Recensione pubblicata il: 13/12/2022
Jun è un bambino autistico che nasce e cresce in Corea. La sua famiglia non ha pressoché idea di che cosa sia l’autismo e così, anche nel momento in cui arriva la diagnosi e tanti comportamenti inspiegabili del bambino trovano un minimo di spiegazione, reazioni e comportamenti rimangono comunque improntati a un tentativo di cura e guarigione. Ci vogliono anni in cui pazienza e sacrificio diventano parole d’ordine perché i genitori di Jun riescano a mettere davvero a fuoco quel loro figliolo così diverso dagli altri e trovino il modo di trasformare la sua stranezza in un dono. Jun ha, infatti, una spiccata propensione per la musica: ama i suoni, li coglie dove altri neppure li notano e li registra con grande precisione. Nel momento in cui fa musica, esibendosi in un genere tradizionale complesso come il pansori e componendo canzoni originali, la sua disabilità diventa impalpabile come il suono del vento che tanto lo affascina.
A raccontarci la storia di Jun è sua sorella Yunseon. La sua voce è lucida e viva, capace di dare voce senza cedere al sentimentalismo, a un amore viscerale e una quotidianità faticosa. Costantemente combattuta, come spesso accade, tra il desiderio di prendersi cura del fratello e la sensazione di essere sempre in secondo piano nelle priorità familiari, Yunseon prova con tutte le sue forze a riconoscere in Jun il ragazzo prima del disabile. L’apparente rudezza che talvolta contraddistingue i suoi atteggiamenti nei confronti del fratello è frutto di questo sforzo e spesso si contrappone alla premura totalizzante e ansiosa della mamma. Due modi di amare, due modi di prendersi cura. Grazie e entrambi, Jun trova pian piano la sua strada e il modo di valorizzare il suo talento, rendendo chiaro a chi gli è caro così come a chi legge l’inutilità di ogni tentativo di aggiustamento dell’autismo.
Il libro di Keum Suk Gendry-Kim è ispirato a una storia reale. Jun esiste, infatti, davvero: lui e l’autrice si sono conosciuti proprio al corso di Pansori di cui si parla nel libro. Reduce da diversi anni all’estero, la fumettista racconta di essere rimasta molto colpita da quel ragazzo così talentuoso e solitario, riconoscendosi in parte nella sensazione di estraneità totale dal mondo che pareva animarlo. Proprio quella sensazione emerge chiara e forte dalle tavole in bianco e nero del libro. Di grande impatto e al contempo di grande sobrietà, queste sfruttano a pieno il linguaggio del fumetto per rendere visibile ciò che forse dicibile non è, per dare voce a sentimenti complessi che nella sola parola faticano forse a dirsi e a farsi leggere.
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