Diverso come uguale
Recensione pubblicata il: 20/02/2013
La diversità ha tante facce: quella della disabilità, quella della religione, quella dell’etnia e quella dell’orientamento sessuale, per esempio. Ciascuna condiziona a suo modo le persone senza mai, tuttavia, esaurirne la personalità. Così, chi è epilettico come Erica, può anche amare vestirsi di rosso e non avere paura del buio, chi è cieco come Marcel può anche conoscere un sacco di canzoni a memoria e ballare benissimo o chi è musulmana come Fathia può anche avere i capelli liscissimi e festeggiare il compleanno in un giorno speciale. Certo, occorre essere sufficientemente attenti e curiosi per notare con naturalezza questi aspetti senza farsi ingannare dalle etichette.
Così fa Leone, protagonista del bell’album illustrato proposto da Beccogiallo, che in quarantotto pagine di una specie di diario, con tanto di disegni annessi, clips e post-it, racconta ai lettori somiglianze e stramberie degli amici. Qui, tra illustrazioni a tutta pagina e commenti che tanto sanno di fumetto, scorre una carrellata di personaggi, tutti portatori di una forma di diversità, non nascosta né negata bensì accolta e mescolata ad altre caratteristiche. Anche l’handicap, così, smette per una volta di essere quella parola vuota o quella situazione ineffabile che perlopiù spaventa gli adulti per assumere i contorni pieni, benché soggettivi, dell’esperienza pratica di un bambino.
La disabilità, cioè, viene nominata e contestualizzata, e qui sta il vero merito di Diverso come uguale: nel coraggio inusuale di chiamare le cose con il loro nome, nella responsabilità di dar loro un risvolto pratico e comprensibile e nella capacità di mettere in luce come la diversità non annulli ciò che la circonda. Raccontare l’autismo di Luca, per esempio, come la sua insofferenza agli abbracci e alle chiacchiere non è certo esaustivo ma offre ai piccoli lettori l’opportunità di confrontarsi con una forma di differenza dalla fisionomia finalmente riconoscibile. Se in più si sa che Luca è il bambino più alto e forte della classe, che colleziona bottoni, che odia i gatti e che ride con la bocca tutta aperta come Superobotman si intuisce che la sindrome che lo ha colpito non è sufficiente a definirne in pieno l’unicità.
Quel che si legge tra le righe, insomma, è che essere bambini, con o senza disabilità, significa essenzialmente coltivare desideri, avere e superare paure, mostrare stranezze, giocare, condividere esperienze e sognare. Evviva, dunque, perché di una simile convinzione abbiamo ancora tanto bisogno!
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