraverso modalità gestuali prima e più che attraverso modalità verbali. Per questa ragione individua 175 segni legati alla loro quotidianità che, una volta acquisiti, consentono una comunicazione bambino-adulto molto più efficace (e quindi meno frustrante) e di conseguenza una possibilità relazionale più serena.

Un aspetto particolarmente interessante del programma è il fatto che buona parte dei segni che impiega è mutuata dalla Lingua dei Segni Italiana, il che non solo sottolinea l’importanza di attivare precocemente delle possibilità comunicativa anche per bambini con disabilità ma mette anche e soprattutto in evidenza  la ricchezza ad ampio raggio insita in soluzioni – come la LIS per l’appunto – che proprio per rispondere a una disabilità nascono. Anche attraverso esperienze come questa si evidenzia, cioè, in maniera molto concreta che la comunicazione non ha una forma unica e insostituibile per nessuno di noi, e che proprio dall’incontro con la disabilità, che erroneamente siamo abituati ad associare alla sola idea di mancanza, possono emergere possibilità di grande profitto per chiunque.

Nel definire i 175 segni che compongono il programma, i curatori hanno dato fondo a un lavoro rigoroso e approfondito di adattamento della base americana. Per rispondere davvero alle esigenze comunicative quotidiane dei bambini italiani sono state, innanzitutto selezionate parole ad hoc (come pasta, asilo, bello…) ed eliminate parole poco pertinenti per il pubblico di riferimento (come marines, tacchino…). In secondo luogo si è sostituito l’ASL (American Sign Language) con la LIS, prediligendo all’interno di quest’ultima le varianti più semplici e agevoli da realizzare anche per un bambino. Infine, proprio perché lo scopo è favorire l’espressione di esigenze, pensieri e sentimenti nella maniera più naturale passibile, ad alcuni dei segni individuati è stata affiancata una versione definita baby friendly perché di più immediato e comune uso da parte dei piccoli (come per esempio il soffio per indicare il caldo).

I segni contemplati dal programma indicano in particolare oggetti di uso comune per un bambino di pochi mesi (palla, pane, papera, scarpe…), persone di riferimento particolarmente vicine (mamma, papà, nonni, amico..), azioni inerenti alle attività quotidiane più elementari (giocare, dormire, piangere…), aggettivi utili (bello, pericoloso, spaventato…) o formule per relazionarsi (ciao, scusa, grazie…). L’esposizione del bambino a tali segni dipende chiaramente dall’uso che gli adulti intorno a lui ne possono fare. Non a caso oltre a rivolgersi ai genitori, il programma viene spesso adottato anche da educatori degli asili nido e delle scuole dell’infanzia.

Per favorire la conoscenza e l’appropriazione di tali segni, Baby Signs Italia ha messo a punto un cofanetto composto da 4 libretti cartonati che adulti e bambini possono condividere per un momento di gioco e lettura piacevole oltre che utile.

Tre di essi – Preferiti , L’ora della pappa e L’ora della nanna – si presentano come raccolte di segni base composte da una ventina di pagine ciascuna. Ogni doppia pagina propone  una parola (mamma, per esempio), affiancata da una fotografia che la illustra (una mamma con la sua bimba in braccio). A fianco si ritrova invece la rappresentazione grafica del segno corrispondente, la descrizione del movimento che occorre fare per realizzarlo e la fotografia di un bimbo intento a riprodurlo.  Il fatto che i libri privilegino immagini fotografiche è aspetto tutt’altro che irrilevante: nonostante la produzione editoriale italiana risulti ancora molto scarsa su questo fronte, i libri fotografici vantano un appeal e una fruibilità straordinaria per i bambini piccolissimi e come tali danno vita a supporti realmente a loro misura e appetibili. Questa scelta va dunque in un’ottima direzione nell’intenzione di catturare l’attenzione del pubblico di riferimento, oltre che di rendere i segni trattati davvero chiari. Non da ultimo, la centralità, all’interno della pagina, di figure infantili intente a segnare concorre in maniera incisiva ad attivare un rispecchiamento da parte del piccolo lettore e a stimolare la replica del movimento.

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Gli altri tre volumi – Gli animali, Al parco e Vestiamoci – sono anch’essi cartonati ma di dimensione più piccina (particolarmente adatta a essere portata in viaggio!). Qui, nella pagina di sinistra, il segno relativo a ogni oggetto viene proposto soltanto in formato grafico in associazione alla parola corrispondente (cane, per esempio) mentre in quella di destra si trova una breve frase (Edo abbraccia il suo cane) che mette al centro l’oggetto in questione e un bambino che con lui interagisce. Il tratto delle illustrazioni è piacevole, rassicurante e privo di dettagli superflui il che lo rende molto spendibile e godibile anche da bambini molto piccoli, come quelli in effetti coinvolti dal programma.

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Ai sei volumi cartacei si affiancano eventualmente un DVD che presenta un video-dizionario dei segni e un cartone animato che aiuta a familiarizzare con sei primi segni. A disposizione degli adulti, inoltre, vengono messi una guida rapida riassuntiva e un piccolo manuale. Tutti i materiali sono acquistabili sul sito https://www.babysignsitalia.com/ dove è possibile trovare inoltre  informazioni interessanti sul programma, sugli studi su cui poggia e sui benefici che ne possono derivare.

Costruttori di stelle

Gli sviluppi della tecnologia ci hanno abituati a pensare che praticamente qualunque cosa si possa costruire. E se questo valesse anche per cose lontanissime e affascinanti come le stelle? Soojin Kwak si è probabilmente posta quest’interrogativo e dalla sua suggestione curiosa è nato un silent book in cui ordinario e straordinario si incontrano, illuminando un mondo che parrebbe altrimenti dominato dal grigiore.

Con un’ambientazione e un filo conduttore che richiamano lo splendido cortometraggio Pixar intitolato La luna (2011), Costruttori di stelle interpreta in maniera suggestiva lo stupefacente e misterioso fenomeno delle stelle che brillano. Mescolando con originalità dimensione fantastica e spirito scientifico, l’albo della giovane artista coreana costruisce un intero mondo intorno a un mestiere immaginario, quello per l’appunto dei costruttori di stelle, e delinea un percorso narrativo che si fa pregustare fin dalle prime pagine per poi svelarsi in tutto il suo splendore solo in chiusura.

Vincitore del Silent Book Contest 2019, Costruttori di stelle procede per sole immagini, che appaiono ampie (l’intero albo ha un formato quadrato importante), chiare e prive di dettagli superflui che possono distrarre dal cuore dell’invenzione narrativa, ossia i diversi passaggi che portano alla messa in funzione delle stelle. La narrazione procede così in maniera molto fluida e lineare, offrendo al lettore gli spunti e gli indizi necessari per seguire la catena di montaggio stellare, e con essa il racconto. Ideale per solleticare palati esigenti di lettori che mal sopportano il testo scritto ma che al contempo non trovano ostacoli nel riunire tasselli e compiere inferenze, Costruttori di stelle invita a leggere con sguardo nuovo anche fenomeni, lavori e strumenti apparentemente privi di scintille creative.

Dentro fuori

Ci avevano stupito e conquistato con Prima dopo, Anne-Margot Ramstein e Matthias Aregui che ora tornano per un gradito bis con un nuovo albo senza parole intitolato Dentro fuori. Costruito in maniera analoga al volume precedente sul dialogo tra due categorie contrapposte – in questo caso di tipo spaziale – il libro si sviluppa su doppie pagine, mostrando la medesima situazione dall’interno e dall’esterno. Quello che si crea è dunque un confronto tra due punti di vista che non è mai piatto e asettico ma anzi lascia spazio a sorprese sempre gustose, a colpi di scena inattesi, a echi lontani e a risvolti emotivi.

Così, per esempio, quella che da fuori parrebbe una grotta desolata, da dentro rivela uno spettacolo prezioso fatto di gemme; quello che da dentro sembrerebbe un anonimo naufragio, da fuori omaggia silenziosamente Pinocchio; o quello che da dentro appare come una semplice fuga dalla finestra, da fuori si arricchisce di intriganti particolari narrativi. Perché proprio in questo sta la bravura dei due autori francesi: nel fare leva su quello scarto tra interno ed esterno per costruire dei micro-racconti e suggerire la molteplicità di punti di vista da cui è possibile guardare la medesima situazione.

Il volume è ricco di richiami e rimandi anche interni che rendono la lettura e la rilettura particolarmente affascinanti ma si sviluppa perlopiù per quadri minimi che facilitano la fruizione anche laddove ci siano difficoltà a seguire e costruire fili narrativi piuttosto lunghi. L’assenza di parole consente dal canto suo di rendere il volume particolarmente accogliente nei confronti di lettori che decodificano con fatica il testo ma non manifestano difficoltà cognitive. Rispetto a chi invece sperimenta maggiori difficoltà, il volume può risultare più ostico ma può comunque offrire spunti efficaci per appropriarsi in maniera stimolante e tutt’altro che scolastica dei concetti spaziali su cui il libro si regge.

Matilde (Kalandraka)

Imbattersi nel nome di Matilde, gironzolando tra pagine per l’infanzia, fa sempre drizzare orecchie: da Rolad Dahl in avanti – nomen omen – dove c’è qualche Matilde è facile che si trovi un’avventura straordinaria o un personaggio che sa il fatto suo. Non fa eccezione la protagonista di un silent book piccolo piccolo ma colmo di immaginazione, nato di recente in casa Kalandraka.

La Matilde che lo abita è una bambina che a star ferma e buona ci pensa poco. I due codini che porta sulla testa sembrano ali e così, a guardarla di sfuggita, ci pare quasi una fatina: una fatina determinata e furba, creativa e coraggiosa, che tanto desidera uno dei pennelli del pittore, osservato in silenzio dal davanzale della finestra. Trovato il modo di arraffare il pennello, Matilde si lancia impaziente verso un muro tutto bianco per dipingervi un bel drago, con tanto di ali e squame. Il drago presto prende vita e inizia a passeggiare per la città, ma qualcosa non va come previsto e il drago, dapprima mansueto e tranquillo, inizia a scatenarsi rosicchiando tutto ciò che gli capita a tiro. Non è facile per Matilde tenere il passo e tenere a bada la sua creatura, nemmeno quando, con il suo pennello magico, disegna un guinzaglio da mettergli al collo. Provvidenziale sarà l’intervento dello stesso pittore, grazie al cui trucco da maestro il drago rosso fuoco potrà trovare una nuova casa e il pennello prodigioso potrà forse stupire un nuovo bambino.

Sulla scia di capolavori quali Harold e la matita viola di Crockett Johnson o i più recenti Viaggio, Scoperta e Ritorno di Aaron Becker, Matilde riprende la prolifica idea secondo cui un semplice strumento da disegno, messo nelle mani giuste, possa dare vita ad autentiche magie. Si rinnova così il grido a gran voce (ma in questo caso senza alcuna parola!) che l’immaginazione coltivata e ben condotta sia potentissimo strumento di riscatto, soprattutto in un mondo dominato dal grigiore. Molto efficace, in questo senso, l’uso che l’autrice fa del colore: il suo gioco sui toni del bianco, del nero, del grigio e del rosso, sottolinea infatti in maniera incisiva l’interazione tra dimensione reale e dimensione fantastica che anima il volume.

Popolato di creature bizzarre e affascinanti e contraddistinto da dettagli significativi sparsi qua e là, il mondo dipinto da Sozapato chiede interpretazioni non sempre immediate e tiene costantemente vigile l’attenzione del lettore, offrendogli un’opportunità narrativa intrigante e suggestiva che non si esaurisce in un tempo fugace.

La guerra può aspettare

Non c’è mestiere più noioso del soldato in tempo di pace. Hai voglia ad ammazzare il tempo con maratone di tennis in tv, corsi di ricamo e merende sontuose: la noia è dura, durissima da scacciare. Lo sa bene l’esercito del paese di Quaggiù, messo a dura prova da mesi e mesi senza nemmeno un assalto, o che so, una cannonata. Così quando l’agguerrito generale ordina di pulire a modino carri armati e fucili, l’entusiasmo tra le truppe dilaga senza posa. Ma il generale, deciso a dichiarare guerra all’esercito di Laggiù, non ha fatto i conti con la flemmatica saggezza del suo corrispettivo nemico. Pasticcini e gare di tiro a segno, evidentemente prioritarie, gli rendono del tutto impossibile accettare i tempi previsti per la battaglia, che viene dunque rimandata più volte. E anche quando la pazienza a Quaggiù comincia a scarseggiare e l’attacco viene sferrato, con o senza il consenso del nemico, questi riesce a sorprendere i soldati avversari con un’inattesa e sorridente trovata.

Ironicissima e affilata critica all’insensato spirito bellico, La guerra può aspettare mette in luce il potere dell’immaginazione contro ogni perdita di umanità e ridimensiona le imprese guerresche, commisurandone il valore su une scala fatta di bignè, giochi e carnevalate. Scritto e illustrato con surreale leggerezza da Josè Sanabria e Alejandra Viacava, il libro è reso ancor più godibile dalla stampa in maiuscolo e con caratteristiche di alta leggibilità che ne agevolano la lettura anche da parte di bambini alle prime armi con la parola scritta o con maggiori difficoltà di decodifica. Perché il diritto alla lettura, come quello alla pace, sia patrimonio davvero democratico.

Ma una bella notte

Di fronte allo straordinario albo Ma una bella notte non c’è tempo da perdere: il racconto, pur privo di parole, incalza e comincia a svelarsi fin dai risguardi. Qui incontriamo la protagonista della storia che con aria mesta saluta alcune coetanee dal sedile posteriore di un’auto in partenza. L’auto è stracolma, con persino una poltrona legata in cima, ed è seguita da un camion che lascia poco spazio agli interrogativi. Di mezzo ci deve essere un trasloco: ipotesi confermata prima ancora di arrivare alla pagina del titolo, dove ritroviamo la ragazza circondata da scatoloni, in quella che si presume essere la sua nuova casa. Da qui si parte: scuola nuova, insegnanti nuovi, compagni nuovi. Le misure sono tutte da prendere e le amicizie tutte da costruire: cosa tutt’altro che facile nonostante la buona volontà. Così, dopo qualche vano tentativo di approccio e un nostalgico accumularsi di sconforto, la ragazza inizia a rimuginare davanti all’affascinante paesaggio notturno che si staglia fuori dalla sua finestra. Quell’isola misteriosamente illuminata che dall’altro lato della baia scintilla, attira la sua attenzione e la spinge a compiere un viaggio avventuroso e sorprendente. L’isola – scoprirà infatti – è popolata da conigli luminosi, che si fanno avvicinare e coccolare, lenendo un poco la tristezza della solitudine. Uno di essi, portato a casa e poi a scuola, diventa più che un amico: grazie a lui molti compagni sdegnosi iniziano ad avvicinare la ragazza, interessandosi a lei e al suo insolito animale. Ma proprio perché di un amico si tratta, viene il momento di restituirgli la libertà: un cambiamento, questo, che nonostante la prima impressione, regalerà alla protagonista l’opportunità di scovare tra tante attenzioni superficiali un sorriso autentico e duraturo.

Menzione speciale al Bologna Ragazzi Award 2017, Ma una bella notte è un libro potente, che anche grazie allo stile particolarmente espressivo dell’autrice, si presta bene a coinvolgere (e finanche travolgere!) bambini, ragazzini e ragazzi di età anche molto diverse. Il senso di solitudine, la nostalgia degli affetti lasciati, il desiderio di poter contare su un amico vero sono infatti sentimenti trasversali che facilmente toccano quando si è piccoli così come quando si cresce. La totale assenza di parole, d’altro canto, rende il volume fruibile per un pubblico variegato e ampio anche rispetto alle diverse esigenze di lettura. La necessità di elaborare inferenze non banali richiesta dal volume non lo rende particolarmente adatto a lettori che presentino difficoltà cognitive o scarsa abitudine alla decodifica delle immagini. Grande soddisfazione può attendere invece coloro che, pur con difficoltà di decifrazione alfabetica, si muovano con agio nel mondo dei racconti per immagini, anche complessi, e che abbiano voglia di immergersi fino ai capelli in una storia densa e capace di risuonare a lungo.

Tortartè. Ma la torta di che artista è?

Avevamo conosciuto la signora Scodinzoli tra le pagine di Tortintavola (e poi di Tortinfuga). Vittima di un famigerato furto di torte, la signora deve essere rimasta profondamente colpita dal fattaccio: di furti e inseguimenti si popolano, infatti, in questo nuovo albo firmato dal geniale Thé Tjong-Khing, persino i suoi sogni. Assopitasi in poltrona dopo aver consultato un discreto numero di libri d’arte, la signora Scodinzoli inizia a ronfare catapultando il lettore in un’animata scena museale tra quadri che vengono sistemati e quadri che vengono invece trafugati. E via, neanche il tempo di fermarsi a pensare che subito scatta un rocambolesco inseguimento.

Alle calcagna di quello che scopriremo essere un cane mariuolo, si lancia un folto e variegato gruppo di personaggi, tutti ben noti ai fan dell’artista indonesiano: cani, gatti, maiali, pecore ma anche conigli, rane e tassi, tutti egualmente infuriati. La fuga è precipitosa, il tallonamento senza posa e come sempre accade negli albi di Thé Tjong-Khing nella cornice di un unico grande avvenimento – la caccia al ladro per l’appunto – si dipana una moltitudine di avvenimenti più piccoli tutti da gustare: una mamma coniglio assai vendicativa, un figlioletto alle prese con piante pungenti, una pecora che non perde attimo per ricamare e un’infermiera senza un attimo di tregua, per esempio, contribuiscono a rendere la corsa ancora più saporita e dinamica. Fino all’agognata cattura che segna la fine del sogno e riporta la signora Scodinzoli a un inatteso e partecipatissimo vernissage casalingo.

Ciò che rende Tortarté del tutto nuovo rispetto agli albi precedenti, nonostante i personaggi in comune e la simile struttura narrativa, è il fatto che l’inseguimento procede in un paesaggio che ad ogni pagina si rinnova, ispirandosi a una gran varietà di quadri moderni: da Picasso a Braque, da Hokusai a Mondrian le  citazioni più o meno famose di opere d’arte sono più di cinquanta e rendono la lettura una vera e propria caccia al tesoro. Felice  e originale interpretazione della teoria di Květa Pacovská secondo cui “L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che il bambino visita”, Tortartè offre così non solo una ghiotta occasione di lettura accessibile per molti bambini che si scontrano con il testo scritto pur senza avere difficoltà cognitiva, ma anche un pretesto preziosissimo per avvicinare i bambini (ma anche i ragazzi!) all’arte e per farlo in un modo assolutamente convincente.

Io sto con Vanessa

Vanessa si è da poco trasferita in città (ce lo anticipa di soppiatto la pagina del titolo) e questo significa, per lei, iniziare a frequentare la scuola in una classe nuova. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, soprattutto per un tipo come Vanessa che – forse perché timida, forse perché in difficoltà con la lingua, chissà? – affronta il primo giorno in solitudine, senza il coraggio di farsi notare dall’insegnante e dagli altri bambini. L’unico che sembra fare caso a lei, ahimè, è un bulletto dai capelli biondi e impomatati che le si avvicina all’uscita di scuola e la prende di mira con gesti e parole poco carini. La reazione triste e spaventata di Vanessa non sfugge però a una compagna attenta che si dispiace sinceramente per l’accaduto e per l’impressione di non poter far nulla a riguardo. Fino a quando non si rende conto che qualcosa in realtà può farlo e che quel qualcosa può davvero fare la differenza. Così il giorno seguente la bambina compie un gesto tanto semplice quanto potente, capace di contagiare all’istante i suoi amici e di rendere inoffensiva la prepotenza. Perché è verissimo che la gentilezza può fare la rivoluzione (cosa che forse si poteva evitare di sottolineare nel sottotitolo e nei consigli pratici che chiudono il libro, per preservarne un po’ di più la magia già di per sé efficacissima) e che gesti piccolissimi possono dare frutti che nemmeno ci aspettiamo.

Garbato e profondo, questo silent book mette in scena personaggi minimali, quasi tratteggiati, che si muovono su sfondi neutri e puliti. Eppure l’attenzione che gli autori (Sébastien Cosset e Marie Pommepuy, in arte Kerascoet) riservano a dettagli come le espressioni del viso (a ben guardare, per esempio, la coraggiosa bambina del libro pare accorgersi del disagio di Vanessa fin dalla prima vignetta, e questo lo intuiamo dalla posizione delle sue pupille!), le posizioni e le distanze tra i personaggi o i gesti che essi compiono li rendono straordinariamente espressivi e decifrabili. Anche in virtù di questa valorizzazione dei particolari significativi, il racconto di Io sto con Vanessa può facilmente essere interpretato dal lettore senza che gli siano richieste inferenze complesse. Ecco allora che l’accessibilità del volume, ampiamente garantita dall’assenza di testo, viene ulteriormente rafforzata da una narrazione per immagini che pare letteralmente parlare.

Cappuccetto Rosso (in pittogrammi)

Recente vincitore del premio Andersen come miglior libro fatto ad arte, il Cappuccetto Rosso di Sandro Natalini è un lavoro piuttosto insolito e interessante. Di fronte alla difficoltà di restituire la fiaba tradizionale con una chiave originale e di offrirle nuova linfa, l’autore opta per una narrazione che scardina alla base tutta una serie di automatismi di lettura. Lo fa partendo innanzitutto dal formato: un leporello tricromatico – illustrazioni in rosso e nero su fondo bianco – che invita ad accogliere la storia come un continuum da cui non staccarsi nemmeno per sbaglio. Il giovane lettore può dunque sistemarsi comodo su di un pavimento o su di un tavolo (a patto che questo sia sufficientemente ampio!) e concedersi di seguire la bambina incappucciata lungo la strada che, attraverso il bosco, porta da casa sua alla casa della nonna.

È proprio aprendo il volume in tutta la sua lunghezza, infatti, che si può godere del suo forte impatto visivo e della sua capacità di tenere agganciati alla storia. La strada tratteggiata che si snoda tra le pagine e lungo la quale la fiaba si sviluppa chiede in qualche modo al dito del lettore di percorrerla fisicamente per meglio cogliere e soffermarsi sulle singole tappe della vicenda (senza farsi distrarre o confondere da un contesto piuttosto affollato): un espediente particolarmente significativo, questo, anche nell’ottica di coinvolgere nella lettura bambini dall’attenzione più volatile. A questo, d’altro canto, concorre anche lo stile grafico e minimalista scelto dall’autore: uno stile in cui i pittogrammi diventano il contenuto di sparuti balloons e ispirano personaggi e oggetti di contesto dai tratti essenziali e di immediata riconoscibilità.

Ne viene fuori un libro praticamente senza parole su cui si innesta un uso originale dei pittogrammi, diverso per esempio da quello che ritroviamo nei libri ispirati alla Comunicazione Aumentativa e Alternativa, ma ugualmente efficace nel definire fatti, cornici e protagonisti. Il libro si presta così a una lettura non solo insolita e capace di rinnovare un racconto ben radicato nell’immaginario collettivo, ma anche aperta a esigenze diverse, come quelle dettate da una certa difficoltà di decodifica del testo o da un bisogno di rappresentazioni prive di dettagli ridondanti o superflui.

I veicoli

Con Un giorno nella vita di tutti i giorni, Gallucci ha portato molti bambini (e adulti) italiani a conoscere Ali Mitgutsch, artista tedesco che negli anni ’60 fu tra i pionieri dei Wimmelbuch, i libri brulicanti. Con la ferma e preziosa intenzione di portare pian piano in Italia l’intera opera dell’autore, l’editore romano ha ora pubblicato un suo secondo titolo dedicato a I veicoli. Qui, secondo lo stile proprio di questa tipologia particolarissima di volumi, si susseguono doppie pagine animate da numerosi e affaccendati personaggi che suggeriscono piccole narrazioni, non di rado intrecciate tra loro. Ogni doppia (e spessa) pagina si concentra su di uno specifico contesto – la città, la fattoria, il mercato del pesce, la montagna, l’aeroporto, la metropoli by night e via dicendo – in cui si muovono, si popolano, si manovrano mezzi variegati: dai camion alle ruspe, dai pullmini alle betoniere, dai monopattini ai trattori. Privo di parole, contraddistinto da rappresentazioni minuziose ed efficaci e composto da quadri a sé stanti, I veicoli risulta estremamente fruibile anche in caso di disabilità che rendono difficoltosa la decodifica del testo, l’interpretazione di illustrazioni troppo oscure o la comprensione di storie molto articolate. Dotato di un potere ipnotico soprattutto nei confronti di bambini appassionati di veicoli (passione rimasta inscalfibile nonostante siano passate parecchie generazioni dalla prima pubblicazione del volume!), il libro si arricchisce inoltre di un elemento ludico grazie a una fascia laterale che accompagna ogni pagina e che mette in evidenza 8-10 elementi che il bambino vi potrà trovare. In questo modo al piacere di seguire e sviluppare innumerevoli storie si unisce quello di scovare specifiche figure: aspetto, questo, per nulla privo di significato, anche nell’ottica di rendere la lettura solleticante e densa di stimoli per bambini con e senza difficoltà di lettura, attenzione e aggancio alla narrazione.

Non troppo dissimile da I veicoli anche un terzo titolo firmato dall’autore tedesco e sempre edito da Gallucci: Alla scoperta del mare. Anche qui sono protagoniste infatti grandi tavole a doppia pagina in cui brulicano micro-narrazioni quotidiane. Tutte ambientate all’interno di una cornice marina, queste sono animate da capitani e villeggianti, pescatori e scaricatori di porto, marinai e bagnini e chi più ne ha più ne metta. Ogni centimetro quadrato della pagina vede nascere amori, spegnere incendi, rubare pesci, abbrustolire pelli candide o fare giochi d’acqua, in una serie di istantanee da cui trarre infinite storie. Alla scoperta del mare alterna le grandi tavole senza parole, perfettamente e appassionatamente godibili anche da parte di bambini con difficoltà di lettura, a doppie pagine in cui si concentrano raccolte di figure e parole tipiche dell’ambiente ritratto. Ispirate nella struttura ai classici libri di prime parole, ma decisamente più ricercate e complesse nella scelta dei vocaboli (banco di aringhe, palangaro, timone di poppa, solo per citarne alcuni), queste arricchiscono il volume senza tuttavia compromettere la fruizione della pagine senza parole. La doppia pagina che chiude il volume, in particolare, illustra la divisione e il funzionamento di una grande nave da carico, trasformando la visione in sezione in uno spaccato di vita marittima tutt’altro che noioso e prevedibile.

Brucoverde

È senz’altro uno dei bruchi più longevi dell’intera storia della letteratura per l’infanzia, Brucoverde. Nato nel 1977 con un compito importantissimo – quello di inaugurare la collana Libri coi buchi de La coccinella – l’animaletto creato da Giorgio Vanetti e Giovanna Mantegazza festeggia i suoi splendidi 42 anni con una nuova veste che non si sostituisce ma si affianca a quella originale. Brucoverde è infatti uno dei titoli che, grazie al progetto I libri per tutti promosso dalla fondazione torinese Paideia, sono stati tradotti in simboli WLS così da risultare accessibili anche a bambini con difficoltà comunicative.

Il progetto prevede la trasposizione digitale dei titoli scelti e simbolizzati, così da sfruttare al meglio le potenzialità in termini di personalizzazione della lettura offerte dalle nuove tecnologie. Le avventure di Brucoverde, scaricabili dal sito Scuolabook e fruibili da pc, tablet o smartphone,  possono così essere apprezzate dal giovane lettore in diversi modi, selezionabili sulla base delle sue specifiche esigenze. È possibile infatti la lettura basata sul modeling automatico – per cui i simboli vengono messi via via in evidenza mentre procede l’audio ad essi corrispondente -, quella basata sul modeling manuale – per cui i simboli vengono messi in evidenza man mano che vengono toccati e solo a quel punto si attiva l’audio corrispondente – , o ancora quella più tradizionale non basata sui simboli ma sul testo alfabetico che può essere ascoltato attivando l’audio o letto in autonomia: una molteplicità di possibilità, questa, che evidenzia bene l’intento inclusivo del progetto che intende rivolgere i libri non solo ai bambini con esigenze speciali di lettura ma anche ai loro compagni o fratelli che magari prediligono una lettura più consueta. Il libro digitale, così come è concepito, offre inoltre un coinvolgimento interattivo a diversi livelli: dal cambio pagina attivabile con un comando giocoso, alle illustrazioni animabili in determinati punti al tocco o al trascinamento, fino alla specifica sezione di giochi che propone piccole attività di svago o di rafforzamento della familiarizzazione con i simboli incontrati nel racconto.

La storia del bruchino affamato che di fronte a ogni frutto o ortaggio appetibile viene ripreso da qualche animale e invitato a cercare un altro alimento, fino al felice banchetto a base di foglie che gli consente di trasformarsi in farfalla, viene mantenuta intatta nella sua freschezza e semplicità. Si tratta di una storia lineare in cui a ogni pagina avviene un incontro (con un alimento e con un animale ammonitore) senza che i diversi personaggi si sovrappongano o affollino confusivamente la pagina. Anche le illustrazioni, in questo senso, concorrono a definire la felice pulizia della storia, grazie a rappresentazioni nette, colorate, prive di fronzoli e in cui l’animale di volta in volta comparso sulla scena a fianco del bruco si differenzia dalle altre figure per stile rappresentativo (più realistico e in bianco e nero). Il testo, già di per sé abbastanza essenziale, viene ulteriormente adattato per mano della stessa autrice così da renderlo più funzionale alla  simbolizzazione. Quest’ultima sfrutta dal canto suo la collezione di simboli WLS, riquadrati, contraddistinti da testo in minuscolo e impiegati in maniera non troppo rigida. La scelta fatta dalla traduttrice è quella infatti di non simbolizzare tutti gli elementi del testo singolarmente presi (le negazioni e gli articoli per esempio, sono uniti al verbo o al soggetto cui fanno riferimento) ma di privilegiare un equilibrio tra dettaglio e fluidità di lettura.

Nel caso del Brucoverde, infine, alla versione digitale si affianca anche la versione cartacea (la maggior parte dei libri coinvolti nel progetto prevede invece solo quella digitale) che cerca di mantenersi il più possibile fedele, anche nell’aspetto,  a quella originale. Rimane perciò intatta la divisione tra testo (sulla pagina di sinistra) e illustrazione (a tutta pagina sulla destra), ma soprattutto la costruzione dell’oggetto-libro intorno ai buchi concentrici che consentono un’esplorazione attiva da parte del bambino e una forma di lettura capace di implicare sensi diversi.

La bambina che dipingeva le foglie

Quando parliamo di libri accessibili sottolineiamo spesso che le loro forza sta nel fare della molteplicità di linguaggi una possibilità di arricchimento, nel mostrare cioè che le storie si possono narrare in tanti modi e che scoprirli tutti o quasi non può che nutrire la curiosità e l’apertura al diverso da parte dei giovani lettori. Ecco, un libro come La bambina che dipingeva le foglie, edito da Albe Edizioni, quest’idea pare sposarla a pieno e concretizzarla in una maniera davvero semplice e suggestiva.

La storia contenuta, che racconta di una bambina desiderosa di far tornare al più presto la primavera e capace di realizzare il suo desiderio grazie all’immaginazione, alla cura paziente e a un pizzico di magia, segue infatti due strade diverse a seconda del lato da cui il libro viene preso. Dal dritto (o dal rovescio: questione di punti di vista!), il racconto procede per sole immagini, secondo i meccanismi più caratteristici del silent book. Dodici tavola dalle tinte delicate si susseguono senza salti narrativi e in maniera anzi molto lineare e chiara, accompagnando così il lettore in un’esperienza di lettura molto godibile. I giochi di inquadrature, i dettagli scelti (la pioggia insistente alla finestra, il cambio di espressione sul volto della protagonista, le sfumature di colore che differenziano le foglie…) e le pagine poco affollate rendono infatti lo sviluppo narrativo molto accessibile, anche a bambini con lievi difficoltà cognitive.

Girato dal lato opposto, invece, il libro propone la stessa storia in forma di racconto scritto. Sono parole leggere ma pensate, quelle di Erica Alosio, parole che rendono la piccola magia che trasforma l’inverno in primavera con la medesima sussurrata tenuità delle illustrazioni di Paolo Proietti, di cui poco fa si è detto. Una piacevole armonia lega quindi il racconto verbale e quello per immagini, nonostante i due linguaggi procedano fisicamente separati. Se leggere solo uno, solo l’altro o i due in secessione, sulle base dei propri desideri e delle proprie abilità, sta al lettore stabilirlo: quel che è certo è che in tutti i casi la lettura si rivelerà piena, avvolgente e capace di sospendere il tempo.

Nel mio giardino il mondo

Un giardino, piccolo o grande che sia, è un piccolo teatro a cielo aperto. Qui accadono meraviglie di diversa taglia, avvengono scoperte straordinarie e si dipanano storie travolgenti: la natura offre infatti materie prime a iosa per trasformare pomeriggi qualunque in autentiche imprese da ricordare.

Lo sanno bene i tre protagonisti del delizioso albo senza parole Nel mio giardino il mondo, firmato da Irene Penazzi ed edito in Italia da Terre di Mezzo. Intercettati sul fare della primavera, quando gli uccelli si risvegliano e i primi germogli fanno capolino, i tre giovani si avviano fuori casa armati di una palla, una poltrona e un rastrello: tre oggetti simbolo di quel che un giardino può diventare. Cornice di giochi, relax e lavori all’aria aperta, il giardino si trasforma infatti fin dalla seconda pagina in un luogo del fare in cui è difficile annoiarsi. C’è da estirpare le erbacce, sistemare il pollaio, creare rifugi a prova di sole e di pioggia, curare bestiole, gustare ciliegie, fare gli indiani, creare dinosauri,  festeggiare compleanni e trovare tesori. Solo per fare qualche esempio, puntualmente fotografato dalla matita colorata dell’autrice. C’è da fare tutto questo e molto altro perché la bella stagione passa in fretta e non si fa in tempo a meravigliarsi di fronte alla magia delle lucciole in una calda sera d’agosto che è già ora di raccogliere fichi, creare tane per ricci, scaldarsi di fronte a un fuocherello e rassettare il giardino prima che la prima neve cada e l’inverno renda meno intensa (ma non certa nulla, come ci suggeriscono il pupazzo e la slitta!) la vita all’aria aperta.

Scorre insomma un anno intero tra le pagine di questo albo meraviglioso, scandito da ritmi diversi a seconda della stagione di volta in volta ritratta. Al breve e pacato inverno, reso attraverso due pagine silenziose prive di figure umane, si contrappongono le numerose e movimentate pagine dedicate alla bella stagione in cui i bambini protagonisti paiono non fermarsi mai, animati da un irrefrenabile spirito di creazione ed esplorazione che trova nello spazio del giardino un vero e proprio regno delle possibilità. Il tratto di Irene Penazzi, dal canto suo, è preciso e dinamico, capace di restituire tutta la vitalità delle giornate operose all’aria aperta e il brulicare di avventure più o meno immaginarie che nel cuore di un giardino possono prendere forma. Ci si può attardare con gusto e perdere con grande soddisfazione, dunque, tra le sue tavole ricchissime ma tutt’altro che soffocanti, nelle quali riconoscere con delizia gesti familiari, dettagli nascosti, spunti di gioco e  osservazioni importanti.

Anche in virtù di questa qualità oltre che dell’assenza di parole, risultano innumerevoli le letture che di questo albo si possono fare, a tutto vantaggio anche di un pubblico di giovani lettori con difficoltà (per esempio legate alla dislessia, alla sordità o ai disturbi della comunicazione) che possono qui trovare un terreno narrativo fertilissimo, aperto e stimolante.

Un lupo nella neve

Ci sono un lupo e una bambina dalla mantella vermiglia, nel libro di Matthew Cordell ma – attenzione! – la storia narrata non è affatto quella di Cappuccetto Rosso (per quanto questa echeggi senza dubbio). Qui il lupo e la bambina non sono infatti nemici ma diventano piuttosto complici in una situazione di comune difficoltà.

La protagonista dal cappuccio rosso viene presentata dall’autore all’uscita di scuola quando, sorpresa da una tormenta di neve, perde la strada di casa e si trova smarrita. La stessa sorte capita in contemporanea a un cucciolo di lupo che finisce per restare indietro rispetto al suo branco e a ritrovarsi solo in mezzo alla bufera. Superato il timore del primo incontro, i due decidono di affrontare insieme l’ignoto nel tentativo di ritrovare le rispettive famiglie, condividendo la preoccupazione, la paura e la difficoltà di procedere in una situazione ostile. Sarà proprio quella condivisione a renderli più forti di quel che paiono di fronte a ostacoli pericolosi e a riportarli sani e salvi sulla via di casa. Rintracciata mamma lupo, infatti, anche la bimba potrà godere della gioia del ricongiungimento con i suoi cari grazie all’intervento  riconoscente del branco del suo nuovo amico.

Come la più classica delle fiabe, Un lupo nella neve accompagna il lettore a esplorare i sentimenti più bui e quelli più luminosi del suo essere umano. Lo fa con una forza e una semplicità di grandissimo impatto, soprattutto se si considera che la storia procede interamente per immagini: caratteristica, questa, che rende il lavoro di Matthew Cordell ancora più interessante, perché ne consente la piena fruizione anche da parte di giovani lettori con difficoltà di lettura legate per esempio alla sordità o alla dislessia.

Fortunatamente

Fortunatamente è un albo delizioso che narra le peripezie affrontate dal giovane e impavido Ned per partecipare alla festa a sorpresa a cui è stato invitato: peripezie tutt’altro che banali, se si considera che comprendono il pilotare un areo che esplode per aria, buttarsi con un paracadute bucato, finire su un covone di fieno da cui spunta un forcone, esplorare un tunnel sotterraneo popolato da tigri, solo per citarne alcune. Ma Ned mantiene costantemente saldi i suoi nervi e, aiutato da una buona e regolare dose di fortuna, riesce a raggiungere la festa il cui ospite d’onore è davvero speciale!

Perfettamente congegnato dall’autore americano Remy Charlip che alterna con perizia avvenimenti fortunati ed avvenimenti sfortunati in un susseguirsi di emozioni irresistibile, Fortunatamente gioca con gusto con l’uso del colore e del bianco e nero e si contraddistingue per un testo incisivo e di grande ritmo. Scritto più di cinquant’anni fa, Fortunatamente è stato portato in Italia da Orecchio acerbo nel 2013. È però alla squadra de Il treno, cooperativa romana specializzata nella proposta di attività e prodotti in LIS, che si deve l’adattamento di questo straordinario lavoro in modo da risultare davvero a misura di bambini sordi segnanti. Grazie al passaggio dalla carta al digitale, che consente l’introduzione a ogni pagina di brevi video che raccontano il testo in LIS, Fortunatamente raggiunge più facilmente un pubblico spesso trascurato dall’editoria per l’infanzia. Lo fa peraltro con un prodotto apprezzabilissimo soprattutto per la maniera rispettosa e armonica con cui l’elemento aggiuntivo – i video in LIS appunto – va a integrarsi sulla pagina originale.

Il prigioniero senza frontiere

Ci sono libri piccoli piccoli che sanno dire cose molto grandi. E sanno farlo, talvolta, senza usare nemmeno una parola. È il caso del silent book Il prigioniero senza frontiere, firmato dall’autore canadese Jacques Goldstyn e proposto in Italia dall’editore Picarona: un albo tanto leggero quanto denso che illumina silenziosamente su quanto rivoluzionario sia il potere della parola e su quanto sacrosanto sia il diritto di esercitarla.

Protagonista del libro è un signore intento a partecipare a una manifestazione di dissenso. Non sappiamo quasi nulla di lui e dell’idea che difende ma la sua espressione gentile e la compagnia di una bambina sorridente che lo tiene per mano durante la protesta ci fanno presumere fin da subito che le sue intenzioni non siano cattive o bellicose. Eppure la manifestazione si trasforma in uno scontro, la polizia si prodiga in manganellate e arresti e così l’uomo si ritrova  improvvisamente e incomprensibilmente  in carcere. I valori per cui stava manifestando continuano ad animare i suoi pensieri anche se la solitudine della cella tenderebbe a portargli via la speranza. Ma un giorno qualcosa accade: l’uomo riceve una lettera che gli riporta il sorriso. Deve essere una lettera pericolosa, pensa la guardia, se quello è l’effetto, e così la lettera finisce in briciole. Ma poi le lettere diventano due, tre, dieci, cento… e per disfarsene la guardia è costretto a bruciarle.  Il problema parrebbe risolto se non che le tracce di fumo, cenere e brandelli di carta arrivano più lontano del previsto e tanti sconosciuti – vecchi e bambini, esquimesi e cow boy, marinai e clown e chi più ne ha più ne metta – iniziano a scrivere lettere al prigioniero, regalandogli una via di fuga tanto straordinaria quanto inattesa.

Costruito intorno a una potentissima metafora – quella delle parole che possono divenire ali – Il prigioniero senza frontiere si ispira a un’iniziativa reale promossa ogni anno da Amnesty International che invita i cittadini che hanno a cuore il rispetto dei diritti umani a scrivere missive ad alcune persone incarcerate ingiustamente così da non farle sentire sole e anzi a favorire la loro liberazione.  Questa maratona di lettere – così si chiama l’iniziativa – costituisce una forma di resistenza civile e manifestazione non violenta del proprio dissenso, in cui le parole reclamano a gran voce il loro peso e il loro valore. Goldstyn, dal canto suo, è riuscito a trasformare tale iniziativa in una storia di grandissima forza e peraltro ampiamente accessibile grazie a un racconto che oltre a fare a meno del testo, si sviluppa per quadri ben costruiti che rendono i passaggi narrativi  chiari e fruibili anche in caso di scarsa dimestichezza con la decodifica delle immagini.

 

Immagina

I silent book offrono spesso ai giovani lettori una libertà di movimento sulla pagina e nella storia più ampia rispetto agli albi che del testo sono invece provvisti. L’assenza di parole consente infatti al lettore di seguire una traccia narrativa che è certo ben presente ma meno vincolante e per questo più adatta a venir seguita con passo libero e personale. Questo in generale. Poi ci sono libri come Immagina, vincitore del Silent Book Contest 2018, che della libertà di interpretazione, immaginazione e racconto fanno in qualche modo la loro chiave. La giovane illustratrice russa Anastasia Suvorova dà infatti vita a una storia in cui è difficile se non impossibile individuare un percorso di senso incontrovertibile e di conseguenza il lettore viene a trovarsi nella posizione di stabilire in grande autonomia il significato più autentico, valido e proprio da attribuire alla vicenda. Si tratta di un’opportunità interessante anche per lettori con bisogni speciali: essa può certo, infatti, rivelarsi complessa se la dimestichezza con la decodifica delle immagini non è particolarmente affinata o se la presenza di una disabilità cognitiva limita l’attivazione di inferenze, ma che al contrario può risultare estremamente suggestiva e stimolante, se il tipo di difficoltà sperimentata non ha a che vedere con l’intercettazione del potenziale narrativo delle immagini.

Protagonista del volume è un ragazzino che, armato di matita, trasforma l’anonimo muro grigio che si trova alle sue spalle in un mondo fantastico pronto ad animarsi. È il delinearsi di un imponente pennuto rosso fuoco, in particolare, a dare vita all’avventura, conducendo il giovane disegnatore all’interno di quel mondo da lui stesso creato. Da qui in poi l’autrice inizia a  sciogliere le briglie del racconto, lasciando il lettore libero di seguire il protagonista in un viaggio sospeso tra reale e fantastico, tra visione ed emozione, tra fisico e metaforico. È la nota cromatica rossa che di pagina in pagina passa ad evidenziare elementi diversi – una casa, una barca, un fiore, un volpe – a suggerire in maniera davvero sottilissima, quasi impercettibile, un itinerario narrativo. Perché quei dettagli prendano colore, cosa succeda esattamente al ragazzino tra quei villaggi e quei boschi, cosa rappresentino le creature scelte per condurlo dentro e fuori da quel mondo dipinto non è dato saperlo con certezza e proprio questo pone delicatamente in bilico tra  smarrimento e rassicurante libertà, la sfida di lettura offerta a chi sfogli le pagine di questo libro.

Il piccolo vagabondo

Il piccolo vagabondo è un essere dall’aspetto reale e dall’indole fantastica, un ometto dall’aria affabile che viene in soccorso di viaggiatori e viandanti per aiutarli a ritrovare la strada e forsanche loro stessi. Con questo scopo egli compare con regolarità, facendo da trait d’union tra le sette storie che compongono la bellissima raccolta di brevi racconti senza parole firmati dalla giovane Crystal Kung. Cinese di nascita, taiwanese d’adozione e infine cosmopolita di spirito, l’autrice ha infuso ne Il piccolo vagabondo  la sua personalissima inclinazione al viaggio e tutto il ventaglio di emozioni e di epifanie che questo può recare con sé.

Dallo smarrimento al riscatto, dalla rinascita alla memoria: il variegato carico di esperienze che può nascere dall’incontro con il mondo è prima racchiuso e poi schiuso dai sette personaggi che escono dal suo finissimo pennello con una forza e una vividezza rare. C’è per esempio un ciclista che si perde e si ritrova finalmente tra le strade tortuose del Tibet, una giovane donna che riscopre la sua identità in una città apparentemente estranea o un anziano che grazie a un ombrello giallo ricevuto in dono riassaggia per un istante la sua giovinezza: tutte figure che interpretano sfaccettature differenti di un percorso di ricerca ed esplorazione, e che in qualche modo arrivano a una svolta sul loro sentiero grazie al provvidenziale intervento di quel piccolo vagabondo che all’occorrenza compare e scompare.

L’universo narrativo che grazie al particolare stile di Crystal Kung pare letteralmente prendere vita a filo di pagina è sospeso tra la dimensione reale e quella squisitamente onirica. Immergervisi offre al lettore un’occasione preziosa di confrontarsi non solo con sette storie emblematiche ma anche con il proprio personale bagaglio di ricordi e propositi, di orizzonti e radici, in un viaggio che dalla pagina muove nel profondo. Si tratta di un viaggio incantevole e struggente che l’autrice rende possibile grazie a un racconto per immagini che cattura il lettore e gli domanda un costante e raffinato coinvolgimento. Tutt’altro che immediata ed elementare è dunque la decodifica dei quadri che compongono il volume e della loro successione, a riprova del fatto che un’educazione all’immagine è tanto necessaria quanto quella al testo e che l’assenza di testo non significa automaticamente accessibilità della storia. Lettori curiosi e predisposti a itinerari narrativi arditi che manifestino spiccato interesse per il potenziale narrativo delle figure possono trovare qui una proposta appagante, avvincente, ricca e stimolante.  E ben sappiamo quanto di questo ci sia bisogno per tutti quei ragazzi che pur scontrandosi con forti difficoltà nella decodifica del testo, mostrano grande piacere, abilità e soddisfazione nell’attardarsi e confrontarsi con la sfida delle immagini.

Oggi divento

Quello dei quiet book – libri interattivi in stoffa che propongono a ogni pagina piccole attività che stimolano la dimensione sensoriale, la motricità fine e l’apprendimento – è un mondo estremamente affascinante e creativo. In rete circolano diversi video che mostrano prototipi molto raffinati, veri e propri capolavori di manifattura che invitano i bambini a sperimentare attività variegate: dal conto all’allacciatura delle stringhe, dall’associazione di forme alla ricomposizione di figure bi o tridimensionali. Sono libri complessi, estremamente stimolanti, spesso personalizzabili in virtù del fatto che risulta molto difficile (talvolta pressoché impossibile) realizzarli in una maniera diversa da quella artigianale. E questo chiaramente incide, e non poco, anche sui costi che spesso rendono questi volumi letteralmente proibitivi e un’esperienza di lettura e gioco dalle straordinarie potenzialità difficilmente fruibile da parte del grande pubblico.

Ecco perché lo sforzo fatto dalla casa editrice di Rieti Puntidivista per pubblicare un quiet book interessante ma abbordabile è davvero ammirevole e degno di nota. Il libro, composto da cinque doppie pagine in feltro, si intitola Oggi divento ed è dedicato ai mestieri. Il bambino e la bambina che compaiono in copertina e che da qui sono staccabili per accompagnare il lettore attraverso le pagine del libro possono infatti trasformarsi in dottori,  cuochi, meccanici, pompieri e carpentieri – senza distinzione di genere, il che non è affatto scontato! – grazie a un numero considerevole di accessori, anch’essi sagomati in feltro e divisi in base alla professione di riferimento. Grazie a dei semplici pezzetti di velcro, i diversi accessori possono essere agevolmente applicati sulle sagome dei protagonisti, o semplicemente avvicinati ad esse, per dare vita a piccole situazioni e avventure quotidiane che si animano sulla e oltre la pagina, e poi essere, con la stessa facilità, ricollocati al loro posto. Tra di essi figurano attrezzi del mestiere, come stoviglie, utensili, scale ed estintori;  indumenti,  come camici, caschetti o cappelli da chef; e mezzi di trasporto, come l’ambulanza e il camion dei pompieri.

Pur senza offrire la varietà e la complessità di stimoli cui si faceva cenno sopra, Oggi divento propone un set davvero ricco per sviluppare semplici narrazioni che coinvolgono direttamente il lettore il quale, non trovando alcuna traccia scritta ma neppure alcun elemento di cornice se non l’ambito professionale suggerito da ogni gruppo di accessori, è chiamato in prima persona a far animare i personaggi e dunque a far nascere il racconto. L’interazione e la libera combinazione degli elementi (anche tratti da pagine diverse, perché no!) sono dunque la chiave di questo volume, fertile e al contempo semplice, oltre che capace di rispondere a bisogni immaginativi e narrativi molto diversi, inclusi quelli dettati da una disabilità sensoriale, comunicativa o cognitiva. L’assenza di testo, la consistente libertà di approccio lasciata al lettore, l’apprezzabile manipolabilità dei pezzi (sufficientemente spessi e agevolmente combinabili) e la loro chiara riconoscibilità nonostante la realizzazione con un unico materiale, rendono infatti Oggi divento un supporto prezioso e molto versatile, che merita di essere valorizzato all’interno di percorsi scolastici o familiari volti a sostenere e nutrire il diritto alle storie, anche nella loro componente squisitamente ludica.

 

Clown

La caccia appassionata di Camelozampa a chicche editoriali del passato da proporre (o riproporre) in Italia ci ha regalato in poco tempo libri pazzeschi e per questo non smetteremo facilmente di dire un sentito grazie all’editore di Monselice. Un grazie che si fa ancor più accorato ora che i suoi tipi hanno reso disponibile anche nel nostro paese quel capolavoro silenzioso firmato da Quentin Blake che è Clown.

Pluripremiato, anche con il Bologna Ragazzi Award nel lontano 1996, Clown è un albo senza parole ormai più che trentenne che avrebbe potuto esser creato l’altro ieri. Nelle avventure del pagliaccio pupazzo in cerca di una casa per sé e per i suoi amici gettati nell’immondizia da una risoluta donna – madre, nonna, governante o chi lo sa? –, si ritrova infatti una visione d’infanzia puntuale e una rappresentazione del mondo adulto, capace di mettere in luce, con tutte le sue ombre, l’attualissima tendenza a controllare, strattonare, mettere in mostra e sterilizzare, letteralmente e metaforicamente parlando, i bambini e il loro mondo.

Dal bidone della spazzatura in cui viene buttato insieme ad altri giocattoli, il clown di Quentin Blake esce con una caduta rocambolesca che è anche, significativamente, l’inizio di una rimessa in piedi. Da qui, dopo aver trovato le scarpe giuste – un paio di buffi scarponcini malconci – questi inizia a rincorrere e interpellare una serie di bambini nel tentativo di farsi adottare, insieme ai suoi compari di sventura. La risposta è sempre positiva ma tra chi viene trascinato via distrattamente con una sorta di guinzaglio e chi viene allontanato dal pagliaccio presumibilmente perché zozzo, la ricerca di un nuovo compagno di giochi si fa più ardua del previsto. Fino all’incontro – al volo, è il caso di dirlo – con una bambina in una situazione di disagio famigliare il quale, pur costringendola a farsi grande più in fretta del necessario, non annichilisce la sua capacità di stupirsi, godendo di piccole magie quotidiane e rendendole forse apprezzabili anche a qualcuno dei grandi che girano nei paraggi.

Lo stile di Quentin Blake è come sempre freschissimo, irriverente e dinamico, al punto che vien da chiedersi se possa esistere un personaggio che meglio di un clown – sempre in movimento, a tratti goffo e con il suo carico di malinconica ironia – vi trovi espressione. Forse no. E forse anche per questo quest’albo che proprio un clown rende protagonista ci appare così stupefacente. Capace di coniugare uno sguardo sorridente e un grande rispetto per i temi e le vite ritratte, con i loro più o meno superficiali aspetti di povertà, Clown mette a nudo vizi e debolezze caratteristici dei grandi, rivelandone tutta la miopia dello sguardo, soprattutto quando rivolto ai piccoli.

Inimitabile nella capacità di far avanzare una narrazione  e di darle spessore emotivo affidandosi a dettagli minimi e minuziosi, Quentin Blake propone qui una storia non solo indomita – nel senso e nel ritmo – ma anche largamente accessibile. All’assenza di testo – ossia di quell’elemento che spesso preclude la possibilità di godere appieno di un bel racconto, soprattutto in caso di dislessia o sordità – si aggiunge qui una costruzione per immagini che richiede sì alcune inferenze ma che dissemina la pagina di indizi utili a compierle e che perlopiù immortala frammenti narrativi che accompagnano per mano il lettore nella decodifica dell’accaduto. Questa modalità a tratti cinematografica fa sì che al lettore si offra una certa libertà interpretativa – quella peraltro caratteristica dei silent book – senza che passaggi troppo ostici o oscuri facciano inciampare il lettore il quale dunque, anche in caso di lievi difficoltà, può godere di una performance narrativa degna di un grade artista come Blake e come il suo irresistibile Clown.

Il principe azzurro. La principessa fuxia

Ci sono libri che non vorresti chiudere, una volta terminati. Bene, Riccardo Francaviglia e Margherita Sgarlata hanno trovato la soluzione: un libro che ricomincia, con una storia nuova, nel momento esatto in cui sembra essere concluso. Come? Con un’arguta costruzione narrativa che consente di rileggere il medesimo volume a partire dal fondo. Cambia il verso di lettura ma le illustrazioni restano le stesse, perché ciò che fa emergere la nuova storia è l’occhio del lettore, focalizzato su un nuovo protagonista su indirizzo del (secondo) titolo.

Così, se dapprima è il viaggio del Principe Azzurro ad occupare la scena, a suon di duelli e mari e burrasca, in un secondo momento sono le avventure della principessa Fuxia,  con la sua traversata e i suoi pensieri amorosi, a conquistare attenzione. Ed è spiazzante, in effetti, rendersi conto che sono sempre state lì senza che vi si badasse troppo. Come per magia, cornice e primo piano si scambiano di posto, in un gioco di punti di vista tutt’altro che banale. A rendere possibile questa danza prospettica è certo l’assenza di parole – Il principe azzurro. La principessa fuxia è infatti un silent book – che lascia il lettore libero di muoversi sulla pagina e dedicare attenzione a ciò che di volta in volta ritiene opportuno. Ci troviamo quindi davanti a un racconto che, procedendo per sole immagini, strizza l’occhio e offre una lettura gustosa (ma – attenzione – non immediata e priva di sforzo interpretativo!) anche a lettori che normalmente faticano a confrontarsi con un testo scritto, per esempio per difficoltà legate alla dislessia o a una disabilità uditiva.

Con una costruzione che moltiplica le possibilità di accesso alla storia, rimette in gioco prospettive e convinzioni, Il principe azzurro. La principessa fuxia pare così dare un’originale e interessante interpretazione dell’idea proustiana secondo cui “L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è”.

Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf

Ha una dimensione più grande della maggior parte degli albi in commercio, è piacevolmente più pesante e corposo e si presenta con un’insolita forma quadrata. Impossibile, dunque, non farsi incuriosire da Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf, fin dalla sua fisicità. È un fuori raffinato e intrigante, il suo, che si fa sincera anticipazione di un dentro che è un’autentica delizia.

Qui i due maiali che compaiono in copertina – una scrofa agghindata che torna dal mercato carica di provviste e un porcellino dall’aria monella che la tira per il grembiule  – sono immortalati in alcuni momenti, tanto gustosi quanto apparentemente irrilevanti, di una giornata qualunque. Un pettegolezzo al telefono, una torta in preparazione, una cena distinta, un bagno rilassante: tutti istanti  di poco conto nella quotidianità di una suina signora, se non fosse per quel terremoto del suo figliolo che li trasforma in ghiotte occasioni per qualche guaio. E così, tra frange di tappeto tagliuzzate, uova rotte e  cerbottane di ciambellone, il maialino invita il lettore scoprire marachelle sempre nuove fino quasi a sentirsene felicemente complice.

È un invito irresistibile, in effetti, quello a voltare pagina seguendo lo scorrere del giorno. Complici di grande effetto, sono i finissimi intagli che dinamizzano e prolungano ogni scena, trasformandola in una sorta di quinta teatrale dietro cui sbirciare. Il lettore ha così modo di sfogliare pagine preziose nella loro delicatezza che offrono piccole gustose anteprime di ciò che verrà dopo: un personaggio, un’azione o anche solo un ambiente, comunque sufficienti a far venire l’acquolina narrativa in bocca. È un coinvolgimento insieme emotivo (sfido a trovare qualcuno che non abbia compiuto simili guai domestici) ma anche fisico, poiché si ha letteralmente l’impressione di varcare le porte ed entrare nelle stanze in cui le diverse scene si svolgono. La soddisfazione di lettura e rilettura, in solitaria o anche a due voci genitore-figlio, è dunque grande. L’assenza di parole, poi, unita a un’innegabile raffinatezza stilistica la rende fruibile anche a giovanissimi lettori che poco d’accordo vanno con il testo scritto, per esempio perché dislessici o sordi, ma che in un racconto per immagini trovano terreno fertile e accessibile per i loro volteggi fantastici.

Edito originariamente nel 1978, pubblicato per la prima volta nel nostro paese dalla visionaria casa editrice di Rosellina Archinto (con il titolo Un giorno nella vita di Cecilia Lardò), la mitica Emme Edizioni, Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf torna ora a solleticare i lettori italiani grazie alla felicissima intuizione e iniziativa di una casa editrice fresca fresca, la LupoGuido. Primo titolo in catalogo per la casa editrice milanese, il silent book firmato da Tatjana Hauptmann festeggia così i suoi primi quarant’anni, continuando a offrire un ritratto scanzonato e realissimo dell’infanzia in cui bricconi di ogni età non faticheranno a riconoscersi e mamme di ogni tempo troveranno sorridente conforto!

Viaggio incantato

Si è preso tanto tempo, Mitsumasa Anno, per comporre Viaggio incantato: lo racconta lui stesso in una nota che apre il volume. Un tempo lento, prezioso, sospeso: lo stesso che il lettore dovrebbe, a sua volta, potersi regalare per assaporare a modinoquesto albo così ricco e delizioso. Sarebbe tempo ben speso.

Viaggio incantato è infatti il racconto di un viaggio in un tempo e in luoghi lontani: un viaggio a misura d’uomo, senza la fretta di arrivare a una meta o l’incombenza di portare a termine un compito. È un viaggio in cui il protagonista lascia la sua terra su una barca e ne esplora una nuova su un cavallo, attraversando strade, villaggi, campi e città. Ma è soprattutto un viaggio in cui ciò che conta è davvero il gusto di viaggiare, di vedere, di scoprire. Protagonista, a dispetto delle aspettativa, non è infatti il cavaliere – quasi invisibile, talvolta apparentemente immobile, comunque discretissimo – ma ciò che questi di volta in volta incrocia e osserva. Sono quadri brulicanti quelli che lo accolgono senza che ci sia una vera e propria interazione: quadri in cui illavoro, la convivialità, il lato quotidiano e il lato eccezionale della vita, le città reali e quelle fantastiche, i riferimenti all’arte, al cinema e alle fiabe si mescolano attraverso figure minutissime tra le quali, letteralmente, ci si perde.

Che siate alla ricerca di un libro cerca-trova, di un albo che vi assorba completamente, di una storia che sembra sospesa, di un libro inclusivo in cui non ci siano barriere testuali, di una proposta trasversale per adulti e bambini o di un libro che lasci il lettore letteralmente a bocca spalancata, ecco in tutti questi casi (e molti altri ancora, a dire il vero) siete davanti al libro giusto. Viaggio incantatoè infatti uno di quei volumi straordinari che soddisfano attese diverse e che offrono possibilità di ingresso e sedimentazione molteplici. È uno di quei libri, frutto di una lunga gestazione, che ripagano con uno sguardo ampio e larga emozione il lettore che gli si accosti senza fretta e con una certa disponibilità allo stupore.

 

 

Che capolavoro!

Ci sono due storie che si incontrano e si intrecciano in questo libro originalissimo firmato da Riccardo Guasco: la storia del protagonista e la storia dell’arte. Come avviene quest’incontro è un’autentica magia: l’autore, infatti, racconta la giornata di un bambino, intento a portare il suo contributo a una grande scultura collettiva, attraverso pagine che omaggiano numerosi capolavori artistici di tutti i tempi. Man mano che il lettore sfoglia il libro, seguendo il sonno, il risveglio e il percorso del personaggio, si trova immerso in atmosfere che con un tocco di genialità mantengono intatto il filo narrativo ma al contempo strizzano l’occhio ad alcuni dei più grandi artisti di tutti i tempi

Così, per esempio, la notte con cui si apre il volume richiama con forza Klee e Van Gogh, la colazione in famiglia mette in scena Modigliani e Magritte e il viaggio in tram arriva persino a Banksy. È un continuo echeggiare di stili e opere – taluni davvero inconfondibili come gli orologi molli di Dalì, talaltri meno noti come l’Uomo che cammina di Giacometti, passando attraverso rivisitazioni libere de La primavera di Botticelli e riferimenti più pop, per esempio alla celebre immagine dei Beatles che attraversano la strada – quello che invita il lettore a partecipare a una piccola caccia al quadro ma anche a non trascurare il contributo che ciascuno di noi può dare alla bellezza del mondo.

Il risultato è un libro che non smette nemmeno un secondo di solleticare la curiosità del lettore, rievocando atmosfere e immagini a lui più o meno note o instillando la voglia di scoprire quelle che gli sfuggono. Che capolavoro!è insomma un volume che di consueto ha davvero poco: non solo perché la narrazione procede solo per immagini (ma d’altronde nell’arte non sono forse le immagini a parlare?), risultando fruibile e accattivante anche per molti lettori con difficoltà di decodifica testuale, ma anche perché sa giocare e far giocare con l’arte in una maniera deliziosamente intelligente!

La notte del circo

È sera tardi, le undici in punto, e dalla finestra aperta della sua stanza da letto una bimba fa entrare di soppiatto un cagnolino nero. La loro è amicizia a prima vista: insieme per più di un’ora giocano a si scatenano in numeri – con la palla, con i cerchi, col tamburo e con la sbarra – degni di un circo. E proprio a un circo, in effetti, l’animale torna, quando la piccola si addormenta. Il risveglio sarà brusco e triste per lei: la palla, i cerchi, il tamburo e la sbarra non hanno più lo stesso fascino senza un compagno di acrobazie. Il sonno riserva però una sorpresa straordinaria e la bimba, riaddormentatasi, si ritrova trasportata da un clown gigantesco sotto il tendone del più fantastico dei circhi. Qui non solo ritrova il suo amico a quattro zampe ma sperimenta l’euforia elettrizzante che le acrobazie circensi possono riservare. Sarà un sogno mirabolante il suo, pieno di ritmo, capriole e meraviglia, e se proprio solo di un sogno si tratti tocca al lettore stabilirlo.

In questo silent book che fa scintillare gli occhi e l’immaginazione, Mattias De Leeuw infonde tuttolo stupore e la magia del sogno. Ad occhi chiusi e ad occhi aperti. Il mondo circense a cui dà vita è pieno zeppo di particolari che fanno di ogni pagina un piccolo spettacolo. È un libro che tira e tesse una moltitudine di fili, il suo: fili su cui camminare con e come un equilibrista, fili che legano le pagine grazie a dettagli minuziosissimi, fili che animano le silhouette smilze dei personaggi e fili che creano una rete tra il mondo onirico e quello reale. L’assenza di parole, che ben si confà peraltro a un mondo come quello di clown e animali, dà vita a un racconto che richiede al lettore un’immersione profonda e sospende pressoché il tempo. Curatissimo nel ritmo, scandito da doppie pagine di ampio respiro che si alternano a pagine frammentatissime, La notte del circo va incontro a lettori curiosi e pazienti, le cui capacità di attenzione e decodifica delle immagini siano un pochino impratichite.

Sogni d’oro

La frequentazione dei terreni del racconto senza parole non è cosa nuova per Paola Formica. Suoi, i bellissimi silent book Orizzonti e Cuore di Tigre editi negli anni passati da Carthusia. Sicché, l’ultimo lavoro tutto per immagini realizzato dall’autrice e intitolato Sogni d’oro, pur rivolgendosi a bambini più piccoli e adottando un tema ben più leggero dei precedenti, nasce a partire da un’esperienza ben consolidata e matura. E si vede. Questo albo senza parole pubblicato da San Paolo e dedicato al gioioso momento serale in cui la fantasia spalanca le porte al sogno, sposa infatti con perizia un’apprezzabile chiarezza narrativa e una capacità di giocare con ciò che le immagini velano e svelano. L’albo non solo, dunque, procede senza parole ma è progettato per valorizzare il potenziale  narrativo che è caratteristico del codice iconico.

Protagonista del libro è una bambina che si accinge ad andare a dormire. Copertina alla mano e pigiama vermiglio indosso, saluta con la manina e si avvia. Ma sul percorso trova una coda che ha tutta l’aria di essere leonina, seguita da una zampa che a sua volta pare essere leonina, seguita da una belva intera che indubbiamente è leonina. Sì, quello che la bambina incontra è proprio un leone, però buono. Con lui è tutto un solletico, così come con l’elefante che compare da lì a poco sarà tutta una capriola e con il coccodrillo tutto un bel salto. E poi ci sono l’orso, il dinosauro, il gufo, la balena e il canguro, ciascuno esperto di un gioco diverso. E  infine c’è un’ultima creatura dagli occhi grandi e il manto scuro. Si nasconde tra le foglie con fare misterioso. Di cosa si tratta? E dove porterà la piccola con quelle sue zampone nere? Lo svela con un piccolo colpo di scena la pagina finale, che dona al lettore la chiave per rileggere la storia.

Lineare e ben scandita, questa procede secondo uno schema iterato in base al quale il lettore intravede dapprima un solo dettaglio – la coda, la proboscide, una zampa e così via – dell’animale che sta per comparire in scena e di cui può indovinare le fattezze, prima di scoprirlo nella sua interezza e verificare se l’intuizione sia stata azzeccata. Ogni pagina è quindi un implicito invito a prevedere gli incontri della protagonista e i giochi che ne nasceranno: invito supportato da un’accorta distribuzione delle figure, un’attenta selezione dei particolari da sottoporre al lettore e una scelta di personaggi ben identificabili e familiari ai bambini. Questi aspetti agevolano la partecipazione attiva alla lettura anche da parte di bambini che presentano qualche difficoltà a operare inferenze complesse. L’assenza di parole, dal canto suo, rende il libro accessibile anche in caso di dislessia e sordità, benché si tratti di un volume che perlopiù i bambini leggeranno insieme a qualcuno.

Il tono della narrazione è sempre voltato alla positività e al piacevole divertimento, il che fa di Sogni d’oro una bella proposta anche per la lettura serale, in cui il bambino possa riconoscere la propria esperienza di invenzione fantastica, di procrastinazione del sonno, di sovrapposizione tra reale e immaginario e possa trovare un sostegno contro piccoli grandi timori notturni. In questo, determinante è senz’altro la capacità di Paola Formica di rendere al meglio e di giocare con le espressioni e con gli sguardi – come già efficacemente dimostrato soprattutto in Cuore di tigre – affidando ad essi il compito di sussurrare al giovanissimo lettore che tra queste pagine, così come nel buio, può avanzare sereno senza avere paura.

Due conigli

La tenera meraviglia che suscita l’immersione in un albo senza parole come Due conigli di Daphne Louter è difficile a dirsi. C’è di mezzo lo stile pacato e dal gusto deliziosamente anglosassone dell’autrice, una capacità rara di cogliere l’infanzia nella sua più intima più vera e un gusto per i dettagli che dilata con letizia il tempo della lettura.

Protagonisti sono due conigli, presumibilmente fratelli, ritratti nel bel mezzo di momenti al contempo quotidiani e speciali, come una battaglia dei cuscini al risveglio, il gioco dei travestimenti, una festicciola in giardino,  le letture della sera. Ogni istante è immortalato in punta di piedi, come se l’occhio curioso dell’autrice si soffermasse di nascosto e con diletto a godersi le marachelle dei due cuccioli nella casa di campagna. Ognuno di questi istanti è anticipato da un dettaglio – un palloncino, una tazza, un paio di stivaletti rossi – messo ben in risalto su sfondo bianco nella pagina di sinistra, che lascia immaginare e pregustare che cosa potrebbe succedere in quella accanto. Lo stesso dettaglio ritorna poi nella pagina di destra  (al lettore, di volta in volta, trovarlo), inserito in un quadro completo che vede in azione i due protagonisti. E qui davvero ci si può perdere, scovando l’immancabile gallina di compagnia, cogliendo la precisione con cui i movimenti e i giochi infantili (talvolta condivisi, talvolta indipendenti)  sono ritratti, gustando richiami a capolavori della letteratura per l’infanzia (uno su tutti, I tre piccoli gufi che dalla cima di un mobile in soffitta guardano i due fratelli agghindarsi e mascherarsi) e assaporando dettagli minimi e gustosi (come le pantofole a forma di coniglio o gli oggetti che di quadro in quadro ritornano) e immaginando ciò che succede al di fuori del quadro, giusto oltre il margine del libro, ma anche ciò che accade prima e dopo il momento colto. Cosa si festeggia in giardino? Cosa sta prendendo la signora zebra in cima alla scala dell’emporio? E ci sarà una bella marmellata per merenda? Al lettore, paziente collezionista di indizi preziosi, il piacere di deciderlo e dirlo.

Insomma, è un albo dalla struttura semplice e iterata, Due conigli, in cui la storia si compone di una serie di flash che riassumono una giornata specialmente ordinaria. Eppure tra queste pagine si cela un mondo profondo che richiede attenzione e rende il volume adattissimo – più di molti volumi costruiti ad hoc, peraltro – a offrire spunti a chi cerca libri sulla relazione, sull’autonomia, sul genere o più in generale sulle peculiarità dell’infanzia.

Piccola volpe nel bosco magico

L’affetto che può legare un bambino al suo peluche più caro può essere smisurato, tanto da spingere ad ardite ricerche in caso di smarrimento. Lo sa bene la bimba dal caschetto moro, protagonista di Piccola volpe nel bosco magico. La sua vecchia volpe di pezza è per lei importante, importantissima. Così, di fronte alla richiesta della maestra di portare a scuola una cosa preziosa da descrivere ai compagni, la bambina non ha ha dubbi: porterà lei, la sua morbida amica pelosina. Dalle foto ricordo che tira fuori per l’occasione si deduce quanto la bimba bene voglia al pupazzo e quanti momenti di intima crescita abbiano vissuto insieme. Per questo, quando la piccola volpe di peluche scompare dallo zainetto, la sua amica umana inizia a cercarla disperatamente, senza fermarsi  nemmeno di fronte al più fitto dei boschi. Sarà un viaggio lungo e avventuroso, il suo, che la porterà ad attraversare sentieri bui e radure fantastiche, popolate da numerose e curiose creature della foresta. Fino al fatidico ritrovamento che recherà con sé un’autentica sorpresa e ripagherà tutte le fatiche con una moltiplicazione degli affetti. Perché è proprio vero che la gentilezza si propaga e gratuitamente porta con sé una contagiosa forma di felicità.

La storia che  Stephanie Graegin racconta con grande tenerezza, si sviluppa agli occhi del lettore attraverso l’esclusivo uso delle immagini: non ci sono cioè parole a scandire ciò che accade, ma decisamente tra queste pagine non se ne sente il bisogno. La scelta narrativa fatta dall’autrice è infatti tutt’altro che oscura o ambigua: tutti i passaggi sono chiaramente tracciati sicché la bella storia di amicizia e incontro può risultare accessibile anche laddove ci siano delle difficoltà non solo di decodifica del testo ma anche di lettura di immagini troppo complesse. Azioni, emozioni e pensieri dei protagonisti sono resi facilmente intellegibili grazie a un tratto attento e minuzioso, a un’esplicitazione di scatti narrativi anche minimi e un’alternanza oculata di riquadri a tutta pagina e di riquadri più serrati in serie. La scelta del colore, dal canto suo, accompagna efficacemente il lettore prima nella distinzione e poi nella sovrapposizione tra mondo umano e mondo fantastico, rendendo l’incontro tra i due – se possibile – ancora più suggestivo.

Vacanze

Trascorrere le vacanze in campagna con il nonno, godersi una libertà avventuriera che pare senza tempo ed esplorare la natura in una scatenata solitudine. Questa è l’estate per la bambina del libro di Blexbolex. Ma poi arriva lui: quell’elefantino in tenuta da marinaretto che giunge a bordo di un treno locale per occupare un posto importante in casa, al tavolo, in giardino e in definitiva nelle giornate e nelle notti della protagonista. Vissuta come una sgradita invasione di campo, questa sfocia in una serie di dispetti e scortesie, fino a quando l’ospite fugge nel bosco costringendo il nonno a una ardita ricerca notturna. Ritrovato il fuggitivo, all’adulto non resta che coinvolgere i due cuccioli nell’organizzazione di un’attesa festa in maschera. È qui che la bambina, come ipnotizzata dalle scintille che salgono al cielo da un falò, compie un viaggio immaginario e avventuroso in compagnia di un simpatico bambino: lo stesso che per un attimo rivedrà il giorno seguente, sul treno che riporta a casa l’elefantino tanto bistrattato.

Visionario e raffinatissimo come sempre, con figure e tinte dal sapore vintage (in cui si inseriscono però elementi di ordinaria modernità), Blexbolex sovverte qui alcune convenzioni legate alla rappresentazione dell’infanzia (chi non avrebbe desiderato un elefantino con cui giocare?), portando il lettore a non dare nulla per scontato e a interrogarsi sul reale significato di quella convivenza così tribolata. Chi è quel pachiderma e come mai il nonno lo accoglie nella sua casa? Ma soprattutto perché, per una frazione di secondo, sul treno del ritorno, assume le fattezze del simpatico bambino incontrato la sera della festa? Con fare ammiccante e mai invadente l’autore lascia a chi legge l’onere e l’onore di trovare le sue risposte, mostrando grande rispetto e dedizione per il delicato e prezioso ruolo interpretativo di chi sta dall’altra parte delle pagine.

Privo di parole, Vacanze procede per immagini in maniera molto chiara e lucida, rendendo a misura (anche) di bambino un racconto pur lungo (138 pagine sono un bel numero per un silent book) e contraddistinto da una sovrapposizione tra piano reale e fantastico. Alternando doppie pagine piene e riquadri più piccoli l’autore scandisce un ritmo variegato, anima la narrazione e rende a pieno il senso di relatività spazio-temporale(-sentimentale) vissuto dalla protagonista e caratteristico dell’infanzia.  “Vacanze è un minuscolo dramma – racconta non a caso Blexbolex in un’intervista – al quale ho tentato di dare una dimensione più importante di quella dei fatti effettivamente riportati  perché questo è per me tutto il sale e il valore dell’infanzia”.

Bosch – L’avventura magica del giovane artista, il berretto, lo zaino, la palla…

All’inizio c’è solo un ragazzo qualunque con un cappellino, una palla e un cane, che perde l’equilibrio e cade in mare da una scogliera. Ma già dalla seconda pagina tutto cambia e il lettore ha la netta percezione che il mondo in cui il bambino è precipitato afferisca più al fantastico che al reale. Creature marine e terrestri dalle strambe sembianze lo animano infatti: sono unicorni, lucertoloni dall’aspetto preistorico, angeli e creature che mescolano l’umano e l’animale. Il loro è un mondo in cui ciò che si vede e ciò che accade non sempre appare lineare e spiegabile,  ma in cui si percepisce netta la presenza di un fronte del bene e di un fronte del male che spesso si incontrano e si fronteggiano. Il protagonista, dal canto suo, vi si trova invischiato  e il banale tentativo di recuperare lo smarrito cappellino lo porta a incontrare aiutanti e nemici, a percorrere cammini inaspettati, a superare prove di grande coraggio, fino al ritorno a una piana quotidianità di cui il lettore si era praticamente scordato. Il tutto in una cornice surreale, popolata di figure oniriche di grande suggestione che irrompono nella storia principale, vivono piccoli vicende parallele o danno semplicemente  spessore a un immaginario fuori dall’ordinario. Un immaginario che evoca chiaramente il genio di Bosch, senza rinunciare al tratto caratteristico dell’autore indonesiano.

Se Thé Tjong-Khing ci aveva deliziati con il dittico TortintavolaTortinfuga, coccolando la nostra fantasia con avventure pullulanti e votate al puro divertimento per immagini, qui ci sorprende con un lavoro che riprende l’assenza di parole e la propensione alla moltiplicazione dei dettagli e dei relativi percorsi narrativi, sposandole a una raffinata trama di echi dell’opera di Hieronymus Bosch.

Piacevole e straniante se letto senza precisi riferimenti culturali, suggestivo e illuminante se fatto dialogare con l’opera del pittore olandese, Bosch rappresenta un raffinato omaggio di un artista moderno a un collega di qualche secolo più vecchio e un invito a far echeggiare dentro di noi le opere che più segnano il nostro immaginario. In questo senso, al pari e talvolta meglio di tante proposte dedicate all’arte, il libro di Thé Tjong-Khing suggerisce una pista insolita e accattivante di avvicinamento all’immaginario e allo stile di un artista di rara originalità. Quale che sia poi, per ciascun lettore,  il percorso che lega l’opera di Bosch e il libro a lui dedicato, poco conta: la conoscenza della prima può rendere irresistibile la lettura della seconda così come,  viceversa, la scoperta della seconda può suscitare la curiosità per la prima. Ciò che resta invariato è il gioco di stimoli che tiene viva la mente e quel gusto per la complessità – come diritto e come valore – a cui anche i libri accessibili non dovrebbero mai rinunciare.

Revolution

In tempi di muri e barriere, nei quali il pericolo di dividersi in un pretestuoso noi e voi si fa palpabile, i buoni libri e il loro contenuto potente possono fare la differenza. A maggior ragione se sono albi illustrati che parlano a occhi più e meno maturi e che con sbalorditiva incisività riescono a fare breccia nell’immaginario. Di certo è il caso di Revolution, libro senza parole ideato e illustrato da Arianna Papini, meritatamente vincitore del Silent Book Contest 2017: un libro che sfida l’illusione di poter classificare gli esseri viventi in base a origini rigidissime, per le quali la contaminazione è qualcosa di necessariamente negativo.

Attraverso la rappresentazione di creature fantastiche che man mano si incontrano e ne generano altre che ne assommano i caratteri, l’autrice porge al lettore una riflessione molto significativa sul valore della differenza e sulla meraviglia che da esse può avere origine.  Così dall’incontro romantico tra una sorta di talpa su ruotini e una bizzarro uccello con tre ali sul capo e una veste variopinta nasce  un cucciolo peloso su ruotini con tre piume sul capo che crescerà e incontrerà una specie di elefante dalla zampe lunghissime e snelle con cui darà vita a un cucciolo dai tratti misti che a sua volta deciderà di mettere su famiglia. E così si procede fino a quando, dopo numerosi incontri e incroci tra animali stranissimi e affascinanti, non  ci si ritrova davanti a due creature dall’aspetto davvero piuttosto familiare. E lì il libro finisce e ricomincia, in un ciclo vitalissimo per il pensiero di chi legge.

La cura che Arianna Papini abitualmente dedica alle sue creature di carta trova qui massima espressione. Sono infatti i dettagli, anche quelli più minuti come la fantasia della punta di una coda, il numero di zampette, la presenza di piccolissimi ruotini o la combinazione di colori di un manto, a guidare il lettore nella comprensione del meccanismo narrativo che soggiace alle illustrazioni. Non immediatissimo, quest’ultimo richiede una certa attenzione e capacità di decodifica dell’immagine attraverso una serie di inferenze non banali. Una volta scoperto, tuttavia, risulta piacevolmente e agevolmente fruibile  anche in caso di maggiori difficoltà poiché la struttura ritmica della narrazione procede in maniera iterata presentando via via un incontro tra due creature e il cucciolo che ne nasce, secondo un andamento ciclico molto chiaro. Il gusto e la soddisfazione, poi, offerti di volta in volta dal riconoscimento dei caratteri genitoriali che ogni creatura assomma sono grandi e costituiscono un incentivo ulteriore alla lettura, tanto dei bambini quanto degli adulti. L’operazione, d’altronde, non si discosta di molto dagli immancabili “Ha il naso del papà”, “Gli occhi sono tutti della nonna”, “la punta delle orecchie è indiscutibilmente quella dalla prozia” che accompagnano gioiosamente la nascita di un bimbo.

Ciao ciao giocattoli

Tempo di scatoloni, cernite, cambiamenti. Forse una nuova casa. Fatto sta che il protagonista di Ciao ciao Giocattoli si trova alle prese con una serie di giocattoli con cui probabilmente non gioca più perché è ormai cresciuto. Ma i giocattoli hanno questa qualità speciale: che non servono solo  nel momento in cui li si usa, bensì riservano una certa utilità per il dopo, per il momento cioè in cui, solo guardandoli, fungono da detonatori di pensieri . Perché se può esserci (ma non è detto!) un momento in cui ci si sente troppo grandi per giocare con pinguini di peluche, carretti e navi di legno, non si è mai troppo grandi per assaporare i ricordi felici che questi custodiscono. Dietro ogni oggetto c’è infatti la memoria di una viaggio, di un’esperienza, di una tenerezza o di una condivisione con persone care che lo rendono carico di affetto e significato.

E così accade proprio al ragazzo dipinto da Marta Pantaleo nel silent book pubblicato da Carthusia. I giocattoli che nelle prime pagine popolano immobili la sua stanza diventano poi protagonisti di sfrenate avventure sulla neve, nel bel mezzo del mare ghiacciato o in sella a una slitta: sono i ricordi di un passato felice che continua ad esistere e ad accompagnare il ragazzo anche quando farà letteralmente spazio nella sua vita, cedendo i balocchi a un negozio. Qui troveranno senz’altro nuova vita – ne abbiamo conferma nell’ultima pagina – quando altri bambini ne prenderanno possesso riattivando il felice circolo dei momenti spensierati che poi diventeranno sereni ricordi.

Con uno stile particolarissimo che ricorda – non solo per i contenuti –  le atmosfere nordiche, Marta Pantaleo dà vita a un libro per immagini in cui chiunque può ritrovarsi e che aiuta a sentirsi coinvolti in un percorso di crescita che ci accomuna. Con un gioco sottile tra passato e presente, l’autrice scava nel sentimento profondo tra attaccamento e distacco che coglie qualunque ragazzo che abbandoni l’infanzia per diventare grande. Questo aspetto, che dona complessità e ricchezza al libro e che probabilmente ha concorso alla sua premiazione al Silent Book contest 2016, lo rende fruibile anche a bambini e ragazzi con difficoltà di decodifica del testo (poiché qui questo è assente) ma con una certa dimestichezza nella decodifica delle figure e dei loro legami narrativi.

Attenzione, passaggio fiabe!

Se c’è un autore che si diverte e ci fa divertire giocando con le fiabe, quello è senza dubbio Mario Ramos. Molti dei suoi libri – a partire da Sono io il più forte o Sono io il più bello –  pescano personaggi familiari all’immaginario dei bambini e li collocano in contesti narrativi nuovi, spiazzanti, irriverenti. È il destino di lupi, bambine incappucciate, porcellini e nanetti che trovano nella sua penna una rappresentazione ironica e irresistibile: proprio quella che contraddistingue anche Attenzione, passaggio fiabe!, un silent book edito da Babalibri in cui l’autore riunisce i personaggi a lui più cari.

Come lo fa? Mettendo Cappuccetto Rosso in sella a una bicicletta pronta ad attraversare il bosco fin dalla nonna. Ma la sicurezza viene prima di tutto, anche in mezzo ad alberi e cespugli: ecco quindi che a ogni incrocio la strada naturalistica presenta un cartello di attenzione agli orsi (tre ma senza viziatella ricciuta al seguito), ai bambini che spargono briciole, ai cacciatori e ai lupi feroci, che puntualmente alla pagina seguente si presentano in forma smagliante, chi sui pattini a rotelle, chi a cavallo, chi sullo skateboard e chi in bicicletta. E già ci immaginiamo le raccomandazioni della mamma a questa Cappuccetto Rosso ciclomunita: “Fermati allo stop!, “Dai la precedenza a Pollicino” e “Guarda bene a destra e a sinistra che non arrivi un cavaliere a tutta birra!”, altro che “Non fermarti a parlare con il lupo”. Questione di modernità!

Forte di un continuo gioco di rimandi a narrazioni note e di una sfida puntuale a indovinare chi comparirà per strada e in sella a quale mezzo, Attenzione, passaggio fiabe! offre una lettura divertente tanto più se condivisa. Questo, unito alla mancanza di parole scritte, alla linearità della narrazione, al richiamo a un immaginario comune, alla corrispondenza precisa tra ogni cartello e l’illustrazione successiva e alla struttura iterata, lo rende inoltre apprezzabile anche laddove ci siano difficoltà a seguire un racconto più tradizionale o a decodificare un testo.

Assolutamente imperdibili i risguardi del libro che anticipano da un lato e proseguono dall’altro il sottile gioco di segnaletica inventato dall’autore. 24 nuovi segnali – che spaziano dal pifferaio di Hamelin al principe ranocchio, dal Gatto con gli stivali a Cenerentola – offrono lo spunto per una caccia alla fiaba che difficilmente lascerà impassibili anche gli adulti.

Guarda fuori

Attenzione: se decidete (e decidetelo, mi raccomando!) di leggere Guarda fuori, ultimo nato in casa Minibombo – cercate magari un posto tranquillo e al riparo da sguardi indiscreti. Il pericolo di essere colti in flagrante, nel pieno di sonore risate è alto, ma che dico: altissimo! Almeno a noi è successo così.

Dentro questo albo dal formato quadrato, nel bel mezzo di un paesaggio innevato, i fatti avvengono a pagine alterne al di qua e al di là di una finestra. Dal lato interno, due bambini osservano ciò che accade fuori, indicano a turno dove guardare, anticipano con le espressioni del volto il tono di ciò che succede oltre il vetro. Ma è solo girando la pagina, quando l’obiettivo inquadra ciò che succede fuori, che il lettore scopre davvero cosa hanno visto e indicato i bambini, condividendo di volta in volta il loro stupore, il loro timore o il loro entusiasmo. Tra la neve che cade, infatti, un uccellino, tre conigli rosa, un gatto e un orso (dai tratti felicemente familiari a chi abbia letto altri libri di Silvia Borando) danno vita a scene ora tenere, ora (apparentemente) tragiche, ora coraggiose, ma sempre tinte di un velo di ironia che impedisce al lettore di restare impassibile. Fino al colpo di scena finale, chicca con cui la casa editrice reggiana da sempre ci ha viziati, che spiazza, convince e fa ridere di gusto.

Con un ritmo perfettamente studiato e un’essenzialità di fondo che aiuta a raccontare la storia anche se le parole non sono scritte, Guarda fuori offre una lettura golosissima soprattutto se condivisa (in questi giorni di neve, poi!). In pieno stile Minibombo, il libro propone figure grandi, minimali e ben definite, colori pieni, contrasti forti e inquadrature piane che rendono il libro realmente apprezzabile e fruibile anche da bambini molto piccoli. L’assenza di parole, dal canto suo, non preclude l’accesso, anche in autonomia, a bambini un pelo più grandi, magari a cavallo tra scuola dell’infanzia e scuola primaria, con difficoltà legate alla decodifica testuale. Mentre la chiarezza dei passaggi narrativi marcati dalle sole immagini agevola la partecipazione anche da parte di bambini con lievi difficoltà cognitive.

Linee

All’inizio di Linee non c’è che una bambina che  pattina leggiadra e in solitaria sul ghiaccio. Anzi no. All’inizio – o prima ancora dell’inizio, nei risguardi del libro che sempre per Suzy Lee hanno un ruolo e un valore – c’è un foglio bianco con una gomma e una matita poggiati sopra. Potrebbe sembrare puramente decorativo e il lettore probabilmente tende a dimenticarsi di averlo visto fin da quando volta la prima pagina. Se ne ricorderà forse solo più avanti, quando quel foglio entrerà a pieno titolo nella storia.

Scorrendo le pagine del libro, infatti, si segue la piccola pattinatrice nei suoi volteggi sul ghiaccio, che disegnano linee armoniose dal tratto variegato: più spesso, più sottile, tratteggiato, doppio. La bambina si muove leggera, quasi volando, e pare concentrata, sicura di sé, felice. Questo ci dice l’espressione del suo volto. Ma poi accade qualcosa: la bambina perde l’equilibrio e cade rovinosamente a terra. La sua scivolata cancella parzialmente il disegno lasciato dalle lame: accipicchia, proprio ora che l’esibizione pareva perfetta e stava creando un tratteggio impeccabile! Ecco allora che voltando la pagina ci troviamo davanti un foglio appallottolato. Ohibò! È qui che ricolleghiamo quanto sta accadendo all’immagine che inaugurava il libro e che qualcosa in noi inizia a scattare, facendoci  apprezzare il gioco di matrioske fatto di un foglio dentro un altro foglio che l’autrice ha messo in piedi. Lo facciamo soprattutto perché il disegno accartocciato poco dopo viene riaperto e lisciato per popolarsi di molti altri bambini che con grande libertà e divertimento si muovono sulla pagina, facendo di ruzzoloni, sederate e capitomboli  il segreto per rendere la tela ghiacciata un quadro ancor più bello e vario.

Con un albo raffinato e intelligente, che non ha paura del bianco immacolato, Suzy Lee torna a incantarci con il solo potere delle figure. Senza parole come i precedenti volumi che compongono la trilogia del limite, anche questo libro parla chiaramente (e forse anche in modo più diretto, rispetto a L’onda, Mirror e Ombra) al lettore senza bisogno di un testo scritto. Il risultato è quindi amichevole anche nei confronti di bambini con difficoltà di decodifica testuale legata per esempio alla sordità o alla dislessia ma in possesso di quelle abilità cognitive che consentano di cogliere le inferenze e gli scarti tra diversi piani di narrazione che contraddistinguono il lavoro dell’autrice coreana.

Anche questa volta, in effetti, Suzy Lee ci ammalia con una riflessione che è anche un sottile gioco intellettuale sul concetto di limite: quello impalpabile che separa il dentro e il fuori del libro e che fa di un foglio bianco la pagina di un libro o  un’illustrazione in esso contenuta. Dentro- fuori, reale-disegnato: la dicotomia esplorata dall’autrice porta un senso di straniamento fecondo nel lettore, felicemente costretto a rimettere in discussione il suo sguardo iniziale. Proprio la stessa operazione, in fin dei conti, che Linee invita a compiere facendo dell’errore un vero e proprio elogio illustrato. Siamo certi che ciò che non risponde alle nostre aspettative iniziali debba necessariamente essere meno buono, meno valido, meno apprezzabili? O forse,  invece, quello che chiamiamo errore può scatenare fruttuosi processi creativi e rivelarsi in definitiva un piccolo  inatteso successo? Rodari ce lo ha insegnato bene e Suzy Lee, con le sue linee impertinenti, ce lo ricorda magistralmente!

Cuore di tigre

L’incontro tra Paola Formica e Carthusia aveva già prodotto, pochi anni fa, un libro senza parole densissimo e coraggioso dal titolo Orizzonti, meritatamente finalista del Silent Book Contest 2014. Oggi quell’incontro si rinnova con un altro libro che di parole non ne contiene nemmeno una ma che ne  accende moltissime dentro il lettore, prestandosi a detonare profondi e importanti confronti intorno a un tema delicato come quello del diritto all’essere bambini.

Cuore di tigre è infatti un silent book che vede protagonista una bambina dell’altro capo del mondo, che potrebbe per esempio essere indiana dati i tratti somatici e gli abiti, messa in mano a un adulto barbuto che di lei diventa lo sposo, interrompendo con bruschezza e decisamente prima del tempo quelli che dovrebbero essere i suoi giorni dell’infanzia. Con un potentissimo e accurato gioco di attenzioni sugli sguardi, l’autrice riesce a raccontare una storia fatta di emozioni che attanagliano il lettore e lo costringono a non voltarsi dall’altra parte, come invece potrebbe fare di fronte a una storia simile raccontata da un tg. In quei piccoli e quasi impercettibili scatti di forma, posizione, grandezza, chiusura e luccichio degli occhi si percepiscono con evidenza la tristezza, la paura, la rassegnazione e il terrore della protagonista ma anche il dolore della madre o l’indifferenza dello sposo: un ventaglio di sentimenti che segnano un percorso durissimo per una bambina, capace però di tirare fuori la tigre interiore che potrà forse salvarla.

Forte e coinvolgente, raffinato ed echeggiante, Cuore di tigre ha il raro pregio di evocare senza dire e di indicare sentieri interpretativi che sta al lettore  scegliere e tracciare con precisione. Proprio questa indefinitezza, che molto racconta e suscita, fa del libro un’occasione preziosa per interrogarsi, a bassa e ad alta voce, sull’impegno che il rispetto dell’infanzia ancora richiede, domandando a ciascuno di sentirsi chiamato in causa, interessato. Questi aspetti, che arricchiscono e donano complessità al libro, lo rendono specialmente adatto a lettori anche con difficoltà di decodifica testuale ma con una certa dimestichezza nella decodifica iconica. I ragazzi delle medie, in particolare, cui raramente si destinano lavori con un forte componente illustrativa, possono trovare qui un racconto estremamente suggestivo e stimolante per  i loro occhi e le loro menti in crescita.

 

Un’avventura in forma di labirinto

Trovare un amico vero può costituire una prova davvero ardua. Ma l’amicizia è anche cosa lieve, come un origami sospeso, e per essa si affrontano con leggerezza anche i più ostici percorsi a ostacoli. Così il bambino protagonista del libro di Aleksandra Artymowska, intristito dalla mancanza dei suoi amici, si mette alla loro ricerca attraversando grotte, foreste, tubi, ponti di barche, antiche città e strutture infestate dai cactus. Ogni pagina è un contesto e un paesaggio diverso, all’interno del quale il tenace bambino si districa cercando di volta in volta il cammino corretto.

A indicargli la strada, a ogni cambio d’ambiente, è una piccola freccia che evidenzia l’uscita ma per raggiungerla occorre trovare il percorso giusto, che non conduca fuori pista o in un vicolo cieco. E questo è il compito implicitamente attribuito al lettore che con attenzione scruta, azzarda, prova e aggiusta il tiro. Fino ad arrivare alla ripidissima scala a pioli che fa ben sperare giacché lì i leggeri origami, sempre sparutamente presenti nelle pagine precedenti, si affollano numerosi come ad anticipare l’imminente ricongiungimento.

Un’avventura a forma di labirinto, finalista del Silent Book Contest 2016 e pubblicato da Terre di Mezzo, è un libro senza parole assolutamente curioso e originale. La sottile cornice narrativa che lo contraddistingue diventa infatti pretesto per un gioco di orientamento all’interno dei diversi labirinti che mette alla prova il lettore e lo catapulta dritto dritto al centro della storia. Con la sua struttura insolita ma iterata e la sua veste pulita e raffinata, il libro risulta non solo molto piacevole ma anche particolarmente fruibile anche in caso di difficoltà di lettura più o meno marcate.

Fino al cielo

Di libri che si possono guardare a ripetizione, senza mai stufarsi e scovando anzi qualche dettaglio prima passato inosservato, si vorrebbe aver la stanza piena. Per sapere dove infilare il naso in un momento di noia, per sfidarsi a trovare nella lettura un’ininterrotta sorpresa, per nutrire occhi e mente di un piacere che non è mai eguale a sé stesso. Ecco perché un libro originale e ricco come Fino al cielo di Tom Schamps entra con piacere nella libreria o per meglio dire sul muro di casa, dal momento che completamente aperto, il volume assume la forma di un bel metro.

Un libro per misurarsi, insomma, in tanti sensi: misurarsi in altezza – quanti piani del palazzo sei alto tu? quante mini-storie io? – ma anche misurarsi con una lettura che invita a mettersi in gioco e a stravolgere paradigmi consolidati di approccio alle pagine. Perché qui le pagine si aprono a fisarmonica in senso verticale fino a far prendere forma a un intero condominio di carta. I due protagonisti – due bambini bizzarramente abbigliati come una cappuccetto rosso di città e un  giaguaro in sneakers – che il lettore incontra al piano terra del libro, dove ha sede un negozio di cappelli stravaganti, salgono infatti di un piano ogni volta che il volume si allarga di una pagina, incontrando man mano abitazioni e inquilini particolari. Ci sono per esempio il marinaio e la sirena in una vecchia sala da bagno, l’uomo agreste che coltiva un albero in salotto in compagnia di un cervo o la bambina con i libri (fisicamente e metaforicamente) in testa. A ognuno i due ragazzi lasciano una misteriosa busta con timbro a cuore il cui significato e contenuto si intuisce solo una volta giunti nel sottotetto: qui tutto prende senso, la mente schiaccia rewind,  i dettagli si ricompattano e il desiderio di tornare indietro a cogliere ciò che una prima lettura ha trascurato si fa irresistibile. E così si ricomincia…

Ripercorrere su e giù le scale di questo insolito palazzo è infatti un autentico divertimento. L’autore, il cui stile ha un che di naif e di espressionista che lo rende ipnotico, vi dissemina così tanti dettagli che l’occhio fatica ad apprezzarli tutti insieme. Ogni piano diventa così un quadro in cui immergersi a lungo e a fondo, in cui crogiolarsi senza fretta, per cogliere rimandi interni ed esterni – si pensi alla bambina del penultimo piano che legge lo stesso libro che sta leggendo il lettore o a alla rivista Time che giace sul tavolino di una salotto tappezzato di orologi – o per seguire tracce e individuare impercettibili cambiamenti – come quelli nel cestino dei ragazzi, per esempio, che si riempie man mano che i due salgono con prodotti non casuali.

Questa ricchezza interna di ogni quadro, contenente un piccolo microcosmo in cui si celano sottilissimi fili narrativi significativi sia in sé sia rispetto alla cornice generale, dona grande originalità e fascino al libro pubblicato da Beisler, e lo rende altresì interessante pensando a un pubblico con bisogni speciali di lettura. In quanto silent book dotato di questa specifica qualità, infatti, Fino al cielo può piacevolmente abbracciare molti lettori che per ragioni diverse faticano a godere di un testo scritto ma apprezzano la complessità delle figure e la loro estrema fertilità fantastica.

Mediterraneo

È difficile, difficilissimo parlare di un libro come Mediterraneo. L’albo senza parole (fatto salvo per quelle strazianti che lo aprono “Dopo aver finito di annegare, / il suo corpo scivolava / lentamente / verso il fondo, lì dove i pesci lo aspettavano.”) di Armin Greder è infatti un concentrato densissimo di riflessioni e spunti su di un tema cocente come quello della migrazione, che pesa come un macigno sugli occhi e sulla mente di chi legge.

Tutto parte con l’immagine di un corpo morto annegato sul fondo del mare. È un’immagine forte come un pugno, che richiede determinazione e coraggio a voltare la pagina. Quel che ci attende subito dopo è un racconto che allarga progressivamente il campo visivo, muovendo dai pesci che di quel corpo si nutrono fino ad arrivare alle coste africane da cui probabilmente quel corpo è partito. E così, come in una sorta di viaggio a ritroso,  ci troviamo a seguire quei pesci sulla tavola di due individui, che loro volta seguiremo nei loro loschi traffici di armi, che a loro volta seguiremo mentre minacciano folle di persone impaurite all’inizio del loro incerto viaggio. Fino ad arrivare sul barone dapprima stipato fino a scoppiare di persone dai volti indefiniti e poi completamente svuotato e riverso in mezzo al mare. Da lì, il passo che ci riporta all’inizio della storia è brevissimo e indispensabile per chiudere e al contempo riaprire un cerchio e attivare un cortocircuito riflessivo che ci tiene dentro e non più fuori dalla storia.

Quei visi abbozzati e quasi deformati che caratterizzano lo stile di Greder sono forse l’aspetto più impattante del suo racconto per immagini, quello che ci invita a leggere e rileggere la storia da capo a fondo e da fondo a capo per esser certi di non confondersi e di non fraintendere, quello che ci dice quanto universali siano le storie di chi si imbarca verso un destino ignoto, quello che ci obbliga a ridefinire il senso di io e di loro.

Mediterraneo è un libro tanto scomodo quanto necessario. È un libro che parla a fondo di noi anche se la nostra faccia non compare nemmeno una volta sulle pagine, che guarda la tragedia dei morti in mare durante le traversate del Mediterraneo dal retro e non dalla facciata e che invita a riconsiderare un fenomeno così complesso come la migrazione rendendo conto della spirale di eventi che lo dota di moto perpetuo. In una parola, è un libro complesso e come tale merita di comparire tra le letture, soprattutto condivise ed echeggiate in gruppo (per esempio a scuola) di tutti i ragazzi dalle medie in su, capaci di assorbire le notizie che vengono dal mondo vicino e lontano ma spesso sprovvisti degli strumenti per elaborarle.

E forse proprio questa complessità, che di primo acchito tenderebbe a tenere il libro lontano dal mondo delle difficoltà di apprendimento e della disabilità  – così superficialmente destinate alla banalizzazione del mondo e della sua espressione – , dovrebbe in realtà renderlo appetibile e meritevole di essere preso in considerazione e proposto anche in queste situazioni. Perché la complessità – dei temi, del racconto e delle forme –è nutrimento prezioso e fonte di grande soddisfazione per quei lettori che fanno a volte a pugni con il testo pur essendo in possesso di piene facoltà cognitive. Ragazzi dislessici o sordi, per esempio, che tra le immagini si possono muovere con dimestichezza a differenza di quanto non fanno con le parole, sono lettori potenziali adattissimi di un libro potente ed evocativo come Mediterraneo.

Il segreto della fontana blu

Che nelle città, anche quelle più grigie, potessero nascondersi dettagli a forte carica narrativa ce lo aveva suggerito con forza l’originale Miramuri di Alessandro Sanna e Massimiliano Tappari. Ma il tema dei racconti urbani da svelare è fertile e importante, così Terre di Mezzo torna a esplorarlo con un altro albo di grandissimo fascino.

Si tratta de Il segreto della fontana blu: un silent book raffinatissimo firmato da Kyung-Sik Choi, in cui a far accadere qualcosa di straordinario è un’anonima fontana di quartiere. Potrebbe essere una fontana qualunque in mezzo a palazzi qualunque di una città qualunque, eppure il bambino protagonista vi scorge qualcosa di particolare, ne coglie il fascino incompreso e decide di guardarla più da vicino. E così la fontana rivela il suo segreto – giusta ricompensa per una sana curiosità – travolgendo il bambino (insieme al suo fedele cane) e conducendolo in un viaggio di cui certo non si pentirà.

Sarà un viaggio incredibile, sotto e sopra le profondità del mare, a cavalcioni di una balena che fino ad allora era rimasta quieta sotto il bordo di quella comune fontana, con lo sfiato in corrispondenza dello zampillo d’acqua. Serviva uno scatto d’immaginazione per farla scatenare, un guizzo impavido e creativo che tingesse di fantastico la più monotona delle realtà. Dopodichè basta abbandonarsi al mastodontico cetaceo per farsi trasportare dove l’azzurro delle onde prende il posto del grigio del cemento e dove l’odore dell’oceano resta addosso come fosse indelebile.

Con un tratto suadente e certosino e un gusto misurato per l’uso del colore, l’autore accompagna con garbo il lettore al limitare tra ciò che esiste fuori e ciò che esiste dentro la nostra testa, cogliendo con leggerissimi cambi di texture ciò che è mobile e ciò che è immobile e restituendo con sapienti volteggi di inquadrature il senso di un viaggio vorticoso che fa del cambio di prospettiva la sua chiave d’avviamento.

Il racconto procede qui solo per immagini (le poche parole che il lettore trova in apertura di libro aiutano a cogliere il senso del viaggio, abbozzano qualche indizio ma non rivelano nulla in maniera definitiva), in una continua sospensione tra dimensione reale e dimensione fantastica e lasciando ampi spazi immaginativi tra un passaggio narrativo e il seguente. Per questa ragione Il segreto della fontana blu invita a una lettura estremamente suggestiva e non proprio semplicissima, il che la rende molto accattivante per tanti lettori che trovano un ostacolo nei testi scritti e che ciononostante sono fervidamente affamati di storie e capaci di muoversi con agio nel mezzo della complessità delle immagini.

La mia amica ape

In mezzo a una città, tutta cemento e grattacieli, abita una bambina. Dalla sua stanza, dove si sta godendo una lettura tranquilla, entra un giorno un’ape. La bambina tutto subito fugge ma poi, nel controllare prudentemente che fine abbia fatto l’insetto, si accorge del suo atteggiamento pacifico e decide di farsi coraggio. Pochi gesti di cura nei suoi confronti – un po’ d’acqua e zucchero e un’asciugatina – sanciscono l’inizio di un’amicizia straordinaria che cresce via via in intensità almeno quanto l’ape cresce via via in dimensione agli occhi della bimba. Insieme le due non soltanto giocano, chiacchierano, ballano o fanno merenda in un susseguirsi di momenti di grande serenità ma partono anche per un viaggio importante al di là dei palazzoni, dove fiori e piante variegati abbracciano la vista, per riportare in città qualche seme di accoglienza per il piccolo e prezioso popolo delle api. Sarà un modo speciale e insieme esemplare di consolidare e celebrare un rapporto delicatissimo tra regno umano e animale, a cui anche i piccoli lettori possono ispirarsi.

L’attenzione che l’autrice Alison Jay dedica ai dettagli è davvero ammirevole: non solo essi animano ogni quadro restituendo concretamente l’immagine di una città in fermento, ma disseminano minuscoli ma preziosi indizi interpretativi che aiutano a decifrare al meglio ciò che accade nella storia. Tra di essi il lettore può dunque svagarsi – curiosando per esempio tra le occupazioni dei diversi inquilini del palazzo o le attività che fervono per strada in ogni stagione – ma anche orientarsi – cogliendo per esempio l’amore della protagonista per la natura, evidente nell’abito, nel gingillo e nelle lettura, o trovando nell’espressione infelice dell’ape di fronte alla distesa di cemento il motore dell’incredibile viaggio che farà con la bambina.

Tutto questo assume tanto più valore se si considera che La mia amica ape appartiene alla categoria dei silent book e procede perciò attraverso il solo uso delle immagini. Delicate e accurate, felicemente giocate suo toni pastello, queste richiedono grande e ben ripagata attenzione per cogliere i piccoli scatti narrativi che collegano ogni riquadro al seguente, rendendo il volume particolarmente fruibile a chi già si muova agevolmente nel mezzo della complessità iconica.

 

Insieme con papà

Accompagnare un genitore al lavoro può risultare noioso: ecco perché il protagonista di questo albo, trovatosi nella situazione, porta con sé un videogioco dal quale pare non voler staccare gli occhi. Nel laboratorio di falegnameria del papà, però, qualcosa di imprevisto accade: forse la spina del videogioco si stacca per errore e l’intera partita va persa o forse semplicemente uno strano oggetto attira l’attenzione del bambino. È un metro giallo, di quelli rigidi e sgargianti. Sembrerebbe uno arnese insignificante ma rivela, in realtà, intriganti potenzialità: chi ha un papà che traffichi con le misure lo sa bene!

In un attimo l’innocuo strumento di lavoro prende la forma di un pericolosissimo serpente, dando il via a un gioco d’invenzione in cui perdersi e vivere inaspettate avventure. Opportunamente sagomato, il metro diventa, infatti, casa, albero, automobile, elefante, e più ci si prende la mano più la faccenda si fa coinvolgente. Così, quando il metro delinea una mastodontica balena, questa pare così vera da spruzzar acqua dappertutto e inondare il laboratorio. Per fortuna c’è la barca costruita dal papà: una barca reale, realissima, che provvidenziale scivola in acqua. Ma per farla andare lontano, un’aggiunta fantastica si renderà necessaria… meno male che c’è il metro!

Insieme con papà, edito da Il leone verde, racconta una storia di immaginazione e affetto, in cui la noia si afferma come  propulsore di creatività. A raccontarcela in un albo dal formato piccino è l’autrice brasiliana Bruna Barros. Il suo racconto, che procede per sole immagini dallo stile asciutto e dai colori ricorrenti, risulta particolarmente agevole da seguire  e fruibile anche in caso di difficoltà di lettura legate alla componente testuale.