Non è te che aspettavo
Recensione pubblicata il: 12/03/2018
Dire tutto quel che c’è da dire e farlo con un’ironia fine e profonda, ecco la dote rara di Fabien Toulmé, autore, voce narrante e protagonista dello splendido fumetto Non è te che aspettavo. Nella graphic novel portata in Italia da Bao Publishing c’è il racconto di una diagnosi temuta, di una paternità travagliata, di un amore genitoriale che arranca prima di spiccare il volo.
Facciamo la conoscenza di Fabien in Brasile, durante la seconda gravidanza della moglie Patricia, in occasione delle primissime ecografie che sembrano non rivelare alcuna criticità per la bimba in arrivo. Poi lo seguiamo nella periferia parigina, dove la coppia con la prima figlia Louise, si trasferisce a gravidanza inoltrata: i mesi passano, nuovi esami si accumulano, ma nulla ancora lascia presagire un’anomalia nel feto. Eppure Fabien ha come un presentimento e l’irrazionale timore che la sua bimba possa avere qualcosa che non va. Che possa avere la Sindrome di Down, più nello specifico: una forma di diversità che fin dall’infanzia lo turba e gli reca un senso di respingimento. Perciò quando dopo il parto è proprio questa diagnosi ad arrivare, non è una tegola che gli cade sulla testa ma un tetto intero. Trascorrono settimane di tormento, in cui Fabien si sente lacerato da sentimenti contrastanti: c’è la delusione per una figlia che non somiglia affatto a quella che si era immaginata e per una vita che prenderà una strada diversa da quella che aveva programmato; c’è la rabbia verso quei dottori che non hanno saputo prevedere il problema; c’è l’invidia verso i genitori più fortunati; c’è il senso di colpa verso una moglie che sa accettare la figlia con una naturalezza sbalorditiva e c’è lo spaesamento più totale rispetto a una forma di paternità che non sente affatto propria. Tutto si riflette in una quotidianità che si trascina pesante, in cui anche i momenti di più intima relazione con la piccola Julie diventano fardelli, in cui tocca trovare il modo di dire, a conoscenti e sconosciuti, la diversità della propria figlia e infine quella diversità guardarla in faccia. E forse è proprio quando Fabien trova quel coraggio lì, quello cioè di guardarla negli occhi la diversità di Julie, che qualcosa davvero cambia e che l’autore finalmente dice: “Mi sentii felice, felice di essermi evoluto, di non vedere più l’handicap ma il bambino”.
Ecco, qui forse sta il punto più delicato della faccenda: siamo umani e la diversità ci spaventa, anche quando riguarda persone a noi carissime e a cui siamo strettamente legati. L’handicap può distorcere la nostra percezione degli individui e dei rapporti, richiedendo un preciso sforzo di rimessa a fuoco dello sguardo. È dunque un vero e proprio percorso quello che porta a mettere da parte l’irrazionale per cogliere l’umanità di ciascuno e scongelare le emozioni: un percorso non semplice ma possibile, e che come tale va promosso. Il percorso di Fabien, tanto più duro e tormentato perché vissuto in veste di papà, è dunque il percorso che riguarda noi tutti e che sta alla base della costruzione di una società inclusiva. Ecco perché un libro come Non è te che aspettavo merita, fortissimamente merita, una lettura attenta e appassionata, non solo da parte di chi una disabilità la sperimenta o l’ha sperimentata in qualità di genitore e che in queste pagine può ritrovarsi e ritrovare un sentiero.
E poi, aspetto tutt’altro che secondario, non solo il libro racconta così tanto della disabilità, della genitorialità, della fratellanza, della relazione e del rapporto tra mente ed emotività ma lo fa con la provvida leggerezza che solo un maturo e ponderato lavoro di elaborazione personale, oltre che di talento innato, può generare. Le tavole che compongono Non è te che aspettavo, pulite e giocate sul monocromatismo (un colore per ogni capitolo), colgono nel segno grazie a un’ironia che aiuta a dire ciò che non è facile dire e che restituisce, in maniera ancor più autentica e irresistibile, il lato profondamente umano del protagonista. Anche e soprattutto per questo Non è te che aspettavo è un libro raro. Un libro che sa portare alla luce un carico pesante di sofferenza, con una delicatezza saporitamente umoristica.
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